5
INTRODUZIONE
Il presente studio si propone di analizzare una delle più controverse cause di
giustificazione dell’ordinamento penale italiano: l’uso legittimo delle armi previsto
dall’articolo 53 c.p. La scriminante, che ha da sempre manifestato alcuni elementi
problematici, rappresenta un punto di riferimento importante per poter studiare
l’evoluzione e l’essenza del rapporto tra individuo e autorità.
Al fine di far emergere proprio alcune peculiarità di questa relazione, si è ritenuto
necessario fornire un inquadramento generale della materia, per poi prendere in
considerazione alcune ipotesi concrete di applicazione dell’articolo cercando di
evidenziare eventuali diversità nella sua applicazione a seconda del contesto considerato.
Il primo capitolo si occupa pertanto dell’inquadramento dell’articolo 53 c.p. nel
più ampio tema delle cause di giustificazione a partire da un rapido cenno alle diverse
impostazioni di teoria generale del reato. Dopo aver introdotto il concetto di
antigiuridicità e quello di scriminante, è parso opportuno presentare le caratteristiche
generali delle scriminanti codicistiche, che verranno poi in rilievo nel corso della
trattazione, e illustrare le regole fondamentali della disciplina in materia. Il medesimo
capitolo contiene alcuni riferimenti introduttivi all’influenza derivante dal sistema della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, utili per meglio contestualizzare ciò che
verrà affrontato nei capitoli successivi soprattutto con riferimento agli obblighi di
incriminazione. Sempre al fine di fornire un quadro generale della disciplina, segue
un’illustrazione sulle diverse proposte di classificazione delle scriminanti e di studio degli
elementi che le caratterizzano.
Già dalla seconda parte del primo capitolo, l’attenzione si sposta maggiormente
verso l’analisi del rapporto tra individuo e autorità, a partire dalla sua contestualizzazione
storica e dallo sviluppo che ha caratterizzato lo Stato liberale fino alla Costituzione. Dopo
aver fornito una definizione di quel che si intende per forza pubblica, l’analisi procede
con la presa in considerazione dei diversi periodi storici che costituiscono lo “sfondo”
necessario allo svilupparsi del rapporto tra individuo e autorità. In particolare, nel corso
della trattazione relativa al primo periodo, quello liberale, ci si è soffermati
sull’introduzione della figura del pubblico ufficiale quale esponente dell’autorità statale
che accompagnerà l’intero lavoro. Una volta conclusa l’analisi di questa prima fase, si
6
prosegue con quella riguardante il periodo fascista concentrandosi sui profondi
cambiamenti subiti dalla disciplina in materia di libertà personale e nel rapporto tra
individuo e autorità. Nel medesimo contesto si porta l’attenzione anche sul mutamento
intervenuto nella definizione di pubblico ufficiale e all’introduzione della nozione ancora
oggi dettata dall’articolo 357 c.p. L’ultimo periodo che viene in rilievo è quello che ha
visto l’introduzione della Carta costituzionale e le relative modifiche intervenute nel
rapporto che qui si intende studiare. Vista la stretta connessione intercorrente tra i temi,
viene in questa sede approfondita la rilevanza della sicurezza e dell’ordine pubblico in
Costituzione.
Parallelamente alla rappresentazione dell’evoluzione storica del rapporto
individuo – autorità, ci si sofferma sull’esecuzione forzata e l’autotutela, focalizzando la
nozione di autorità come soggetto dotato di autotutela amministrativa con la conseguente
possibilità di esercitare la coercizione nei confronti dei consociati. Grazie agli
indispensabili riferimenti ad alcuni dei più illustri esponenti della dottrina italiana, si
prosegue con l’illustrazione del significato del concetto di autotutela e delle sue
declinazioni, in particolare di quella esecutiva. Fatto ciò, l’attenzione si sposta sui poteri
di coercizione della pubblica amministrazione e sulla differenza che intercorre con
l’esecuzione forzata amministrativa. La ricostruzione di tali elementi consente di
affrontare il tema dell’uso della forza pubblica con la dovuta completezza e coerenza.
Il Capitolo I si chiude con la trattazione del contesto storico – politico di
introduzione dell’articolo 53 c.p. che ne ha fortemente influenzato la genesi, partendo
dalla considerazione dell’epoca antecedente al 1930, sino alle diverse interpretazioni
dottrinali tuttora diffuse che tendono a dare rilievo ad una lettura costituzionalmente
orientata della norma in questione.
Il Capitolo II è interamente dedicato all’analisi strutturale dall’art. 83 c.p. Esso si
apre con la presentazione della causa di giustificazione quale rientrante nella categoria
delle c.d. scriminanti proprie o personali e approfondendo dunque il discorso
relativamente ai soggetti che debbano ritenersi scriminati. La parte iniziale del secondo
capitolo è quindi dedicata all’individuazione dei soggetti componenti la forza pubblica e
dei pubblici ufficiali che possono ritenersi scriminati ai sensi dell’articolo 53 c.p. Gli
elementi costitutivi della causa di giustificazione in esame (quali il fine di adempiere un
dovere dell’ufficio e la necessità del ricorso all’uso delle armi o di altri mezzi di coazione)
7
sono analizzati facendo ricorso anche ad alcuni riferimenti giurisprudenziali, in modo tale
da prendere contezza della particolarità dei contesti in cui la scriminante può essere
applicata. Con specifico riguardo al requisito della necessità, viene dato spazio
all’influenza della giurisprudenza della Corte EDU. Un paragrafo specifico è dedicato
all’esposizione della definizione di arma e delle diverse categorie ad essa riconducibili,
con particolare attenzione ai mezzi non letali di coazione in dotazione alle forze
dell’ordine. A conclusione del capitolo vengono sviluppate alcune riflessioni in merito
all’autonomia della causa di giustificazione e al giudizio di proporzionalità, argomenti
questi in grado di sollevare contrasti all’interno della dottrina ma rispetto ai quali, anche
grazie all’interpretazione fornita dalla CEDU, è possibile indicare una linea interpretativa
coerente.
Il Capitolo III vuole rappresentare un “banco di prova” circa l’operatività della
scriminante dell’uso legittimo delle armi in due contesti che si differenziano in base allo
status del soggetto passivo contro il quale il pubblico ufficiale agisce. La prima sezione
è dedicata all’analisi del rapporto intercorrente tra autorità e persone libere, mentre la
seconda riguarda le persone sottoposte a restrizioni della libertà personale.
Dopo aver avviato il discorso relativo alla prima delle due situazioni con
un’analisi della percezione pubblica del ruolo della forza di polizia e dell’importanza
della fiducia collettiva nei suoi confronti per massimizzare l’efficienza dell’istituzione
stessa, si procede all’esposizione di due vicende particolarmente note: il caso Giuliani e i
fatti della scuola Diaz. L’ultimo paragrafo della sezione è dedicato ad alcune
considerazioni circa la rilevanza dell’articolo 53 c.p. nel contesto considerato anche alla
luce dell’orientamento della prassi.
Per introdurre l’esposizione dei casi inerenti alla seconda sezione, si è scelto di
approfondire innanzitutto l’analisi relativa alla legislazione in materia di libertà personale
supportata da adeguata giurisprudenza. In particolare il riferimento va agli articoli 13 e
27 della Costituzione e agli articoli 613 – bis e 613 – ter c.p., senza dimenticare
l’influenza esercitata in tale ambito dagli articoli 3 e 5 CEDU e dall’articolo 608 c.p.
Dopo l’esposizione di casi giurisprudenziali piuttosto rilevanti come il caso Aldrovandi,
Cucchi e Uva, l’ultimo paragrafo evidenzia il ruolo svolto dall’articolo 53 c.p. in simile
contesto, rilevando una certa divergenza tra il tenore letterale della norma e la prassi
applicativa.
8
Il terzo capitolo rappresenta il momento conclusivo di un percorso, che attraversa
l’intero studio, volto all’approfondimento del rapporto tra individuo e autorità. Per questo,
a partire dai casi giurisprudenziali selezionati, si cerca di mettere in luce eventuali
differenze nell’operatività dell’articolo 53 c.p. a seconda che ci si trovi in presenza di
persone libere o persone ristrette, evidenziando eventuali criticità e individuando possibili
risposte.
9
CAPITOLO I
USO LEGITTIMO DELLE ARMI E ALTRI MEZZI DI COAZIONE FISICA:
NOZIONI PRELIMINARI E GENESI STORICA
Sommario: 1. L’uso legittimo delle armi: alcune premesse. – 2. Il rapporto tra
individuo ed autorità: evoluzione storica. – 2.1. Alcune considerazioni attinenti al periodo
liberale e introduzione al concetto di pubblico ufficiale. – 2.2. L’evoluzione del rapporto
nel periodo fascista. – 2.3. Il passaggio al periodo costituzionale e il concetto di sicurezza
e ordine pubblico. – 3. Alcune riflessioni su esecuzione forzata e autotutela: l’importanza
di questi concetti in riferimento all’articolo 53 c.p. – 3.1. La forza pubblica e l’attività
amministrativa di coazione diretta. – 4. Il contesto storico – politico di introduzione
dell’articolo 53 c.p. e relative interpretazioni.
1. L’uso legittimo delle armi: alcune premesse.
Dando avvio all’analisi dell’articolo 53 c.p. oggetto del presente lavoro, sembra
opportuno offrire un inquadramento iniziale che consenta di collocare correttamente la
causa di giustificazione in esame all’interno del sistema penale. Nel corso del presente
paragrafo verranno esaminati alcuni concetti riferibili all’articolo 53 c.p. quali la
definizione di antigiuridicità e di causa di giustificazione, l’influenza esercitata dalla
giurisprudenza della Corte EDU sull’interpretazione dell’articolo stesso e l’indicazione
di regole generalmente attribuibili alle cause di giustificazione, nonché l’illustrazione di
alcune classificazioni utili ai fini di una migliore comprensione delle caratteristiche
peculiari dell’articolo 53 c.p. che saranno approfonditamente trattate nel corso del
Capitolo II.
Inserendosi l’articolo 53 c.p. tra le cause di giustificazione, pare doveroso fornire
un rapido inquadramento della categoria dell’antigiuridicità. Il termine è espressione del
rapporto di contraddizione tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico. L’antigiuridicità
viene meno quando anche una sola norma, ubicata in qualsiasi luogo dell’ordinamento,
facoltizza o rende doverosa la realizzazione del fatto: si parla in questo caso di cause di
giustificazione come l’insieme delle facoltà e dei doveri derivanti da norme che
autorizzano o impongono la realizzazione di un fatto penalmente rilevante. L’operatività
10
di una causa di giustificazione rende un fatto tipico pienamente lecito: difettando
dell’elemento dell’antigiuridicità, tale fatto non costituisce reato
1
. Si comprende come,
per la realizzazione dell’effetto giuridico di una norma penale, sia necessario che accanto
alla tipicità del fatto si collochi la sua antigiuridicità
2
. Proprio del rapporto intercorrente
tra fatto e scriminante si è occupato Marinucci allorché, dopo aver identificato il fatto
come elemento centrale del sistema penale, ha osservato che in qualche luogo
dell’ordinamento possa rinvenirsi una norma con conseguenze giuridiche antitetiche alla
sanzione penale, generando un conflitto tra norme: risulterà prevalere la norma che
attribuisce la facoltà o impone il dovere di realizzare il fatto, determinando in questo
modo il sacrificio del bene tutelato dalla norma penale soccombente
3-4
.
Così introdotto il concetto di antigiuridicità, è opportuno occuparsi più da vicino
delle cause di giustificazione in modo da distinguerle dalle scusanti e dalle cause di
esclusione della punibilità. Le scriminanti, nell’ambito della teoria generale del reato
vengono qualificate, secondo la teoria tripartita della sistematica del reato, come cause di
esclusione dell’antigiuridicità del fatto, mentre secondo la teoria bipartita come elementi
negativi del fatto di reato. Così come consente di notare Consulich, l’impostazione tipica
della concezione bipartita del reato considera la norma penale costituita dalla somma data
dalla disposizione che prevede la sanzione e tutte quelle che, interagendo con essa, ne
definiscano il comportamento punito. In questo modo le scriminanti non andrebbero a
negare il precetto penale, ma ad integrare la fattispecie incriminatrice
5
. La sistematica del
reato condivisa dalla maggior parte della dottrina, quella tripartita, considera invece la
tipicità non in senso naturalistico, ma come concetto che esprime già una scelta indicativa
di valore. Tra le due impostazioni risulta essere preferibile quest’ultima in quanto più
precisa dal punto di vista analitico e in grado di meglio distinguere il momento descrittivo
da quello valoriale e dunque collocare i reciproci rapporti tra norma penale e scriminante
6
.
1
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè Editore, Milano, 2018,
p. 208.
2
R. DELL’ANDRO, Antigiuridicità (voce), in Enc. dir., II, 1958, p. 542
3
Tali norme vengono identificate, oltre che con il nome di cause di giustificazione, anche con termini
equipollenti quali: scriminanti del fatto, circostanze di liceità, cause di esclusione dell’antigiuridicità, cause
oggettive di esclusione del reato.
4
G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1983, p. 1228
5
F. CONSULICH, Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione:
necessità e limiti, Giappichelli Editore, Torino, 2018, p. 18.
6
Ivi, p 21.
11
Seguendo l’impostazione di tale teoria, la categoria dell’antigiuridicità consente di
raggruppare in sé tutte le scriminanti, ovunque si collochino nel sistema, permettendone
uno studio unitario.
Dopo aver appurato l’importanza di trattare le norme riconducibili alla classe delle
scriminanti come un unicum, è altrettanto essenziale delineare le caratteristiche ad esse
comuni, prima fra tutte, la loro funzione tipica: quella di risolvere un conflitto di interessi
ugualmente tutelati. Alcune scriminanti si fondano sul criterio dell’interesse mancante
7
,
altre, come l’uso legittimo delle armi, sul criterio dell’interesse prevalente o equivalente
e quindi su un bilanciamento di interessi in conflitto
8
. Il principio di bilanciamento
costituisce un limite interno all’esercizio del diritto, un principio istituzionale immanente
in tutta la dialettica dell’ordinamento giuridico che consente di operare una scelta
preferenziale in base alla scala di valori nella quale i beni in conflitto si trovano
9
. In
materia di cause di giustificazione l’antinomia giuridica è prima di tutto un contrasto tra
due precetti: scopo della giustificazione è risolvere una crisi sociale sorta dalla
contrapposizione di interessi, arrivando quindi alla soluzione della relativa crisi
normativa
10
.
Le cause di giustificazione possono essere distinte in codificate e non a seconda
che siano o meno previste dalla legge. Per quanto concerne le scriminanti codificate,
queste sono a loro volta suddivisibili in due categorie: quelle comuni, perché
tendenzialmente applicabili ad ogni reato; quelle speciali, espressamente previste per
taluni reati.
L’articolo 53 c.p. rientra tra le cause di giustificazione comuni elencate nella parte
generale del c.p. comprendente inoltre: il consenso dell’avente diritto (art. 50); l’esercizio
di un diritto e l’adempimento di un dovere (art. 51); la legittima difesa (art. 52) e lo stato
di necessità (art. 54).
7
È il caso del consenso dell’avente diritto, il quale fa venir meno la ragion d’essere della punizione
dell’agente, essendo venuto meno l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.
8
Come accade per la legittima difesa, in cui l’ordinamento attribuisce, al ricorrere di determinati
presupposti, la prevalenza all’interesse dell’aggredito su quello dell’aggressore.
9
T. DELOGU, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, in Arch. pen., 1972, fasc.
3-6, p. 166.
10
F. CONSULICH, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., p. 62.
12
Le scriminanti più utili ai fini del presente lavoro sono quelle espresse dagli articoli 51 e
52 c.p.
11
con le quali la causa di giustificazione oggetto del presente lavoro verrà messa
a confronto; sicché pare opportuno procedere ora ad un loro rapido inquadramento
12
.
L’articolo 51 c.p.
13
trova il suo fondamento nel principio di non contraddizione all’interno
dell’ordinamento giuridico. L’articolo prevede essenzialmente due ipotesi: l’esercizio di
un diritto (co. 1) e l’adempimento di un dovere (co. 1, 2, 3, 4), a sua volta derivante da
una norma giuridica o da un ordine della pubblica autorità. Il termine “diritto” previsto al
primo comma deve essere inteso in senso lato
14
e può trovare la sua fonte in Costituzione,
legge ordinaria, norme dell’Unione europea, leggi regionali e consuetudine. Anche il
“dovere” imposto da una norma giuridica può avere la propria fonte nella Costituzione,
nella legge ordinaria, nelle norme dell’Unione europea e negli atti sublegislativi. Per
quanto concerne la seconda ipotesi, relativa al dovere derivante da un ordine, è necessario
che si tratti di un ordine legittimo tanto dal punto di vista formale
15
che sostanziale
16
; nel
caso di ordine illegittimo, del reato risponderà chi ha dato l’ordine (art. 51 co. 2) e chi lo
ha eseguito (art. 51 co. 1) salvo che quest’ultimo abbia ritenuto di obbedire ad un ordine
legittimo
17
ovvero che si trattasse di un ordine vincolante insindacabile
18
. A tale
scriminante la giurisprudenza riconduce, seppure entro rigorosi limiti, la non punibilità
dell’infiltrato
19
.
11
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, cit., pp. 285 – 323.
12
V. Infra Cap. II, sottopar. 5.1.
13
Rubricato “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”.
14
Riferendosi quindi a: diritti soggettivi, costituzionali (cfr. art. 21 Cost.), potestativi (cfr. art. 315 e ss.
c.c.), di poteri degli organi pubblici (cfr. art. 384 c.p.p.) e di mere facoltà concesse al privato (cfr. art. 383
c.p.p.).
15
Essendo necessario che vi sia: la competenza dell’organo che lo ha emanato, del destinatario che
esegue l’ordine, il rispetto delle forme eventualmente prescritte per la sua validità.
16
È richiesta la sussistenza dei presupposti fissati dall’ordinamento per la sua emanazione.
17
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, cit., p, 300 e Cfr. art. 59 co. 4
relativo alle cause di giustificazione putative.
18
Ivi, p. 299; in base al quale in questo caso il dovere di adempiere tale ordine viene meno se l’ordine
è formalmente illegittimo, o se è manifestamente criminoso, o se chi lo ha ricevuto era comunque a
conoscenza del suo carattere criminoso...
19
Ivi, p. 517; trattandosi questa di figura diversa dall’agente provocatore, indica colui che si inserisce
in un’organizzazione criminale compiendo fatti di reato, per acquisire elementi di prova a carico dei membri
dell’organizzazione. L’impunità non è fondata sull’assenza del dolo di consumazione come accade per
l’agente provocatore, ma sulla liceità dei fatti di reato commessi nell’adempimento di un dovere, nei casi e
per le limitate classi di soggetti e reati previste dal legislatore. Cfr. Cass, pen., sez. VI, 2 aprile 2015 n.
19122 e Cass. pen., sez. VI, 30 ottobre 2015, n. 51678.
13
L’articolo 52 c.p., rubricato “Difesa legittima”, individua come presupposti della sua
operatività: l’ingiustizia
20
dell’aggressione consistente in una condotta umana da cui
derivi il pericolo attuale di un’offesa che può tramutarsi in lesione del diritto; la legittimità
della reazione, tale soltanto nel momento in cui è evidente la necessità
21
di difendersi e
l’attualità del pericolo. La difesa deve essere sempre proporzionata all’offesa; la tesi oggi
prevalente ritiene che, all’esito di una valutazione comparativa basata su un giudizio ex
ante, il divario di valore tra il bene prevalente difeso e quello sacrificato dalla difesa non
deve risultare eccessivo
22
. I commi 2 e 3 dell’articolo in esame, introdotti con l. 13
febbraio 2006, n. 59, pongono una presunzione assoluta di proporzione, in particolari
ipotesi di difesa nel domicilio e negli esercizi commerciali
23-24
.
Essendo l’uso legittimo delle armi una scriminante codicistica, ad essa sarà
applicabile la disciplina generale delle cause di giustificazione
25
riassumibile in quattro
regole
26
. Innanzitutto, l’articolo 59 co. 1 c.p., afferma: “le circostanze che attenuano o
escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da
lui per errore ritenute inesistenti”; in questo modo si concreta la rilevanza oggettiva delle
cause di giustificazione
27
. La seconda regola consiste nell’estensione della scriminante ai
concorrenti
28
, anche se è necessario sottolineare la presenza di un’eccezione nel caso in
cui si parli di cause di giustificazione personali, proprio come accade in riferimento
all’articolo 53 co. 2 c.p.
29
. La terza regola inserisce il problema della rilevanza delle cause
di giustificazione putative (ritenute erroneamente presenti) in sede di valutazione del dolo
20
Il requisito è soddisfatto quando l’offesa non è coperta da alcuna causa di giustificazione, mentre non
ci si può difendere da un’offesa giusta.
21
Il requisito è soddisfatto quando l’agente non aveva alcuna alternativa per attuare la difesa, non
potendo ricorrere né ad una condotta alternativa non integrante reato, né commettere un fatto comunque
rilevante a livello penale, ma meno grave.
22
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, cit., p. 306; per cui risulta
superata la tesi tradizionale in base alla quale la proporzione deve riguardare i mezzi difensivi a disposizione
dell’aggredito e quelli effettivamente impiegati.
23
Ulteriori modifiche ai commi in questione sono state introdotte con l. 26 aprile 2019, n. 36, in
particolare la proporzione tra difesa e offesa rafforzata dal “sempre” e l’ampliamento della nozione di
domicilio. La novella ha disposto anche una presunzione di legittima difesa domiciliare nel caso di
violazione di domicilio con violenza o minaccia, prevista al quarto comma.
24
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di Diritto Penale, cit., p. 306.
25
Ivi, pp. 280 – 284.
26
Trattate più approfonditamente e con specifico riferimento all’uso legittimo delle armi da parte del
pubblico ufficiale, nel corso della trattazione.
27
V. Infra Cap. II, sottopar. 2.1.
28
Cfr. art. 119 co. 2 c.p.
29
V. Infra Cap. II, sottopar. 1.2.