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INTRODUZIONE
Il presente elaborato ha come oggetto lo studio critico dei Canti Orfici di Dino
Campana, e l’ elaborazione fonetica ed espressiva di Carmelo Bene. L’obiettivo
che ha mosso la ricerca va rintracciato nella possibilità di dare voce sia al poeta
di Marradi ormai scomparso, al quale non è mai stato doverosamente
riconosciuto il talento che possedeva ( fu costretto all’ internamento e sottoposto
a scariche di elettroshock perché ritenuto insano di mente), sia di analizzare le
caratteristiche performative dell’ attore, personalità illustre e incomparabile dello
scenario drammatico e non, di immensa levatura e di vastissima conoscenza,
novello Copernico della filosofia teatrale. Tutto questo, alla luce di una raccolta
poetica, i Canti Orfici, che incarna nelle sue pagine uno spirito unico, che
difficilmente è stato ravvisato nelle opere del Novecento. È risultato di vitale
importanza giungere , dalla genesi della sua creazione, sino alle fondamenta del
culto orfico antico e alla figura del vate Orfeo, al fine di poter ottenere una
panoramica chiara delle sue prassi e dei suoi riti, afferenti a questa tradizione
sacra. Per Campana , come per il personaggio mitico ( e di conseguenza per gli
iniziati al culto orfico), la redenzione dell’ anima costituisce il vero e solo scopo
della presenza degli uomini sulla Terra. Essa va preservata dalle ingiustizie
coeve, e condotta per mano verso il sacro bagliore primigenio della vita. Per
questa ragione la figura di Orfeo è strettamente connessa a quella di Dioniso, il
dio dell’ istinto primordiale e genuino, che febbricitante sugge alla fonte
4
zampillante che è l’ esistenza umana. Solo attraverso l’unione estatica con il
divino si può completare il percorso salvifico, nel quale l’ anima ( che si
personifica per Orfeo in Euridice) valica le insidie dell’ Ade infernale, per risalire
beata nella grazia celestiale.
Successivamente, si è posta la questione delle assonanze tra il pensiero
campaniano e quello del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nella cui struttura
intellettiva ed elucubrata si insinua il giovane Dino Campana, sedotto dalle sue
teorie innovatrici e pionieristiche. Gli innumerevoli studi di Nietzsche sul
Superuomo, sull’ Eterno Ritorno, sulla Volontà di potenza, attraggono la mente
del poeta orfico , e non mancano di essere riferimenti costanti nelle sue
riflessioni. Queste ultime , una volta giunte a compimento di una ragionamento
conclusivo, si fanno strada nella raccolta dei Canti Orfici, dove l’ elemento che
sfida le costrizioni temporali e i vincoli terreni è la memoria. Il ricordo di un
passato che non è però tale, e che si ripresenta sempre con lo stesso vigore , ma
mai con la medesima forma. Le sofferenze e il delirio geniale di Campana non
hanno mai abbandonato l’ animo del poeta, che desiderava pace e un porto sicuro
dove placare il suo costante e viscerale male di vivere. Giancarlo Dotto, storico
collaboratore di Carmelo Bene, scriverà : “ Alle frigide signore d’ accademia
vedove del loro prediletto nerbo, e avventuratesi in quel disordinato letto e
respinte, che avrebbero poi detto quel poeta un po’ squilibrato e impotente,
troppo fedele a una vocazione troppo alta per i suoi troppo fragili nervi,
5
Campana rispose : io non potevo stare in nessun luogo …”
1
. Si respira da queste
parole il vero spirito del folle di Marradi. Ritenuto reietto da una società che non
era in grado di abbracciare la sua enorme capacità, egli non trova serenità
nemmeno presso sé stesso, neanche nel suo cuore. Eppure, questa vetta così
ardua da raggiungere non svilisce il suo coraggio, non tarpa le ali a quest’ aquila
impavida, che tenta per tutte le vie percorribili di trarre in salvo la sua cara
Euridice, violentata dalla grettezza e dall’ insensibilità di quelli che allora lo
circondavano. Nessun luogo dà quiete all’ animo di Campana, poiché questo è
così delicato e speciale da non essere stato concepito per le velleità terrestri, e per
le sue menzogne subdolamente rassicuranti . La bellezza del trapasso, del termine
della sua vita su questa Terra, viene ricordata da Dotto con queste parole : “ …e
nell’ incanto allora, più nulla che la Voce…”
2
. La Voce. Essa sola resta di Dino
Campana, il quale invero spettava, per elezione divina forse, in maggior misura
alla sfera dell’ ineffabile che a quella tangibile. Una volta scomparso, è il suono
amabile e la dolce eufonia dei suoi versi che continuano a portare immenso
valore a chi ha la fortuna di ascoltarli. Il mirabile suono sfida il tempo e le
convenzioni, prontamente accolto da uno spirito altrettanto pregevole: quello di
Carmelo Bene. Un breve excursus su tutta la concezione del fare teatro di
quest’ultimo permetterà di comprendere quali tecniche e argomentazioni si
celano dietro il mistero della macchina attoriale ( citata spesso da Bene), che si
configura come caposaldo del suo lavoro. Ci si addentrerà negli interstizi
1
Questo brevissimo saggio è presente nell’ Immemoriale di Carmelo Bene, fondo sito nella Casa Dei
Teatri, in Villa Doria Pamphilj, a Roma. Cfr. DOTTO G., Canti Orfici. La sorpresa della poesia ovvero
dalla vetta dell’ eco alla voce del deserto.
2
Ibidem
6
percettivi del depensamento, della tirannia del linguaggio, il quale si attesta come
un parametro fin troppo restrittivo per l’ attore beniano, che ne capta tutte le
defezioni, spogliandole dall’ etichetta della rispettabilità e del codice. Come
asseriva lo stesso Bene nell’ introduzione ai Canti Orfici: “ Ho descritto la voce
dell’ inorganico […] lasciandomi possedere dal linguaggio […] Leggere è
dimenticare la scena […] ogni contrazione muscolare, ogni spasimo del ricordo
personale, ogni parvenza orale è abbandono al sonnambulismo della macchina
attoriale. È l’armonia sonora ciò che conta , e non è mai il contenuto del
racconto”
3
. Bisogna dimenticare il contenuto : l’ atto orale trova la sua ragion
d’essere nell’ oblio, nell’ abbandono della macchina attoriale, nella perdita totale
di connessione tra lo scritto e la voce. Il corpo, posseduto dal linguaggio poetico,
riscopre il tormento del trovare le parole che siano suono adeguato a ciò che la
mente vede
4
.
Per esplicitare al meglio quanto affermato, ci si soffermerà sulla concezione
poetica beniana e sulle rilevanti attinenze con il canto e la musica, oltre che
esaminare il lirismo che contraddistingue la lettura dei Canti di Giacomo
Leopardi e di Vladimir Majakovskij. L’ importanza degli spettacoli concerto di
Carmelo Bene è sita proprio in quest’ idea : essendo la poesia una differente
espressione della musicalità, la voce non può prescindere dal legame che si
instaura tra queste due dimensioni artistiche. Oltretutto, poiché il significato
rappresenta l’ impedimento all’ ascolto ( una condizione che più che agevolarlo
3
Nota introduttiva in C. Bene, D. Campana, Canti Orfici.
4
MASSARESE E., Teatri/ Libro. Ronconi, Vasilicò, Bene. Esperienze di percezione tra i corpi in pagina e
corpi in scena, Roma, Aracne editrice s.r.l., 2009, p. 89
7
lo osteggia) , questo deve essere trascurato del tutto, poiché è il suono della
parola che merita attenzione, che istituisce l’ armonia del dire, del recitar
cantando.
Il punto di approdo della riflessione si avrà quando si tratterà nello specifico della
lettura dei Canti Orfici, ove si analizzeranno in maniera capillare le variazioni
fonetiche della lettura tipiche dell’ attore di Campi Salentina. Sono proprio le
variazioni sonore che edificano il nesso tra la poesia campaniana e la vis attorica
di Bene : quando Dino Campana dové riscrivere l’ opera ( poiché smarrita dalla
casa editrice Vallecchi) , la riorganizzò con considerevoli mutamenti, variazioni
appunto, che Carmelo Bene nella sua recitazione peculiare, rievoca.
Siffatto percorso toccherà varie tappe, tra cui l’ osservazione delle due
importanti premesse che Bene descrive all’ incipit della declamazione dei
componimenti orfici. Queste risultano davvero indispensabili per lo studio ivi
elaborato, poiché costituiscono la rapida delucidazione della scelta di Carmelo
Bene di celebrare vocalmente queste poesie nello specifico. Riferimenti poi
saranno destinati al saggio di Paul Valéry sulla dizione dei versi, anch’ esso
rinvenuto nelle raccolte di appunti e documenti dell’ Immemoriale. Il saggio
merita attenzione , infatti rappresenta un conciso e minuzioso approfondimento
circa i metodi di recitare poesia e gli stili interpretativi delle scuole di pensiero
afferenti al panorama teatrale. Valéry non manca di utilizzare una terminologia e
una descrizione immediatamente chiara e intuitiva, tanto da suscitare interesse
anche in chi è profano dell’ argomento.
8
Al termine di questo lavoro, a chiosa della illustrazione, si riporta un articolo di
Camille Dumoulié sullo spettacolo concerto di Bene relativo ai Canti Orfici.
Vengono meticolosamente tratteggiate le fasi dell’ elaborazione sonora e dell’
interpretazione di quest’ ultimo : la disarticolazione del tempo, del suono e della
parola, sino ad arrivare allo smembramento del linguaggio stesso, rigettato dal
corpo inorganico, a cui persino gli organi interni rifiutano di obbedire,
impedendo il dispiegarsi della voce.
Un poeta quale era Dino Campana, merita di essere glorificato e ricordato,
nonostante malauguratamente non possa più venirne a conoscenza. Sarà merito
del critico Emilio Cecchi e di Mario Luzi la scoperta del valore puro di Campana,
genio poetico, la cui poesia è una scossa elettrica, una grande metafora della
onnipresenza umile e solenne della vita.
5
Si dovrà aspettare il concerto dei Canti
Orfici di Carmelo Bene per scoprire, proprio nella disomogeneità della poesia di
Campana, nello stesso flusso ininterrotto delle varianti, ( che la sua recitazione
ricorda con la stessa tormentata e straziante fatica ) la sua vena più preziosa,
come poesia nel suo svolgersi. Quale modo migliore di essere consacrato all’
eternità?
5
AA.VV., Dino Campana I Canti Orfici, http://www.italialibri.net/opere/cantiorfici.html, consultato il
07.12.2016
9
CAPITOLO I
I CANTI ORFICI : UN’OPERA IN DIVENIRE
1. L’Orfismo : le origini e il culto
Orfeo, Euridice e Mercurio (I sec. d.C.), rilievo Napoli – Museo Archeologico Nazionale
L’orfismo rappresenta un fenomeno religioso di carattere mistico che si affaccia
alla Grecia del sec.VI, in uno dei momenti più importanti per la storia religiosa
del mondo. In esso vediamo sorgere Confucio e Lao-tse in Cina, il Buddha
nell’India, Ezechiele tra gli Israeliti, Zarathustra nell’Iran, Pitagora tra gli Elleni
6
.
Oltretutto questo secolo costituisce per la Grecia un’epoca di profonda
6
TURCHI N., Le religioni misteriche del mondo antico, Milano, Istituto Editoriale Galileo, 1948
10
trasformazione sociale. Esso segna la fine del così detto medioevo greco
7
, che si
instaura tra il crollo delle antiche monarchie rispecchiate dai poemi d’Omero e il
sorgere degli Stati democratici, di cui Atene è l’esempio più illustre. Vengono
inoltre a cadere le forti oligarchie, in mezzo a convulsioni politico-sociali
8
. Di
conseguenza l’orfismo rappresenta, nella religione, l’anelito alla liberazione da
un regime di oppressione e di violenza, il sacro rifugio degli spiriti migliori, dove
è promesso agli adepti conforto nel presente e libertà nel futuro. Perciò presso gli
Orfici si trova così vivo l’orrore del sangue e così possente il desiderio della
Giustizia (Dike) e della Legge (Nomos)
9
. Come nume centrale della teologia del
culto orfico viene assunto Dioniso, il più giovane degli dei della Grecia, il dio
caratteristico sopratutto per i suoi patimenti e per la sua morte ingiusta, il dio
straniero e popolare venuto dalla Tracia, piuttosto degli dei Olimpici che avevano
fatto la gloria delle vecchie aristocrazie guerriere. Specialmente questo
movimento mistico trova simpatica accoglienza presso i tiranni
10
, i quali si
poggiano sul popolo per abbattere l’oligarchia. Così è possibile vedere
Onomacrito,teologo orfico, fondatore della comunità di Atene ( che vive alla
corte dei Pisistratidi) e Clistene, tiranno di Sicione, attribuire a Dioniso gli onori
mitici della spedizione de I Sette contro Tebe
11
. Premessi quindi i motivi di
carattere politico-sociale che hanno suscitato e oltremodo facilitato il rapido
7
Al fine di ottenere una panoramica maggiormente dettagliata del periodo storico in esame : Cfr.
PUGLIESE CARRATELLI G., Origini e sviluppo della città: Il medioevo greco, Milano, Bompiani, 1978, p.
8
Cfr. SCHOEMANN G. F., Antichità Greche,vol. I, Vienna, tip. e proprietà di Carlo Gerold, 1857.
9
Cfr. JELLAMO A., Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli Editore,
2005.
10
CILENTO V., Comprensione della religione antica, Napoli, Morano, 1967, pp. 88 - 152
11
Cfr. ESCHILO, I Sette contro Tebe, Milano, La Vita Felice, 2003
11
diffondersi dell’orfismo, è opportuno soffermarsi sull’elemento portante della
riflessione orfica. Come si riscontra nei culti misterici e dionisiaci, al centro della
sfera rituale è presente l'enigma della morte e della resurrezione. Il mito narra che
quando morì Euridice, la sposa di Orfeo, egli scese negli Inferi per riportarla alla
vita. Riuscì a placare Caronte e Cerbero (i guardiani infernali ) con la musica
della sua lira, ma nel cammino di ritorno infranse il divieto impostogli da
Persefone, regina dell'oltretomba, di non voltarsi per guardare la sposa.
Contravvenne a questo ordine, e la fanciulla ritornò per sempre nell'Ade
12
. In un
secondo momento, Orfeo morì di morte dionisiaca , in quanto venne sbranato
dalle baccanti, che si cibarono della sua carne. L'epilogo del mito, tuttavia, è un
messaggio di fede nella salvezza eterna. Infatti, nonostante il feroce
sventramento, egli non morì del tutto e la sua testa, pur separata dal corpo,
continuò a cantare per sempre
13
.
La sua figura straordinaria possiede in sé un discreto e non trascurabile numero
di elementi ( riflesso del sistema religioso che da lui prende nome) che
inevitabilmente implicano un discernimento tra il vero e il leggendario. Egli
come anticipato in precedenza, è originario della Tracia
14
, come tracio è
Dioniso, la divinità mediana dell’orfismo. A lui sono attribuiti inni, oracoli,
formule catartiche che costituiscono il bagaglio dell’intero sistema rituale.
Postulato ciò, l’Orfeo della tradizione ci appare piuttosto figlio che padre del
12
Per approfondimenti sul mito : Cfr. TAGLIAFERRI V., Chi ha ucciso Euridice? Il mito di Orfeo ed
Euridice, Napoli, LFA Publisher,2016
13
UBALDO N., Orfismo : religiosità misterica , http://proflombardi.altervista.org/blog/wp-
content/uploads/2015/02/Orfismo.pdf, consultato il 08/11/2016.
14
SCARPI P., Le religioni dei misteri: Eleusi, dionisismo, orfismo, Roma, Fondazione Lorenzo Valla,
2002, p. 351