ricadere in disgrazia…) e via di nuovo alla ricerca di una notizia fresca. Non è un
caso che il giornalista sia stato definito come uno che sa tutto di niente e…niente
di tutto.
E’ superata l’antica diatriba tra chi considera il giornalismo come pura
“informazione” e chi, al contrario, lo concepisce come una tra le tante forme di
“letteratura” – giacché la definizione di giornalismo è ormai saldamente correlata
a « mezzo di selezione e informazione » –. Oggigiorno la notizia, quella pura,
pare non interessare più, se non a sparute categorie di individui. Per il resto, la
massa tende a dividersi in due categorie: coloro a cui non fa più effetto niente,
perché bombardati da ciò che viene proposto dai media e coloro che invece, vuoi
per ignoranza vuoi per impossibilità tecniche, cercano con bramosia qualsiasi
cosa possa dar loro quello che possiamo definire effetto defibrillatore. Poiché
l’obiettivo ultimo dei mezzi di comunicazione, sembra essere quello di
coinvolgere la maggior parte di persone possibili, diventa necessario innalzare il
grado di spettacolarizzazione in modo da rispondere alle esigenze spesso
attribuite ai più. Tutto quindi si trasforma in Evento, ogni notizia che si presti
all’enfatizzazione diventa grandiosa e in questa rincorsa una cosa vale l’altra:
ecco che allora le fiamme che distruggono le foreste amazzoniche occupano lo
stesso spazio informativo della caccia al “serial killer” di turno; ad una strage per
opera della camorra equivale la morte di Frank Sinatra; 500 morti durante
l’insurrezione popolare in Indonesia fanno notizia quanto la passerella di V.I.P. al
Festival di Cannes. L’appiattimento o peggio il livellamento delle notizie più
drammatiche ridotte a pura immagine che scorre veloce, con eventi di per sé
insignificanti, finisce per svuotare di significato la stessa violenza con qualcosa di
peggio: l’anestesia, l’indifferenza verso la portata reale dell’informazione.
Con questa premessa, verrà preso in esame un ambito particolare dell’attività
giornalistica, ovvero la Cronaca ed in particolare la Cronaca Nera, ricca di
situazioni tanto angosciose quanto attraenti per tutti e costellata da criminali veri
o presunti tali, tutti destinati a diventare “mostri” da mettere in prima pagina. Si
tenga presente che la cronaca è di gran lunga il settore più seguito dai lettori (84
%) e quindi quali sono le conseguenze di scelte arbitrarie e superficiali dei
giornalisti. Si tenterà di capire da dove proviene la sua seduzione, se è reale o
solo apparente e, in tal caso, da chi è voluta: da colui che narra o da coloro che
ascoltano ma solo a certe condizioni. L’intento è quello di chiarire che spesso tra
ciò che leggiamo e ciò che accade realmente si spalanca una voragine: per far ciò
si esaminerà il rapporto tra il crimine e l’informazione, tra gli studi criminologici,
affiancati al diritto penale da una parte, e le responsabilità giornalistiche
dall’altra. Si passeranno in rassegna i metodi di lavoro di entrambe le discipline, i
loro punti di partenza ed i loro obiettivi, tentando di capire se ciò che attira
l’opinione pubblica è effettivamente l’atto “deviante” o ciò che viene
“etichettato” come tale.
Si esporranno brevemente la genesi e lo sviluppo degli studi criminologici; i
punti di contatto e di frizione, tutt’altro che risolti, con il diritto penale; quella che
possiamo chiamare la “questione criminale” e la complessità che la accompagna.
Si porteranno, infine, come testimonianze, documentazioni di fatti criminosi
comparsi nelle testate dei maggiori quotidiani nazionali e si procederà quindi
all’analisi delle differenze che corrono tra le due diverse tipologie di trattazione:
tutto ciò per comprendere che molto spesso i motivi per cui il giornalismo insiste
su alcune tematiche e non su altre (nella fattispecie il crimine nelle sue accezioni
più violente), vanno ricercati non nel dovere di informazione, caposaldo del
mestiere di giornalista, bensì nel sentimento dirompente che suscitano.
Perfetta in tal senso l’affermazione del filosofo Francesco Bacone per cui:
«…il sentimento considera soltanto il presente, la ragione considera il futuro e il
tempo nella sua totalità e poiché il presente riempie di più l’immaginazione, la
ragione di solito viene vinta…».
Nella quasi ipnotica forza di attrazione esercitata dal crimine e dalla pena sul
pubblico e amplificata dai media si può anche trovare una risposta, certo solo
parziale, ma pur sempre una risposta, al perché dell’esistenza stessa di un’area del
sapere che si dice, appunto, criminologia.
Parte prima
Opinione pubblica e Società
Capitolo 1 – Il contesto sociale della comunicazione…e del crimine
Coloro che si occupano di analizzare il fenomeno “Medium” all’interno della
società cominciano a farlo negli anni Venti: in questo periodo iniziale, i mezzi di
comunicazione di massa sono etichettati come onnipotenti strumenti di controllo
ed influenza sociale, tendenza che viene ridimensionata negli anni Quaranta.
Negli anni Sessanta, i Media sono rivalutati a mezzi di socializzazione a lungo
periodo e di costruzione della realtà
1
.
Negli ultimi quarant’anni, la situazione è evoluta con una sottolineatura
dell’importanza dei media: i principi degli anni Venti si sommano a quelli degli
anni Sessanta, con il risultato di una definizione del genere: Onnipotenti strumenti
di influenza e costruzione sociale della realtà, a lungo periodo. La questione
nasce da due fronti opposti ma convergenti: il continuo sforzo, da parte dei
media, di soddisfare i bisogni della massa e, di contro, la continua ricerca della
massa per soddisfare i propri bisogni inseguendo nuove emozioni. In effetti, se
almeno prima l’uomo era inconsapevole, o quasi, di aver acquisito la forma di un
bel bersaglio a cerchi rossi e bianchi, ora si mostra contento e si entusiasma delle
“attenzioni” che gli vengono date.
1
Per approfondimenti v. Enrico Cheli, La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione
sociale della realtà, Milano, FrancoAngeli, 1996
Tempo fa era sufficiente un solo foglio di giornale o un televisore in bianco
e nero a catalizzare l’attenzione, oggi sembra non esservi più limite alla curiosità
dei fruitori dell’informazione. I media hanno un bel daffare nell’individuare i
gusti del pubblico e nel soddisfare tutte le richieste che arrivano. La questione si
fa ancor più complicata se si considera che il loro obiettivo principale è
ipoteticamente quello di « fissare non un uditorio instabile, ma uno ben definito,
dalle caratteristiche note, con una fisionomia marcata, capace di essere collocato
in uno specifico spazio di flussi informativi »
2
.
I fruitori non procedono per istinti, come si pensava, ma hanno ben chiaro il
concetto di scelta: in primis la scelta del canale da cui essere influenzati; in
secundis la scelta se essere o meno influenzati. Le strutture dell’informazione
sono divenute un “mezzo improprio”, allorché all’informazione è stata sostituita
la persuasione
3
. Le conseguenze di questa politica sono palpabili:
all’informazione didattico-pedagogica si è sostituita una Selezione spasmodica
delle notizie, con il chiaro veto per quelle poco accattivanti; questa Selezione ha
portato a sua volta alla riduzione della qualità dell’informazione stessa, poiché
per riuscire ad entrare nella « gerarchia delle attenzioni » presso un pubblico non
identificato, occorre formulare un messaggio nella forma della più semplice
comprensione
4
.
2
cfr. Carlo Mongardini, Cultura moderna e comunicazione di massa, Milano, FrancoAngeli, 1993 p. 27 e seg.
3
Ibidem
4
cfr. G.Simmel, Livello sociale e livello individuale, in Id., Forme e giochi di società, Milano, Feltrinelli, 1983
Il pubblico, consapevole della propria condizione, può quindi scegliere dove
cercare l’informazione, quanto tempo dedicarle e soprattutto se dedicarle del
tempo. A questo punto, si scontrano due opposte tendenze: da un lato il bisogno
di informazione come bisogno di sicurezza e di certezza di fronte alla pressione
della realtà, che provoca la piena disponibilità verso le fonti di informazione (il
bisogno quasi fisiologico di “dedicare tempo all’informazione”); dall’altro la
consapevolezza che l’informazione deve portare alla conoscenza e che essa è
possibile solo attraverso un’elaborazione personale dell’informazione (di qui il
sempre maggiore scetticismo nei confronti dell’informazione mediatica).
D’altra parte l’universo dei media è così preso dal raggiungimento
dell’audience e così invasivo da non permettere selezioni di altro genere. La
qualità rimane un’opzione affidata al buon cuore degli addetti ai lavori che
mantengono comunque un margine di vantaggio costante: l’insaziabile desiderio
di conoscenza del consumatore (oggigiorno, l’Avere di Fromm, ha avuto la
meglio sull’Essere). Nonostante i due considerevoli problemi che turbano gli
esperti del settore, quali gli effetti limitati della comunicazione (prima dovuti
all’emergere di valutazioni interne, ora essenzialmente dovuti all’assuefazione) e
la necessità di creare ininterrottamente tanti tipi di influenze ad hoc, sono la
curiosità morbosa e la voglia di sapere del fruitore che hanno le maggiori
responsabilità. Cosa c’è di meglio che abusare di qualcosa facente parte della
natura umana? Del resto, che questi due caratteri siano radicati nella nostra vita
quotidiana, lo si può notare chiaramente: chi non si è mai zittito per ascoltare una
lite tra vicini o chi non ha mai rallentato per poter osservare meglio la dinamica di
un incidente, scagli per primo la pietra.
Proprio in questo contesto il crimine acquista tutta la sua importanza
rispecchiando in toto i reconditi desideri dell’essere umano, ma soprattutto le sue
paure; l’attrazione/repulsione che ognuno di noi prova nel leggere le pagine di
cronaca sono il motivo per cui essa rappresenta il cavallo di battaglia di giornali e
notiziari TV.
A generare tanta pulsionale immediatezza è un groviglio di sentimenti,
intrinsecamente connessi alla stessa natura del fenomeno criminale (specie di
quello che suscita maggiore allarme sociale), ma anche poderosamente alimentati
dall’apparato informativo o dis-informativo.
Bisogna tener conto del fatto che sono uomini coloro che ci parlano dei
crimini, uomini speciali però: avvantaggiati, messi al corrente della dinamica
degli avvenimenti in modo asettico e avulso da ogni tipo di commento;
avvantaggiati dal fatto che hanno tutto il tempo per analizzare le proprie paure,
per esorcizzarle, per estraniarsi da ogni tipo di coinvolgimento emotivo, per
individuare ed estrapolare quei particolari argomenti che fanno trasalire, ed infine
per accentuare allo spasimo proprio quei “punti dolenti” che non sono
propriamente informazione, ma semplici appendici succulente che possono far
passare in secondo piano tutto il resto. Sono uomini che potrebbero somigliare in
tutto e per tutto ad un “filtro” un po’ atipico, perché talvolta conserva gli scarti e
getta via il resto.
Il circolo, che in tal modo si chiude, può risultare molto vizioso: anche se
non sempre è così, l’opinione pubblica, nata da cultura, credenze, convinzioni
(spesso fuorvianti), pregiudizi e via dicendo, non può che continuare a nutrirsi di
quelle stesse convinzioni, angosce e paure. Il crimine e la sua tanto presunta
quanto obiettabile crescita spasmodica, ha provocato e continua a provocare
giudizi definitivi quanto arbitrari, con una caccia al mostro oramai superata ed
anacronistica, una caccia nutrita ogni giorno dai nostri quotidiani.
L’input nasce dalla presa di coscienza del crimine e della sua vicinanza, dal
tentativo di esorcizzarlo e di renderlo innocuo e lontano dal proprio habitat
sociale e quindi dal bisogno maniacale di potersi e doversi “fare un’opinione”
anche su astruse questioni tecnico-giuridiche o sociologiche, un tempo confinate
agli addetti ai lavori
5
. Gli stessi addetti ai lavori « che oggi non sono più tali
poiché mossi da fretta o da semplice pigrizia, non riescono a leggere montagne di
carte processuali e sono naturalmente grati a chiunque sappia orientarli nel
marasma delle schermaglie giudiziarie »
6
. Senza considerare che la fretta e la
necessità di dare informazioni nette, o bianche o nere, fanno sì che si evitino
impostazioni prudenti, rispettose della realtà dei fatti e, purtroppo, molto meno
attraenti.
5
cfr. Gabrio Forti, L’immane concretezza, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000, p. XI
6
cfr. Antonio Padellaro, Senza cuore. Diario cinico di una generazione al potere, Milano, Baldini&Castoldi, 2000, p.
139
La distorsione quindi è evidente: un’opinione creata sopra un’opinione. Il
clamore massmediologico amplifica gli eventi ed offre una dubbia competenza al
lettore. Per questo di fronte al problema della criminalità, il cittadino non si tira
mai indietro, anzi, è disponibile a spiegare, sulla base di precisi fattori, il
problema criminale, appropriandosi di parole e frasi sentite altrove come
disoccupazione, condizioni familiari, clemenza dei giudici, cattive leggi,
immigrazione clandestina. Scrive Alberto Ronchey, in riferimento alla criminalità
micro e macro: « La disputa nazionale sulla criminalità micro e macro, correlata
più o meno all’immigrazione clandestina, dovrebbe imporre chiarezza di concetti
e precisione di dati, ma pare ancora confusa e chiassosa. Il peggio è la
controversia in uno di quei pandemoni assembleari prediletti dagli studi televisivi,
affidati all’arbitrio umorale se non all’ideologia personale d’un moderatore o
animatore tendenzioso ed insieme ansioso di raggiungere il massimo ascolto ». E
ancora: « I diverbi tra interlocutori occasionali, ammessi al microfono, hanno
dell’incredibile. Qualcuno afferma che certi gruppi di albanesi o maghrebini
vivono sullo spaccio di droga e sulla prostituzione. La risposta immediata, e
risentita, è che non tutti gli albanesi e maghrebini sono spacciatori e padroni sulla
prostituzione…Insomma ognuno recita il suo “mantra” privo di senso »
7
.
L’immediatezza passionale del giudizio, generata da disinformazione e paura
ancestrale, connesse alla natura del fenomeno criminale, provoca un ulteriore
conseguenza: impulsiva reattività a ciò che è presente ed immediato, indifferenza
7
cfr. Alberto Ronchey, “Il micro e il macro con clandestini”, in « Corriere della Sera », 25 gennaio 1999, prima
pagina
e dimenticanza per ciò che è lontano dai propri sensi. Si assiste quindi ad
un’attenzione esasperata verso le prime dinamiche del crimine, quelle più
truculente e, di contro, al totale disinteresse per gli sviluppi del caso.
La criminologia assurge proprio a mezzo di ribellione contro questo iter
perverso. Combattendo contro le insidie dell’immaginazione, tenta di portare alla
luce la sostanza umana del fenomeno criminale e di mostrare come siano richiesti
gli stessi strumenti intellettuali messi in campo in ogni altra area della cultura.
L’intento è nobile, ma in pratica non sembra incidere granché. Le cause
potrebbero essere varie e variegate: il desiderio di dare fiducia incondizionata al
giornalismo, soprattutto quello stampato, considerato più serio e professionale di
quello radio-televisivo e che non consente contraddittorio; la forte sfiducia nel
connubio tra informazione e intrattenimento. Qualunque sia la causa, il cittadino
vuole essere informato, su ogni genere di avvenimento. Il giornalista può
scegliere se andare a studiare i piani di marketing del suo giornale o se
comunicare il suo verbo. Il risultato deve però essere lo stesso: fatti, provenienti
da ogni genere di fonte (ufficiale, ufficiosa, inesistente, mitomane…), meglio
ancora se particolareggiati. Se poi domani si scoprirà che non è vero niente,
pazienza..l’importante è fornire il lettore della stessa quantità e qualità di
informazione di cui si è beato il giorno prima.
Tuttavia è necessario anche soffermarsi sulle crescenti difficoltà dei mezzi di
comunicazione: la crescita eccessiva dei fatti a disposizione, provenienti ormai da
ogni parte del mondo; il forte squilibrio tra l’ampiezza delle informazioni da
diffondere e lo spazio per contenerle; l’introduzione delle nuove tecnologie, per
cui si giunge al paradosso che, aumentando le informazioni (in un giornale
arrivano fino a 300 – 400.000 parole al giorno), aumenta il numero dei giornalisti
di Desk, e si riduce di conseguenza quello degli inviati; la titolazione, non
eseguita dagli autori degli articoli e spesso, quindi, in contrasto stridente con essi;
la concorrenza tra giornali che induce ad enfatizzare le notizie, oltre ogni logica.
Durante la trattazione non mancherò di evidenziare questi punti, mettendo in
giusto rilievo anche il ruolo pedagogico-informativo dei mezzi di comunicazione
odierni.