13
Introduzione
L’elaborato di tesi si sviluppa in risposta al desiderio di confermare quanto
la disciplina del design possa essere in grado di apportare un cambiamento
significativo all’interno delle filiere produttive - nel senso ampio del termine
- con una progettazione responsabile, ragionata e soprattutto sensibile alle
tematiche ambientali sempre più rilevanti.
Viene posta particolare attenzione al sistema cibo e su come il design pos-
sa intervenire per rendere la filiera agroalimentare, carnefice e vittima dei
cambiamenti climatici, più sostenibile. Per questo motivo, uno dei primi ob-
biettivi è stato quello di identificare una parte del settore in cui poter interve-
nire, evidenziare un problema e risolverlo nell’elaborato progettuale.
Difatti, la tesi si suddivide in due parti: la prima, di ricerca teorico-critica sul
design per l’innovazione sostenibile, con focus sul settore agroalimentare,
in cui si è cercato di capire il motivo per cui oggi risulta rappresentare un
problema per il pianeta e gli esseri viventi, e come la figura del designer
è intervenuta in passato, e potrà intervenire, impiegando un approccio si-
stemico e sostenibile nel senso ampio del termine; la seconda, in cui viene
approfondito il tema selezionato, ovvero quello delle produzioni idroponiche
fuori suolo, cercando, tramite un’approfondita ricerca dell’argomento e la
metodologia progettuale propria della materia, di evidenziare i problemi più
rilevanti e proporre delle soluzioni che prendono forma del progetto, Midori.
Questo è una vertical farm a gestione autonoma semplificata per la colti-
vazione di frutta e ortaggi grazie all’ausilio di un’applicazione per il moni-
toraggio, la gestione e la didattica. La proposta è rivolta alla Comunità di
reinserimento Villa Renata, al Lido di Venezia, ma è declinabile a qualsiasi
utenza poco esperta.
L’elaborato testuale è così articolato: nel primo capitolo, si è cercato di in-
dagare come nel corso degli anni la disciplina del design ha subito un’evo-
luzione nata dalla reazione alla crisi ambientale globale, alla rapida crescita
della popolazione mondiale, al preoccupante impoverimento delle risorse
naturali e alla minaccia all’ecosistema e alla biodiversità. Il tutto, con una
consapevolezza che va oltre la progettazione del singolo prodotto, ma quel-
la degli interi sistemi, con l’obiettivo di eliminare completamente l’impatto
negativo sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto/servizio, te-
nendo conto della sostenibilità nelle sue molteplici dimensioni: ambientale,
ma anche economica, sociale e tecnologica.
Nel secondo capitolo viene esaminato il sistema alimentare globale nella
sua complessità: sia come bisogno, ma anche come prodotto, fonte di nu-
trizione, patrimonio, identità. Difatti proprio la necessità di alimentarsi ha in-
fluenzato ogni ambito e ogni scelta, definendo la relazione dell’uomo con gli
14
animali, con la tecnologia, con noi stessi, con la natura. Proprio quest’ultima
sembra essere compromessa dal settore alimentare in vari modi, compren-
dendo questioni che riguardano sia la tutela dell’ambiente, che il benessere
e la salute dell’uomo stesso. Vista la complessità dell’argomento, per dare
una visione completa è stato impiegato un approccio ampio e interdisci-
plinare, in modo da cogliere tutti gli aspetti – ambientali, economici, socia-
li, culturali – che riguardano il sistema cibo. Infine, sono stati analizzati nel
dettaglio i tre paradossi del sistema alimentare ed eseguita una stima delle
tendenze alimentari future in ottica sostenibile.
Nel terzo capitolo è stato analizzato come, sia in passato che nel presen-
te, la disciplina del design sia intervenuta per riprogettare il sistema cibo
per renderlo più distribuito, diversificato, sostenibile e inclusivo con una pro-
gettazione ragionata che definisce cosa mangiamo, come lo produciamo,
distribuiamo, conserviamo, consumiamo e, infine, smaltiamo. L’intento del
capitolo è, quindi, è quello di argomentare come la disciplina, in quanto
competenza, viene applicata al sistema agro-alimentare, diventando una
metodologia di ricerca e di progettazione che permette di progettare culture
alimentari più sane e sostenibili.
Nel quarto capitolo, che funge da collegamento alla parte di ricerca proget-
tuale, viene spiegata perché la produzione in ambito urbano è una soluzio-
ne utile. Viene poi indagato come il design può sfruttare le sue competenze
per formare delle città autosufficienti, resilienti, sostenibili e collaborative.
La proposta progettuale dell’elaborato, oltre a rispondere a esigenze di tipo
ambientale e sociale, rappresenta parzialmente una risposta da parte della
disciplina a queste domande.
Terminata la prima parte di ricerca teorico critica, è stato selezionato il tema
del progetto, ovvero quello delle produzioni alimentari sostenibili in ambito
urbano. Per questo motivo, nel quinto capitolo, viene condotta una ricerca
sulle metodologie di coltivazione sostenibili, in particolar modo, sulle colture
idroponiche.
Il sesto capitolo vede lo sviluppo del brief assegnato dalla comunità di rein-
serimento Villa Renata, al Lido di Venezia. Per far ciò, sono stati impiegati
degli strumenti di indagine tipici della metodologia del design: definizione di
bisogni e delle difficoltà delle personas, ovvero gli utenti tipo che utilizzeran-
no il sistema prodotto-servizio, interviste agli stakeholder e agli utenti esperti
in idroponica, analisi dello stato dell’arte per capire come operano le azien-
de del settore, ecc. Infine, si è giunti alla definizione di un concept di progetto.
15
Nel settimo e ultimo capitolo viene sviluppato il concept, che da elaborazio-
ne teorica prende forma di un prodotto e un’applicazione. Anche in questo
caso, impiegando gli strumenti tipici del design, si è partiti dall’ideazione di
una forma, rispettando i vincoli progettuali individuati, tramite sketch, mo-
delli di forma, wireframes (per la parte digitale del sistema). Alla fine di que-
sto percorso si è giunti agli elaborati finali e alla presentazione degli aspetti
tecnici del prodotto, come i disegni tecnici, le tecnologie produttive, gli sche-
mi di funzionamento del sistema di fertirrigazione e così via.
Riassumendo, l’elaborato progettuale cerca essere una risposta agli interro-
gativi più recenti che ci si pone verso le nuove prospettive progettuali, evi-
denziando quali nuove possibilità ha la figura del designer per intervenire
affinché il futuro dei nostri ecosistemi e di chi ci vive siano migliorabili. Ciò
che è emerso è un approccio sistemico, in cui il benessere di ognuno è stret-
tamente connesso al pianeta che ci ospita, promuovendo le connessioni
nascoste tra cose viventi e non viventi.
19
L’era geologica attuale viene definita come Antropocene, termine coniato
nel 2000 dal chimico e premio Nobel olandese Paul Crutzen, per indicare
il ruolo centrale e l’enorme peso sull’ambiente, su scala locale e globale,
assunto dalle attività umane in termini di uso delle risorse, inquinamento,
produzione di rifiuti, ecc. La natura oggi appare completamente domata,
devastata e soggiogata alle esigenze di una popolazione in costante espan-
sione con conseguente alterazione della relazione tra l’uomo e il pianeta in
cui vive. La convinzione rispettosa del pianeta è stata oscurata dal fuoco e
dal fumo dell’economia industriale che vive oltrepassando i limiti planetari
e anche quelli sociali, avendo per certi versi un atteggiamento predatorio,
sfrenato, che uccide la nostra casa comune.
1
Questo tipo di società, oggi,
non è più sostenibile ed è chiamata a confrontarsi con i limiti e la finitezza
della biosfera.
La sfida maggiore della nostra epoca, come ritiene Fritjof Capra, è promuo-
vere la consapevolezza diffusa delle connessioni nascoste tra cose viventi
e non viventi.
2
Difatti la natura non è qualcosa di separato dall’uomo o una
cornice di decoro, ma qualcosa in cui si è compenetrati e in cui si è gli uni-
ci responsabili degli effetti provocati. Non esiste una crisi ambientale e una
sociale, ma entrambe si manifestano in contemporanea, l’una conseguenza
dell’altra, e per questo motivo è necessario ricercare delle soluzioni integrate
che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e tra la società cir-
costante. La domanda da porsi è:
“può essere imminente un cambiamento di paradigma della no-
stra visione di progresso? Esistono i presupposti per un ottimismo
riguardo al fatto che il mito modernista – che considera la biosfera
come un deposito di risorse capaci di alimentare una crescita infi-
nita – sia sostituito da qualcosa di nuovo?”
3
Ebbene si. Una nuova storia sta emergendo, non basata su delle utopie fu-
ture immaginate, ma su piccole azioni intraprese che stanno consentendo a
questa nuova narrativa di emergere. Il principio guida di questo obiettivo è
che i processi naturali e l’attività umana interagiranno in modi capaci di ri-
generare e riconnettere invece che estrarre e degradare, supportati da tec-
nologie facilitatrici e da una concezione di progresso sovrapponibile a quella
1
Papa Francesco (2020). Laudato
Sì. Enciclica sulla cura della casa
comune, Associazione amici del
Papa
2
Capra F. (1997). The Web of Life:
A New Scientific Understanding of
Living Systems, Anchor New York
3
Thackara J. (2017). Progettare
oggi il mondo di domani. Am-
biente, economia e sostenibilità,
Postmedia Books, Milano, pag. 19
L’alba del design che guarda al pianeta
CAPITOLO 01
20
L’ALBA DEL DESIGN CHE GUARDA AL PIANETA
di benessere e qualità della vita. Alla luce della condizione ambientale at-
tuale, è bene domandarsi se la figura del designer possa avere un ruolo at-
tivo per la salvaguardia degli ecosistemi, soprattutto in un contesto nella
quale bisogna osservare, comprendere e agire in base a delle precise ne-
cessità e in cui sembra assumere sempre maggiore importanza il pensare
più che il fare, il significato più e prima della produzione fisica di prodotti,
sistemi e servizi.
4
Nel corso degli anni la disciplina ha subito un’evoluzione nata proprio dalla
reazione alla crisi ambientale globale, alla rapida crescita della popolazione
mondiale, al preoccupante impoverimento delle risorse naturali e alla mi-
naccia al nostro ecosistema e alla biodiversità. Materiali riutilizzabili, biode-
gradabili, riciclabili, progettati pensando a una lunga vita del prodotto. Ma
oggi la consapevolezza è un concetto che va oltre il prodotto: il Design For
Sustainability oggi riguarda la progettazione degli interi sistemi, con l’obiet-
tivo di eliminare completamente l’impatto negativo sull’ambiente lungo l’in-
tero ciclo di vita del prodotto/servizio.
Oltre alla progettazione di prodotti e servizi che non abbiano ricadute nega-
tive sull’ambiente, sono sempre più frequenti progetti che mirano all’unica
crescita necessaria e sensata in questa nuova narrativa, ovvero la rigene-
razione e la tutela della vita sulla terra. Anche per il design è giunto quindi
il momento di superare il centrismo dell’uomo. Per decenni ci è stato inse-
gnato di mettere al centro del processo progettuale l’utente e gli stakeholder
(attori umani), ma questo metodo non ha funzionato benissimo poiché si è
sempre persa di vista la madre Terra.
Di questo se ne è accorto anche un ente molto autorevole, il Design Council,
che nel marzo 2020 ha lanciato delle nuove linee guida per la transizione
verso lo sviluppo sostenibile, individuando alcune priorità strategiche di-
chiarando che non bisogna più mettere esclusivamente le persone al centro
dei nostri progetti, ma considerare insieme a esse anche il pianeta, giungen-
do a un people and planet centered design, riuscendo quindi a sviluppare
dei benefici per tutte le parti ed evidenziando come il design sia un agente
di cambiamento verso il modo in cui viviamo in maniera sostenibile sul pia-
neta.
5
Questa presa di coscienza è dovuta a due ragioni: la prima che, noi
designer, ci siamo resi conto di avere molta responsabilità e che risolvendo
alcuni problemi ne abbiamo creati altri; la seconda, che siamo sempre più
chiamati a progettare all’interno di contesti complessi, cosa che ha causato
un cambio di direzione molto intenso.
L’attività progettuale che guida la transizione verso la sostenibilità, come ve-
dremo, non è un progetto unitario e monologico, ma, un complesso processo
4
Bassi A. (2017). Design contem-
poraneo. Istruzioni per l’uso, il Mu-
lino, Bologna, pag. 60
5
Design Council (04.2020). De-
sign perspectives: sustainable
living, disponibile presso https://
www.designcouncil.org.uk/sites/
default/files/asset/document/
Design%20perspectives_sustai-
nable%20living_FA.pdf
21
CAPITOLO 01
sociale di apprendimento, composto da un vasto intreccio di iniziative.
6
Il
ruolo del designer, di conseguenza, non solo mira ad attutire gli impatti di
un prodotto/servizio, ma cerca di intervenire a monte per lo sviluppo di pro-
getti che possano avere un ruolo primario (e non marginale come spesso è
accaduto in passato) nella grande lotta contro i cambiamenti climatici, non
lasciando indietro nessuno.
6
Manzini E., Jégou F. (2003). Quo-
tidiano sostenibile. Scenari di vita
urbana, Edizioni Ambiente, Milano,
pag. 15
22
L’ALBA DEL DESIGN CHE GUARDA AL PIANETA
Nel mondo attuale si tende a percepire le cose circondanti in modo distac-
cato, come se fossero dei materiali inanimati e inerti. La natura diventa solo
un posto carino dove fare un’escursione, un picnic con gli amici, una foto
al tramonto. Con questa immagine del mondo in mente, territori e oceani
vengono ogni giorno deturpati senza pensarci due volte. Siamo arrivati a un
punto di non ritorno è la frase più ricorrente tra i media, conferenze scientifi-
che, grandi incontri istituzionali.
Negli ultimi anni, è stata registrata una crescita della popolazione senza
precedenti che ha provocato un maggiore sfruttamento delle risorse na-
turali. Secondo il Global Footprint Network, consorzio che misura l’impronta
ecologica umana, la fine degli anni Ottanta ha segnato anche la fine del-
la capacità della terra di provvedere alle esigenze dei suoi abitanti. Da li in
avanti abbiamo vissuto in quel che viene definito debito ecologico, spen-
dendo le risorse naturali a un livello insostenibile. L’aumento della concen-
trazione in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas effetto serra, stret-
tamente connessi all’uso di combustibili fossili, ha contribuito ad accrescere
il riscaldamento del pianeta, con il conseguente aggravarsi delle condizioni
climatiche. L’ultimo rapporto sul clima AR6 Climate Change 2021: The Phy-
sical Science Basis
1
rappresenta un codice rosso per l’umanità. Gli studiosi
affermano che il climate change riguarda ogni area della Terra e che solo
costanti riduzioni di emissioni di CO2 e di altri gas serra potrebbero limitare
i disastri provocati dai cambiamenti climatici a cui stiamo già assistendo.
Dal 2011 le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera sono in continua cresci-
ta, raggiungendo medie annue di 410 ppm
2
per l’anidride carbonica (CO2),
1866 ppb per il metano (CH4) e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O). La
temperatura della superficie terrestre globale ha presentato un aumento di
+1,09 C° rispetto all’epoca preindustriale. Inoltre, si registra che la terra e l’o-
ceano hanno assorbito una proporzione quasi costante (globalmente circa
il 56%) delle emissioni di CO2 delle attività umane negli ultimi sei decenni.
3
La salute umana, i sistemi ecologici (terrestri e acquatici) e quelli socioeco-
nomici sono sempre più sensibili sia alla rilevanza che alla celerità dei cam-
biamenti climatici. Molti ecosistemi tenderanno a trasformarsi a seconda di
come le singole specie risponderanno alle sollecitazioni dei cambiamenti e
nella fase di trasformazione e adattamento, con probabilità, si perderà mol-
ta della diversità biologica attualmente esistente. Alcuni ecosistemi potreb-
bero addirittura non raggiungere una condizione di equilibrio, se non dopo
che si stabilizzi un nuovo assetto climatico (e ciò richiederebbe il trascorrere
di tantissime centinaia di anni).
4
1
Per approfondimenti il re-
port completo è disponibile
presso https://www.ipcc.ch/
report/ar6/wg1/#FullReport
2
La sigla ppb (parts per billion o
parti per miliardo) è un’unità di
misura usata per esprimere la
concentrazione di un soluto pre-
sente in una soluzione (liquida o
solida) o di un gas in una miscela
gassosa
3
IPCC (2021). AR6 Climate Chan-
ge 2021: The Physical Science
Basis
4
Enea (2020). Clima e cambia-
menti climatici, Position paper n.1
1. Progettare per l’era della transizione
ecologica
23
CAPITOLO 01
Le conseguenze, di cui alcune irreversibili, sono già visibili ai nostri occhi.
Per citarne alcune: lo scioglimento delle calotte polari, l’intensificazione dei
fenomeni metereologici estremi, l’innalzamento del livello medio del mare,
l’aumento delle aree soggette a rischio siccità, la scomparsa di specie vege-
tali e animali, l’instabilità sociale e l’intensificazione dei fenomeni migratori.
Nel suo libro La grande cecità (2017) Amitav Ghosh, oltre a un attento studio
del fenomeno, riconosce che il cambiamento climatico sia in gran parte an-
tropico: gli esseri umani, con le loro attività, sono diventati degli agenti geo-
logici, modificando i più basilari processi della terra. È notevole l’importanza
della loro responsabilità per un’azione efficace contro la crisi climatica. L’uo-
mo, artefice e vittima, dovrebbe far parte di questi sistemi interconnessi in
maniera integrante e non invasiva, non interrompendo le relazioni tra le uni-
tà ecologiche come nella situazione attuale. Vi è bisogno di migrare verso un
nuovo paradigma, abbiamo bisogno di uno sguardo sistemico per proporre
innovazione e per rendere più resiliente quel tessuto ecologico che sostiene
la vita sul pianeta, riportando l’attenzione a ciò che ci circonda, alla qualità
delle relazioni, alla sostanza dei comportamenti quotidiani.
5
Questa condizione pone quindi una sfida non solo per le scienze, ma anche
per le arti, le scienze umane, per il modo abituale di vedere le cose e per
la cultura contemporanea: vi è bisogno di una nuova visione.
6
“Per la pri-
ma volta la storia umana si collega alla storia del mondo segnando una
nuova epoca diversa dalla precedente nella quale si riteneva che gli esseri
umani e il loro ambiente esterno fossero nettamente separati”.
7
Se prima la
convinzione comune era quella che la natura potesse salvare l’uomo, oggi
dobbiamo capire come poter salvare la natura necessaria alla nostra stes-
sa salvezza.
Purtroppo, il problema dell’emergenza globale non è una storia semplice da
raccontare e soprattutto non è una buona storia: molto spesso non spaven-
ta, non affascina, non coinvolge abbastanza da indurci a cambiare la nostra
vita e viene sempre vista come qualcosa di distante.
8
Vi è questo pensiero
comune che la crisi del pianeta sia qualcosa di astratto invece che un punto
cruciale di una narrazione sempre più incalzante. Ma il fatto che un pensie-
ro sia profondamente radicato non significa che non possa cambiare. La
necessità di ridurre l’impatto negativo sull’ambiente causato dalle nostre
azioni implica un ridimensionamento del nostro stile di vita attraverso un
cambiamento dei nostri bisogni. Il tema è molto fragile, poiché i bisogni si
costruiscono a livello culturale e storico. Per questo bisogna inventare una
nuova cultura cui uno dei pilastri fondamentali sia il buonsenso.
5
Fassio F. (2021). The 3 C’s of the
Circular Economy for Food. A
Conceptual Framework for Cir-
cular Design in the Food System,
numero monografico, DiiD, 73
6
Ghosh A. (2016). La grande ce-
cità. Il cambiamento climatico e
l’impensabile, Neri Pozza Editore,
Vicenza
7
Celestini G. (06.2019) Il paesag-
gio che viene, Ri-Vista. Ricerche
per la progettazione del paesag-
gio, vol. 17, issue 1
24
L’ALBA DEL DESIGN CHE GUARDA AL PIANETA
Nel libro Un Green New Deal globale, Jeremy Rifkin scrive:
“Per riuscire a adattarci al futuro tornato selvaggio, al cui profilarsi
stiamo già assistendo, ogni comunità dovrà essere costantemente
vigile e pronta a reagire a qualunque disastro. […] La nuova realtà è
che ogni comunità è ormai vulnerabile a un cambiamento radicale
del clima. Nell’Età della Resilienza ogni comunità è potenzialmente
una comunità svantaggiata: nessuno può davvero sfuggire all’ira
del pianeta.”
9
Dalle poche righe si evince come nessuno è al sicuro dalla crisi climatica,
indipendentemente dal fatto che la si voglia accettare o meno. Non c’è PIL
che contenga l’incombere di eventi estremi, né confini geografici, né virtuo-
sismi. Ma la buona notizia è che, anche se sembra che le forze in gioco siano
troppo grandi, esistono soluzioni praticabili. Per far si che questo accada, vi è
bisogno di un’intensa collaborazione, in un’ottica sistemica, tra associazioni,
enti, politici, imprenditori e cittadini che avrà la forza di condurre una nuova
rivoluzione ambientale, che coniughi il rispetto per il pianeta a un’economia
socialmente responsabile
Il principale luogo della transizione verso la sostenibilità saranno le città, nel-
lo specifico le grandi metropoli che si stanno formando a livello planetario
e che, nei prossimi decenni raggiungeranno la loro massima espansione. Il
modo in cui esse verranno realizzate e le forme di vita che ci vivranno dentro,
determineranno il grado di sostenibilità o insostenibilità, su scala globale,
della città futura. Infatti, all’interno di questi complessi e dinamici organismi
emergeranno nuovi modi di vita, nuove idee di benessere e nuove forme
di quotidianità. La transizione verso la sostenibilità passerà certamente da
qui, e dipenderà da come e quanto queste nuove forme di vita quotidiana
sapranno trovare nuove direzioni verso cui orientare la propria ricerca di be-
nessere.
10
1.1 Gli accordi internazionali ed europei
Durante il corso degli anni sono state indette delle iniziative e accordi in-
ternazionali che hanno contribuito – se non a far assumere ai vari governi
dei cambiamenti significativi nelle loro agende politiche – ad aumentare la
visibilità del tema facendo crescere il dibattito sul cambiamento climatico.
Il concetto di sostenibilità venne discusso per la prima volta nel 1972 durante
la Conferenza di Stoccolma indetta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite
9
Rifkin J. (2019). Un green new
deal globale. Il crollo della civil-
tà dei combustibili fossili entro il
2028 e l’audace piano economi-
co per salvare la Terra, Monda-
dori, Milano, pag. 89
10
Manzini E., Jégou F. (2003). op.
cit., pag. 30
25
CAPITOLO 01
(ONU), in cui si cominciò a parlare delle possibili azioni da adottare per la
tutela dell’ambiente. Vennero redatti un piano d’azione e una Dichiarazio-
ne riguardanti i diritti e le responsabilità dell’umanità in relazione all’ecosi-
stema naturale e alla necessità di assicurare uno sviluppo compatibile che
garantisse sia il benessere sociale sia la salvaguardia delle risorse naturali
per le generazioni future. Nel 1984 è stata costituita la World Commission on
Environment and Development (WCED), che nel 1987 pubblicò l’importante
documento Our Common Future, noto anche come Rapporto Brundtland. In
esso per la prima volta viene posta evidenza sul legame tra esigenze di svi-
luppo e protezione dell’ambiente, fornendo la famosa definizione di sviluppo
sostenibile, come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni della presente genera-
zione senza compromettere la capacità delle future di soddisfare i propri”.
11
A seguito della conferenza di Stoccolma, è stato istituito dall’Assemblea ge-
nerale dell’ONU il primo organo internazionale con competenza specifica nel
settore della tutela ambientale attraverso il Programma per le Nazioni Unite
per l’ambiente (UNEP), con lo scopo di studiare e predisporre aiuti ai Paesi in
via di sviluppo anche nel settore della protezione ambientale.
12
Il primo anno in cui si parla di clima a livello di accordi internazionali è il 1992,
data che segna quello che è passato alla storia come il Summit della Terra
(o Conferenza sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite) tenutosi a
Rio de Janeiro, in Brasile, con la partecipazione di 183 paesi. Nella conferenza
venne stipulata la Dichiarazione di Rio e l’Agenda 21, dove emersero come
condizioni necessarie per lo sviluppo sostenibile la partecipazione demo-
cratica, l’eliminazione della povertà e la cooperazione internazionale. Inoltre,
venne istituita la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamen-
ti climatici (UNFCCC) con la quale si prese atto che, a causa delle attività
umane, la temperatura globale era in progressivo aumento e che occorreva
intervenire per limitare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.
13
Nel 1997, a termine della COP3
14
, viene adottato il Protocollo di Kyoto, accor-
do internazionale che stabilisce precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di
gas responsabili dell’effetto serra e del riscaldamento del pianeta da parte
dei Paesi industrializzati che vi hanno aderito. Il trattato entrò in vigore solo
nel 2005, grazie alla sua ratifica da parte della Russia, infatti, per far si che il
trattato venisse accettato era necessario che ben 55 nazioni lo ratificassero,
e che queste stesse nazioni firmatarie complessivamente rappresentassero
non meno del 55% delle emissioni di gas serra globali. Si trattò del primo
momento della storia in cui tutti gli Stati (esclusi USA che inizialmente aveva
promesso di ratificare, e Australia che lo farà in seguito) si assumono impe-
gni di politica nazionale per la riduzione di CO2.
15
Nel 2012, l’Assemblea gene-
rale delle Nazioni Unite indisse la United Nations Conference of Sustainable
11
Caravita B., Cassetti L., Morrone
A. (2016). Diritto dell’ambiente, Il
Mulino, Bologna, pag. 77
12
Ivi, pag. 67
13
Bonoli A. (2020). Crisi ambienta-
le e soluzioni per la sostenibilità e
l’adattamento, Journal of Resear-
ch and Didacticts of History, 2 n. 1S
14
La sigla COP3 sta a indicare la
Conferenza delle Parti della Con-
venzione quadro delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici
15
Per approfondimenti sull’argo-
mento consultare https://ec.eu-
ropa.eu/commission/presscor-
ner/detail/it/MEMO_03_154
26
L’ALBA DEL DESIGN CHE GUARDA AL PIANETA
Development (UNCSD), chiamata RIO+20, con lo scopo di rinnovare l’impe-
gno politico per lo sviluppo sostenibile e di verificare l’attuazione degli impe-
gni internazionali presi in precedenza.
16
Dopo un 2013 non profittevole per la storia del negoziato sul clima, nel 2015 a
Parigi, durante la COP21, 195 paesi firmano lo storico Accordo di Parigi in cui
concordano di ridurre la loro produzione di diossido di carbonio nei tempi
minori possibili e di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C in
più rispetto ai livelli preindustriali. L’accordo è il primo della storia giuridica-
mente vincolante e la sua forza risiede in degli incontri periodici nella quale
vengono revisionati gli impegni concordati dai Paesi ratificanti.
17
Nel 2019 a Madrid si è svolta la COP25, che ha portato nello stesso anno all’e-
splosione del movimento Fridays for Future. Nonostante la grandissima at-
tenzione mediatica raggiunta dalla COP25 e le forti posizioni espresse dalla
comunità scientifica in merito ai cambiamenti climatici, i 200 Paesi parteci-
panti non hanno trovato un accordo forte per una rinnovata strategia d’a-
zione rimandando le decisioni all’incontro successivo in Scozia, al termine
del 2021.
Gli anni 2019 e 2020 sono molto significativi sul fronte europeo. L’11 dicem-
bre del 2019 infatti la Commissione Europea presenta il Green Deal Euro-
peo, ovvero una nuova strategia di crescita volta ad avviare un percorso
di trasformazione dell’UE in una società a impatto climatico zero, efficiente
sotto il profilo delle risorse e competitiva. Durante l’occasione i leader hanno
accettato di far si che l’Unione possa svolgere un ruolo guida nella lotta glo-
bale contro i cambiamenti climatici, approvando nelle conclusioni l’obiettivo
della neutralità climatica entro il 2050. Un anno dopo, nel 2020 i leader dell’UE
hanno approvato “un nuovo obiettivo vincolante di riduzione interna netta
delle emissioni di gas serra pari ad almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai
livelli del 1990”.
18
Infine, nel luglio del 2021 la Commissione ha presentato il pacchetto Pronti
per il 55%, una serie di iniziative per aggiornare la legislazione dell’UE e alli-
nearla agli obiettivi climatici per il 2030 e 2050. Il pacchetto è stato presen-
tato ai ministri dell’Ambiente e del clima dell’UE in occasione di una riunione
informale durante la presidenza slovena il 20 e 21 luglio ed è stato accolto.
Convocata nel 2020 ma slittata al 2021 a causa della pandemia da Covid-19,
è la Cop26 che si è svolta dal 31 di ottobre al 12 novembre a Glasgow, in
Scozia. L’incontro ha visto la partecipazione di più di 25 mila persone, tra cui
leader mondiali, giornalisti, ma anche decina di migliaia di attivisti e aziende
per proteste e organizzazione di eventi. La sua importanza stava nel fatto che
16
Bonoli A. (2020). op. cit.
17
Per approfondimenti sull’argo-
mento consultare https://ec.eu-
ropa.eu/clima/policies/interna-
tional/negotiations/paris_it
18
Per approfondimenti sull’argo-
mento consultare https://www.
consilium.europa.eu/it/policies/
green-deal/
27
CAPITOLO 01
passati cinque anni dall’Accordo di Parigi, doveva essere prevista la presen-
tazione di impegni ambiziosi. L’esito della conferenza non è stato tra i migliori,
infatti guardando tra i pochi aspetti positivi del documento, sopravvive solo
il riferimento allo scenario di contenimento della temperatura entro i 1.5° C e
la necessità di tagliare del 45% le emissioni di gas serra entro il decennio. Ma
gli impegni per realizzare tale obiettivo non ci sono. È stata quindi rimandata
al 2022 la presentazione dei nuovi obiettivi volontari, in ritardo rispetto alla
data fissata nel 2015. Particolarmente preoccupante è stata la dichiarazione
dell’India sul carbone, che ha visto il passaggio dalla sua progressiva elimi-
nazione alla sola riduzione dell’utilizzo, fattore che mette a rischio l’obiettivo
di rimanere sotto i 1.5° C. Sugli impegni finanziari dei Paesi più sviluppati mi-
rati a compensare i danni climatici ai Paesi meno sviluppati, invece, le cifre
necessarie sono ancora lontane dal necessario.
Del tutto deludente, infine, la presenza dell’UE segnata da ipocrisia e vero
greenwashing. Nelle note positive invece bisogna segnalare un documento
congiunto Cina-Usa che fa auspicare a una loro collaborazione futura, l’Ita-
lia che ha aderito alla coalizione BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance) ovvero
un piccolo gruppo di Paesi che si pone l’obiettivo di eliminare gas e petro-
lio, e infine, in tema di sussidi, è stato incluso un riferimento per rispondere
al tema sia della riconversione dei lavoratori del settore fossile, sia per non
gravare sulle fasce più deboli i costi della transizione. Le poche cose positive
ottenute, sono merito dei giovani, dei leader indigeni, degli attivisti e dei Pae-
si più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche
impegno concesso a malincuore. Senza di loro questo negoziato sarebbe
stato un fallimento.
19
1.2 Agenda 2030 e i Sustainable Development Goals
“Noi decidiamo che, entro il 2030, metteremo fine alla povertà e alla
fame, ovunque; combatteremo le disuguaglianze all’interno e tra
le nazioni; costruiremo società pacifiche e inclusive; proteggeremo
i diritti umani, la parità di genere e l’empowerment delle donne e
delle bambine; assicureremo la protezione del pianeta e delle sue
risorse naturali.
Noi decidiamo di creare le condizioni per una crescita economica
sostenibile, inclusiva e sostenuta e lavoro decente per tutti, tenendo
conto dei diversi livelli di sviluppo e delle diverse capacità dei vari
paesi.”
20
19
Onufrio G. (2021). A Glasgow il
carbone sopravvive, disponibile
presso https://www.greenpeace.
org/italy/storia/14467/a-gla-
sgow-il-carbone-sopravvive/
20
Transforming our world: the
2030 Agenda for Sustainable
Development disponibile presso
https://asvis.it/public/asvis/files/
Presentazion e_1_giugno-Mila-
no_2_.pdf
28
L’ALBA DEL DESIGN CHE GUARDA AL PIANETA
Si parla molto rispetto alla crisi ambientale e al cambiamento climatico, ma
di recente si parla ancor più di sviluppo sostenibile tout court, soprattutto da
quando l’Agenda 2030
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dei paesi membri dell’ONU con i suoi Sustainable
Development Goals (SDGs) si presenta, dal 2015, come una promessa uni-
versale rivolta a tutto il mondo. Secondo le parole di Ban Ki-moon (segreta-
rio generale delle Nazioni Unite dal 2011 al 2016), l’Agenda 2030 è “una pro-
messa da parte dei leader di tutte le persone in tutto il mondo, per porre fine
alla povertà in tutte le sue forme; un programma per il pianeta, la nostra
casa comune”.
L’Agenda 2030, a cui hanno aderito 139 Paesi, contiene 17 obiettivi (gli SDGs) e
169 target specifici che integrano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile:
sociale, economico e ambientale. Si pone tre macro-traguardi, che riguar-
dano la fine della povertà estrema, il porre fine alle disuguaglianze e ingiu-
stizie e il contrastare i cambiamenti climatici, e i suoi destinatari sono sia i
Paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo. L’avvio ufficiale del piano d’azio-
ne ha coinciso con l’inizio dell’anno 2016, guidando il mondo per i prossimi 15
anni, infatti, i Paesi che ne hanno aderito si sono impegnati a raggiungere gli
obiettivi entro il 2030.
Gli obiettivi dei SDGs possono essere suddivisi in 5 gruppi, anche chiamati
come le 5P dello sviluppo sostenibile:
•Persone: eliminare fame e povertà in tutte le forme e garantire
dignità e uguaglianza;
•Pianeta: proteggere le risorse naturali e il clima del pianeta per le
generazioni future;
•Partnership: implementare l’agenda attraverso solide collaborazioni;
•Prosperità: garantire vite prospere e piene in armonia con la natura;
•Pace: promuovere società pacifiche, giuste e inclusive.
L’Agenda si rivela un piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità
compiendo passi audaci e trasformativi per condurre il mondo su un
percorso sostenibile e resiliente, non lasciando mai indietro nessuno. Per
essere portata avanti, questa strategia globale deve potersi declinare sul
territorio nei suoi diversi livelli (nazionale, regionale, urbano) senza mai
perdere però le finalità e la dimensione universale. La declinazione nei diversi
target non solo facilita l’attuazione in una dimensione locale, ma anche nei
diversi settori quali l’agricoltura, la logistica, l’istruzione, ecc.
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21
Il documento completo è dispo-
nibile presso https://sdgs.un.or-
g/2030agenda
22
Cavalli L. (03.2018). Agenda
2030 da globale a locale, FEEM
Reports