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INTRODUZIONE
Non c’è paese al mondo che non conservi tra la sua popolazione
un’identità linguistica separata da quella che è considerata la lingua
nazionale e riconosciuta a livello di Costituzione o governo. A seconda
del luogo e della posizione geografica, gli studiosi assegnano a questa
realtà linguistica il nome di dialetto, di koinè o di varietà. I concetti sono
differenti da un punto di vista di vicinanza o allontanamento dalla lingua
nazionale dalla quale, probabilmente, derivano.
Tuttavia, ci sono casi in cui il dialetto parlato in una zona ben
distinta del paese preso in considerazione si discosta di molto dalla lingua
nazionale, perdendo quindi l’accezione di varietà e assumendo un
carattere più unico e univoco rispetto ad altre zone, anche per niente
distanti tra di loro. Il caso del sud Italia è forse quello che più di ogni
altro, al pari di altre regioni del nord o addirittura dell’estero, conserva
ancora oggi realtà dialettali che rappresentano i risultati di un’evoluzione
ed assimilazione delle lingue straniere che si sono alternate nel corso dei
secoli a causa dei sempre più frequenti domini avvicendatisi in queste
terre.
Questa tesi è incentrata in maniera pertinente sulle regioni del sud
Italia, e nello specifico Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania
e Puglia, e analizza i termini dialettali che risultano essere simili o
completamente identici ai relativi termini stranieri dai quali derivano,
operando un breve studio di comparazione tra di essi. L’intenzione di
questo lavoro non è tanto analizzare le evoluzioni morfologiche,
fonologiche e sintattiche delle parole e il modo in cui si sono sviluppate,
argomenti che appartengono allo studio della filologia; l’intento è quello
di analizzare le parole di per sé, nel loro utilizzo vivo nella tradizione del
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popolo in esame, così come una persona originaria, nata e vissuta in
quelle terre, le utilizza inconsapevolmente per esprimersi e comunicare
con gli altri.
Il primo capitolo è dedicato alla storia delle regioni meridionali
dell’Italia, dalle origini fino ai tempi recenti, passaggio fondamentale per
capire e comparare i risultati dei successivi capitoli a proposito dei
termini stranieri e i popoli che hanno portato tali lingue estere nelle terre
del Mezzogiorno. Greci, romani, francesi, arabi, spagnoli e perfino
inglesi hanno inciso in modo profondo la vita umile delle popolazioni
più povere, dando vita a varietà dialettali delle più differenti.
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi dei dialetti delle regioni
sopraccitate, ad eccezione della Puglia, alla quale è dedicato un capitolo
a parte. Partendo con una generale definizione di dialetto, si passa
successivamente alla suddivisione dei paragrafi per regioni e ogni
paragrafo in sotto paragrafi, dedicati ognuno ad una specifica lingua che
ha modificato il dialetto di quelle terre. Per ogni lingua, si opera uno
studio prendendo in considerazione un singolo termine lessicale o
verbale e comparandolo con il relativo termine straniero da cui
probabilmente deriva, fornendo così una prova importante della natura
straniera della parola.
Il terzo capitolo è interamente riservato ai dialetti della Puglia. I
paragrafi sono suddivisi a seconda delle caratteristiche linguistiche e
dialettali delle diverse zone, dal Salento alla Terra di Bari al foggiano,
analizzando per ognuna le parole che, come sopra, derivano da lingue
straniere di popoli stanziatisi nella regione in tempi remoti.
Infine, il lavoro di comparazione viene effettuato anche nel quarto
capitolo in riferimento alla città di Bisceglie, comune pugliese nella
provincia di Barletta-Andria-Trani. Si analizzano in particolare quei
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termini entrati ormai nell’uso comune del dialetto cittadino e portati dai
vari popoli che hanno abitato nell’entroterra biscegliese e lungo la costa
nel corso dei secoli.
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CAPITOLO 1
STORIA DEL SUD ITALIA
1.1 Le origini e la Magna Grecia
Crocevia di popoli e lingue diverse, il Mezzogiorno d’Italia è stato
per secoli – e per millenni – un territorio conteso e strappato alle più
disparate potenze coloniali e imperiali. Abitato fin dalla preistoria da
popolazioni autoctone (si pensi ai Sardi, ai Siculi e ai Sanniti), il territorio
del sud Italia è passato, a partire dall’VIII secolo a.C., in mano ai Greci,
che hanno qui fondato numerose città che sorgono ancora oggi, come
Messina, Crotone e Taranto. La Magna Grecia, ovvero il territorio
italiano occupato dagli antichi greci e che comprendeva una buona fetta
dell’Italia meridionale, divenne così la culla dell’economia, della
politica, della cultura e dell’arte di quel periodo in Italia.
Nei territori della Magna Grecia si parlava la lingua della
madrepatria, ovvero il greco o ellenico. Sotto questo aspetto, gli studiosi
sono ancora discordi nel ritenere il Grecanico e il Griko il frutto delle
dirette influenze e persistenze della lingua greca nel sud Italia. Il
Grecanico è una minoranza della lingua greca presente oggi nella zona
della Bovesìa, situata nella parte meridionale della Calabria, in cui
permangono tratti grammaticali e lessicali riconducibili al greco non solo
antico ma anche moderno (o neogreco); il Griko, invece, è una minoranza
della lingua greca diffusa nel Salento, in Puglia, in una zona denominata,
per l’appunto, Grecìa salentina. Il Griko può essere considerato un vero
e proprio dialetto neogreco di origini elleniche.
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L’origine di queste due varietà dialettali della lingua ellenica è,
come anticipato, controversa. Molti studiosi ritengono la loro
provenienza una diretta permanenza del greco dell’VIII-VI secolo a.C.,
ma a causa dell’antichità storica di questi popoli è ritenuto più probabile
che siano di origine più recente. Molti popoli ellenici provenienti
dall’Impero Bizantino avrebbero emigrato in Puglia e in Calabria durante
il Medioevo, fondando queste comunità con una lingua simile al greco
moderno, o avrebbero rimpinguato le comunità elleniche già presenti
nella penisola. Sta di fatto che la presenza della lingua greca in Puglia e
in Calabria ha influenzato il parlato e lo scritto di questi territori, e in
particolare, come vedremo nei capitoli dedicati alle relative regioni, ha
trasformato il salentino in una vera e propria varietà linguistica con
caratteristiche uniche e discostanti dall’italiano del resto della pianura
salentina, se non addirittura del resto della Puglia stessa.
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1.2 Il periodo romano
La conquista dell’Italia Meridionale da parte dell’Impero Romano,
a partire dal VI secolo a.C., diede una svolta decisiva alla lingua parlata
dai popoli che stanziavano in questo territorio.
Nel Lazio, in una fascia ristretta che comprende una piccola parte
settentrionale della regione, passando per la zona dove sorse Roma e
giungendo sulla costa tirrenica, si parlava il latino. Di origine
indoeuropea come le altre lingue italiche (ovvero osco, siculo e
messapico, specificatamente all’Italia meridionale, principale zona di
interesse in questo studio) e a loro perfettamente equiparabile, è ovvio
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https://it.wikipedia.org/wiki/Minoranza_linguistica_greca_d%27Italia.
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che il latino si diffuse e divenne lingua più parlata grazie alle progressive
conquiste dei Romani (Gresti, 2016).
La lingua latina si propagò nella penisola e in Europa grazie
all’esercito, ma i Romani non la imposero con la forza. Fu inevitabile,
invece, che, per entrare in contatto con i conquistatori soprattutto da un
punto di vista economico e politico, i conquistati dovessero apprendere
il latino e farlo proprio. La lingua si diffuse così nelle città, dove vennero
fondate scuole e centri culturali in cui si alimentò e si mantenne vivo lo
spirito della tradizione romana. Nacque così la Romània, quella zona
identificata dagli studiosi come il territorio in cui oggi si parla una lingua
romanza, ovvero di origine latina (Gresti, 2016).
Ma non tutti nella Romània parlavano il latino, inteso come latino
classico. Quello che si diffuse tra la gente comune, soprattutto e
specificatamente identificato come lingua parlata, è chiamato dagli
studiosi latino volgare. Si trattava di un latino più spontaneo, plebeo,
quello parlato dalla maggior parte della popolazione, opposto al latino
colto, utilizzato dai ceti superiori e nelle scritture.
In sostanza, il latino volgare può essere collocato ad un livello più
“antico” rispetto alle lingue romanze come le conosciamo oggi (come
l’italiano). Il latino volgare si è imposto sulle cosiddette lingue di
substrato, ovvero quegli idiomi che le popolazioni parlavano prima della
conquista da parte dei Romani (come osco, siculo e messapico), ma che
non sono scomparse del tutto: anzi, le lingue di substrato hanno
modificato, contorto e manipolato il latino volgare da un punto di vista
fonetico e lessicale, lasciando tracce indelebili in quelli che oggi noi
chiamiamo dialetti regionali. (Gresti, 2016).
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1.3 L’Italia meridionale nell’Alto Medioevo
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. gettò
l’Italia meridionale in pasto a invasori e dominatori di diversa
provenienza, che si spartirono e suddivisero il territorio per oltre mille
anni. La situazione era pressappoco la stessa nel resto d’Italia, che dopo
la sconfitta dei Romani cadde sotto i colpi e le conquiste dei popoli
barbarici. Ha inizio da ora in poi il lungo e buio periodo medievale,
conclusosi al sud non prima della nascita del Regno delle due Sicilie.
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Le invasioni barbariche iniziarono a mietere vittime e a
conquistare territori già prima della data ufficiale della caduta
dell’Impero Romano d’Occidente: tra il 440 e il 496, la Sicilia subì gli
attacchi di Vandali ed Eruli, due popolazioni di origine germanica che
sbarcarono sull’isola ancora sotto il dominio romano e che possono
essere identificati nel più ampio gruppo dei goti. Il territorio venne
conquistato e ogni traccia della politica romana venne abbandonata.
Tuttavia, l’Impero Romano d’Oriente, sopravvissuto allo scisma e
anche chiamato da questo momento in poi Impero Bizantino, non rimase
a guardare. Nel 535, il generale Belisario mandò il proprio esercito
contro l’Impero Ostrogoto insediatosi nella penisola italica. Invase la
Sicilia, strappandola dalle mani dei goti, e risalì l’Italia fino alle regioni
del nord. Belisario fu però fermato dalle difficoltà economiche di
un’Italia ormai devastata dalle guerre. Il conflitto per la riconquista della
penisola si protrasse per vent’anni, durante i quali i bizantini riuscirono
a cacciare la minaccia barbarica, ma allo stesso tempo la guerra aveva
lasciato il Paese in una grave crisi finanziaria. Le debolezze di gestione
e di coordinamento dell’esercito, unito alle pestilenze dovute alle cattive
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https://it.wikipedia.org/wiki/Italia_medievale.
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condizioni di vita del popolo, costrinsero i bizantini a retrocedere di
fronte alla nuova minaccia: i longobardi.
Nel 569, i longobardi penetrarono nella penisola italiana
conquistando nell’arco di un anno tutta la zona settentrionale, giungendo
persino in meridione, dove tuttavia il controllo dei bizantini restava
centrale (soprattutto nelle isole). Questa Italia bizantina, che ancora
manteneva stretto il territorio nonostante le pressioni dei longobardi, si
riorganizzò e divenne più forte. Vennero creati veri e propri eserciti
regionali, potenti e in grado di fronteggiare invasioni e attacchi da parte
dei nemici. Venne attuata anche un’alleanza con i Franchi, allo scopo di
fronteggiare i longobardi con la forza.
Nello stesso tempo, però, i longobardi (che intanto avevano
fondato i ducati di Spoleto e Benevento) si allearono a loro volta con i
Bavari, e la nuova dinastia Bavarese conferì forza e protezione alla
presenza longobarda in Italia, potere che perdurò, tra alti e bassi, per due
secoli.
Le asperità con la chiesa, tuttavia, minarono poco a poco la pretesa
longobarda sulla penisola, fino all’anno 756, quando il Papa Stefano II,
minacciato dall’imperatore longobardo Astolfo che aveva acquisito
sempre più potere e puntava alla conquista del Ducato romano e della
città, chiese aiutò al re dei Franchi, Pipino il Breve, il quale sconfisse
Astolfo e diede alla luce lo Stato della Chiesa. Le pretese però non si
conclusero e Papa Stefano III chiese aiuto al nuovo re dei Franchi, Carlo
Magno.
Carlo Magno sconfisse i longobardi nel 774 e annesse il territorio
dell’Italia settentrionale al regno dei Franchi, proclamandosi Re dei
Franchi e dei Longobardi. Il sud Italia, invece, mantenne una propria