9
INTRODUZIONE
Il mio forte interesse nei confronti del fenomeno mafioso,
maturato già prima dell’università e consolidatosi nel corso
dei miei studi giuridici, insieme al mio grande sogno di
diventare Procuratore Antimafia, hanno influito notevolmente
– se non esclusivamente – sulla scelta di dedicare il mio
argomento di tesi a questa tematica.
In particolare, con il presente elaborato ho cercato di
mettere a fuoco le più recenti problematiche in materia di
associazione di stampo mafioso, con specifico riferimento
all’elemento strutturale portante del reato de quo, il metodo
mafioso, nella sua triplice composizione della forza di
intimidazione, condizione di assoggettamento e condizione di
omertà.
Più nel dettaglio, la trattazione si focalizzerà sui
motivi che hanno indotto il legislatore a introdurre la
fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 416 bis c.p.,
sulla controversa natura – se mista o pura –
dell’associazione mafiosa, sulla problematica applicativa
della fattispecie incriminatrice alle cc. dd. mafie
delocalizzate e silenti – con l’analisi delle più recenti
pronunce giurisprudenziali -, e, infine, sulle questioni
controverse in relazione alla fattispecie circostanziale di
cui all’articolo 416 bis.1 c.p., la quale si articola in due
differenti forme: l’aver agito avvalendosi del metodo
mafioso e l’aver commesso un reato con la finalità di
agevolare un’associazione mafiosa.
Il presente elaborato si divide, pertanto, in quattro
capitoli.
10
Ho ritenuto doveroso, prima ancora di affrontare le
problematiche giuridiche legate all’articolo 416 bis c.p.,
trattare, seppure sommariamente, la genesi e l’evoluzione
dell’articolo in riferimento, oggetto del primo capitolo.
In altri termini, il capitolo iniziale è dedicato al
fenomeno criminale mafioso e ai diversi significati che gli
vengono attribuiti; inoltre, verranno esposti al lettore i
primi tentativi di applicazione del reato di associazione a
delinquere semplice – quindi prima dell’introduzione del
reato di associazione di stampo mafioso
1
-, ne verrà
dimostrata l’inadeguatezza e, successivamente, illustrato il
percorso verso una vera e propria legislazione antimafia,
che ha trovato il suo epilogo nell’emanazione della Legge
Rognoni-La Torre.
Ne verranno, infine, evidenziate le successive modifiche
che, sebbene innocue dal punto di vista della struttura della
norma, ne hanno modificato sensibilmente il contenuto.
Dopo aver introdotto in termini generali il contesto
storico e normativo che ha dato inizio al percorso
legislativo, conclusosi con l’introduzione del reato di
associazione di stampo mafioso, nel secondo capitolo la
trattazione si concentrerà su talune questioni problematiche
riferibili al metodo mafioso.
In dettaglio, nei primi paragrafi verrà affrontato il tema
inerente alla controversa natura dell’associazione mafiosa;
si tratta di associazione di natura pura, analogamente alla
fattispecie di cui all’articolo 416 c.p., o di natura mista?
E quindi, è sufficiente che il partecipe sfrutti la forza di
intimidazione derivante dal vincolo associativo o è
necessario che, oltre allo sfruttamento del vincolo, il
1
L. 13.09.1982, n. 646.
11
partecipe estrinsechi tale forza d’intimidazione mediante il
compimento di atti intimidatori?
Verranno successivamente sviscerate le questioni
problematiche afferenti alla condotta mafiosa che più di
tutte ha suscitato interrogativi: la condotta di
partecipazione. Nello specifico, verranno sottoposti
all’attenzione del lettore i tre modelli elaborati dalla
giurisprudenza
2
, ognuno dei quali si interroga sugli elementi
necessari per integrare la condotta di partecipazione: è
sufficiente l’apporto di un contributo causale, seppure
minimo, dell’adepto, o è necessario integrare tutti quegli
elementi costitutivi elaborati dai giudici nella nota
sentenza Graci
3
, quali, per esempio, l’effettivo ingresso
del soggetto all’interno dell’associazione e l’adesione ai
vincoli associativi?
Sarà, dunque, analizzata dettagliatamente l’evoluzione
giurisprudenziale sul presente tema
4
e, in particolare, sulla
rilevanza – sia sostanziale sia probatoria – del solo rituale
di affiliazione, ai fini della configurabilità del reato di
associazione mafiosa.
Il terzo capitolo rappresenta il fulcro dell’opera.
Verranno approfonditi i problemi applicativi e di tipo
tecnico-interpretativo della norma incriminatrice in ordine
all’espansione delle formazioni ‘ndranghetiste nelle Regioni
del Nord Italia; verrà realizzata un’attenta analisi delle
pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione in
materia, e i diversi orientamenti propugnati dalla stessa.
2
Modello causale, organizzatorio e misto.
3
Cassazione pen., sez. I, 1.09.1994, in Cassazione pen., 1994, pp.
16 ss.
4
Dalla sentenza Mannino, fino alla recente pronuncia Modaffari.
12
Inoltre, verranno illustrate le ragioni per le quali il
Primo Presidente della Corte di Cassazione ha negato, per
ben due volte, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale
in materia, restituendo gli atti alla sezione rimettente, la
quale aveva richiesto, in due occasioni
5
, l’intervento
chiarificatore delle Sezioni Unite per dirimere il contrasto
giurisprudenziale in tema di mafie delocalizzate e mafie
silenti.
Tale problematica è stata, inoltre, affrontata nella nota
vicenda “Mafia capitale”, che potremmo definire alla stregua
di un caso esemplare per quel che riguarda l’estensibilità
applicativa dell’articolo 416 bis c.p. rispetto alle nuove
mafie, ragion per cui ho ritenuto opportuno trattarne i
profili giuridici nei paragrafi conclusivi del terzo
capitolo.
Infine, l’ultima parte dell’elaborato verrà dedicata al
tema della circostanza aggravante di cui all’articolo 416
bis.1 c.p. Si tratta di due ipotesi circostanziali, quella
del metodo mafioso e dell’agevolazione, introdotte dal
legislatore già nel 1991, e trasfuse, con D. Lgs. 01.03.2018,
n. 21, all’interno dell’articolo 416 bis.1 c.p.
Dopo aver introdotto gli elementi strutturali di entrambe
le fattispecie, l’attenzione verrà focalizzata sulle
problematiche applicative e interpretative profilate da
giurisprudenza e dottrina.
Dettagliatamente, in relazione all’aggravante del metodo
mafioso, dopo aver dato per assodata la sua natura oggettiva,
verrà esaminato, tra gli altri, il tema del rapporto tra la
fattispecie circostanziale e la sua disposizione “madre”,
che è l’articolo 416 bis c.p.; quindi, ci si soffermerà
diffusamente sulla differenza tra le due fattispecie, nonché
5
2015 e 2019.
13
sulla eventualità – a mio avviso, azzardata - di applicare
l’aggravante del metodo anche all’associato.
La parte conclusiva dell’ultimo capitolo è dedicata alla
fattispecie dell’agevolazione mafiosa, la quale, a
differenza dell’aggravante del metodo, ha suscitato notevoli
problematiche in ragione della sua controversa natura.
Verranno accennate le diverse prese di posizione da parte
della giurisprudenza, e, infine, verrà analizzata la recente
sentenza della Corte di Cassazione
6
che ha riconosciuto la
sua natura soggettiva, ma che, ciononostante, ha ritenuto
comunicabile la fattispecie anche ai compartecipi, in netto
contrasto con il dettato normativo di cui all’articolo 118
c.p.
L’obiettivo del percorso argomentativo portato avanti
lungo tutto il corso della trattazione sarà quello di
chiarire fino a che punto la fattispecie incriminatrice in
esame possa essere dilatata senza giungere ad inaccettabili
frizioni con taluni principi cardine del nostro ordinamento
giuridico. A seguire, verranno illustrate alcune proposte
interpretative, e, in subordine, una proposta di riforma
dell’articolo 416 bis c.p.
6
Cass. pen., SS. UU., 19.12.2019, n. 8545.
15
CAPITOLO PRIMO: GENESI ED
EVOLUZIONE DELL’ ARTICOLO 416 BIS
C.P .
1. BREVI CENNI SUL FENOMENO CRIMINALE MAFIOSO
1.1 COS’È LA MAFIA?
Prima di addentrarci in argomenti strettamente giuridici
ed analizzare le problematiche che l’articolo 416 bis c.p.
ha generato negli ultimi anni, ritengo molto utile e sensato
compiere una breve analisi criminologica del fenomeno
mafioso, in quanto ogni attività normativa non può
prescindere dal fatto criminologico.
7
Il concetto di “mafia” ha assunto, alle sue origini,
svariati significati, anche tra di loro contrapposti: per
esempio, nel dialetto toscano il termine “maffia” era
equivalente a miseria
8
; nel trapanese, invece, era riferito
alle cave di tufo e alle grotte.
Il fenomeno mafioso viene fedelmente rappresentato da un
apologo raccontato dal giudice Giovanni Falcone alla
giornalista Marcelle Padovani: il c.d. apologo del cretino
9
.
7
Vedi oltre, par. 4.
8
Cfr. sul tema con G. DE CESARE, Maffia XXV, 1975, in
www.enciclopediadiritto.it.
9
G. FALCONE, PADOVANI M., Cose di cosa nostra, 2017.
16
Il racconto del giudice Falcone fa riferimento ad un
interrogatorio svolto da un suo collega magistrato a Frank
Coppola, mafioso di spicco nel panorama criminale americano.
Nel corso dell’interrogatorio, il magistrato,
provocandolo, gli chiese cosa fosse per lui la mafia. Frank
Coppola ci pensò sù e testualmente rispose: “Signor Giudice,
tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della
Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode
dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino,
ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia...”
10
.
Le interpretazioni da poter dare alla definizione di mafia
fornita da Coppola possono essere numerose, ma partendo dal
significato proprio del termine “cretino” possiamo giungere
ad un significato univoco del concetto.
Dall’etimologia della parola si ricava un’accezione
equivalente a quella di “idiota”, ovverosia inetto a
partecipare alla cosa pubblica
11
.
Ma allora perché, secondo i canoni mafiosi, quel posto di
procuratore della repubblica spetterebbe proprio ad un
cretino?
Le ragioni risiedono negli inconvenienti che la mafia
potrebbe incontrare assegnando quel posto sia ad un uomo
intelligentissimo, sia ad un personaggio che goda
dell’appoggio dei partiti di governo.
Nela prima ipotesi il soggetto intelligentissimo sarebbe
un ostacolo insormontabile per la mafia, che richiederebbe
l’impiego di risorse ed energie considerevoli per
eliminarlo, delegittimarlo o comunque per farlo trasferire.
10
N. DALLA CHIESA, La convergenza, mafia e politica nella seconda
repubblica, 2010.
11
Ibidem.
17
Nella seconda ipotesi – soggetto con appoggio dei partiti
di governo – sono pur sempre presenti inconvenienti difficili
da scongiurare. Se è onesto, i partiti di governo “dovranno
intervenire su di lui con un’opera di persuasione che non
potrà superare certi limiti
12
“
Ed è proprio la terza ipotesi ad essere perfetta per la
mafia, che non vuole essere ostacolata nella sua attività
delittuosa. Infatti, il cretino farà qualsiasi cosa, anche
spontaneamente, che vada a vantaggio del sodalizio
criminale
13
.
1.2 MAFIA, ‘NDRANGHETA E CAMORRA
Le origini del fenomeno criminale mafioso possono essere
ricondotte ad una leggenda per la prima volta raccontata da
un collaboratore di giustizia, Pasquale Trimboli, di
Sinopoli, che in un processo del 1897 spiegò la natura della
società della quale aveva preso parte.
La società – mafiosa –, secondo Trimboli, era stata
fondata da tre cavalieri, uno spagnolo, uno napoletano e uno
palermitano
14
.
Questi tre cavalieri, metaforicamente, formavano un
albero, la cui composizione veniva ripartita tra i rami e le
foglie, rappresentate dagli affiliati, e i fiori, che
rappresentavano i giovani d’onore.
12
Ibidem, p. 19. Secondo l’autore, oltre all’ostacolo su esposto, vi
è il rischio che proprio i partiti di governo possano essere convinti
da tale magistrato a adottare comportamenti più rigorosi o intelligenti
nei confronti della mafia.
13
Ibidem.
14
N. GRATTERI, La malapianta, conversazione con Antonio Nicaso, 2009.