2
INTRODUZIONE
Nel presente lavoro di tesi s’intende analizzare il ruolo economico della donna
nell’antica Roma, dal periodo arcaico al Cristianesimo, mettendo in evidenza una
serie di avvenimenti politici, economici, culturali e religiosi, che portarono al suo
progressivo, ma lento, cammino verso l’emancipazione e che la fecero passare, da
uno stato di donna sottomessa all’uomo, a quello di quasi parità.
Dopo una premessa generale sulla condizione della donna romana e, in parte,
anche di quella greca, il lavoro si articolerà in due grandi sezioni, in cui sarà
trattato più specificatamente: prima il suo ruolo economico all’interno della
famiglia e delle mura domestiche, poi quello svolto in ambito sociale.
Di volta in volta, con relativi esempi ricavati da molteplici fonti, sarà presentato
un aspetto diverso della vita femminile che determinerà un cambiamento di status
ed economico, come: il matrimonio, la gestione della casa, il divorzio, le proposte
di legge, l’evergetismo e, infine, i vari lavori.
Tutti questi fattori verranno, inoltre, presentati percorrendo una linea temporale
ben precisa, che mostrerà una condizione sociale ed economica diversa a secondo
delle varie epoche.
In primo luogo la donna del periodo arcaico, confinata entro lo spazio chiuso della
domus, relegata quasi esclusivamente al ruolo di moglie e madre, dedita alla casa
e all’educazione della prole, ma vincolata per tutta la vita ad un potere maschile,
prima quello del padre, poi del marito (o del suocero o di un tutor) che decideva
per lei e la teneva sottomessa. Tuttavia, ella aveva un ruolo economico molto
importante, perché contribuiva con la dote ad incrementare la ricchezza della
famiglia che l’accoglieva e diventava pure tramite di interessi economici e di
alleanze sociali tra le famiglie.
3
Segue, poi, la donna di fine periodo repubblicano e d’inizio Impero, più
emancipata, più autonoma, più libera nel gestire da sé gli affari e le proprie
ricchezze e con nuovi diritti quali: il divorzio, fare testamento ed ereditare. Era
una donna, dunque, che aveva ottenuto una certa capacità finanziaria. Ma
successivamente, tutto ciò non fu visto di buon occhio dagli uomini, soprattutto in
un periodo in cui, con le vittorie romane, affluivano enormi ricchezze dai paesi
orientali e vi era un vero e proprio sperpero di denaro da parte di matrone, che
amavano esibire gioielli e ostentare ricchezza. I vari autori latini, specialmente
quelli conservatori e moralisti, raffigurarono nelle loro opere, una galleria di
donne avide, in preda al lusso, corrotte, spendaccione e che, elemento del tutto
innovativo, tenevano i mariti soggiogati con la dote (nella commedia, addirittura
queste matrone ricche avevano dato vita al topos della “uxor dotata”). A causa di
questa crescente corruzione, venne di nuovo limitata l’autonomia della donna e
ripristinato il potere maschile.
Infine la donna cristiana, più morigerata, tornata a compiere quel ruolo
precedentemente assegnatole e al quale, per un breve momento, aveva creduto di
poter sfuggire. La casa, la famiglia e i figli erano tornati ad essere gli unici
obiettivi principali della sua vita, ma adesso posta in uno stato di quasi parità con
l’uomo e con maggiori diritti.
Procedendo all’interno di tale lavoro, si cercherà di mettere in risalto le differenze
tra le nobildonne appartenenti al ceto aristocratico, la cui operosità si limitava
all’interno delle mura domestiche; e quelle dei ceti medi e umili che lavoravano
nei vari mercati cittadini e in campagna, procurandosi uno stipendio per
mantenere sé e la propria famiglia.
In conclusione, dopo aver tenuto in considerazione tutti questi fattori, si mirerà ad
evidenziare particolarmente il ruolo economico e sociale della donna nell’antica
4
Roma e a far risaltare quali erano gli interessi che ruotavano attorno alla sua
persona, per rivalutare in qualche modo, quella concezione di inferiorità e di
subalternità all’uomo, che da sempre hanno tramandato i libri.
5
Capitolo I
CONDIZIONE DELLA DONNA
NELL’ANTICA ROMA
“…Roma è una città senza donne…”
Maurice Bardèche
6
E’ ben difficile tracciare la storia delle donne quando ci si accinge all’impresa di
risalire solo agli annali lasciati dagli uomini, poiché, pochi sono i mezzi a
disposizione per correggere la versione quasi sempre virile che la tradizione ci
offre.
1
Esse sono state sempre relegate nella sfera privata e domestica, per questo
hanno trovato poco spazio nella storiografia: “ Sono come apparizioni, ombre
affaccendate in un muto via vai che si interseca misteriosamente con le attività
fondamentali del maschio”.
Tuttavia le fonti sono concordi nel dare un quadro comune dello status della
donna romana. Ella appariva confinata entro lo spazio chiuso della domus,
descritta come una perfetta moglie e madre, votata alla casa e all’educazione della
prole, sottomessa in un primo momento all’autorità del proprio genitore, poi del
marito e di chi deteneva la patria potestas in casa del coniuge, e veniva
controllata in ogni suo gesto anche quando parlava. Anzi, il silenzio costituiva il
tratto distintivo di ogni femina honesta, ed era sollecitato non solo da divinità
come Tacita Muta e Angenora
2
le quali, con la loro storia e il loro culto,
costituivano un costante invito a tacere, ma anche dal diritto, il quale stabiliva
l’interdizione a postulare pro aliis, privando con ciò le donne dalla facoltà di
parlare per altri.
L’inferiorità femminile era testimoniata in vari settori:
- sul piano dell’onomastica sembrava che le donne non avessero nome, e se mai lo
avessero avuto, non veniva pronunciato all’infuori della famiglia a cui
appartenevano. Non indicando le donne con il prenome, i Romani volevano
mandare un messaggio: la donna non era e non doveva essere un individuo, ma
solo una frazione passiva e anonima di un gruppo familiare che, essendo la sua
1
M. Bardèche, Storia della donna. Dalle ere primitive ai barbari a all’Islam, tr. It. di M. Contini,
Milano 1973, p. 175 ss.
2
Per il silenzio delle donne e la leggenda di Tacita Muta e Angenora vedi: E. Cantarella, Passato
prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, Milano 1996, p. 13 ss.
7
destinazione quella di moglie (di un marito da lei non scelto) e di madre (di figli
sui quali non avrebbe avuto alcun potere), non vi era ragione di considerarla come
singolo essere umano: “Roma è una città senza donne”, scrive Bardèche.
3
Queste erano descritte come creature passive, evanescenti, manipolate dai loro
uomini (mariti, padri,fratelli, persino figli), senza che potessero manifestare
iniziative autonome; sempre viste in funzione del maschio, strumentalizzate e
condizionate fin dai primi mesi di vita. Avere un nome proprio contava solamente
per le donne ricche, in quanto, essendo ereditiere, avevano l’obbligo di contribuire
a mantenere l’esercito con il soldo militare.
4
- sul piano linguistico, frequenti erano i rimandi all’imbecillitas, all’impotentia,
alla levitas, alla mollitia della natura muliebre, aggettivi che si rifacevano alla
teorizzazione, già greca, della debolezza congenita all’essere femminile. Tacito
parla di “imbecillus sexus”
5
, per l’appunto, un tentativo per giustificare
l’inferiorità sociale della donna, presentata come debole e incapace di dominarsi,
priva di facoltà autonome proprie dell’uomo.
- sul piano del diritto queste furono vittime di grandi ingiustizie, tra cui:
l’adulterio come reato solo se commesso dalla moglie, mentre il marito poteva
avere numerose concubine; la potestà sui figli che spettava solo al padre; la
potestà perenne sulla donna che passava dal padre al marito, o al suocero, o a un
tutore in mancanza di questi; le proibizioni di bere vino o di altri svaghi che, se
violati, per legge erano punibili con la morte della donna. Gli esempi potrebbero
continuare parlando delle discriminazioni giuridiche misogine contro le donne,
non meno gravi, presenti in altri settori, quali ad esempio: il diritto del lavoro; o la
gestione di affari economici; o addirittura l’amministrazione della propria dote
3
Bardèche, Storia della donna, cit., p. 224.
4
C. Gatto Trocchi, Le giumente degli dei, Roma 1975, p. 13.
5
Tac. ann. 3, 33, 3.
8
maritale, che veniva affidata al marito; o la negazione del diritto di far testamento;
o alcune proposte di legge che limitavano, perfino, la ricchezza delle donne
ostentata con i gioielli (lex Oppia) .
-in ambito familiare queste non erano tenute in nessuna considerazione, perché la
legge romana riteneva soggetti di pieno diritto solo i cittadini maschi liberi, capi
di un gruppo familiare, identificati nella figura del “pater familias”. Egli era un
signore incontrastato e assoluto, titolare di un potere la cui estensione era a tal
punto illimitata, da comprendere la titolarità del diritto di vita e di morte su tutti
coloro che erano a lui sottoposti. Sotto il suo potere erano posti i figli per natura,
mentre la moglie e gli schiavi per diritto romano, e la sua supremazia durava fino
a che egli era in vita.
Il potere dell’uomo sulla donna era sorretto da un insieme di regole giuridiche che
aveva un forte peso condizionante, tanto da non lasciarle molte possibilità di
scelta, e come a quella greca, non le era permesso di occupare spazi notoriamente
riservati agli uomini, gestire in prima persona gli affari e il patrimonio paterno,
fare testamento, né garantire per debiti di terzi, né fare operazioni finanziarie. Pur
tuttavia, aveva involontariamente, un importantissimo ruolo economico perché, da
una parte gravava sulla famiglia d’origine che l’allevava, dall’altra, era un
utilissimo veicolo che serviva per incrementare le ricchezze della famiglia che
l’accoglieva, con la dote, l’eredità, e in altri modi più tristi, con la servitù e la
prostituzione.
Tutta la sua vita, quindi, era basata su interessi o sgravi economici, a cominciare
dalla nascita.