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Introduzione
Il presente lavoro di tesi nasce da un interesse personale nei
confronti dell’insegnamento di concetti matematici alla scuola
dell’infanzia. La mia curiosità si è diretta particolarmente verso la
conoscenza delle idee che i bambini di età compresa fra i quattro ed i sei
anni possiedono in riferimento al numero naturale zero. Mi sono chiesta
per quale motivo lo zero non venga trattato alla pari degli altri numeri
naturali, in quanto spesso alla scuola dell’infanzia gli alunni affrontano i
numeri a partire dall’uno arrivando fino al dieci, mentre lo zero viene
presentato solamente in momenti successivi. Mi sono quindi interessata
a tale questione e ho voluto indagare principalmente se il concetto di zero
sia troppo astratto per essere affrontato con bambini così piccoli oppure
se, così come per gli altri numeri, i bambini già alla scuola dell’infanzia
possiedono delle intuizioni riferite allo zero.
Il primo capitolo presenta un breve excursus che ripercorre la
storia lunga e travagliata del numero zero e di come le più antiche civiltà
utilizzavano simboli appositi per rappresentare l’assenza di quantità, fino
ad arrivare all’introduzione in Europa dei simboli numerici arabici
convenzionali che utilizziamo anche al giorno d’oggi.
Nel secondo capitolo vengono approfonditi i diversi significati
attribuiti ai numeri, con specifico riferimento allo zero, di cui si
presentano il valore cardinale, ordinale, l’aspetto ricorsivo, geometrico ed
infine lo zero con significato di etichetta.
Il capitolo successivo illustra i principali modelli teorici inerenti
l’acquisizione del concetto di numero nel bambino. In particolare si
presentano la teoria stadiale di Piaget, secondo cui la costruzione del
concetto di numero è subordinata alle capacità tipiche del pensiero
operatorio e quindi si sviluppa nel bambino solamente a partire dai sei o
sette anni di età, ed il pensiero di Fodor, il quale sostiene che il concetto
di numero può essere costruito e consolidato solo tramite l’istruzione. A
questi modelli si contrappongono le più recenti teorie innatiste di
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Dehaene, Butterowrth e Wynn, i quali affermano che già alla nascita il
bambino possiede abilità matematiche ed intuizioni riguardo la
numerosità. Infine si illustra sinteticamente lo sviluppo delle abilità di
conteggio studiate da Gelman e Gallistel e le modalità attraverso cui i
bambini imparano a scrivere i numeri, analizzate da Hughes.
Nel quarto capitolo si espone la domanda di ricerca e la struttura
dell’intero percorso svolto. L’obiettivo della ricerca consiste nel verificare
se, a partire dalle conoscenze ingenue dei bambini ed attraverso un
percorso di apprendimento centrato sulla metodologia ludica, sia
possibile guidare gli alunni verso una concettualizzazione più formale e
strutturata della complessa idea di zero. Per verificare l’ipotesi di ricerca
ho quindi realizzato un piano di lavoro coinvolgendo due gruppi, uno
sperimentale ed uno di controllo, confrontando i risultati ottenuti nella
fase inziale e finale del percorso.
Il capitolo successivo approfondisce le scelte metodologiche
effettuate, dando particolare rilievo al format laboratoriale che consente
un apprendimento per scoperta ed alla metodologia ludica, attraverso cui
i bambini possono imparare divertendosi. Vengono inoltre presentate
alcune strategie impiegate al fine di rendere l’apprendimento inclusivo,
cioè di favorire la partecipazione e la costruzione di conoscenze da parte
di ciascun alunno.
Nel capitolo sesto si illustrano nel dettaglio le diverse fasi del
percorso sperimentale. Inizialmente si analizzano i risultati ottenuti dalle
interviste iniziali, confrontando le conoscenze e le abilità possedute dai
bambini dei due gruppi di lavoro in riferimento ai numeri ed in particolare
rispetto al concetto di zero. Vengono poi presentate le attività proposte al
gruppo sperimentale, le quali avevano l’obiettivo di potenziare le abilità e
le conoscenze già possedute dagli alunni e di stimolare la costruzione di
nuovi saperi. Infine si analizzano e si confrontano i dati ricavati dalle
interviste proposte nella fase finale di lavoro ai bambini del gruppo di
controllo e di quello sperimentale.
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Nell’ultimo capitolo vengono presi in esame i dati ottenuti
attraverso un questionario destinato ad insegnanti di scuola dell’infanzia.
Obiettivo del questionario era quello di esplorare le opinioni dei docenti
rispetto all’insegnamento di concetti matematici alla scuola dell’infanzia,
con specifico riferimento al numero zero. Vengono inoltre confrontate le
opinioni delle insegnanti relative alle capacità dei bambini di
comprendere tale concetto e quanto rilevato attraverso la
sperimentazione realizzata direttamente con gli alunni.
Infine ho avviato una riflessione riguardo all’efficacia delle attività
e della metodologia proposta, la quale ha condotto gli alunni del gruppo
sperimentale verso un miglioramento rispetto alla concettualizzazione
dell’idea di zero.
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1. LO ZERO NELLA STORIA DELLE CIVILTÀ
1.1 Lo sviluppo dell’idea di numero nell’uomo dell’antichità
Nella storia della matematica l’idea di numero si sviluppa nell’uomo
ancor prima della nascita della civiltà e della scrittura. Il concetto di
numero nasce in seguito ad esigenze pratiche dell’uomo legate ad aspetti
della vita quotidiana. Fin dai tempi più antichi infatti l’essere umano
possedeva bisogni pratici che richiedevano l’utilizzo di sistemi di
conteggio come per esempio la necessità di assicurarsi che tutte le pecore
di un gregge rientrassero all’ovile, la necessità di quantificare l’estensione
di un appezzamento di terra, di catalogare utensili, armi e viveri o ancora
il bisogno di valutare la quantità di merce impiegata nelle operazioni di
baratto (Lucangeli & Mammarella, 2010). Così l’uomo iniziò ad utilizzare
le dita di una mano per indicare un insieme di al massimo cinque oggetti;
poi impiegando anche le dita dell’altra mano e quelle dei piedi si potevano
rappresentare gruppi di oggetti che contenevano fino a venti elementi.
L’uso delle dita rappresenta “la più semplice macchina calcolatrice
impiegata da tutte le popolazioni nel corso delle ere” (Lucangeli &
Mammarella, 2010, pag. 24), che spiega la diffusione fra diversi popoli di
un sistema di conteggio in base cinque, dieci, quindici o venti. A tal
proposito secondo Aristotele infatti l’espansione del sistema decimale fu
“il risultato del fatto anatomico accidentale che la maggior parte di noi è
nata con dieci dita dei piedi e dieci dita delle mani” (Boyer, 1980, pag. 3).
Successivamente, per rappresentare quantità numeriche più
elevate, gli uomini iniziarono ad impiegare altri oggetti quali pietre,
conchiglie, bastoncini o zanne. Questi venivano raggruppati in mucchi di
cinque elementi in quanto l’uomo, abituato a contare con le dita delle
mani e dei piedi, aveva ormai acquisito familiarità con un sistema di
conteggio realizzato attraverso i multipli del cinque (Boyer, 1980). Dal
momento che l’uso di pietre, conchiglie o oggetti simili costitutiva una
strategia di conteggio non adeguata alla conservazione di informazioni,
ben presto l’uomo primitivo iniziò ad incidere tacche su bastoni o pezzi di
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ossa per registrare le quantità di elementi. Una prova di tale metodo di
conteggio è rappresentata dal ritrovamento di un osso di lupo, rinvenuto
in Cecoslovacchia e risalente a circa trentamila anni fa, in cui si osserva
l’incisione di cinquantacinque intaccature ordinate in gruppi di cinque.
È evidente dunque, che fin dall’antichità, l’uomo ha sviluppato
l’idea di corrispondenza biunivoca, legata ad esigenze pratiche di
contabilità. Per ognuno degli elementi da contare infatti veniva associata
una pietra oppure una tacca ed in questo modo si veniva a consolidare la
corrispondenza uno ad uno che permetteva poi di confrontare quantità.
Questo metodo di notazione rappresenta un’importante invenzione in
quanto “offre una rappresentazione dei numeri durevole, precisa e
astratta” (Dehaene, 2000, pag. 107), che può essere rappresentare un
insieme di elementi qualsiasi. Il riconoscimento di tale proprietà astratta,
il numero, è chiaramente il risultato di un processo lungo e graduale che
sta alla base della nascita dei successivi sistemi di numerazione.
Con lo sviluppo del linguaggio l’essere umano compì un ulteriore
passaggio di astrazione in quanto riuscì a capire che una determinata
espressione linguistica (per esempio due), prima utilizzata solamente in
riferimento a raccolte concrete (due pesci, due banane), poteva essere
impiegata convenzionalmente per indicare insiemi di diversa natura
contenenti una specifica quantità di elementi (Boyer, 1980). Tuttavia
l’uso di determinate parole per indicare i numeri fu un processo
estremamente lento, preceduto dall’utilizzo di segni e simboli numerici.
In questo capitolo si vuole approfondire in particolare la storia del
numero zero, analizzando i simboli che le diverse civiltà del mondo antico
utilizzavano per rappresentarlo.
La storia lunga e frammentata dell’evoluzione del concetto di zero
riflette la presenza, all’interno di esso, di ostacoli di tipo epistemologico.
Lo statuto epistemologico di ciascuna nozione disciplinare dipende infatti
“dalla sua evoluzione all’interno della disciplina, dalla sua accettazione
critica nell’ambito della disciplina stessa, dalle riserve che gli sono
proprie, dal linguaggio in cui è espresso o che richiede per potersi
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esprimere” (D’Amore & Fandiño Pinilla, 2007, pag. 47). Infine D’Amore
considera la “nascita” dello zero come una vera e propria creazione,
socialmente condivisa, dell’essere umano, in quanto si è costruita nel
corso dei secoli e grazie al contributo di numerose popolazioni antiche.
1.2 Gli Egizi e i Greci
Il popolo egiziano elaborò un sistema di numerazione decimale,
risalente a cinquemila anni fa, in cui i numeri erano rappresentati da
pittogrammi. Gli egiziani individuarono simboli distinti per indicare le
prime sei potenze del dieci: un trattino verticale per rappresentare le
unità, un archetto capovolto per le decine, un laccio per rappresentare le
centinaia, un fiore di loto per indicare il mille, un dito piegato indicava il
diecimila, un barbio simile ad un girino per il centomila e una figura
inginocchiata per rappresentare il milione (Boyer, 1980). Attraverso la
ripetizione di tali simboli gli egiziani, fin da un’epoca molto antica,
riuscivano a scrivere numeri che superavano il milione. Grazie al
ritrovamento del Papiro di Rhind si rileva che successivamente la
strategia di ripetizione dei simboli venne sostituita da una scrittura
definita “ieratica”, che risultava più agile grazie all’introduzione di “segni
speciali per rappresentare i numeri dall’uno al nove e i multipli delle
potenze del dieci” (Boyer, 1980, pag. 14). Nel sistema di numerazione
egizio le posizioni occupate dai diversi simboli non fornivano informazioni
riguardo al loro valore, di conseguenza non c’era la necessità di un
simbolo per lo zero. Esso infatti non esisteva né come simbolo né come
spazio vuoto, in quanto il sistema di numerazione si basava sul principio
additivo.
Allo stesso modo anche nella civiltà greca, popolo di grandi
matematici, non compare alcun simbolo per lo zero, il quale addirittura
non veniva considerato come un numero. Questa concezione trova le sue
radici nel pensiero filosofico greco ed in particolare nella paura del nulla,
del vuoto e dell’assenza, concetti in forte contrasto con la filosofia
dell’Essere (D’Amore, 2007). Lo zero rappresentato come simbolo rotondo
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compare in Grecia solo nel 150 d.C. in quanto l’astronomo Tolomeo
utilizzava la lettera greca omicron, la quale rappresentava la prima lettera
della parola “nulla”, per indicare gradi, primi o secondi nulli nelle misure
di ampiezza (D’Amore, 2007). Secondo Robert Kaplan la forma circolare
utilizzata per lo zero dai Greci era dovuta all’utilizzo di sassolini di forma
spesso tondeggiante impiegati per rappresentare i numeri. I ciottoli
venivano posati sulla sabbia e rappresentati nella scrittura e nei disegni
con cerchietti pieni. Quando invece un ciottolo veniva portato via, sulla
sabbia rimaneva un’importa a forma di depressione circolare. Di
conseguenza nella scrittura l’assenza di un numero veniva rappresentato
tramite un cerchio vuoto (Kaplan, 1999). Secondo l’autore questa forma
tondeggiante si trasformò poi in un simbolo ovale in quanto utilizzando
penne d’oca e pennini nella scrittura era più semplice tracciare due
parentesi curve accostate rispetto ad un cerchio continuo (Kaplan, 1999).
1.3 I Sumeri e i Babilonesi
Nella regione della Mesopotamia, circa nel 3000 a.C,, i Sumeri
utilizzavano un sistema di numerazione misto, a base decimale e
sessagesimale. Questo popolo utilizzava alcuni simboli per indicare l’uno,
il dieci, il sessanta, il seicento, il tremilaseicento e il trentaseimila. In
particolare il numero dieci veniva rappresentato lasciando sull’argilla
l’impronta di una canna, ottenendo quindi un segno di forma circolare.
Successivamente i Sumeri perfezionarono la tecnica di scrittura
utilizzando uno stilo che riproduceva linee più sottili e segni a forma di
cuneo, inoltre iniziarono ad utilizzare un sistema di numerazione fondato
sul valore posizionale dei diversi simboli.
Nella stessa regione della Mesopotamia, nel 2000 a.C., i Babilonesi
utilizzavano un sistema di numerazione additivo-posizionale in base
sessanta. Infatti, come quello egiziano, il sistema di numerazione
babilonese si basava sulla ripetizione di simboli indicanti le unità e le
decine. I Babilonesi però riuscivano a rappresentare tutti i numeri
utilizzando solamente due segni cuneiformi: un cuneo sottile verticale per