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Mi sono soffermata, a questo punto, sull’importanza che l'agricoltura riveste sia
nel sistema agroalimentare italiano, sia nell’intera economia nazionale. Il dato
più significativo emerso da questa analisi, riguarda il fatto che il nostro Paese
appare sempre più terziarizzato. Questo sia perché esso ha seguito la linea
evolutiva propria delle moderne economie, sia perché negli ultimi anni, a causa
della liberalizzazione ed internazionalizzazione dei mercati, soffre molto la
concorrenza degli altri paesi nel settore primario.
Per superare la concorrenza internazionale non sono bastati i pur importanti
aumenti della meccanizzazione e della produttività, poiché il costo della
manodopera, nonostante l’avvento di extracomunitari, è ancora troppo alto
rispetto a molti paesi europei. Affinché l'agricoltura italiana possa uscire da
questo vicolo cieco e riconquistare le ampie fette di mercato perdute, è
necessario che essa concentri tutti gli sforzi produttivi per una sempre maggiore
specializzazione delle aziende agricole, in modo da sfruttare le possibilità
offerte, sia a livello legislativo sia di mercato, al settore dei prodotti tipici.
Questa soluzione è di fondamentale importanza soprattutto per quelle zone del
Paese, quali quelle meridionali, dove la conformazione del territorio rende
difficile lo sviluppo di un’agricoltura intensiva.
Il capitolo si conclude con un'analisi della politica agricola comunitaria: un
tentativo, da parte degli stati membri dell’UE di risolvere i problemi del settore
agricolo con un intervento sopranazionale. Lo studio tocca tutti i diversi
momenti della PAC soffermandosi sulle riforme Mac Sherry e Agenda 2000, e
sugli effetti che la prima ha avuto sull’agricoltura italiana.
Il capitolo II inizia con la definizione di tipicità, legata alle tre dimensioni
storia, territorio e qualità.
Il prodotto tipico è la risposta alle nuove tendenze, che si sono sviluppate nei
consumi alimentari e costituisce un importante elemento di differenziazione
favorendo la penetrazione in nicchie di mercato con un forte tasso di sviluppo.
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Il capitolo continua con un analisi del quadro giuridico di riferimento. Alla base
di qualunque produzione tipica, infatti, ci devono essere delle leggi che la
salvaguardino, rendendo possibile la distinzione della stessa dagli altri prodotti
presenti sul mercato, risolvendo così il problema dell'asimmetria informativa.
Lo studio, poi, si sofferma sul ruolo delle produzioni tipiche in Italia. Il nostro
Paese si pone al secondo posto dopo la Francia, per numero di prodotti tipici
riconosciuti a livello internazionale (113). Questo settore del nostro paese è
caratterizzato da una forte concentrazione, sia a livello di sottosettori (salumi e
formaggi la fanno da padroni), sia a livello di fatturato (parmigiano reggiano e
grana padano sono i leader).
A questo punto ho analizzato i punti di forza e di debolezza dei prodotti tipici.
In generale, se il loro elemento distintivo è la specialità del prodotto, dall’altra
parte la difficoltà di valorizzarlo, la sua scarsa conoscenza e la ridotta
dimensione aziendale costituiscono innegabili ostacoli per lo sviluppo degli
stessi.
Le possibili soluzioni consistono nel prestare maggiore attenzione alle politiche
di comunicazione (marchio), e di qualità (ISO), e nella costituzione di
organismi sovraziendali (consorzi).
Nel terzo capitolo, mi sono concentrata sullo studio di un prodotti tipico che
negli ultimi anni ha evidenziato uno dei più alti tassi di sviluppo: la mozzarella
di bufala campana DOP. Dopo una breve introduzione sull’origine storica del
bufalo e della mozzarella, mi sono soffermata sull’attività legislativa attuata per
la valorizzazione di questo prodotto a partire dal disciplinare di produzione,
continuando con la costituzione del consorzio (DM 21/03/1983), fino
all’assegnazione dei marchi DOC (DPCM del 10 maggio 1993) e DOP
(regolamento CE n. 1107 del 12/6/96).
Grazie alla relazione annuale per il 2001, fornitami dal Consorzio, ho potuto
analizzare lo sforzo prodotto da questo sia riguardo alle politiche di marketing e
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di promozione, sia per ciò che concerne l’attività di vigilanza e di
miglioramento delle tecniche produttive.
Poi, con l’aiuto dei risultati di un’analisi di marketing dell’AC Nielsen reperiti
sul sito internet dell’ISMEA e attraverso i dati dell’Annuario del latte 2000, ho
osservato l’importanza della MBC nel settore dei formaggi DOP italiani. Dalle
fonti citate risulta che essa è al 5° posto per PLV e al 7° rispetto alla quantità
prodotta.
TAB. 1. Formaggi DOP italiani - PLV diretta (in mld di lire)
Formaggio 1999 % % cumulata
Grana padano 1552 36,5 36,5
Parmigiano Reggiano 1379 32,4 68,9
Gorgonzola 330 7,7 76,6
Pecorino Romano 220 5,2 81,8
Mozzarella di Bufala Campana 170 4,0 85,8
Altri
606 14,2 100,0
Totale 4257 100,0 ---
Fonte: Nomisma (2001)
TAB. 2. Formaggi DOP italiani - Quantità prodotta (in tonnellate)
Formaggio 1991 1996 1999 Var. % 91-99
Grana padano 97086 131204 142373 46.65
Parmigiano Reggiano 106264 104919 108673 2.27
Gorgonzola 37891 42394 43760 15.49
Pecorino Romano 31093 35349 30320 -2.49
Provolone Valpadana 23100 24205 20900 -9.52
Asiago 16599 19521 19970 20.31
Mozzarella di Bufala Campana 9100 15000 17200 89.01
Taleggio 15500 10900 10246 -33.90
Montasio 15000 9691 9451 -36.99
Altri 19979 31837 25611 28.19
Totale 371612 425020 428504 15.31
Fonte: Mie elaborazioni su dati Annuario del latte (2000)
Bisogna considerare che questi dati, secondo il consorzio, pur essendo ufficiali,
non sono dati reali, poiché i caseifici non dichiarano tutta la loro produzione.
Prendendo per buone le stime non ufficiali del consorzio la MBC sarebbe
addirittura al 3° posto per PLV e al 4° come quantità prodotta.
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Il capitolo continua con un’analisi dettagliata della filiera in tutti i suoi stadi,
utilizzando come fonte principale la relazione del consorzio. Da questo studio
si evince che nella provincia di Salerno si concentra circa il 23% degli
allevamenti e dei caseifici dell’intera area DOP.
Lungo tutta la trattazione sin qui svolta, è stato anche posto l’accento sui punti
di debolezza di questa particolare produzione tipica. Oltre a quelli già
menzionati la mozzarella soffre di due ulteriori problemi:
1) la stagionalità della produzione;
2) la scarsa conservabilità del prodotto.
Il capitolo si conclude con uno studio dettagliato del peso del settore
mozzarella di bufala campana nell'economia di un campione di paesi situati
nella Piana del Sele, in provincia di Salerno. L'analisi comprende tutti gli stadi
della filiera. Le fonti, da me utilizzate, per gli allevameti, sono il libro "La
filiera della mozzarella di bufala campana nell'area della Denominazione di
Origine Protetta" (Cerrato, 1999) e i dati dei servizi veterinari locali e
regionali, raccolti personalmente. Per i caseifici, infine, ho utilizzato i dati
ottenuti dalla Camera di Commercio di Salerno.
Il campione studiato è molto significativo rispetto all’intera provincia, giacché
in esso sono concentrati l’80% degli allevamenti e dei capi, nonché un
importante percentuale di caseifici.
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GRAF. 1. Numero di capi bufalini nei paesi del campione
I risultati della ricerca vedono una forte crescita dell’intero settore nel
campione di riferimento. Riguardo agli allevamenti, dal 1990, si è verificato un
incremento del 150% circa del numero dei capi persenti, ed anche la
dimensione media aziendale è aumentata, passando da 81 a 121 capi per
allevamento (+50%).
TAB. 3. Numero di aziende e capi bufalini nei paesi del campione
Paese 1990 (ISTAT) 1996 (Fonti sanitarie) 2001 (Fonti sanitarie)
Aziende Capi Aziende Capi Aziende Capi
Tot
Agropoli 9 555 5 625 5 820
Albanella 33 2406 37 3080 42 5500
Altavilla Silentina 48 2021 43 3044 65 6500
Battipaglia 8 854 7 967 12 1639
Capaccio 49 4440 62 5652 79 10000
Eboli 16 3398 22 3446 48 7500
Giungano 9 413 10 270 8 600
Roccadaspide --- --- 5 388 9 950
Serre 9 175 24 799 25 2000
Totale campione 172 13849 205 18001 293 35509
Totale provincia 220 14262 247 20060 367 44235
*Femmine in età di lattazione.
Fonte: Cerrato (1999) e dati servizi veterinari locali e regionali (2001)
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
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1990 1996 2001
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Lo studio si conclude con una stima prudenziale delle ripercussioni
occupazionali del settore nel campione di riferimento, che porta a contare circa
1700 addetti, tra produzione e trasformazione del latte.
Il IV capitolo è interamente dedicato all’analisi del caso aziendale del caseificio
“La Contadina”, dei fratelli Di Masi, sito in Altavilla Silentina. La scelta è
ricaduta su questa azienda per tre motivi fondamentali:
1. l’impresa controlla direttamente tutti gli stadi della filiera;
2. essa costituisce un valido esempio di come si possano sfruttare i punti di
forza e superare le criticità proprie delle produzioni tipiche;
3. il caseificio è situato in uno dei paesi del campione, analizzato nel
precedente capitolo.
Per scrivere il IV capitolo ho sottoposto un questionario ad un dirigente
dell’azienda. Dal colloquio che ne è scaturito, sono saltati chiaramente alla luce
sia le scelte strategiche, che hanno permesso al caseificio di superare le
maggiori difficoltà, sia i limiti che ancora ne caratterizzano la politica
aziendale. I punti di forza dell'impresa sono:
• l’attenzione verso la qualità,
• le politiche di marketing,
• la politica di marchio,
• la presenza in tutti gli stadi della filiera.
Nel corso della trattazione ho posto in evidenza come i dirigenti de “La
Contadina” siano riusciti a superare con intelligenza e tenacia alcuni limiti delle
produzioni tipiche, spesso a torto ritenuti insormontabili, quali la scarsa
conoscenza del prodotto e la ridotta dimensione aziendale. L’azienda però deve
superare ancora due grossi ostacoli per un suo ulteriore sviluppo:
• l’organizzazione aziendale è ancora a carattere familiare;
• le vendite sono penalizzate dal fenomeno della stagionalità.
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A questo punto, ho proposto due possibili soluzioni al secondo problema. La
prima, più semplice e raggiungibile anche nel breve periodo, consiste nel
cercare di entrare nella grande distribuzione, superando la difficoltà del
pagamento a 90 giorni che essa impone.
La seconda, si colloca in un ottica di lungo periodo, ed è sicuramente di più
difficile attuazione, ma anche più suggestiva, e consiste nello sfruttare l'ottima
politica di marchio fin qui attuato dall’azienda aprendo una serie di punti
vendita in franchising nelle regioni del Centro-Nord.