7
“Forse, in effetti, noi siamo i testimoni
- e gli artefici - di una certa morte, quella
dell’arte di raccontare, dalla quale deriva
quella della narrazione in tutte le sue
forme. Forse lo stesso romanzo è sul
punto di morire in quanto narrazione (...)
Nondimeno bisogna, nonostante tutto (...)
credere che nuove forme narrative, che
non sappiamo ancora nominare, sono già
sul punto di nascere e che attesteranno
come la funzione narrativa possa subire
una metamorfosi ma non morire. E questo
perché non sappiamo cosa sarebbe
una cultura nella quale non si sappia
cosa significhi raccontare”
1
Negli ultimi vent’anni si è assistito, all’interno di diversi ambiti del teatro
contemporaneo, al recupero dell’arte della narrazione orale. Niente di nuovo:
raccontare ed ascoltare storie è sempre stato un modo per soddisfare un
bisogno profondo e radicato nell’uomo: la vitale necessità di mettersi in
relazione con i propri simili per dare voce alla propria esperienza, per
comprendere e comprendersi. Il fatto che la narrazione orale trovi di questi
tempi spazio e nuova alimentazione in uno dei luoghi più arcaici di
comunicazione, il teatro, non è casuale: in un’epoca come la nostra in cui le
comunicazioni sono in buona parte mediate, il teatro si presenta come uno dei
pochi mezzi dove fare esperienza della parola radicata nel corpo, dove ritrovare
un contatto ‘umano’ nell’incontro e nello scambio-confronto con altre persone.
Con questo studio ci proponiamo di approfondire il percorso di ricerca di
quelle che ci sono sembrate le due tendenze dominanti all’interno del teatro-
narrazione italiano, che hanno i loro punti di riferimento in due importanti attori
della scena recente: Marco Baliani e Marco Paolini. In particolare, nucleo
centrale della nostra ricerca è costituito dall’analisi di uno spettacolo di questo
tipo, Vajont di Marco Paolini.
Abbiamo strutturato il lavoro in due parti.
1
RICOEUR P., Tempo e Racconto, vol. II, Milano, Jaka Book, 1983, p. 54.
8
Nella prima parte affronteremo la questione del rapporto fra teatro e
narrazione, già oggetto di riflessione da parte di Aristotele, delineando il quadro
di riferimento del nostro argomento: passeremo in rassegna gli studi e le
riflessioni prodotte sull’argomento nel nostro secolo, da quando cioè la
narrazione ha cominciato ad essere oggetto di indagine sistematica (Capitolo
primo). Vedremo poi, a livello teorico, in quali modi e con quali forme teatro e
narrazione oggi si incontrano, e quali sono stati gli esiti delle ricerche degli
artisti e gruppi che si inseriscono in questo recupero (Capitolo secondo).
La seconda parte sarà invece dedicata ad esperienze concrete di teatro-
narrazione: dopo aver brevemente delineato le caratteristiche principali della
particolare affabulazione di Marco Baliani (2.5), sarà oggetto di analisi
approfondita uno spettacolo, Vajont di Marco Paolini, che per molti versi va in
direzione opposta (Capitolo terzo). Riserveremo alle Conclusioni lo spazio per
un confronto tra queste due modalità di narrare e per le nostre riflessioni
sull’argomento.
9
PARTE PRIMA
10
CAPITOLO PRIMO
TEATRO E NARRAZIONE
11
1.1. INTRODUZIONE
Se è vero che “ogni età, come ogni cultura, ha le proprie caratteristiche
forme narrative”
2
grazie alle quali viene dato un senso e un ‘ordine’ alla realtà, è
tuttavia soltanto nell’ultimo secolo che la narrazione è diventata il filo rosso che
lega considerazioni di studiosi di ambiti diversi.
La riflessione su questa attività poliedrica e multiforme
3
si è svolta
prevalentemente su due piani. Da un lato ci troviamo di fronte a una sterminata
mole di studi sistematici prodotti da discipline ‘scientifiche’ relativamente
recenti
4
, dalla linguistica alla sociologia, i cui approcci all’oggetto-racconto sono
di diverso tipo: storico-geografico, morfologico-strutturale, etnografico ed
etnolinguistico, psicanalitico, narratologico e semiotico. L’interesse comune è
principalmente quello di analizzare, interpretare e spiegare differenti aspetti
della narrazione
5
. Pur non essendo nostra intenzione fornire un quadro
completo dei contributi dati nel campo delle scienze umane e sociali, riteniamo
comunque opportuno passare brevemente in rassegna i punti di vista da cui il
problema è stato affrontato, puntando l’attenzione soprattutto sui metodi
2
SCHOLES R. - KELLOGG R., The Nature of Narrative, New York, Oxford University Press, 1966 -
tr. it. La natura della narrativa, Bologna, Il Mulino, 1970, p. 86.
3
Facciamo qui riferimento al significato più esteso di narrazione: “per narrativa intendiamo (...)
tutte quelle opere letterarie che sono distinte da due caratteristiche: la presenza di una storia e
la presenza di un narratore (...) Perché una composizione sia narrativa non occorre niente di più
e niente di meno che un narratore e una narrazione” Ibi, pp. 4-5.
4
“Ogni ricerca scientifica postula un dualismo fra l’osservatore e il suo oggetto. Nel caso delle
scienze naturali, l’uomo ha la parte dell’osservatore, ed ha il mondo come oggetto (...) Le
scienze sociali e umane, per essere davvero scienze, devono preservare questo dualismo, che
esse spostano solo per stabilirlo all’interno stesso dell’uomo: la linea di demarcazione passa in
tal caso fra l’uomo che osserva e colui, o coloro, che sono oggetto di osservazione” LÉVI-
STRAUSS C., Anthropologie structurale deux, Paris, Librairie Plon, 1973 - tr. it. Antropologia
strutturale due, Milano, Il Saggiatore 1978, p. 333. Lo stesso Lévi-Strauss osserva più avanti
che “nell’insieme delle scienze sociali e umane, solo la linguistica può essere messa sullo
stesso piano delle scienze esatte e naturali” (p. 340).
5
L’oggetto-racconto è stato inizialmente considerato soprattutto in ambiti particolari, come le
culture popolari (da parte ad esempio delle indagini folkloristiche: ricordiamo i lavori di Propp
sulle fiabe di magia russe) e quei gruppi umani definiti “primitivi”. Come si può notare, è
l’interesse per il diverso e l’Altro a muovere queste ricerche, che tra i loro scopi hanno anche
quello di documentare pratiche osservabili in culture immerse nella forma orale dell’espressione,
sottraendole in questo modo all’oblio del transeunte.
12
impiegati per l’analisi, in particolare in ambito semiotico, che prenderemo come
importante punto di riferimento nell’ultima parte di questo lavoro.
L’altra prospettiva da cui il tema della narrazione è stato considerato nel
nostro secolo è quella, meno ‘scientifica’ e più ‘divagatoria’, delle riflessioni
prodotte in ambito filosofico in Germania negli anni ‘20-’30, per le quali la
narrazione non è solo un oggetto di cui parlare e discutere, ma un modo di
pensare e organizzare l’esperienza: attività creativa di ricerca. Due sono le
figure su cui ci soffermeremo: Walter Benjamin ed Ernst Bloch, i quali, insieme
alle importanti teorizzazioni di teatro epico, hanno influenzato più
esplicitamente
6
le pratiche teatrali di cui ci occuperemo.
Questa breve panoramica ci aiuterà ad affrontare poi la spinosa questione
del rapporto fra teatro e narrazione/racconto, posta fin dai tempi di Aristotele,
alla quale hanno cercato di trovare una soluzione anche drammaturghi e registi
in tempi più recenti. E’ il caso di Bertolt Brecht o Peter Brook, i quali hanno
aperto la strada alla sperimentazione di nuovi modi e forme di incontro tra
teatro e narrazione, diventando un imprescindibile punto di riferimento per
generazioni successive di teatranti.
6
L’influenza di filosofi, teorici, registi e drammaturghi (come i due già citati, ma anche Peter
Brook e Bertolt Brecht) è rivendicata dagli stessi artisti considerati. Con la consapevolezza di
inserirsi in una tradizione, essi cercano di dare il proprio contributo per il rinnovamento della
stessa in termini di forme e contenuti, lasciandosi in questo senso ‘catturare’ dalle suggestioni
più svariate: letterarie, filosofiche, storiche, giuridiche.
13
1.2. PANORAMICA DEGLI STUDI ‘SCIENTIFICI’ SULLA NARRAZIONE NEL NOVECENTO
Diverse sono le discipline scientifiche che nell’ultimo secolo si sono
confrontate con il tema della narrazione, cercando di arrivare a una descrizione
e delimitazione delle peculiarità del racconto. Gli studi e le ricerche prodotti a
partire dai primi del Novecento sono particolarmente abbondanti, ma i contributi
più numerosi e sistematici provengono da due ambiti: quello linguistico-
semiotico, all’interno del quale è nata una disciplina specifica che si occupa del
racconto (la semiotica della narratività o narratologia) e quello antropologico-
sociologico.
La narrazione ha cominciato a essere studiata ed analizzata
sistematicamente dai formalisti russi e dal folklorista Vladimir Propp
7
negli anni
1915-30; queste ricerche sono state poi riprese, a partire dagli anni ‘50-’60, da
etnologi (come Lévi-Strauss) e teorici della letteratura (Todorov, Bremond,
etc.). Scopo principale dell’analisi narratologica è l’individuazione di strutture
comuni a ogni genere di narrazione, per arrivare a definire degli schemi
compositivi, dei modelli che diano ragione della costruzione complessiva del
racconto e che siano utilizzabili in linea di massima nello studio di ogni
7
Vladimir J. Propp (1895-1970) nella sua più celebre opera, Morfologija skazki (Morfologia della
fiaba, Torino, 1966), pubblicata a Leningrado nel 1928, si è proposto di studiare la forma di un
certo numero di fiabe di magia russe (non della fiaba in assoluto), scoprendo che la molteplicità
dei racconti può essere ridotta a un unico modello o schema compositivo, comprendente 31
unità fondamentali (funzioni). Per funzione Propp intende “l’operato di un personaggio,
determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda” Ibi, p. 27. Le
funzioni sono gli elementi costanti e permanenti del racconto, disposti in modo determinato e
invariabile. Propp stesso è stato il primo ad avanzare riserve sulla generalizzazione del suo
schema: “il metodo è ampio, le conclusioni invece valgono soltanto per quel determinato tipo di
narrativa folclorica alla cui analisi esse devono appunto la loro origine” Ibi, p. 209. L’analisi di
Propp si è del resto esercitata su un genere particolare, la fiaba, “dotato di letterarietà e
fondamentalmente orale nella sua genesi, dunque sempre orientato in vario modo verso l’oralità,
anche nel caso delle fiabe scritte” LAVINIO C., La magia della fiaba. Tra oralità e scrittura,
Scandicci, La Nuova Italia, 1993, p. XI dell’Introduzione. Schemi come quello di Propp,
risentendo del punto di partenza fiabistico, non tengono conto ad esempio del possibile
intervento di elementi caratteriologici e motivazionali nelle azioni.
14
narrazione, essendo stati ricavati dalla considerazione di esempi concreti
8
.
Cesare Segre ha dimostrato che i livelli di analisi messi in evidenza da queste
indagini sono sostanzialmente quattro: discorso (“il testo narrativo significante”)
- intreccio - fabula - modello narrativo
9
. Momento essenziale nella costruzione
del ‘modello narrativo’ è la distinzione tra intreccio (sjuzet) e fabula
10
. L’intreccio
è l’esposizione degli avvenimenti narrati nell’ordine in cui si trovano nel testo; la
fabula è l’esposizione degli stessi avvenimenti riordinati cronologicamente e
logicamente
11
. L’individuazione di quest’ultima consiste dunque nella
ricostruzione dei rapporti logico-temporali tra le azioni e consente di rintracciare
quelle azioni che fungono da unità, il cui enchaînement costituisce la struttura
narrativa. In questo modo, è inoltre possibile osservare le procedure di
costruzione dell’intreccio messe in atto dall’autore del testo
12
. Il successivo
passaggio dalla fabula al modello narrativo “è un passaggio dal particolare al
generale, essendo il modello la forma più generale in cui un racconto può
essere esposto”
13
. Una linea importante della narratologia è dunque di matrice
proppiana, “perché punta il suo obiettivo sulla scomposizione funzionale del
racconto (ad esempio, in Francia, la cosiddetta analyse du récit), alla ricerca di
un modello logico totalizzante della narratività”
14
. Diversi però sono stati i
8
Proprio perché l’analisi si esercita su testi particolari, bisogna sempre tener presente che “la
logica di un racconto (...) è la logica di una data cultura, specchio di una società o di sue
precedenti fasi storiche” SEGRE C., Le strutture e il tempo. Narrazione, poesia, modelli, Torino,
Einaudi 1974, p. 51.
9
Ibi, pp. 7-15.
10
Questa coppia dicotomica e basilare negli studi di narratologia ha corrispettivi analoghi nella
coppia oppositiva discours e histoire adottata da Todorov, in quella di récit e histoire proposta da
Genette o di récit racontant e récit raconté di Bremond.
11
Il nesso intreccio/fabula fu approfondito in modo particolare da Šklovskij, per il quale “la fabula
è soltanto materiale per dar forma alla trama”(ŠKLOVSKIJ 1925 p. 178) e Tomaševskij per il quale
l’intreccio è “la distribuzione in costruzione degli avvenimenti nell’opera” (TOMAŠEVSKIJ 1925 p.
314).
12
Nella narrativa letteraria il rispetto dell’ordo naturalis è rarissimo: fin dall’epoca classica è
diffuso il procedimento di non raccontare i fatti in ordine cronologico, ma di iniziare la narrazione
in medias res, comunicando poi gli avvenimenti precedenti attraverso una narrazione
retrospettiva.
13
SEGRE C., Le strutture e il tempo. Narrazione, poesia, modelli, p. 15.
14
MARCHESE A., L’officina del racconto. Semiotica della narratività, Milano, Mondadori, 1983, p.
18.
15
modelli proposti, tutti tendenti ad estendere l’analisi dal più ristretto ambito
folklorico, da cui era partita la ricerca di Propp, ad ogni tipo di racconto:
letterario, cinematografico, televisivo e teatrale
15
. Per l’ambito di cui ci
occupiamo in questa sede sono soprattutto gli studi di semiotica teatrale
16
a
fornirci gli strumenti per un’adeguata analisi dello spettacolo teatrale “concepito
come un’occorrenza discorsiva complessa, risultante dall’intreccio di più
materie espressive organizzate da vari codici e sottocodici (che nel loro insieme
costituiscono una struttura testuale), e attraverso la quale si producono
significazioni e si realizzano atti comunicativi, anche in relazione ai diversi
contesti pragmatici d’enunciazione”
17
. L’approccio che privilegeremo sarà
infatti quello pragmatico “preoccupato di studiare il testo spettacolare in
rapporto alle condizioni di produzione e di ricezione”
18
.
In campo etnografico-antropologico contributi decisivi alla comprensione del
funzionamento delle strutture narrative sono state date dagli strutturalisti. La
ricerca e le teorie elaborate da Claude Lévi-Strauss risultano infatti fortemente
influenzate dallo strutturalismo linguistico, che costituisce un elemento
indispensabile per la comprensione di gran parte del suo lavoro
19
. L’analisi di
15
Le proposte di Propp sono state riprese in ambito letterario intorno agli anni ‘60. Tra i più
interessanti contributi, che rielaborano criticamente l’eredità proppiana, ricordiamo le opere di
Claude Bremond, in particolare Logique du récit. Il modello proposto da Bremond, meno rigido
di quello del folklorista russo, insiste sull’esistenza di alternative: il racconto non sarebbe, così,
una successione predeterminata e invariabile di funzioni, ma una successione di alternative.
Bremond introduce il concetto di sequenza come raggruppamento di funzioni fra loro implicate:
una sequenza elementare si compone sempre di tre momenti, ognuno dei quali può dar luogo a
una alternativa: virtualità - attualizzazione (o sua assenza) - scopo raggiunto (o mancato).
Importante anche la lezione di Todorov e dello studioso franco-lituano Greimas del quale
ricordiamo l’opera Semantica strutturale, Milano, Rizzoli, 1969. Nell’ambito della narrativa
cinematografica e televisiva sono da considerarsi gli studi di semiotica testuale, tra cui BETTETINI
G., Tempo del senso, Milano, Bompiani, 1979, CASETTI F., Dentro lo sguardo, Milano, Bompiani,
1986, e METZ C., Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1972. Torino, Einaudi, 1983.
16
Anche in questo campo gli studi sono numerosi. Ricordiamo per la loro rilevanza DE MARINIS
M., Semiotica del teatro, Milano, Bompiani, 1982, ELAM K., The semiotics of theatre and drama,
London, Methuen, 1980, RUFFINI F., Semiotica del testo: l’esempio teatro, Roma, Bulzoni, 1978 e
SEGRE C., Teatro e romanzo. Torino, Einaudi, 1983.
17
DE MARINIS M., Semiotica del teatro, p. 10.
18
Ibi, p. 11.
19
In particolare Lévi-Strauss ha rivolto la sua attenzione agli studi degli etnolinguisti americani e
del fonologo russo Roman Jakobson.
16
Lévi-Strauss si è concentrata su una forma particolare di narrazione: il mito
20
,
per la cui analisi si è servito appunto dell’ausilio della linguistica. L’analogia
fondamentale che Lévi-Strauss propone per il mito è la lingua stessa, con il suo
sistema di elementi (fonemi, morfemi, etc.)
21
: i mitemi sarebbero le grandi unità
costitutive del mito, e il loro significato viene dato solo in virtù dei rapporti di
correlazione che li oppongono ad altri mitemi. In tal modo, i miti si
presterebbero ad una lettura di tipo formale: isolati i mitemi, gli elementi più
semplici, se ne possono osservare le combinazioni possibili, grazie alle
differenti versioni in cui il mito si presenta.
L’analisi strutturalista, così come è stata applicata da Lévi-Strauss, ha rivolto
in gran parte la sua attenzione alla narrativa orale.
E’ proprio l’aspetto orale della narrazione la questione più dibattuta e
controversa nella maggioranza dei casi. Questo avviene per le contraddizioni
insite negli odierni sistemi di comunicazione, grazie ai quali si assiste a una
sorta di ‘oralità di ritorno’, con una rivalutazione della voce e della presenza
viva, della comunicazione simultanea, senza però ritrovare le condizioni per
un’interazione completa sotto tutti i punti di vista, che coinvolga interamente la
persona, con i suoi cinque sensi (salvo in alcuni casi, che esamineremo più
avanti). Se spostiamo infatti l’attenzione sulle modalità della performance
narrativa, che presuppone una decisione dei mezzi con cui comunicare il
contenuto narrativo, si osserverà che il ventaglio di scelte a disposizione di un
narratore potenzialmente è vastissimo: “racconto orale, film, teleromanzo,
dramma, romanzo, fotoromanzo, ecc. Anche se la scelta non è effettivamente
completa per ogni narratore, in astratto sussistono queste e altre possibilità; e il
20
Il funzionamento del pensiero mitico primitivo è stato analizzato da Lévi-Strauss in
Anthropologie structurale e ancor di più nei quattro volumi delle Mythologiques (1964-1971).
Secondo la moderna teoria sociologica del mito, che si può far risalire principalmente a Fraser e
a Malinowski, il mito non sarebbe però limitato al mondo e alla mentalità dei primitivi; è anzi
indispensabile alla cultura di ogni gruppo, in quanto giustificazione retrospettiva degli elementi
fondamentali che la costituiscono. Nella Poetica del resto Aristotele usa la parola mito
nell’accezione generica di ‘racconto’.
21
“Il mito fa parte integrante della lingua; solo grazie alla parola lo si conosce, dipende insomma
dal discorso” LÉVI-STRAUSS C., Anthropologie structurale, p. 234.
17
travaso da un mezzo all’altro può ancora esser messo in atto dopo la
comunicazione”
22
. La questione dei mezzi con cui narrare risulta
particolarmente importante per il nostro discorso, perché gli artisti che praticano
oggi forme di teatro-racconto, pur avendo come punto di partenza l’esperienza
teatrale, sono inclini, come vedremo, a sperimentare ‘contaminazioni’ con altri
mezzi. Un’interessante prospettiva, nell’ambito della storia della cultura e della
comunicazione, è quella offerta da Walter J. Ong. Secondo lo studioso
americano, in termini di mezzi di comunicazione, le culture si dividerebbero in
tre stadi successivi
23
:
1. Orale o orale-aurale
2. Scritto
3. Elettronico.
Tenendo presente che “i mezzi di comunicazione non si eliminano a vicenda
nel loro susseguirsi, ma si sovrappongono”
24
, osserviamo subito che
l’opposizione orale-scritto, a prima vista così immediata, non è in realtà
qualcosa di assoluto: “La narrativa orale e quella scritta sono formalmente -e
profondamente- distinte, ma culturalmente non vi è alcun modo veramente
significativo di distinguerle”
25
. Fino alla comparsa della stampa è infatti difficile
distinguere fra trasmissione orale e trasmissione scritta. Anche se il popolo, per
secoli analfabeta ed escluso dai canali ‘ufficiali’ di trasmissione della cultura, ha
22
SEGRE C., s.v. Narrazione/Narratività, in Enciclopedia Einaudi, vol. IX, p. 697.
23
W. J. Ong presenta questa distinzione in The Presence of the Word, New Haven e London,
Yale University Press, 1967 - tr. it. La presenza della parola, Bologna, Il Mulino, 1970.
24
Ibi, p. 103.
25
SCHOLES R. - KELLOGG R., La natura della narrativa, p. 22. Ong ribadisce più volte che è il
metodo di composizione, non il modo di presentazione, a distinguere la genuina tradizione orale
da quella scritta. Una ‘genuina tradizione orale’ è tipica soltanto di quelle che Ong in diverse sue
opere chiama “culture orali primarie” (ONG W. J., Orality and Literacy. The Technologizing of the
Word, London and New York, Methuen, 1982 - tr. it. Oralità e scrittura. Le tecnologie della
parola, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 59) ovvero quelle culture, chiamate anche “verbomotorie”
(Ibi, p. 101) che si affidano unicamente al corpo (voce, gestualità, espressione, movimento) per
la trasmissione delle conoscenze, non conoscendo la scrittura. In queste comunità il sapere è
affidato a degli uomini-memoria, i poeti, il cui ruolo è quello di conservare il patrimonio
conoscitivo, richiamarlo alla memoria e recitarlo quasi sempre in un’atmosfera di celebrazione e
di gioco: i poeti sono dei ripetitori, perché se non andassero continuamente ripetendo la
conoscenza acquisita, questa svanirebbe completamente.
18
sempre utilizzato forme espressive alternative per raccontare e tramandare le
proprie esperienze (una cultura che per secoli rimane orale, tramandata a
voce), non ha mai rifiutato (non ha mai ‘potuto’ rifiutare, dovremmo dire)
influenze e suggestioni provenienti da prodotti della cultura ‘ufficiale’, scritta. Il
circuito orale e quello scritto si sono sempre influenzati e hanno tratto dalle
continue interazioni un rafforzamento reciproco.
Non solo il percorso delineato da Ong, pur prevedendo una divisione in
‘stadi’
26
, non è in realtà così ‘lineare’ ma, visti i recenti sviluppi dei mezzi di
comunicazione e le possibilità offerte dall’elettronica, arriva ad avere un
carattere per così dire ‘ciclico’. E’ infatti innegabile che con i nuovi mezzi di
comunicazione (radio, telefono, televisione, calcolatori etc.) “la nuova era in cui
siamo entrati ha ridato vigore all’orale e all’aurale”
27
. Diverse discipline hanno
risentito di questi cambiamenti, prima fra tutte la ricerca storiografica, che ha
vissuto un’autentica rivoluzione documentaria: in relazione alle nuove possibilità
è scaturita l’esigenza di rinnovare il modo di fare storia e di ampliarne gli
orizzonti metodologici, ricorrendo a fonti documentarie anche di natura orale
28
,
26
Ong individua queste ‘fasi’ sulla base del mezzo di comunicazione che risulta peculiare di un
determinato periodo della storia dell’umanità. Il passaggio da uno stadio all’altro avverrebbe
sempre in seguito all’affermarsi e all’imporsi di una nuova ‘invenzione’. La scrittura rappresenta il
primo importante spartiacque culturale nella storia delle invenzioni ‘tecnologiche’ dell’uomo:
essa ha creato ciò che è stato definito un linguaggio “decontestualizzato” (HIRSCH JR. E.D., The
Philosophy of Composition, Chicago e London, University of Chicago Press, 1977, pp. 21-23,
26), affrancando l’espressione linguistica dallo spazio e dal tempo e conferendole un’infinita
ripetibilità. Anche l’invenzione della stampa ha avuto conseguenze ed effetti notevoli sulla
mentalità umana, portando al superamento della cultura manoscritta ancora legata agli schemi
dell’oralità, e alla nascita di nuove forme di comunicazione e nuovi generi letterari. I mezzi
escogitati dall’uomo per comunicare con i propri simili vanno tutti in direzione di una progressiva
‘virtualizzazione’ dei corpi, intendendo con il termine ‘virtualizzazione’ ciò che P. Lévy ha
definito “parziale distacco da un corpo vivo”, riferendosi appunto a tutti quei dispositivi di
comunicazione nei quali “i messaggi sono molto spesso separati nel tempo e nello spazio dalla
sorgente che li ha emessi e vengono quindi recepiti fuori dal contesto” LÉVY P., Qu’est-ce que le
virtuel, Paris, Editions La Découverte, 1995 - tr. it. Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina Ed., 1997,
p. 28.
27
ONG W. J., La presenza della parola, p. 102. Con le potenzialità dei nuovi mezzi l’uomo è posto
in un rapporto radicalmente nuovo con il tempo e lo spazio, trovandosi immerso in una
simultaneità spazio-temporale visiva e sonora mai sperimentata prima.
28
“La ricerca storica ha (...) avviato, con l’utilizzo delle fonti orali, un processo di ampliamento
della documentazione di riferimento, valorizzando sia la scrittura popolare, sia la
documentazione fotografica, in un incrocio di fonti che ha consentito di innovare profondamente
19
che già facevano parte di discipline sociali come l’antropologia o la storia dei
popoli senza cultura scritta o con cultura prevalentemente orale, gli studi di
folklore e la dialettologia. Le fonti orali, il cui reperimento e la cui valutazione
sono tutt’altro che facili
29
, sono entrate così a far parte dell’enorme bagaglio di
fonti e documenti che uno storico ha a disposizione per ricostruire lo svolgersi
dei fatti, soprattutto in riferimento a quelli della storia recente, col vantaggio
enorme di poter essere tramandate nel tempo e considerate nel lavoro di storici
futuri. Di storia orale
30
si parla ormai da alcuni decenni, che corrispondono agli
anni di vita del magnetofono
31
; ci è sembrato indispensabile accennare qui alle
nuove prospettive introdotte da questi progetti innovativi per sottolineare come
il lavoro degli storici, indissolubilmente legato alla dimensione del passato e
della memoria, sia fortemente influenzato dalle condizioni materiali e
socioculturali in cui è effettuato. Ritorneremo ancora sull’argomento,
inserendolo nel più ampio discorso del rapporto che si instaura tra narratore (di
cui lo storico è una particolare ‘incarnazione’) e materia narrata.
le stesse interpretazioni storiografiche di fondo” CONTINI G., MARTINI A., Verba manent. L’uso delle
fonti orali per la storia contemporanea, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993, p. 94.
29
Le fonti orali sono ricche di soggettività: il testimone interpellato dal ricercatore esprime il più
delle volte un punto di vista, un’interpretazione del suo passato, a causa della distanza tra il
tempo in cui gli avvenimenti sono accaduti e il tempo nel quale vengono ricordati.
30
Si vedano sull’argomento CONTINI G., MARTINI A., Verba manent. L’uso delle fonti orali per la
storia contemporanea e PASSERINI L., Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria, Firenze, La
Nuova Italia Scientifica, 1988.
31
I mezzi di registrazione visiva fino a pochissimi anni or sono erano costosi e difficili da usare e
quindi ignorati o rifiutati dagli storici orali; oggi grazie all’evoluzione della tecnologia, le cose sono
cambiate.