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INTRODUZIONE
Il mio lavoro vuole mettere in evidenza l’incontro tra Italia e Argentina,
soprattutto attraverso l’accurata ricostruzione di Fernando Devoto, Professore
ordinario di Teoria e storia della storiografia presso l’Università di Buenos
Aires, che si occupa da molti anni di storia dell’emigrazione italiana in America
Latina ed è considerato una delle voci più importanti in materia. Devoto ha
spiegato nel suo libro “Storia degli italiani in Argentina” come queste due
nazioni, attraverso le migrazioni italiane, nel corso di due secoli, abbiano creato
un legame che si è consolidato nel tempo.
Ho suddiviso il progetto in tre parti: il viaggio, l’incontro e il dialogo.
Il viaggio descrive la situazione dell’Italia prima e dopo l’unificazione. L’Italia
ha una forte divisione regionale ed emerge con prepotenza la differenza tra
Nord e Sud nella penisola prima e successivamente anche nel paese di
destinazione. Quello che avviene a livello politico, economico e la crisi agraria
che colpisce l’intera Europa, sono eventi determinanti per risalire alle
complesse motivazioni delle migrazioni. Le aspettative fomentate dagli
opuscoli pubblicitari degli agenti dell’emigrazione da sole non bastano a
spiegare l’esodo di massa, tuttavia riescono ad adescare e a coinvolgere molti
italiani con spirito di iniziativa, abituati a spostarsi e che alla fine trovano i soldi
per partire. Questi italiani a loro volta creano delle catene migratorie che
fungono da spinta motivazionale per altri connazionali che affronteranno
l’avventura in Argentina. Ogni capitolo include una parte dedicata alla raccolta
di testimonianze con doppia valenza: come strumento storico-memoriale ma
anche come narrazione pedagogico-biografica.
Con l’arrivo in Argentina si apre il capitolo denominato “L’incontro” che
racconta di una terra promessa in attesa di immigrati, per creare una Nazione
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civilizzata e più forte economicamente. Gli immigrati più desiderabili sono
anglosassoni e non certo italiani. I nostri connazionali si scontrano con una
realtà fatta di stereotipi, di tradizioni e abitudini diverse, a partire dalle
differenze regionali degli immigrati che si scoprono italiani solo in Argentina.
Sugli italiani ci sono pregiudizi antichi e radicati oltretutto, in molti casi, diffusi
dagli italiani stessi che ancora una volta si trovano divisi tra nord e sud. Anche
questo aspetto non ha reso semplice la vita nel nuovo contesto. Tuttavia, sono
sorte associazioni di mutuo aiuto e altri tipi di istituzioni, caratteristiche della
popolazione italiana che permetteva agli associati di svagarsi, di sentirsi in
qualche modo tutelati e di restare anche legati all’Italia e a ciò che accadeva
nel Regno. Un altro modo per mantenere viva la relazione con la madre Patria
è la stampa italiana che si sviluppa in Argentina ma anche la stampa che in
Italia narra la storia dei connazionali all’estero.
Nel terzo capitolo, “Il dialogo”, metto in evidenza la politica di
“argentinizzazione”, soprattutto attraverso la scuola pubblica che ha permesso
ai figli e ai nipoti degli immigrati di sentirsi argentini a tutti gli effetti. Perciò
un’integrazione che ha, come rovescio della medaglia, quello di allentare il
rapporto con la cultura d’origine degli antenati. L’Argentina ha però, dall’altra
parte, lentamente preso consapevolezza di essere un paese di immigrati e ha
sostituito il suo ideale di fusione delle razze
1
con la valorizzazione delle culture
presenti sul suo territorio
2
.
Un altro ambito in cui si gioca la relazione tra l’Italia e l’Argentina è quello più
strettamente economico: accordi tra i due Paesi, scambi commerciali,
localizzazione delle aziende italiane in Argentina alimentano i rapporti tra i due
governi.
1
“crisol de razas” era l’ideale perseguito dal governo argentino, per ottenere a tappe forzate con forti dosi di
patriottismo la fusione delle razze. In Argentina si festeggiava il 12 ottobre il giorno “della razza” che è poi
stato festeggiato come il giorno delle cullture.
2
Fernando Devoto, Storia degli italiani in Argentina, donzelli editore, 2007, pag. 476,477
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Vorrei infine aprire una riflessione sul senso dell’emigrazione oggi, che ha
riguardato anche gli stessi argentini. L’Argentina è uno Stato che ha avuto
diverse crisi politiche ed economiche e, verso la fine del XX secolo, ha fatto sì
che gli argentini emigrassero in Europa e in particolare in Italia. Accanto
all’approfondimento della storia della speciale relazione esistente tra Italia e
Argentina, farò accenno trasversalmente alle nuove posizioni pedagogiche sul
tema dell’intercultura. Stiamo attraversando il passaggio da una concezione di
multiculturalismo, in cui vengono messe in evidenza solo le differenze, spesso
espresse in termini negativi ad un approccio interculturale, all’ambizioso
obiettivo di valorizzare la diversità. L’ultimo capitolo di questo progetto inizia
con la frase di Papa Francesco, figlio di emigranti in Argentina: “La sfida della
realtà chiede anche la capacità di dialogare, di costruire ponti al posto di muri.
Questo è il tempo del dialogo, non della difesa di rigidità contrapposte”.
L’ho scelta come auspicio per un futuro caratterizzato dall’impegno di ciascuno
ad aprirsi al mondo, al fine di realizzare una politica di civiltà, una riforma di
pensiero dell’umanità che Edgar Morin definisce come “consapevolezza e
accesso ad una cittadinanza terrestre, in una comunità planetaria”
3
.
3
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, 2001 (l’umanità
come destino planetario)
CAPITOLO 1 – IL VIAGGIO
“Quale mondo giaccia al di là di questo mare non lo so,
ma ogni mare ha un’altra riva e arriverò”
Cesare Pavese
Fig. 1 - Gli emigranti, 1894, Raffaello Gambogi, olio su tela - Museo Civico “Fattori” di Livorno.
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1.1. La penisola italiana nell’Ottocento
Nella metà dell’Ottocento non è ancora possibile parlare di Italia e italiani. In
questo periodo storico e, come vedremo, ancora per molto tempo dopo l’unità
di Italia, quello che emerge è una penisola a forte divisione regionale. Ogni
regione è un mondo a sé, con la sua storia e le sue influenze. Per dare una
prima lettura di questo aspetto è, secondo me, doveroso fare un passo indietro
nel tempo ed analizzare la divisione politica risalente al Congresso di Vienna
che contribuisce a spiegare, in parte, anche la storia di ciascuna regione
d’Italia. Nel 1815 l’Italia era divisa sotto il controllo di Dinastie regnanti diverse.
I Savoia governavano il Regno di Sardegna, con capitale Torino; l’Impero
austriaco presidiava il Regno Lombardo-Veneto; il Ducato di Parma, Piacenza
e Guastalla con Maria Luisa D’Asburgo; Ferdinando III di Asburgo Lorena, il
Gran Ducato di Toscana; gli Este, il Ducato di Massa Carrara e Modena; i
Borbone, il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio. Questa divisione aveva
di conseguenza creato dei piccoli Stati, ognuno dei quali era un sistema
complesso di governo del territorio, di disciplina degli interessi economici e dei
rapporti sociali, di educazione, di usanze e di culture. Tradizioni e istituzioni di
piccoli paesi che vengono tumultuosamente miscelati in un nuovo grande Stato
nel 1861. Accanto alla diversificazione regionale, un altro elemento che
caratterizza la penisola è il basso livello di alfabetizzazione.
Figura 2 – L’Italia dal 1815 al 1861. Fonte: Atlante storico Vallardi, 1951.
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Nel primo censimento, nell’anno dell’unificazione infatti, la percentuale di
analfabeti
4
si attesta a circa il 78% ma nei decenni successivi inizia a diminuire
costantemente. L’analfabetismo è più diffuso tra le donne e ci sono differenze
tra nord e sud. Gli analfabeti in Piemonte e Lombardia sono intorno al 54%, in
Puglia salgono al 86% e in Sicilia all’89%. Solo il 10% degli italiani è
considerato “italofono”, l’altra grande fetta di popolazione comunica attraverso
i dialetti
5
. Complessivamente la maggioranza degli italiani non possiede una
lingua comune. Per quanto riguarda l’economia e il lavoro: l’agricoltura
rappresenta il 70% della popolazione attiva, contro il 18% dell’industria e
artigianato e 12% del settore terziario
6
(che comprende commercio e servizi).
Diversamente da come la tradizione letteraria aveva tramandato, l’Italia non ha
condizioni naturali favorevoli in termini di territori. Le zone pianeggianti, più
adatte per l’agricoltura intensiva, sono solo il 20% mentre tutto il resto è
collinare o montagnoso. Inoltre, il 20% della superficie del paese è costituito
da terre incolte e terreni paludosi, infestati dalla malaria. Solo nella pianura
padana si sviluppano aziende agricole moderne che uniscono l’agricoltura
all’allevamento bovino; esse producono per il mercato e impiegano soprattutto
manodopera salariata. Accanto ad esse, nel nord del paese sono diffuse
piccole unità produttive in affitto a conduzione familiare, concentrate nelle zone
collinari del Piemonte, Lombardia e Veneto.
Nell’Appennino e nell’Italia centrale, soprattutto in Toscana, Marche e Umbria
domina la mezzadria. La terra è divisa in poderi, prevalentemente di piccole e
medie dimensioni, dove le colture cerealicole si mescolano ad ulivi, viti e alberi
da frutto. In molte zone dell’Italia meridionale e nella campagna intorno a
Roma, la coltivazione prevalente è il latifondo.
4
Fonti Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Laterza
Marcello Dei, La scuola in Italia, Il Mulino
5
Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto, Storia contemporanea: L’Ottocento, Editori Laterza, 2007, versione
kindle, paragrafo 15.1, ISBN 9788868432836, www.donzelli.it
6
Ivi pag. paragrafo 15.1
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Le tracce dell’ordinamento feudale hanno un peso consistente nei vecchi
contratti agrari basati molto spesso su compensi di quota parte del raccolto.
Non mancano nel mezzogiorno, soprattutto in Campania, Puglia e Sicilia zone
fertili e pianeggianti dove sono diffuse le colture specializzate, come ortaggi,
frutta, agrumi, vino e olio, destinati all’esportazione.
Il livello di vita della popolazione rurale è bassissimo. La maggior parte dei
contadini italiani vive ai limiti della sussistenza fisica. Si nutrono
prevalentemente di pane di granoturco, avena e segale e di legumi. Sono
soggetti a malattie da denutrizione, prima fra tutte la pellagra. Il divario fra nord
e sud è enorme ma la classe dirigente del paese ignora la reale situazione
della parte meridionale. Lo stesso Cavour non si era mai spinto oltre Firenze.
Quando nell’autunno del 1860 il romagnolo Luigi Carlo Farini viene mandato
nelle province del sud in qualità di luogotenente generale, non seppe
nascondere il suo stupore ed inviò una lettera a Cavour:
“Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi
cafoni, sono fior di virtù civili”.
Figura 3 – Contadini raccolgono il grano. Fonte: progetto “Fare gli Italiani”, Istituto Luce.