CAPITOLO 1 : “IL SISTEMA PENITENZIARIO ITALIANO”
1.1 NASCITA E SVILUPPO STORICO
Inizio questo lavoro definendo che cos’è il carcere o istituto penitenziario e
analizzando le sue origini.
Il vocabolario recita: “ Carcere (dal latino carcerěris = recinto) luogo in cui
vengono rinchiuse, per ordine del magistrato o di altre autorità, le persone
private della libertà personale.”
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E ancora : “Qualsiasi luogo dove si sia costretti
a vivere rinchiusi o in cui si stia malvolentieri (fig.) ”
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Il carcere nasce quando la società organizzata decide di isolare i soggetti
pericolosi, considerati tali per aver violato un ordine costituito, al fine di tutelare
la pace e la sicurezza sociale. Il carcere non era altro che un luogo dove
custodire i soggetti che avevano commesso un crimine, nell’attesa
dell’esecuzione della pena (corporale o pecuniaria). Esso, infatti, aveva la
duplice funzione di assicurare la presenza dell’imputato al processo e
l’esecuzione della pena stessa.
Tuttavia, con l’avvento dell’era medievale, è ancora lontana la concezione del
carcere inteso come luogo in cui scontare una pena il cui fine è la privazione
1 V oce Enciclopedia Treccani
2 V oce Enciclopedia Treccani
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della libertà, poiché il sistema penale era perlopiù basato sulla vendetta privata.
A prevalere, in questo periodo storico, è la lex talionis, un principio che prevede
di arrecare ad un soggetto un danno pari all’offesa ricevuta. La detenzione era al
più utilizzata come strumento di tortura per ottenere una confessione.
Possiamo far risalire al XVI secolo la nascita degli antenati dei nostri istituti
penitenziari moderni. Nel 1557 viene istituita, in Inghilterra, la prima house of
correction all’interno del palazzo di Bridewell; qui, ladri, prostitute, vagabondi
venivano riformati obbligatoriamente attraverso il lavoro e la disciplina.
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Nel ‘700 prendono piede le teorie di alcuni riformatori, tra cui il filosofo e
giurista Jeremy Bentham. E’ suo il progetto del Panopticon, un carcere ideale
progettato nel 1791. Il nome deriva da una figura mitologica greca, l’Argo
Panoptes, un gigante con un centinaio di occhi. L’obiettivo infatti era proprio
quello di permettere ad un unico sorvegliante di osservare tutti i detenuti.
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Anticamente le strutture architettoniche carcerarie fanno riferimento a caverne,
cisterne, luoghi sotterranei o, nel Medioevo, a torri e vecchi edifici. Uno tra i
carceri più antichi, ad esempio, risale al VII secolo a.C. e si trova a Roma, nel
3 Il carcere e la pena, Archivio di Stato,
http://www.ristretti.it/commenti/2008/agosto/pdf1/carcere_pena.pdf , p. 3
4 Il carcere e la pena, Archivio di Stato,
http://www.ristretti.it/commenti/2008/agosto/pdf1/carcere_pena.pdf , p. 3 e
https://www.agi.it/cronaca/panopticon_carcere_ideale_che_ispir_grande_fratello-
459559/news/2016-01-28/
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Foro Romano. Si tratta del Mamertino, noto anche come Carcer Tullianum,
inizialmente realizzato sotto Anco Marzio e completato successivamente sotto
Servio Tullio. Non è altro che un carcere costituito da due piani di grotte scavate
alle pendici del Campidoglio ed è il luogo dove è stato detenuto il primo Papa di
Roma, ossia l’apostolo Pietro, a causa della persecuzione anti-cristiana operata
da Nerone.
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La struttura moderna del Panopticon, invece, è costituita da una torre centrale in
cui risiede il sorvegliante, circondata da una struttura circolare composta dalle
varie celle. Ogni cella ha due finestre, una verso l’esterno e una verso l’interno,
quest’ultima per poter permettere al custode di osservare in qualsiasi momento
ogni detenuto.
La particolarità di una struttura così concepita è che ogni detenuto non sa se in
un preciso istante si trova sotto osservazione o meno; per Bentham il potere è
visibile e inverificabile. Il primo termine indica che il detenuto sa di avere
davanti a sé il controllo continuo e tangibile del guardiano; il secondo che
l’internato nella cella, pur consapevole di essere sotto osservazione, non sa se è
guardato in quell’istante.
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Questo comporterebbe, secondo il filosofo, una
condotta disciplinata da parte del detenuto. Bentham stesso afferma che
attraverso il panottico si può ottenere un controllo sulla ragione dell’individuo,
come mai prima di allora.
5 http://www.romeguide.it/monumenti/carceremamertino/carceremamertino.html
6 Focault M.(1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino p. 219
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Possiamo quindi affermare che, fino alla metà del XVIII secolo, il carcere era
una semplice struttura, di solito situata accanto al tribunale, che custodiva
provvisoriamente gli imputati in attesa di giudizio. Solo successivamente il
carcere si trasforma in un luogo dove espiare una pena; questo per un semplice
motivo logico e cioè perché la privazione della libertà stessa del detenuto era
divenuta la pena più diffusa.
E’ in questo periodo storico che si fanno avanti i principi illuministici di
umanizzazione della pena. La pena inoltre deve tutelare e proteggere la società
e, attraverso essa, si deve evitare che altri fatti criminosi possano ripetersi nel
tempo.
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Nasce la volontà di rigenerare il reo con l’obiettivo di rieducarlo. La giustizia è
prerogativa dello Stato, non più un fatto privato e lo Stato ora ha il diritto di
recludere e il dovere di rieducare.
Sparisce l’esibizione di un corpo suppliziato, marchiato e dato in spettacolo;
l’esecuzione pubblica viene vista come un atto di violenza, quindi da evitare e
l’efficacia della pena ora è data dalla sua fatalità e non dalla sua visibile
intensità. Certo è che un castigo non può essere del tutto incorporeo, per questo,
anche nei meccanismi moderni di giustizia penale, permane un fondo
7 Il carcere e la pena, Archivio di Stato,
http://www.ristretti.it/commenti/2008/agosto/pdf1/carcere_pena.pdf , p. 5
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suppliziante. Tuttavia la sofferenza, più che nel corpo, fa presa nell’anima
dell’individuo.
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A tal proposito, nell’Ottocento, si sviluppa in Italia un nuovo filone di pensiero
che ha come obiettivo il trovare una giusta funzione della pena. Gli studiosi di
questo filone fanno convergere le loro idee in quella che viene definita “scienza
delle prigioni”, una disciplina che si occupa sia del detenuto in quanto tale e
delle sue attività all’interno del carcere sia del carcere e delle sue caratteristiche
strutturali.
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Riscontriamo, in questo periodo storico, differenti sistemi penitenziari, tra cui:
a) il sistema della vita in comune in cui i detenuti vivono insieme, a
contatto gli uni con gli altri
b) il sistema filadelfiano (che a Filadelfia aveva trovato la sua prima
applicazione), basato sul principio dell’isolamento continuo (diurno e
notturno) e assoluto dei detenuti. L’individuo deve fare i conti con la
propria coscienza, rinchiuso a riflettere nella sua cella
c) il sistema auburniano (prima applicazione nel carcere di Auburn,
vicino a New York) in cui i detenuti vengono isolati di notte e nelle ore
dedicate ai pasti; è consentito tuttavia, nel rispetto dell’assoluto silenzio, il
lavoro in comune con gli altri detenuti durante le ore del giorno. La
8 Focault M.(1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino p. 19
9 Il carcere e la pena, Archivio di Stato,
http://www.ristretti.it/commenti/2008/agosto/pdf1/carcere_pena.pdf , p. 6
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prigione, in questo caso, dovrebbe simulare la società perfetta fatta di
riflessione sull’esistenza morale e di momenti di riunione.
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Secondo il filosofo e sociologo del ‘900 Foucault, la completa trasformazione
del sistema carcerario avviene il 22 Gennaio 1840, quando viene alla luce il
carcere di Mettray. E’ il modello carcerario più intenso, in cui i detenuti sono
divisi in piccoli gruppi gerarchizzati individuati in: quello della famiglia, quello
dell’esercito, quello del laboratorio, quello della scuola e il modello giudiziario.
Un modello così inteso permette di conoscere al meglio il detenuto, di
addestrarlo e di mantenere il suo assoggettamento.
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Sono sempre dei primi del ‘900 le teorie di Ervin Goffman che vedono il carcere
come un’istituzione totale. Un’istituzione si definisce totale quando ingloba
totalmente l’individuo e le sue caratteristiche sono quattro:
a) gli individui che ne fanno parte praticano le loro attività in un unico
luogo, assoggettati al potere di chi ne è a capo
b) gli individui svolgono le attività in gruppi numerosi, sotto stretta
sorveglianza
c) vi è un sistema di regole ferree che scandiscono le attività e che
standardizzano i comportamenti
10 Focault M.(1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino p. 259
11 Focault M.(1976), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino p. 324 e ss.
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d) lo svolgimento delle attività è diretto al perseguimento dello scopo
ufficiale dell’istituzione stessa
Essendo il carcere un’istituzione sociale e non naturale, necessita di essere
giustificata proprio per legittimarne l’esistenza stessa. Per questo si fa
riferimento a concetti quali la neutralizzazione, che permette di sottrarre il
criminale dalla società togliendogli la possibilità di arrecare ulteriori danni,
oppure la differenziazione sociale che permette di alfabetizzare, rieducare,
formare l’individuo consentendogli una successiva riammissione nella società,
oppure l’esercizio di autorità che permette di legittimare il potere del magistrato
nei confronti del detenuto.
Tutti questi elementi legittimano il carcere nella società moderna, che altrimenti
sembrerebbe andare contro i principi democratici.
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Ma non solo; essendo il carcere un’istituzione che deve rispondere ad un
bisogno collettivo, che è quello di mantenere la sicurezza sociale, esso può
essere paragonato ad un’organizzazione. L’organizzazione infatti sussiste
laddove vi sia l’utilizzo di risorse per il raggiungimento di una finalità. A
differenza dell’organizzazione naturale che nasce ogni qualvolta un numero “x”
di individui vive insieme, il carcere è dunque un’organizzazione formale
proprio perché ha degli obiettivi da raggiungere. Alla base vi è la comunicazione
che è ciò che delinea i rapporti gerarchici, i ruoli e gli aspetti istituzionali.
12 http://www.rivistadiscienzesociali.it/il-corpo-non-corpo-in-una-istituzione-totale-il-carcere/
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