6
CAPITOLO I
La libertà di espressione e le sue origini
1.1 Cenni storici
La libertà di espressione rientra tra quei diritti fondamentali che, come ha
affermato Norberto Bobbio, “appartengono o dovrebbero appartenere, a
tutti gli uomini, o di cui ogni uomo non può essere spogliato”
1
, nonostante
non sia stato affatto semplice ottenerne la conquista nel corso della storia.
È sufficiente volgere lo sguardo all’antichità per comprendere come il
valore attribuito alla libertà di pensiero fosse profondamente diverso
rispetto a come è concepito, ma soprattutto tutelato, ad oggi.
Se si considerano le poleis greche, la questione inerente all’affermazione
dei diritti poteva già considerarsi aperta, in quanto esse garantivano ai
cittadini unicamente le libertà politiche, ma non quelle individuali.
Successivamente con la Magna Charta libertatum, approvata nel 1215 da
Giovanni Senza Terra, ci fu il riconoscimento di alcuni diritti umani, ma
la limitazione del potere monarchico in essa stabilita, rimase circoscritta a
favore di alcune categorie e non di tutti i cittadini
2
.
A segnare un passo in avanti in merito all’affermazione di tali diritti fu il
Rinascimento, che non solo si è caratterizzato per una maggior fiducia nei
confronti della ragione umana, ma che ha anche posto le basi per lo
sviluppo del pensiero laico, nonostante l’origine di tale libertà sia da
rinvenire nel protestantesimo e nel calvinismo da cui, secondo Max
Weber, ebbe origine il capitalismo.
1
N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, p. 8.
2
I. Inglese, Diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 2.
7
Difatti ad una corrente di pensiero secondo cui i movimenti protestanti
avrebbero contribuito allo sviluppo dell’idea di una maggior libertà
religiosa, e più in particolare di pensiero, se ne contrappone un’altra che
non esitò a sottolineare quanto l’autoritarismo di stampo ecclesiastico e il
rigore repressivo verso ogni forma di dissenso religioso non fosse estraneo
al protestantesimo
3
.
Il giurista tedesco Jellinek si spinse ad affermare la derivazione della
Dichiarazione francese dei diritti del 1789 dai Bill of rights attraverso una
lettura del testo, ma in realtà le dichiarazioni in questione assumono
posizioni diverse tra di loro, anche se possiedono un aspetto in comune,
che è quello di garantire diritti che lo stato non deve creare, ma solo
riconoscere e garantire.
Fondamentale è anche la Dichiarazione di indipendenza americana del 4
luglio 1776, nella quale è avvenuto il riconoscimento di alcuni diritti
ritenuti inviolabili, tra cui la vita, la libertà e il perseguimento della felicità,
ma anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789
rappresenta “uno di quei momenti decisivi, almeno simbolicamente, che
segnano la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, e pertanto indicano la
storia del genere umano”.
4
Questa dichiarazione fu talmente rappresentativa di una nuova epoca che
fu inserita come preambolo della Costituzione del 3 settembre 1791,
all’interno della quale fu proclamato che “il fine di ogni associazione
politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo.
Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza
all’oppressione”
5
.
Nel contesto dell’Assemblea nazionale, costituita il 17 giugno del 1789, i
diritti in questione furono oggetto di dibattito, ed in particolar modo la
3
M. Firpo, Il problema della tolleranza religiosa nell’età moderna, Loescher, Torino, 1978, p.
297.
4
N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, p. 8.
5
I. Inglese, Il diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 5.
8
libertà di espressione fu contemplata con svariate formulazioni in
numerosi progetti attuativi dei diritti dell’uomo, tra cui merita di essere
ricordato il testo presentato da Lafayette, in cui si afferma che ogni uomo
nasce titolare di diritti inalienabili e imprescrittibili, tra cui rientra non solo
la libertà di espressione, ma anche la libertà di poterla manifestare con
qualsiasi mezzo.
Un accenno merita di essere rivolto anche al testo di Rabaut Saint-Etienne,
che, riferendosi al nocumento come unico limite da imporre all’esercizio
della libertà di espressione, sancisce il principio per cui “ad eccezione di
ciò in cui egli potrebbe nuocere agli altri, la società non costringe alcun
uomo nei suoi pensieri, nelle sue opinioni, nella sua religione, nei suoi
discorsi, nei suoi scritti, nelle sue azioni”
6
.
Il dibattito giunse poi all’approvazione della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo, nella quale meritano di essere considerati l’art. 10, secondo cui
“nessuno deve essere molestato per le sue opinioni” e l’art.11, che sancisce
il principio per cui “la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni
è uno dei diritti più preziosi dell’uomo”.
I diritti dell’uomo costituiscono ad oggi il risultato di un processo
evolutivo avvenuto all’interno della nostra cultura giuridica occidentale,
per mezzo del quale si è gradualmente attenuata la primigenia natura
individualistica e borghese dei diritti stessi, in quanto originariamente
rivendicati sul presupposto della loro preesistenza al potere civile, a favore
della libera iniziativa economica e della sfera personale del singolo contro
l’ingerenza dello stato. Correlativamente i principi in questione hanno
assunto nel corso del tempo una rilevanza sempre maggiore nella
dimensione sociale e in quella della partecipazione politica, nonché come
strumenti per migliorare le condizioni di vita dei gruppi sociali
svantaggiati o discriminati
7
.
6
I. Inglese, Il diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 6.
7
I. Inglese, Il diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 86.
9
1.2 L’art. 21 Cost. e il suo bilanciamento con l’art. 41 Cost.
La libertà di espressione – che ellitticamente suole chiamarsi “libertà di
pensiero” – viene definita dalla Corte Costituzionale, “pietra angolare
dell’ordine democratico”
8
, in quanto un ordinamento non può funzionare
democraticamente, in mancanza di una libera circolazione di idee
politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume
9
.
Nel nostro ordinamento la libertà di esprimere il proprio pensiero viene
tutelata e garantita dall’art. 21 Cost. e rappresenta uno dei cardini del
sistema repubblicano, ma prima di approfondire l’analisi del nostro testo
costituzionale, appare inevitabile fare un passo indietro e notare le diverse
modalità con le quali è stata concepita al tempo dello Statuto Albertino,
considerato l’antenato della Costituzione repubblicana.
Nonostante la dottrina prevalente ritenga che la libertà di espressione abbia
trovato riconoscimento sia nell’art. 26 dello Statuto, che disciplinava la
libertà individuale, sia nell’art. 28, che si riferiva alla libertà di stampa
10
,
appare maggiormente quest’ultimo l’aspetto su cui si è concentrato lo
Statuto, tant’è che nella disposizione normativa sanciva che “la stampa è
libera, ma una legge ne reprimerà gli abusi”, inserendo una riserva di legge
nel secondo periodo dell’articolo.
Oltre a questa differenza a livello contenutistico, lo Statuto si differenzia
dalla Costituzione per quanto attiene al sistema, in quanto il primo,
configurandosi come una costituzione flessibile, rimetteva alle decisioni
della maggioranza parlamentare “l’effettivo grado di tutela dei diritti così
8
Corte Cost. 17 aprile 1969, n. 84, in www.giurcost.org. Nel caso di specie la Corte Cost. ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 507 c.p. per la parte relativa all’ipotesi di
propaganda poiché, rientrante nella tutela di cui all’art. 21 Cost., è ammessa, e quindi lecita, fino
a quando non pregiudichi il metodo democratico.
9
P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il Mulino, Bologna, 1984, p. 227.
10
I. Inglese, Il diritto di critica nei luoghi di lavoro, Giappichelli, Torino, 2014, p. 12.
10
solennemente proclamati”
11
, con l’aggravante per cui, a quel tempo, i
parlamentari rappresentavano la borghesia e tutto il resto della
popolazione era esclusa dal processo decisionale, soccombendo alle
decisioni altrui.
Lo Statuto Albertino si fondava su una concezione tale per cui era lo stato,
e non il popolo, titolare della sovranità ed era anche l’unico ad avere il
potere di concedere i diritti, dal momento che si trattava di autolimitazioni
del potere sovrano, ovvero mere libertà negative in virtù delle quali il
singolo poteva opporsi alle illegittime ingerenze dei poteri pubblici nella
propria sfera individuale
12
.
Ma le limitazioni delle libertà personali, ed in particolar modo la libertà di
poter esprimere il proprio pensiero, hanno raggiunto l’apice con l’avvento
del periodo fascista, che ha imposto una concezione limitativa dei diritti
fondamentali, subordinando il loro esercizio all’esigenza del
mantenimento del potere politico costituito di carattere autoritario.
A differenza delle restrizioni subite nel periodo fascista, la nostra
Costituzione ha comportato un radicale cambiamento in merito
all’affermazione dei diritti dell’uomo, in quanto preesistenti rispetto alla
stessa organizzazione statuale, pur trovando all’interno della nostra carta
costituzionale “la loro traduzione in posizioni giuridiche soggettive”
13
.
In alcune pronunce la Corte di Cassazione ha definito il diritto di
manifestare il proprio pensiero, come una di quelle libertà “che meglio
caratterizzano il regime vigente nello stato, condizione com’è del modo di
essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale,
politico, sociale”
14
e, ancora, come “il più alto tra i diritti primari e
11
P. Carretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2011, p. 25.
12
P. Carretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2011, p. 26.
13
P. Carretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli, Torino, 2011, p. 90.
14
Corte Cost. 19 febbraio 1965, n. 9, in www.giurcost.org. Nel caso di specie, la Corte Cost., a
seguito di una questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art 553 c.p., che
sanziona pubblicamente chiunque inciti a pratiche contro la procreazione o ne fa propaganda, in
relazione all’art. 21 Cost., afferma che il precetto costituzionale che può essere richiamato per
11
fondamentali sia pure, come tutti i diritti sanciti dalla Carta fondamentale,
da doversi contemperare con le esigenze di una tollerabile convivenza”
15
.
La libertà di poter esprimere le proprie opinioni si mostra pienamente
compatibile con la forma repubblicana del nostro ordinamento, in quanto
risulta indispensabile per lo sviluppo della personalità dei cittadini e della
loro crescita culturale e a tal proposito, merita di essere considerato in
modo più specifico il primo comma dell’art. 21 Cost., che recita “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”, costituendo una garanzia non
soltanto per il diritto di esprimere ciò che si pensa, ma anche per la
possibilità di utilizzare qualsiasi mezzo nell’esercizio di tale libertà.
Tale norma oltre a contenere una “libertà negativa”, ponendosi come una
garanzia del singolo contro ogni indebita ingerenza e intervento repressivo
e incontrando come unica limitazione il riconoscimento dello stesso diritto
altrui, contempla anche una “libertà positiva” che presenta come finalità
quella di garantire non soltanto la manifestazione della propria personalità
all’interno della società, ma anche la partecipazione attiva del singolo al
buon funzionamento del regime democratico.
L’articolo in esame si differenzia rispetto all’art. 15 della nostra
Costituzione, che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza,
poiché garantisce sia la comunicazione con uno specifico destinatario, sia
la possibilità di comunicare le proprie idee a una cerchia indeterminata di
destinatari.
Come è tutelata la libertà di parola, al contempo, viene riconosciuta anche
la libertà di tacere, ovvero “il diritto a mantenere segrete le proprie
giustificare la norma impugnata sia insito nello stesso art. 21, che pone come limite il buon
costume.
15
Corte Cost. 8 luglio 1971, n. 168, www.giurcost.org. Nel caso di specie, la Corte Cost. dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 650 c.p., sollevata limitatamente
all’inciso “ordine pubblico” in riferimento all’art. 21 Cost., ove il giudice si attenga
all’ermeneutica imposta dalla lettera della norma.
12
opinioni e conoscenze”
16
che, per quanto concerne il rapporto di lavoro, è
garantito dall’art. 8, L. 20 maggio 1970, n.300, che pone il divieto di
indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,
nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine
professionale.
Ancora nel confronto con altri articoli e libertà costituzionali, da prendere
in considerazione è la libertà di espressione riconosciuta in via privilegiata
a parlamentari e consiglieri regionali ex articoli 68 e 122 Cost.: risulta
insindacabile nell’ambito dell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per
i giudici costituzionali stessi, poiché in tale sede si pone la questione sui
limiti del controllo da parte della Corte Costituzionale sulle delibere
parlamentari di insindacabilità e, quindi, su quali siano i confini delle
prerogative riconosciute in relazione all’esercizio dell’attività
giurisdizionale
17
.
La libertà in oggetto può entrare in conflitto con altri interessi
costituzionalmente garantiti e, in tal caso, si rende necessario il
contemperamento, affidato sia al legislatore che alla Corte Costituzionale,
finalizzato a stabilire quale tra gli interessi in gioco debba ritenersi
prevalente, in quanto risulta assente un criterio di gerarchia tra i valori
stessi ricavabile dalla Costituzione.
Questione centrale risulta, pertanto, comprendere entro quali limiti il
lavoratore possa esprimere liberamente il proprio pensiero, in quanto
nonostante l’ampiezza della tutela apprestata dall’art. 1 dello Statuto, è
necessario ricordare che la libertà in questione si manifesta all’interno dei
luoghi di lavoro, richiedendo necessariamente un contemperamento tra
diversi interessi, tra i quali rientra anche quello del datore di lavoro.
16
P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, il Mulino, Bologna, 1984, p. 231.
17
A. Morrone, Il diritto costituzionale nella giurisprudenza costituzionale e nelle fonti, Cedam,
Padova, 2006, p. 351.
13
Un primo limite di carattere generale si ricava direttamente dalla lettera
dell’articolo in oggetto, poiché impone il rispetto della Costituzione e delle
previsioni statutarie e, in particolare, tale libertà deve essere contemperata
con l’art. 41 della Costituzione, che garantisce la libertà di iniziativa
economica privata. Essendo necessario il bilanciamento con quest’ultimo
interesse costituzionalmente protetto, la libertà di espressione incontra una
limitazione nel normale svolgimento dell’attività lavorativa, non potendo
comportare un pregiudizio e sacrificio dell’adempimento dei doveri
richiesti dalla prestazione lavorativa.
Bisogna, quindi, garantire la coesistenza tra il diritto del datore allo
svolgimento della prestazione lavorativa e il diritto del lavoratore a
manifestare parte della sua personalità all’interno dell’azienda, dal
momento che si ricava direttamente dall’art. 1 dello Statuto, come
principio cardine, l’impossibilità di sacrificare interessi contrapposti che
siano allo stesso modo meritevoli di tutela.
Oltre a tale limitazione, se ne aggiunge un’altra attinente ad un aspetto che
riguarda più nello specifico il prestatore di lavoro, il quale ha l’obbligo di
svolgere l’attività lavorativa senza che il pensiero espresso pregiudichi lo
svolgimento della propria prestazione, nell’esercizio della quale sono
inclusi anche gli obblighi secondari provenienti dal rapporto di lavoro.
Si è a lungo discusso sulla possibilità di configurare in capo al datore
l’obbligo di organizzare il lavoro in modo tale da consentire l’esercizio
della libertà di manifestazione del pensiero: se la formulazione più
rigorosa è stata respinta
18
, si è però giunti a ritenere che la norma implichi
“un’organizzazione dell’iniziativa economica in forma d’impresa tale da
non impedire un’attività di pensiero e di espressione del medesimo su
18
G. Giugni, Lo Statuto dei lavoratori. Commentario, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 6-7.
14
materie che definiscono la personalità del lavoratore in quanto uomo e
cittadino (ex art. 41, comma 2, Cost.)”
19
.
Si considerano, a tal proposito, rilevanti il luogo e il tempo nei quali tale
manifestazione viene espressa e poiché la critica in questione avviene
all’interno dell’azienda può indurre a considerarla, a seconda della
circostanza, antigiuridica o meno, in quanto il lavoratore, facendo parte
dell’organizzazione, può avere una maggior voce in capitolo, rispetto al
cittadino comune. Ma allo stesso tempo il fatto di essere vincolato dal
contratto di lavoro può comportare una compressione della libertà di
parola, considerando però che importante è ancora una volta l’entità e
l’oggetto di tali limitazioni.
Ne discende che il dipendente è tenuto prima di tutto a rispettare i “propri
obblighi primari e secondari derivanti dal rapporto di lavoro”
20
, poiché
seppur la norma in esame non contenga un espresso riferimento al limite
del normale svolgimento del rapporto di lavoro, sarebbe irragionevole
sostenere la legittimità di una libertà di espressione che si esplichi secondo
una modalità incompatibile con l’organizzazione del lavoro.
Va sottolineato come le norme costituzionali esplichino senza dubbio la
loro validità ed efficacia anche nell’ambiente di lavoro e tale aspetto è
evidenziato anche dal fatto che la stessa Costituzione sembri riservare un
ruolo di preminenza ai valori di tutela della persona rispetto a quelli a
connotazione più strettamente economica.
19
U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, in A. Scialoja - B. Branca (a cura di),
Commentario del Codice civile, Zanichelli - Soc. ed. Il Foro italiano, Bologna – Roma, 2009,
pp. 7-8.
20
E. Costanzo, Statuto dei lavoratori. Commento sistematico alla legge 20 maggio 1970 n.300,
Giuffrè, Milano, 1972, p. 29.