Premessa.
L’attuale pandemia da SARS-CoV-2, un virus appartenente alla famiglia dei Coronavirus il
quale può provocare la malattia indicata come Covid-19 e avere gravi conseguenze
conducendo in alcuni casi ad un esito letale, rappresenta un evento di portata storica assoluta.
Innumerevoli flagelli hanno costellato la storia dell’umanità: catastrofi naturali, guerre,
migrazioni, malattie, persecuzioni.
Le pandemie accompagnano da sempre l'esperienza umana: il contatto tra uomo e specie
animali selvatiche costituisce la regola e rappresenta una situazione endemica fin da quando
l’uomo, ai primordi della civiltà, creò le prime società stanziali di agricoltori/raccoglitori.
Tale contatto, periodicamente, evolve in contagio: appare improvvisamente lo spettro
dell’epidemia o, peggio, della pandemia frutto di zoonosi, di forme virali o batteriche
provenienti da altre specie animali (Quammen, 2012/2014).
Numerose nella storia le epidemie e le pandemie: tra le più note la peste di Giustiniano, la
peste nera del XVII secolo, la febbre spagnola del 1918, tra le più recenti Aids, Sars, Mers,
Ebola.
Le grandi pandemie hanno segnato epoche, contribuito a far crollare imperi, modificato
profondamente equilibri, ispirato artisti e letterati, lasciato segni indelebili su sistemi
economici, sociali e culturali e sulla psiche collettiva.
Ma l’evento che l'umanità vive oggi è accompagnato e associato a un aspetto che si presenta
per la prima volta nella storia dell'Uomo:
la compromissione severa e globale dell’equilibrio ambientale della Terra, ormai accertata a
livello scientifico, potrebbe addirittura portare all'estinzione dell'umanità e delle altre specie
animali e vegetali oggi viventi (Diffenbaugh et al., 2020; Rockström et al., 2009; Steffen et
al., 2018).
Per ritrovare una situazione simile occorre forse pensare a quegli eventi catastrofici di
carattere ambientale che si suppone abbiano determinato, in tempi remoti, l’estinzione di
intere specie animali e vegetali.
Studi antropologici, sociologici e psicoanalitici hanno sottolineato come i fenomeni
pandemici e le catastrofi ambientali siano profondamente correlati al sentimento collettivo
apocalittico di “fine del mondo” (Grevatt, 2021) o più precisamente di “fine di un mondo”
(De Martino, 2019).
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Appare dunque essenziale cominciare a interrogarsi su quali siano le reazioni a livello
psicologico e su quali possano essere le conseguenze di questo fenomeno sulla psiche
collettiva, dato che trattasi di un’esperienza che coinvolge tutti come umanità, collettivamente
e globalmente, senza che alcuno possa sentirsi escluso.
Pur essendo largamente annunciata da altre epidemie e in un certo modo prevedibile, l’attuale
pandemia ha colto l’umanità di sorpresa e priva di difese.
Ci ritroviamo, noi uomini dell’Era Postmoderna, dotati di tecnologie raffinate, sicuri di quella
Ragione e di quella Scienza che hanno illuminato il nostro percorso, padroni del mondo e
della Natura, totalmente spaesati, impauriti, incerti su cosa ci attenda.
Gli elementi della natura, come ad uomini primitivi, ci appaiono immensi e spaventosi: l’anno
2020 si apre con il rogo australiano e l'olocausto di miliardi di animali, prosegue con il
diffondersi della pandemia, con un’invasione di miliardi di locuste in Corno d’Africa, con
terremoti e nubifragi, con esasperazioni climatiche, per chiudersi con le spettacolari eruzioni
dell’Etna.
L'anno 2021 si apre con la speranza riposta nella medicina e nei vaccini, in una soluzione
definitiva del contagio grazie all'intervento della scienza, prosegue con nuove ondate
dell'epidemia, con le incertezze causate dalle innumerevoli varianti del virus, e ancora con
nuovi e impressionanti fenomeni climatici, dalle temperature record e dai roghi della
California e del Canada, all'alluvione in Germania in pieno periodo estivo, chiudendosi con la
furia di quasi venti tornado che flagellano almeno cinque stati in USA a dicembre.
Come uomini del Medioevo in un primo momento ci siamo ritrovati ad accompagnare da
lontano la preghiera del Grande Sacerdote, solitario celebrante in un’enorme piazza vuota in
una capitale resa deserta dal contagio, nella collettiva richiesta dell’intervento salvifico di un
Dio che avevamo dimenticato. Ci siamo interrogati cercando un senso a questo evento,
ricapitolando errori compiuti e colpe da espiare. In seguito ci siamo rivolti con fiducia alla
scienza, alle sue sfide, alle sue spiegazioni e ai suoi rimedi, pronti a “ritornare come prima”.
Dopo attimi di recuperata sicurezza di nuovo abbiamo vacillato, sentendo di essere caduti
nell’inspiegabile, nel non controllabile.
Con queste premesse, il presente lavoro intende fornire qualche suggestione sul presente,
senza alcuna pretesa di completezza, limitando l’analisi al contesto psicologico, alla relazione
tra questo epocale evento e la psiche collettiva, nella consapevolezza che trattasi di un
fenomeno assolutamente complesso e difficilmente riducibile.
Nella prima parte dell’esposizione si è tentato di inserire il tema pandemico in un percorso
simbolico, attingendo agli essenziali contributi della psicologia del profondo principalmente
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offerti da Carl Gustav Jung e dai suoi allievi, intendendo così mettere in luce l’attualità
dell’ipotesi junghiana sull’esistenza di un inconscio collettivo, indagando sulla possibile
evidenza di simboli ed emersione di archetipi nel contesto storico presente (Jung, von Franz,
Henderson, Jacobi & Jaffè, 1967/2014), sulla relazione intercorrente tra realtà fisica/materica
e realtà psichica (Rovelli, 2020; von Franz, 1988/1992), sul ruolo del Mito e del Sogno come
portatori di simboli.
Nella seconda parte si sono esaminati alcuni tra i più rilevanti e recenti articoli scientifici e
reviews nei quali ricercatori e clinici hanno cominciato ad indagare le reazioni individuali e
collettive alla pandemia dal punto di vista psicologico, evidenziando l’insorgenza o
l'aggravamento di patologie, di disturbi, di disagi psicologici, con particolare attenzione ai
disturbi del sonno.
Al di là del contagio direttamente sperimentato a livello personale o familiare, è stato
evidenziato l’impatto psicologico “indiretto” causato soprattutto dalle informazioni
provenienti dai media e dalle misure di quarantena, isolamento e distanziamento sociale
adottate a livello mondiale dai singoli governi.
Da ultimo si sono riportati alcuni contributi di ricercatori e analisti che si sono concentrati
sullo studio dei contenuti onirici emergenti in pandemia e in particolare sui simboli che
appaiono nel materiale onirico.
Con l’odierna pandemia si apre sicuramente un intenso ed estremamente interessante periodo
per la ricerca scientifica in molteplici discipline.
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1. L’inconscio collettivo e il suo contenuto.
1.1 Gli Archetipi.
Improntare un discorso, una digressione sul simbolico, sull’archetipico, sul concetto di
inconscio collettivo richiede quantomeno una premessa che definisca ciò che Jung intende
adoperando tali termini.
Il concetto di inconscio collettivo è il nucleo fondante della psicologia analitica di Carl
Gustav Jung, uno dei nuclei concettuali che più lo distanzia dalla psicoanalisi freudiana e che
presenta elementi di straordinaria attualità e fecondità.
E’ un concetto che comincia a comparire, anche se in maniera ancora indefinita, già nel 1912
in “Trasformazione e simboli della libido”, con il riconoscimento di un inconscio universale,
contenente “i residui della psiche arcaica indifferenziata” (Jung, 1912, citato in Frey-Rohn,
1984, p. 135).
Il termine di inconscio collettivo appare per la prima volta in “Psicologia dell’inconscio”
(Jung, 1917-43/1983) e sta a descrivere lo “[…] strato profondo della psiche non soltanto
arcaico, ma anche universale e dotato di ubiquità.”; “[…] un fattore obiettivo, esistente da
sempre e costituente lo sfondo perennemente vitale degli eventi psichici.” (Frey-Rohn, 1984,
p.136).
La prima pubblicazione che introduce compiutamente il concetto risale al 1936 ed è in
inglese: “The concept of collective unconscious”.
Successivamente, nell’ambito della psicologia della personalità, l’inconscio collettivo
esprimerà quella condizione della psiche impersonale o collettiva, generalmente e
universalmente presente, sempre identica a sè stessa, che costituisce un inesauribile serbatoio
di simboli (Jung, 1951/1982).
L’inconscio non è dunque per Jung soltanto un “fatto” personale, individuale, non è soltanto
la terra del rimosso, il luogo ove la coscienza deposita i propri residui o nasconde i propri
traumi. E’ una dimensione anche collettiva, universale, propria di tutti i viventi.
L’inconscio collettivo è abitato dagli Archetipi, da impronte arcaiche, da Forme costituenti la
psiche più profonda.
Questa "base" straordinariamente antica, costituita da questi “tipi arcaici”, da queste immagini
primordiali, secondo Jung struttura la nostra mente e il nostro corpo, è un sistema preformato
e universale, un modello originatosi prima dell'emergere della coscienza.
Jaspers (1953, citato in De Martino, 2019) rileva che il carattere degli archetipi junghiani
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