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Introduzione
A distanza di sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione
italiana, ancora oggi si parla di una legge generale sulla libertà
religiosa che risulta essere oggetto di svariate valutazioni tutte
differenti tra loro.
Da un punto di vista giuridico, vi è da rilevare l’intrinsecità del
processo di armonizzazione dell’ordinamento alle norme
costituzionali che si manifesta ancora in certi ambiti, compreso quello
oggetto d’esame. Si ritiene ancora attuale la famosa critica riguardante
la permanenza in vigore, nonostante i molteplici interventi della
giurisprudenza costituzionale in merito, della legge 24 giugno 1929
n.1159 contenente le disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi
nello Stato e del matrimonio celebrato dinanzi ai ministri di culto
stessi, in quanto si tratta di una legge sorta in una situazione politica e
sociale del tutto diversa e non rispondente ai principi prima ancora che
alle norme della Costituzione.
Dal punto di vista della realtà fattuale che il diritto positivo è chiamato
ad affermare, è percepibile la lontananza dell’attuale società rispetto
alla società italiana dell’epoca: il secolarismo, ma anche il rapido
volgere dell’ultimo ventennio nelle forme della società multietnica e
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multi religiosa, ha sollecitato una lettura del dato costituzionale in
materia di libertà religiosa a confronto con le nuove problematiche e
le trasformazioni che la società stessa impone.
Solo alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, cioè a quarant’anni
dopo l’entrata in vigore della Carta stessa, la Corte Costituzionale ha
avvertito la necessità di precisare che il principio di laicità è uno dei
cardini supremi dell’ordinamento costituzionale.
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In realtà, la
sussistenza di tale principio era stata avvertita dalla dottrina; e
dall’altra parte il comma primo dell’art.7 Cost e del secondo comma
del successivo art.8, facevano emergere in maniera chiara il
significato, condiviso tempo addietro, della laicità come distinzione
tra ordini, nel contesto di una società in cui tutti i soggetti avevano un
riferimento comune del valore all’interno della tradizione giudaico-
cristiana.
Ma grazie al secolarismo da una parte e, dall’altro, una multi
religiosità caratterizzata dall’entrata all’interno del nostro Paese di
svariate e lontane tradizioni, ha eroso il comune riferimento valoriale
1
Corte Costituzionale, sent. 11 Aprile 1989, n. 203, in S. DOMIANELLO,
Giurisprudenza costituzionale e fattore religioso. Le pronunzie della Corte
costituzionale in materia ecclesiastica (1987-1998), Milano 1999, p.597 ss.
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ponendo in maniera nuova il tema della laicità e delle concrete
implicazioni della libertà religiosa.
Ed è proprio in questo contesto che la legge generale sulla libertà
religiosa riveste un’importanza diversa ma al tempo stesso più ampia
di quella che avrebbe potuto avere qualche decennio fa, dovendo unire
i diritti della persona e il pluralismo etico-religioso nel contesto di un
quadro di valori che comunque risulta essere necessario per la
democrazia. Quadro valoriale che, grazie ad una società pluralista,
laica e democratica, non può che essere rinvenuto in quel credo ormai
secolare e condiviso, e in special modo da condividere, che è la
Costituzione.
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Esplicando ancora la libertà religiosa all’interno dell’ordinamento
italiano, dobbiamo fare alcune osservazioni: in particolare il testo
costituzionale dell’art. 19 risulta essere molto importante ed
innovativo, soprattutto sotto il profilo del dritto alla propaganda e
confessione religiosa di cui tempo fa non si parlava assolutamente
nell’ambito dell’ordinamento italiano: effettivamente l’art.19 ha
realizzato una vera e propria rivoluzione rispetto a quanto fatto prima
2
Cfr J.MARITAIN, l’Uomo e lo Stato, tr.it., Milano 1975, p.143 ss.
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dallo Statuto Albertino che parlava di mera tolleranza dei culti diversi
dalla religione di Stato.
L’art.19 sancisce che “Tutti hanno diritto di professare liberamente
la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata,
di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto,
purchè si tratti di riti non contrari al buon costume”
3
.
L’articolo parla chiaro, anche se nel testo non si trovano accenni
relativi alla libertà di coscienza o a quella di obiezione di coscienza:
riguardo alla prima, la relativa terminologia è stata omessa perché
esistevano già altre libertà che la presupponevano e la tutelavano in
maniera diretta e indiretta; quanto alla seconda, i mancati accenni
all’obiezione di coscienza si possono spiegare in relazione ad una
scelta precisa effettuata dai Costituenti, in quanto esisteva nell’art 52
della Costituzione il sacro dovere di difesa della patria da parte dei
cittadini.
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L’evoluzione nel campo dei diritti di libertà religiosa e di coscienza è
derivato da tali fattori: vi è stato un rovesciamento radicale di
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Cfr. D.LOPRIENO, La libertà religiosa, Giuffrè, Milano, 2009
4
Art.52, Costituzione italiana:”La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo
adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio
dei diritti politici. L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito
democratico della Repubblica”.
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impostazione nei confronti dell’obiezione di coscienza che ha
chiaramente dimostrato come l’interesse di tale tematica sia stato
molto acceso.
Una prima sentenza importante a tal riguardo è la n.45/1957
(presidenza De Nicola): in tale pronuncia venne dichiarato
incostituzionale l’art.25 del TULPS nella parte in cui prevedeva
l’obbligo di preavviso per le funzioni, cerimonie o pratiche religiose
in luoghi aperti al pubblico.
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La Corte affermò che tale obbligo di previa comunicazione delle
manifestazioni e riunioni religiose, se ritenuti compatibile con la
Costituzione, non poteva considerarsi giustificato per quanto atteneva
alle cerimonie in luoghi pubblici, in quanto costituiva una violazione
dell’art.17 Cost. che disciplina la libertà di riunione; ed è proprio in
questa occasione che si sottolineò la duplicità dell’art.17 Cost.
secondo la quale la libertà religiosa poteva collegarsi alla libertà di
riunione.
La sentenza n.59/1958 dichiarò l’incostituzionalità dell’art.1 del R.D.
28 febbraio 1930, n.289 nella parte in cui richiedeva l’autorizzazione
governativa per l’apertura di templi ed oratori per esercitare il diritto
5
Corte Cost.,18 marzo 1957,n.45.
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di culto: in realtà tale sentenza negava l’esercizio del diritto di culto al
di fuori delle strutture “autorizzate” dal Ministero dell’Interno.
Tali sentenze hanno corretto delle situazioni palesi del diritto di libertà
religiosa.
Al tempo stesso si sono verificati casi di sentenze rigettate nel merito
riguardanti la questione dell’obiezione di coscienza al servizio
militare; tale tema è derivato anche da un credo laico e non
necessariamente religioso.
La prima elaborazione è avvenuta in dottrina, con scritti, contributi,
libri e articoli che affermano il riconoscimento della libertà di
coscienza e dell’obiezione di coscienza: tale maturazione aumenterà in
maniera progressiva soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, con il
quale si moltiplicheranno i casi obbiezione di coscienza dei cattolici.
Secondo molti l’obiezione di coscienza
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viene recepita a livello
normativo come una vera e propria modalità di applicazione della
norma.
La prima legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare è la
n.772/1972: solo nel 1998 con la legge n.230
7
, riconoscendosi la
6
V.TURCHI, I nuovi volti di Antigone: le obiezioni di coscienza nell’esperienza
giuridica contemporanea, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2009.
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possibilità di scegliere tra il servizio militare e quello civile, tale
obiezione di coscienza verrà riconosciuta come un diritto
fondamentale, e pochi anni dopo (dal primo gennaio 2005) verrà
abolito il servizio militare obbligatorio con la legge n.226/2004.
Ma un’altra legge importantissima in tema di obiezione di coscienza è
stata la legge n.194/1978 sull’aborto che ha posto dei seri problemi a
tal proposito: in particolare in ambito sanitario, quando tale legge
venne approvata, si pensò alla previsione di un’apposita forma di
obiezione di coscienza che, per tali fattispecie, era stata
normativamente prevista: il modo immediato con cui si disciplinò per
il personale sanitario la possibilità di obiettare ad un intervento di
interruzione di gravidanza, può essere spiegata in funzione delle
conseguenze all’interno delle quali qualsiasi soggetto cattolico si
troverebbe essendo tale atto punito dalla Chiesa con la scomunica
“latae sententiae”. In particolare, la persona può essere scomunicata
per il semplice fatto di aver cooperato a tale interruzione, non essendo
rilevante ai fini dell’irrogazione della pena canonica, la conoscenza o
ignoranza della situazione che è alla base dell’atto interruttivo.
7
Sulla legge n.230/1998, cfr P.CONSORTI, Obiezione di coscienza e servizio
civile dopo la legge230/1998, in Questione giustizia, XVII, 1998, p.841
ss;M.CANONICO, Osservazioni sulle nuove forme in materia di obiezione di
coscienza al servizio militare, in Dir.famiglia, 2000 fasc. 1, pp.363-404
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Un esempio, a tal riguardo, è stata una sentenza, la n.196/1987, con la
quale la Corte negò al giudice tutelare l’esercizio del diritto
all’obiezione di coscienza nel caso di autorizzazione di una minore
all’interruzione di gravidanza.
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Il giudice tutelare si era rifiutato di concedere tale autorizzazione
rivendicando un diritto all’obiezione di coscienza, in assenza del quale
sarebbe stato costretto a contravvenire ad un precetto della propria
fede. Tale sentenza non ha soddisfatto in pieno la tutela della libertà di
coscienza, in quanto un magistrato cattolico potrebbe trovarsi in
situazioni difficili, essendo costretto a fare da ago della bilancia tra
l’omissione di un atto d’ufficio e una decisione contraria ai propri
obblighi e doveri in campo religioso.
Un’altra forma di obiezione di coscienza è stata introdotta dalla legge
12 ottobre 1993 n. 413 a favore dei soggetti operanti nel campo della
ricerca e della sperimentazione che non vogliano partecipare a
pratiche di vivisezione.
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Corte Cost., 25 maggio 1987, n.196
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L .LOMBARDI VALLAURI, l’obiezione di coscienza legale alla
sperimentazione animale ex vivis (l. 12 ottobre 1993 n.413), in Ragiusan 2003,
fasc. 225-226, pp.492-511; V.POCAR, Gli animali non umani. Per una sociologia
dei diritti, Laterza, Bari, 2005