Laura Sensi
Tesi Magistrale
Tex-Mex: questioni di sicurezza sulla frontiera Messico/Stati Uniti
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La Familia
Un gruppo di trafficanti di droga con sede nel Michoacàn, che emersero nel 2006.
Josè de Jesùs Amezcua Contreras
Fondatore dell'industria messicana di metamfetamina.
El Chapo, boss del cartello della droga del Sinaloa, è latitante dal 2001, a seguito di una
rocambolesca evasione da un carcere di sicurezza dello Stato di Jalisco, nel Messico centrale.
La Dea (Drug Enforcement Administration, agenzia statunitense che combatte il narcotraffico) offre
una ricompensa di cinque milioni di dollari per qualsiasi informazione utile a stanare quest'uomo
che, con i suoi traffici, a partire dagli anni novanta, secondo la Dea stessa, ha messo insieme una
fortuna multimiliardaria, ha ucciso centinaia di nemici e si è guadagnato la fama di capo, ossia di
boss della droga, il più potente del Messico e dell'America latina [Drug Enforcement Administration
2009]. Le autorità messicane lo vogliono vivo o morto, così come quelle statunitensi. Anche i
nemici del Chapo, e ce ne sono a migliaia, sparsi in tutto il Messico, alle dipendenze di cartelli rivali
e di organizzazioni criminali emergenti, vorrebbero vederlo morto. Dal dicembre 2006 il governo
messicano è impegnato in una guerra senza quartiere con i trafficanti di droga del Paese e
soprattutto con El Chapo ed il suo cartello del Sinaloa. Allo stesso tempo i narcos si sono contesi
gli immensi profitti garantiti dal controllo dei corridoi del contrabbando verso gli Stati Uniti, il più
vasto mercato al mondo per le sostanze stupefacenti, nonché la produzione di marijuana,
metamfetamina ed eroina sul territorio messicano [DEA 2009].
Il prezzo pagato dal Messico per questa guerra è elevatissimo: più di 30.000 morti dalla fine del
2006. Gli omicidi sono sempre stati molto numerosi nel Paese, ma l' orrenda brutalità che
attualmente lo assedia è un fatto nuovo. Nel Sinaloa, far assassinare un rivale costa appena 35
dollari. Nel settembre 2006, cinque teste furono fatte rotolare su una pista da ballo, nello stato
centrale di Michoacàn. Alla fine del 2007, le decapitazioni erano diventate la norma, al punto da
non meritare quasi menzione nei notiziari della sera. Il 2008 ha visto l' uccisione di molti innocenti,
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massacri di tossicodipendenti nelle comunità di recupero, e decine di corpi senza vita che venivano
ritrovati ogni giorno lungo le autostrade e sui viadotti del Paese, mutilati, nudi, umiliati. Nel 2009,
quando un uomo noto con il soprannome di “El Pozolero” (il pozol è una specie di zuppa
tradizionale) confessò di aver sciolto più di trecento cadaveri nell'acido per conto di un cartello
della droga, l' opinione pubblica era ormai assuefatta all'orrore, alla brutalità e al sangue. Ci furono
più di trecento decapitazioni in Messico solo nel 2009; e ancora non si vedono i segni di un
possibile recedere della violenza [Reforma 2009, El Universal 2009].
Fu El Chapo a scatenare la guerra [DEA 2009].
Nato nel 1957 in una famiglia di contadini, crebbe nella Sierra Madre Occidental, nello Stato del
Sinaloa, nel nordovest del Messico, in un piccolo villaggio chiamato La Tuna de Badiraguato, un
migliaio di metri sul livello del mare, a circa cento chilometri da Badiraguato, località principale della
contea, dove non ebbe l' opportunità di studiare né di trovare occupazioni remunerative. Da
adolescente, però, trovò impiego presso un boss della droga locale e, grazie al suo spirito
imprenditoriale e al gusto per la violenza più bruta, El Chapo divenne negli anni novanta il boss del
cartello del Sinaloa [DEA 2009].
Oggi è considerato uno degli uomini più ricchi del mondo, ed è certamente uno dei più ricercati. Nel
2009 la rivista di economia e finanza “Forbes” lo inserì nella sua annuale classifica delle
cinquecento persone più ricche del pianeta, suscitando l' aspra reazione di chi riteneva che la
rivista, in tal modo, nobilitasse il narcotraffico. Nel corso dello stesso anno però, Forbes stilò un'
altra classifica, dedicata alle persone più potenti del mondo [Noer & Perlroth 2009]. La rivista tenne
conto di molteplici fattori, tra cui l' influenza, la disponibilità di risorse finanziarie ed il potere in
svariati ambiti. I posti a disposizione erano sessantasette, uno per ogni cento milioni di abitanti del
pianeta. Al vertice c' era Barack Obama, con Rupert Murdoch e Bill Gates tra i primi dieci. Al
quarantunesimo posto figurava Joaquìn Guzmàn.
Scriveva Forbes: “Si stima che negli ultimi otto anni abbia introdotto cocaina negli Stati Uniti per un
valore compreso tra i 6 e i 19 miliardi di dollari. La sua specialità: importazione di cocaina
colombiana, che viene poi contrabbandata negli Stati Uniti attraverso complicatissimi tunnel. Il suo
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soprannome, El Chapo, ossia il bassotto, non rende giustizia alle sue spaventose azioni:
protagonista della lotta contro le forze governative per il controllo delle vie del traffico verso gli Stati
Uniti, è responsabile di migliaia di omicidi. Arrestato nel 1993, in Messico, accusato di omicidio e
traffico di droga, è evaso nel 2001, passando presumibilmente per la lavanderia del carcere, e ha
ripreso il controllo dell'organizzazione”.
Questo è quanto si sa: l' organizzazione di El Chapo, il cartello del Sinaloa, trasporta ogni anno
negli Stati Uniti migliaia di tonnellate di marijuana, cocaina, eroina e metamfetamina. Le sue attività
interessano almeno settantotto città statunitensi [Dipartimento di Giustizia USA 2008]. Si calcola
che eserciti il proprio controllo su quasi 60.000 chilometri quadrati del territorio messicano. Il raggio
d' azione del Chapo però è globale. Il suo cartello è responsabile della distribuzione di buona parte
della cocaina consumata in Europa: è altamente probabile che le righe di polvere bianca sniffate
nei locali di Londra siano passate in precedenza per le mani degli uomini del Chapo.
Si pensa che l' organizzazione di quest'ultimo abbia acquisito in Europa proprietà e patrimoni di
vario genere, in un' ottica di ampliamento dei canali di riciclaggio del denaro. Il cartello riceve gli
ingredienti della metamfetamina dall'Asia e, negli ultimi anni, ha esteso i propri tentacoli in tutta l'
America latina fino a raggiungere l' Africa occidentale [Braun 2009, Buscaglia 2010].
Il cartello del Sinaloa è il più grande ed antico del Messico. E' una struttura complessa, composta
da molti strati e livelli, formati da decine di migliaia di uomini e gang, ma a capo di questo vasto
impero c' è El Chapo. Sebbene sia latitante, i più ritengono che egli viva tutt'ora sulle colline dello
Stato del Sinaloa o in quello di Durango, non lontano da dove ha trascorso la sua infanzia [DEA &
Procura Generale 2009]. Quella zona della Sierra Madre, al confine tra gli stati di Chiuahua,
Sinaloa e Durango, è nota come il Triangolo d' Oro. Per quel che riguarda la presenza del Chapo
però, potrebbe anche essere il Triangolo delle Bermuda. Tra le montagne del Sinaloa i possibili
nascondigli sono innumerevoli, se si riesce ad arrivarci. Piste d' atterraggio ed una flotta di aerei ed
elicotteri privati hanno facilitato di molto gli spostamenti del Chapo. Badiragauato, infatti, è l' ultima
fermata sulla mappa della civiltà prima della campagna in cui El Chapo si nasconde. Da tale
cittadina di circa 7.000 abitanti, per raggiungere La Tuna e altri villaggi che ospitano El Chapo
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bisogna guidare per cinque ore lungo sterrati ripidi e tortuosi. Quando le piogge non la rendono
impraticabile (come spesso accade tra giugno e settembre), la strada è presidiata da posti di
blocco [Funzionario di Badiraguato 2009].
Quella è una terra difficile, spesso pericolosa, abitata dalle forze della legalità e dell'illegalità e i
posti di blocco, a volte, sono organizzati dalla gente del Chapo, che è la più temuta. Del resto i
“gatilleros”, uomini armati alle dipendenze del cartello, non fanno tante domande. Nei rari casi in
cui qualche estraneo si avventura oltre il limite consigliato dalla prudenza, quegli uomini, prima di
parlare, sparano [Abitante di Badiraguato 2009].
A Badiraguato i giovani hanno poca scelta, se non vogliono diventare dei narcos, dato che lì ci
sono solo un migliaio di posti di lavoro legali. E fuori dal centro principale della contea c' è ben
poco a parte le coltivazioni di marijuana e papaveri e i laboratori dove si produce la
metamfetamina. Solo pochi fortunati riescono a trovare lavoro nell'amministrazione locale, nella
sanità o nell'istruzione pubblica. C' è chi si trasferisce nella vicina Culiacàn; i più restano a
Badiraguato e dintorni, e finiscono nel giro dei trafficanti. Si calcola infatti che circa il 97 per cento
degli abitanti della contea operi nel traffico di droga, in un modo o nell'altro. Dai coltivatori con le
loro famiglie (bambini compresi) ai giovani armati che fanno rispettare gli ordini, dagli autisti e piloti
che trasportano i prodotti fino ai politici ed alla polizia locale, quasi tutti sono coinvolti [Abitante &
Funzionario di Badiraguato 2009].
Addirittura gli abitanti di Culiacàn parlano di Badiraguato come dell'ultimo luogo al mondo in cui
vorrebbero trovarsi. Alcuni curiosi, pochi in verità, dicono che si sono sempre domandati come
dev'essere “laggiù”, ma di persona non ci sono mai andati. Quel paesotto non era mai stato così
famoso. Badiraguato, che sta per “fiumi della montagna”, è tagliata fuori da qualsiasi itinerario e
accoglie ben pochi visitatori. Gli abitanti del luogo, in generale, non erano particolarmente contenti
delle attenzioni suscitate dal Chapo e dalla guerra della droga. “Abbiamo questa pessima
reputazione”, dicevano, ”e non possiamo farci niente”. Ben pochi avevano voglia di parlare del
boss: era tabù, troppo pericoloso [Abitante & Funzionario di Badiraguato 2009]. Addirittura un
funzionario locale arrivò ad affermare di non saperne nulla: “non sappiamo neppure se questo
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famoso Chapo esista davvero” [Boudreax 2005]. Questo perché la dirigenza di un partito tende a
scegliere sindaci ed amministratori con la classica faccia da “pendejo” (imbecille) per mantenere
apparentemente l' ordine in una regione dove nessun ordine è possibile. Nonostante ciò alcuni
abitanti di Badiraguato si lamentano perché il loro attuale sindaco guadagna 650.000 pesos
(46.000 dollari) all'anno, va in giro in BMW e vive in una casa a due piani con muro di cinta che
“andrebbe bene anche per un narco”. Tutto questo in una delle contee più povere del Messico
[Abitante di Badiraguato 2009].
Tutta Badiraguato ha un che di surreale, in questo senso: invece delle strade sterrate, delle case
dai pavimenti di terra e degli edifici pubblici fatiscenti, segno distintivo dei pueblos rurali messicani,
questo paese è pulito e ben illuminato, vanta strade asfaltate di fresco, percorse da SUV e altri
mezzi di lusso. La maggior parte degli abitanti veste elegante, alla moda. Un po' troppo per gli
abitanti di un villaggio tradizionale tra le montagne messicane, che a regola dovrebbe essere
piuttosto povero. Le vie di Badiraguato sono quasi sempre deserte, diversamente da quanto
accade in molti pueblos di montagna, dove tutti sono in strada, a qualsiasi ora, per chiacchierare o
passare il tempo. Agli occhi di un forestiero, quest'aria da città-fantasma appare come l' effetto
della presenza dei narcos. Ma qui come nei dintorni non c' è particolare imbarazzo per l' origine del
denaro. Benchè i narcos come El Chapo siano considerati criminali dai governi del Messico e degli
Stati Uniti, la popolazione del Sinaloa va perlopiù fiera dei propri boss della droga e osserva un
codice di riservatezza che viene spesso assimilato all'omertà di Cosa Nostra. E' ritenuto onorevole
proteggere e rispettare i fuorilegge, come dimostra nella città di Culiacàn, un santuario dedicato a
Jesùs Malverde, venerato bandito ottocentesco che si dice rubasse ai ricchi per dare ai poveri. Con
le loro imprese, i trafficanti di droga nella regione hanno persino assunto un' aura di Robin Hood
[Astorga 2009].
Con il dilagare della guerra della droga, però, c' è chi comincia a cambiare idea. La gente ricorda
con nostalgia i tempi in cui era il solo Chapo a comandare, e non i giovani rampanti che
spadroneggiano adesso, veri fanatici della violenza che, a quanto pare, non rispettano alcuna
alleanza. Al solo udire il nome del Chapo, la maggior parte degli abitanti torna con la memoria a un
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tempo in cui il traffico di droga era ordinato; certo, la violenza non mancava, ma era El Chapo a
controllarla. Per fortuna c' è anche gente, una minoranza però, felice quando vede che ai narcos,
che si tratti del Chapo o di più giovani balordi, qualcosa va storto.
Molto interessante risulta essere la storia di questo uomo, di come, da modesto plebeo, sia
diventato uno dei più ricchi al mondo.
Le colline circostanti la Tuna di Badiraguato, Stato del Sinaloa, diventano subito molto impervie.
Dal paesino si esce lungo strade sterrate; in lontananza, i bulbi rossi dei papaveri da oppio
punteggiano i campi in quota. Ci sono anche bulbi violacei, e alcuni terreni, sul fianco delle colline,
sono pieni di bulbi bianchi, che visti dall'alto sembrano neve [Google Earth Images 2011].
Fu proprio in questa zona, nel nordovest del Messico, che i mercanti cinesi introdussero per primi l'
oppio nell'emisfero occidentale nel XIX secolo [Astorga & Amaral 2009]. E fu proprio in quel
minuscolo villaggio di poche centinaia di abitanti che vide i natali Joaquìn Guzmàn Loera, il 4 aprile
1957 [Procura Generale della Repubblica 2009].
La Tuna contava all'incirca 200 residenti, all'epoca, tutti ammassati in poco più di una dozzina di
case sparse sotto una cresta che si erige fino a 1.400 metri sul livello del mare. La Tuna ha tutt'ora
un paio di centinaia di abitanti; se si esclude una grande “finca”, una sorta di ranch, fatta costruire
dal Chapo per sua madre, l' aspetto del luogo è rimasto pressoché invariato. Ci sono due strade
che arrivano al paese e due che ne escono. Una pista di decollo ai margini dell'abitato è però il
modo fondamentale di raggiungere o lasciare quel luogo.
Come tutti gli uomini di La Tuna, il padre del Chapo, Emilio Guzmàn Bustillos era, ufficialmente,
mandriano e contadino. A parte qualche piantagione di pomodori e qualche piccolo aranceto, l'
economia locale era fondata essenzialmente sull'allevamento. La vita era dura in quella zona della
Sierra, e lo è ancora. Gli abitanti di La Tuna vivono in gran parte in case di due stanze dai
pavimenti fatiscenti. Nella zona non esistono fonti di acqua potabile. Non ci sono fognature. I
bambini gironzolano a piedi nudi per il paese e su per le colline. Ospedali e scuole sono lussi che
la gente di quelle regioni non può permettersi.
Un' istruzione decente non era nelle stelle di Joaquìn, che da ragazzino si guadagnò il soprannome
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di “Chapo” che sta, più o meno, per “piccolo e tozzo”. La più vicina tra le scuole degne di tale nome
era a un centinaio di chilometri perciò come le sorelle Armida e Bernarda ed i fratelli Miguel Angel,
Aureliano, Arturo ed Emilio, Chapo doveva approfittare degli insegnanti itineranti, perlopiù volontari,
che trascorrevano a La Tuna tre o sei mesi. Il materiale scolastico e i libri scarseggiavano e i
bambini, quando andava bene, studiavano fino all'età di dodici anni. Dopo di che dovevano
lavorare una terra così avara che i più riuscivano a malapena a sopravvivere e potevano solo
pregare e sperare in una vita migliore di quella che era toccata loro in sorte [Abitante di
Badiraguato & Autorità messicane 2009].
Villaggi come La Tuna sorgono in regioni remote e dimenticate. Il governo non esiste: c' è soltanto
un abitante della minuscola frazione che, a quanto risulta, riferisce alle autorità municipali. Esiste
una celebre storiella a proposito di un neoeletto deputato recatosi in visita in uno dei villaggi più
sperduti del suo distretto. Rivolto agli abitanti del luogo riuniti della piazza, con l' aria di chi non
scherza, disse: “Guardatemi bene bene in faccia, perché questa è l' ultima volta che mi vedrete in
questo buco di culo di posto”. Secondo questa storia, il deputato mantenne la promessa [Grayson
2008].
Gli abitanti di Badiraguato guardano quasi tutti dall'alto in basso la gente della Sierra, più o meno
come quelli di Culiacàn fanno con la gente di Badiraguato. Un funzionario dell'ufficio del sindaco fu
particolarmente netto nel suo giudizio sul villaggio in cui crebbe El Chapo: “Perché vuole andare a
La Tuna?Quel posto è fottuto” [Funzionario di Badiraguato 2009].
La violenza domestica è un fenomeno dilagante, nella Sierra, così come quella sui minori. Le
bambine vengono talvolta stuprate dagli stessi padri e dagli zii; le donne, di fatto, sono prive di
diritti. Le madri vengono rispettate dai figli ma non appena questi ultimi si sposano, il ciclo della
violenza si riproduce anche nelle nuove famiglie. La maggior parte della popolazione della Sierra è
analfabeta. L' alcolismo è una piaga diffusissima. La vita ha poco valore. Da piccoli, i maschi del
luogo tirano il collo alle galline; da grandi, non hanno difficoltà a tirare il collo ai loro simili.
I politici del Sinaloa riconoscono che la situazione nella Sierra è terribile, ma non per questo si
sentono obbligati a intervenire. “Se la gente della Sierra collabora con il narcotraffico è perché non
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abbiamo saputo offrire alla popolazione alternative di sviluppo tali da convincerla che il crimine non
paga. La gente, laggiù, nasce già implicata nel narcotraffico. Le persone sono come i computer: ti
rendono solo quel che gli si è messo dentro in precedenza” [Lòpez 2009].
Come la maggior parte dei messicani cresciuti in quella depressa regione montuosa, El Chapo, da
giovane, voleva emigrare. Suo padre lo picchiava regolarmente e quando divenne adolescente lo
cacciò di casa a calci. Il giovane Chapo andò a vivere dal nonno. Lavorava nei campi giorno e
notte. Non ebbe mai, neanche lontanamente, una vera infanzia [Scherer 2002]. Ma, a differenza
dei suoi predecessori, avrebbe trovato una via di fuga. Mentre El Chapo cresceva, nello Stato del
Sinaloa un' altra produzione andava sviluppandosi senza troppo rumore. Subito dopo la Seconda
guerra mondiale, con la domanda di morfina per usi clinici alimentata dai veterani di guerra
statunitensi, che in alternativa si rivolgevano al mercato illegale dell'eroina, il settore agricolo
cominciò a diversificarsi. L' oppio stava diventando la via più comoda per sfuggire alla povertà
abissale: la relativa tolleranza e diffusione della marijuana negli Stati Uniti negli anni sessanta e
settanta stavano creando la domanda per un' altra sostanza illegale che nello Stato del Sinaloa
poteva essere tranquillamente prodotta [Astorga 2009].
Il padre del Chapo sarà anche stato, ufficialmente, un allevatore di bestiame, ma gli abitanti del
luogo, che si ricordano di com'era La Tuna ai tempi, sostengono che fosse un “gomero”, ossia un
coltivatore di papavero da oppio, come chiunque in quel villaggio. Benchè lavorassero per conto di
altri, a quell'epoca il ruolo dei boss era svolto dalle autorità locali, politiche e di polizia, i gomeros
gestivano le loro attività come aziende a conduzione familiare. Lavoravano tutti: ogni mattina,
all'alba, i figli, quelli tra gli undici e i diciotto anni, si avviavano a piedi su per le montagne diretti ai
rispettivi campi di papaveri, dove si dedicavano al raccolto. Con tutte le cure del caso recidevano il
germoglio del papavero da cui la celebre gomma di oppio trasuda come melassa. (Un chilo di
gomma procurava alla famiglia circa 8.000 pesos, l' equivalente di 700 dollari odierni.) Nel
frattempo le figlie e le madri cucinavano le razioni di cibo che poi i figli più piccoli si caricavano in
spalla per portarle ai fratelli maggiori nel primo pomeriggio.
Il ruolo del padre non era solo quello di contadino, ma anche di negoziatore. Trattava la vendita del