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INTRODUZIONE
Il presente elaborato si propone come obiettivo quello di esaminare il tema
della libertà religiosa, ponendo l’accento in modo particolare sulle restrizioni
che tale libertà costituzionale ha subìto durante il periodo dell’emergenza
epidemiologica da Covid-19.
L’evoluzione dei diritti di libertà religiosa, pur essendosi ampiamente
sviluppata già nel corso dei secoli precedenti, ha raggiunto il suo apice con
l’avvento del costituzionalismo moderno, ossia a partire dalla fine del
Settecento.
In Italia, una tappa fondamentale nella storia della disciplina della materia
religiosa è rappresentata senz’altro dai Patti Lateranensi, celebre accordo
stipulato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica nel 1929 e revisionato dagli
Accordi di Villa Madama del 1984, grazie al quale è stato possibile mettere
fine alla cosiddetta “questione romana” e al progressivo incrinarsi dei
rapporti tra le due istituzioni che aveva caratterizzato buona parte del secolo
precedente, e con il quale è stata introdotta una specifica regolamentazione
in merito alle facoltà e ai benefici di cui poteva godere una confessione
religiosa.
Al giorno d’oggi, nel nostro ordinamento, la libertà religiosa trova un
espresso riconoscimento in alcune disposizioni della Costituzione
repubblicana del 1948, in particolare nell’art. 19 Cost., secondo il quale:
“Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne
in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon
costume”.
Alla luce di questa norma, dunque, è evidente il forte legame intercorrente
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fra la libertà religiosa e la libertà di culto, ossia il diritto di professare
liberamente la propria fede, sia in forma individuale che collettiva; una delle
più importanti forme di esercizio del culto è rappresentata dalla propaganda
e dal proselitismo, grazie ai quali ogni credo religioso può rafforzare la
propria base di consensi ed espandere i propri confini.
Oltre alla libertà religiosa, un altro principio fondamentale in quest’ambito è
quello di laicità, che, tuttavia, a differenza del primo, non è espressamente
proclamato dalla Costituzione ma è stato implicitamente ricavato dalla Corte
costituzionale nella cosiddetta “sentenza madre”, la sentenza n. 203/1989,
attraverso il combinato disposto di una serie di norme costituzionali.
Il principio di laicità assume una duplice veste: esso può articolarsi sia come
favor libertatis (se si fa riferimento agli artt. 2, 3 e 19 Cost.), ossia come
strumento di tutela della libertà religiosa e del pluralismo confessionale, sia
come favor religionis (se si considerano, in questo caso, gli artt. 7, 8 e 20
Cost.), espressione che indica, invece, la particolare attenzione riservata dalla
Costituzione al fenomeno religioso in quanto parte essenziale della coscienza
di ogni individuo e, come tale, meritevole di tutela.
Grazie al principio di laicità, dunque, emerge il valore formativo che la
cultura religiosa ha per ogni individuo; essa non deve necessariamente
corrispondere a una religione specifica, bensì, in generale, può essere
ricondotta al pluralismo religioso tipico della società civile. Inoltre, anche
l’acquisizione dei principi di base del cattolicesimo al “patrimonio storico”
del popolo italiano è stata favorita dal concetto di laicità.
Durante il periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, le istituzioni
pubbliche italiane hanno adottato una serie di misure, volte al contenimento
del contagio, attraverso le quali, in nome del diritto alla salute, è stata
fortemente compressa la libertà religiosa degli individui. Operando un
bilanciamento dei vari interessi in gioco, infatti, in una situazione di
particolare gravità come quella della pandemia in corso, è stato ritenuto
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opportuno accordare prevalenza al primo dei due valori costituzionali,
sancito dall’art. 32 Cost., a discapito della libertà di culto. Naturalmente
questa tendenza non è stata riscontrata solo in Italia ma anche in moltissimi
altri Paesi.
La tutela della salute pubblica, pertanto, ha posto la necessità di chiudere i
luoghi sacri o di limitarvi gli accessi per scongiurare il pericolo di
assembramenti, impedendo ai fedeli di esercitare liberamente il proprio culto.
Una delle principali criticità che è stata riscontrata nel modus operandi
adottato dalle nostre istituzioni per fronteggiare la pandemia da Covid-19 è
data dal fatto che tali limitazioni alla libertà religiosa (così come ad altri
diritti, libertà e interessi costituzionalmente garantiti) sono state realizzate
mediante uno strumento che, sul piano giuridico, non è altro che un atto
sostanzialmente amministrativo, ossia il DPCM, con un’insolita
concentrazione di poteri nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri.
Nella prima fase dell’emergenza epidemiologica (il cosiddetto “primo
lockdown”), inoltre, tali decreti sono stati adottati dal Governo
unilateralmente, senza alcun coinvolgimento democratico né partecipazione
delle minoranze o, in generale, delle parti sociali di volta in volta interessate
(tra cui anche le confessioni religiose).
Da questo punto di vista, bisogna tener presente anche il fatto che la nostra
Costituzione, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, non contiene
una disciplina generale sul concetto di emergenza, quindi non detta una
regolamentazione specifica dei criteri da seguire in situazioni di questo
tenore. Gli unici riferimenti espressi sono quelli relativi alle condizioni che
legittimano l’adozione di decreti-legge e allo Stato di guerra, ma
naturalmente le emergenze possono essere anche di diverso tipo; è proprio a
causa di questa lacuna che sono state riscontrate le maggiori difficoltà nel
gestire l’epidemia da Covid-19.
La situazione è migliorata nella seconda fase della pandemia, grazie al ricorso
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alla cosiddetta “procedura negoziata”: l’Esecutivo, prima di introdurre
restrizioni alla libertà di culto degli individui, ha avviato delle negoziazioni
con le parti sociali interessate – tra cui anche le comunità di fede – per
giungere alla stipula di vari accordi e protocolli, in modo tale da garantirne
una partecipazione attiva.
Uno di questi accordi è stato, ad esempio, il Protocollo per la ripresa delle
celebrazioni liturgiche con il popolo, stipulato il 7 maggio 2020 tra il
Ministero dell’Interno e i rappresentanti della Conferenza Episcopale
Italiana, con il quale si è deciso di consentire la ripresa delle celebrazioni
religiose con la partecipazione dei fedeli, a condizione che venissero
rispettate alcune misure precauzionali, come il mantenimento della distanza
di sicurezza, l’uso della mascherina, l’igienizzazione delle mani.
Un altro principio essenziale tipico della materia religiosa sul quale è stato
necessario porre l’attenzione proprio durante il periodo dell’emergenza
Covid-19 è quello della bilateralità pattizia, sancito dalla Costituzione agli
art. 7, comma 2, e 8, comma 3, Cost. Le norme in questione stabiliscono che
i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi,
mentre quelli con le altre confessioni religiose sono regolati mediante delle
intese tra le relative rappresentanze.
Ciò significa che l’intesa costituisce uno strumento essenziale per la
disciplina dei rapporti tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica, ma
non obbligatorio; le organizzazioni religiose non sono tenute a stipulare
questo tipo di accordi, fermo restando che, se non lo fanno, restano soggette
alla sola disciplina dei cosiddetti “culti ammessi” (l. n. 1159/1929), la quale
riconosce i culti diversi da quello cattolico, purché non professino principi e
non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
La ratio delle intese in origine doveva essere quella di dettare una
regolamentazione specifica che tenesse conto delle peculiarità e delle
esigenze della singola confessione religiosa. Con il passare del tempo, però,
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tale funzione è stata disattesa, e gli accordi stipulati dallo Stato con le
organizzazioni religiose hanno iniziato ad assumere un contenuto
sostanzialmente uniforme e standardizzato.
Le restrizioni alla libertà religiosa introdotte durante l’emergenza da Covid-
19 hanno sollevato perplessità anche per quanto riguarda la loro conformità
o meno al principio di bilateralità pattizia. Infatti, intervenendo
unilateralmente durante la prima fase dell’emergenza epidemiologica, il
Governo avrebbe violato la riserva di legge rinforzata prevista dalla
Costituzione per la disciplina dei rapporti con le confessioni religiose,
secondo la quale le eventuali modifiche o deroghe ai relativi accordi devono
seguire la stessa procedura prevista per la loro adozione, ossia una procedura
partecipata e bilaterale che coinvolga l’organizzazione interessata.
Nella seconda fase, invece, l’operato dell’Esecutivo ha cercato di riallinearsi
al principio di bilateralità pattizia, garantendo un maggiore coinvolgimento
delle comunità di fede e provvedendo a regolamentare il contrasto al Covid-
19 in modalità partecipata, attraverso accordi amministrativi e protocolli.
Inoltre, sono state rilevate delle criticità anche sul piano della gerarchia delle
fonti, e questo aspetto fornisce l’occasione per trattare l’argomento relativo
al rilievo costituzionale dei Patti Lateranensi e degli Accordi di Villa
Madama del 1984 (di revisione dei Patti stessi), nonché della loro
collocazione all’interno del nostro sistema di fonti di produzione.
I Patti Lateranensi godono di copertura costituzionale – e ciò significa che
non possono essere modificati né derogati da una legge ordinaria – grazie al
disposto dell’art. 7, comma 2, Cost., e oggi, dopo la riforma del Titolo V,
anche grazie all’art. 117, comma 1, Cost., che impone alla legislazione sia
statale che regionale il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali; tali Patti, infatti, si configurano a tutti gli effetti come un
accordo di diritto internazionale.
Non si può dire lo stesso, invece, per gli Accordi di Villa Madama, dal
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momento che il rinvio presente nell’art. 7, comma 2, Cost. deve essere
considerato come un rinvio di carattere fisso e statico, cioè riferito in maniera
puntuale e specifica ai soli Patti Lateranensi, e non anche a eventuali accordi
successivi, modificativi o integrativi.
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CAPITOLO I
LA LIBERTÀ DI RELIGIONE
1.L’evoluzione storica della libertà religiosa in Italia e in Europa. 1.1. I
Patti Lateranensi. 1.2. La libertà di religione nella Costituzione
repubblicana. 2. Il principio di laicità: favor religionis e favor libertatis.
3. Il concetto di emergenza nella Costituzione. 3.1. Le misure da adottare
nelle situazioni di emergenza. 4. I limiti alla libertà religiosa
nell’emergenza da Covid-19. 4.1. Il bilanciamento di interessi tra libertà
religiosa e diritto alla salute. 4.2. La legittimità del ricorso al DPCM.
4.2.1. Le criticità del decreto-legge n. 6/2020. 4.2.2. I correttivi del
decreto-legge n. 19/2020. 4.3. La procedura negoziata di adozione dei
DPCM: gli accordi con le “comunità di fede”.
1. L’evoluzione storica della libertà religiosa in Italia e in Europa
La libertà di religione è riconosciuta nello Stato di diritto e ha iniziato
ad avere piena esplicazione grazie al costituzionalismo moderno, vale a dire
nei documenti costituzionali adottati da vari Stati a partire dalla fine del
Settecento
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, e nelle dichiarazioni internazionali e sovranazionali dei diritti
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In realtà, sebbene abbia raggiunto l’apice del successo nelle
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Fra questi è possibile citare, ad esempio, la Costituzione degli Stati Uniti del 1787, la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789, le Costituzioni francesi del 1814, 1830 e 1848,
la Costituzione tedesca del 1919 e quella spagnola del 1978.
2
Ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948, la
CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali)
del 1950, il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966 e la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea del 2000.