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1.3 Disturbi innescati da eventi di vita eccezionalmente stressanti: CPTSD e
ASD
I vissuti traumatici generano nell’individuo delle risposte di stress, come esito dei normali
processi fisiologici di attacco e fuga che consentono di fronteggiare efficacemente il pericolo.
Tuttavia, può capitare che tali risposte continuino a manifestarsi nel tempo e all’interno di
contesti di vita, dove non sono presenti reali minacce per il soggetto, assumendo
caratteristiche disfunzionali e perdendo la loro funzione adattiva (Horowitz, 1986). Ciò può
portare allo sviluppo di un vero e proprio disturbo da stress che può avere forma transitoria,
rimanendo limitato ad una fase successiva all’evento traumatico circoscritta nel tempo,
oppure una forma persistente, che si mantiene anche molti mesi dopo il superamento
dell’evento stressante e che può compromettere il futuro dell’individuo.
Nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi psichiatrici (2014) vi è
un capitolo denominato Disturbi Correlati a eventi traumatici e stressanti, dedicato alle
manifestazioni psicopatologiche determinate da eventi stressanti e traumatici. Esso
comprende (APA, 2014):
a) Disturbo reattivo dell’attaccamento;
b) Disturbo da impegno sociale disinibito;
c) Disturbo da stress post - traumatico (PTSD);
d) Disturbo da stress acuto;
e) Disturbi dell’Adattamento.
La Sindrome di Stoccolma, oggetto di approfondimento di questa Tesi, può essere fatta
rientrare nell’ambito del Disturbo Post Traumatico da Stress, in particolare, secondo alcuni
autori, nel Complex Post-Traumatic Stress Disorder (Spuijbroek, Blom & Braam, 2012) o
nell’Disturbo da stress acuto (Cook et al., 2005).
Il PTSD è caratterizzato dall’esposizione diretta o indiretta ad un evento stressante o
traumatico legato a situazioni che hanno messo a repentaglio la sopravvivenza dell’individuo,
che hanno prodotto lesioni gravi o che hanno generato violenza sessuale (Demarest, 2009). I
meccanismi alla base del disturbo sono quelli legati all’abuso e alla violenza e, in generale, a
tutte quelle situazioni in cui vi è un soggetto dominante prevaricante. In condizioni di pericolo
di vita, l’istinto di sopravvivenza della natura umana porta gli individui ad adattarsi, fino al
punto di accettare, e addirittura comprendere, il proprio aguzzino.
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Dal punto di vista biologico, la Sindrome di Stoccolma e il PTSD presentano l’attivazione di
medesime aree cerebrali, come l'amigdala, che controllano le reazioni di paura (Lanius, 2010).
Il PTDS viene riportato soprattutto in soggetti che sono stati coinvolti in catastrofi naturali,
conflitti militari e/o armati, attacchi terroristici, rapimenti, torture, prigionie, incidenti e abusi
sessuali (APA, 2014). I sintomi del PTSD sono associati all’evento traumatico e riguardano:
ricordi ricorrenti e intrusivi della situazione traumatica, flashback, sensazioni frequenti
di disagio intenso, reazioni fisiologiche simili a quelle sperimentate durante l’episodio
stressante, evitamento di stimoli connessi al trauma, alterazioni del tono dell’umore, scatti
d’ira, amnesie dissociative, difficoltà sociali, alterazioni cognitive, credenze distorte su se
stessi o gli altri, ipervigilanza, stati d’ansia, comportamenti autodistruttivi, alterazione del
ritmo sonno-veglia. Il PTDS compromette il funzionamento sociale, professionale e
relazionale dell’individuo, impedendogli di vivere serenamente la sua quotidianità. Il disturbo
ha una durata superiore ad un mese e si manifesta entro i sei mesi successivi all’evento
traumatico (APA, 2014).
Quando il soggetto sperimenta traumi ripetuti nel tempo, si parla di Disturbo da stress post-
traumatico complesso (CPTSD). Si tratta di un disturbo psicologico che può svilupparsi in
risposta all'esperienza prolungata e ripetuta di un trauma interpersonale in un contesto in cui
l'individuo ha poche o nessuna possibilità di fuga (Cook et al., 2005). Il CPTSD è associato
agli abusi sessuali, psicologici e fisici cronici, alle violenze ripetute di partner intimi, alle
vittime di rapimenti, alle persone ridotte in schiavitù, ai prigionieri di guerra, ai sopravvissuti
ai campi di concentramento, ai disertori di culti o organizzazioni. Le situazioni di prigionia
e/o intrappolamento possono includere prolungati sentimenti di terrore, inutilità, impotenza e
deformazione della propria identità e del senso di sé. Rispetto al PTSD, la forma complessa
presenta una sintomatologia aggiuntiva che porta ad una distorsione dell'identità della persona
e ad una significativa disregolazione emotiva (Cook et al., 2005). Il disturbo è incluso nella
Classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi di salute correlati
dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), undicesima edizione (ICD-11). Questa
categoria di PTSD, invece, non è stata ancora adottata dal Manuale Diagnostico e Statistico
dei disturbi mentali dell'American Psychiatric Association (APA).
Il CPTSD rappresenta una riformulazione più dettagliata della precedente diagnosi del
disturbo denominato "Cambiamento di personalità duraturo dopo esperienza catastrofica"
(EPCACE) dell’ICD-10 (Brewin et al., 2017). La diagnosi di CPTSD dell’ICD-11 è composta
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da sei cluster di sintomi: tre sono condivisi col PTSD, quali re-experience, evitamento e senso
di minaccia, e tre cluster di sintomi aggiuntivi correlati ai disturbi nell'organizzazione di sé
(DSO). I DSO riguardano: una disregolazione emotiva, alterazione nel concetto di sé e
difficoltà nelle relazioni. Al contrario dell’EPCACE, la diagnosi di CPTSD non richiede un
cambiamento di personalità dimostrabile. Tuttavia, i problemi associati al CPTSD che
riflettono i disordini nell'auto-organizzazione dovrebbero essere intensi e pervasivi e
verificarsi in una varietà di contesti (Brewin et al., 2017). Nel complesso, i sintomi principali
del CPTSD riguardano (Cook et al., 2005):
a) Alterazioni nella regolazione di affetti e impulsi;
b) Alterazioni nell'attenzione o coscienza;
c) Alterazioni nell'autopercezione;
d) Alterazioni nei rapporti con gli altri;
e) Somatizzazione;
f) Alterazioni nei sistemi di significato;
g) Alterazioni nella regolazione emotiva, disforia persistente;
h) Preoccupazione cronica suicida e autolesionismo;
i) Variazioni nella coscienza, come amnesia, episodi di dissociazione, depersonalizzazione
e derealizzazione;
j) Senso di impotenza o paralisi dell’iniziativa, vergogna e senso di colpa;
k) Alterazione nella percezione dell’aggressore, con forme di idealizzazione;
l) Isolamento e ritiro, interruzione delle relazioni intime, ripetuta ricerca di un soccorritore;
m) Senso costante di disperazione.
La decisione di introdurre la diagnosi del CPTSD nell’ICD-11 deriva in gran parte dalla
revisione della letteratura empirica, dove è stato evidenziato che i soggetti che sperimentano
situazioni di forte stress ripetuto nel tempo, tendono a manifestare forme di PTSD
maggiormente complesse (Brewin et al., 2017).
Molti soggetti affetti dalla Sindrome di Stoccolma ricevono generalmente, oltre che diagnosi
di PTSD o CPTSD, anche quella di Disturbo da stress acuto (ASD) che si manifesta in seguito
all’esposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico e, rispetto alle precedenti, ha una
durata limitata nel tempo. L’ASD è inserito all’interno del DSM 5 (Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders – V) (APA, 2014) e deve essere sostenuto dalla presenza di
almeno nove sintomi appartenenti alle categorie seguenti (APA, 2014):
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a. Pensieri intrusivi: ricordi dolorosi ricorrenti, incubi, manifestazioni dissociative,
disagio intenso e prolungato;
b. Umore negativo persistente: emozioni negative ricorrenti, apatia, incapacità di provare
piacere;
c. Dissociazioni: percezioni distorte della realtà, dell’altro e di sé, fenomeni di amnesia
dissociativa;
d. Evitamento: tendenza ad evitare ricordi, pensieri, sentimenti e stimoli associati al
trauma;
e. Stato di attivazione: intense manifestazioni di rabbia e ira, ipervigilanza, auto
distruttività, problemi di attenzione e concentrazione, disturbi del sonno.
L’ASD provoca un forte disagio in chi lo vive e compromette significativamente il
funzionamento sociale, familiare e lavorativo. Si differenzia dal PTSD per la durata della
sintomatologia che può andare da pochi giorni fino ad un mese a seguito dell’esposizione al
trauma. Generalmente, una parte dei soggetti affetti da ASD può sviluppare un PTDS, tuttavia
tale evoluzione non è sempre presente (APA, 2014).
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1.4 Sindrome di Stoccolma e situazioni in cui si manifesta
Mentre inizialmente l'etichetta della Sindrome di Stoccolma era limitata ai casi di rapimento e
sequestro, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, tale disturbo è stato
esteso a diverse situazioni di violenza (Adorjan, Christensen, Kelly & Pawluch, 2012), tra
queste vi sono i casi di donne maltrattate. Dee Graham promosse l'idea che i comportamenti
esibiti da donne maltrattate, in particolare quelle che negavano il loro status o rifiutavano di
lasciare i loro partner, erano coerenti con i sintomi della Sindrome di Stoccolma (Adorjan,
Christensen, Kelly & Pawluch, 2012). Da allora questa tipizzazione è stata usata per definire
la condizione delle donne maltrattate.
Graham (1994) e i suoi collaboratori hanno affermato che per comprendere la psicologia delle
donne maltrattate è necessario focalizzarsi sul terrore che hanno sperimentano di fronte alla
violenza degli uomini (Martínez, 2018): la paura di farli arrabbiare o di essere aggredite
sessualmente induce le donne a rispondere cercando di compiacere i partners, esibendo
comportamenti femminili di sottomissione. L’obiettivo di queste vittime è quello di creare un
legame con gli aggressori per sopravvivere. La teoria di Graham si basa su due concetti
psicologici principali: la teoria della Sindrome di Stoccolma e la generalizzazione dello
stimolo. Il primo concetto consiste principalmente nel legame che la vittima sviluppa con
l'aggressore, poiché questo crea la speranza che in questo modo l'abuso si fermerà (Martínez,
2018). Il secondo concetto invece si basa su una legge scientifica della psicologia, per la quale
un animale che ha imparato a dare una risposta specifica a certi stimoli darà la stessa risposta
a stimoli diversi ma simili all’originale. Applicando questa legge alla Sindrome di Stoccolma,
ci si aspetta che una vittima mostri le stesse risposte (ad esempio: speranza e ipervigilanza)
anche nei confronti di un'altra persona diversa da quella che abusa, se questa mette in atto
atteggiamenti e comportamenti simili. Graham ha proposto che, sperimentare una minaccia di
sopravvivenza prolungata, porta la vittima a sviluppare delle strategie di sopravvivenza e dei
cambiamenti nel funzionamento personale e interpersonale, come: dissociazione, spostamento
della rabbia e perdita del senso di sé (Martínez, 2018).
I comportamenti osservati nei soggetti che sviluppano la sindrome, possono essere considerati
paradossali dalle persone esterne poiché le vittime mostrano benevolenza nei riguardi di
aggressori e individui violenti. Graham e colleghi (1994) suggeriscono che i principali
paradossi includono: professare "amore" verso chi maltratta, difendere gli aguzzini anche
dopo percosse gravi e negare o minimizzare la natura minacciosa dell'abuso (Martínez, 2018).
La vittima terrorizzata ha bisogno di sicurezza, protezione e speranza e ciò la porta ad
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ignorare il lato negativo del molestatore e ad adottare la sua visione del mondo (Martínez,
2018). La regressione, meccanismo tipicamente messo in atto degli ostaggi, porta quest’ultimi
ad assumere atteggiamenti infantili; essa è strettamente collegata alla sottomissione in cui la
vittima si trova rispetto al proprio “aguzzino” (Biagini, Zenobi, Vargas & Marasco, 2010).
Infine, Graham ritiene che i principali meccanismi alla base della sindrome includono:
distorsioni cognitive, come la negazione, la minimizzazione e la razionalizzazione dell'abuso.
Alcuni studiosi ritengono che lo sviluppo della Sindrome di Stoccolma dipenda da diversi
fattori, legati alla personalità dell’individuo e alle caratteristiche della situazione traumatica
(Martínez, 2018). Ad esempio, se la vittima si identifica con il suo rapitore, ciò può essere
dovuto a una personalità debole che renderebbe impossibile affrontare i fatti (Adorjan,
Christensen, Kelly & Pawluch, 2012; Martínez, 2018).
Al contrario, Graham e colleghi (1994) sostengono che, lo sviluppo della sindrome in
determinati soggetti piuttosto che in altri non sia dovuto alla presenza di specifiche
caratteristiche di personalità o alla storia di quest’ultimi ma dipenda dal fatto che la sindrome
sembra essere una risposta universale ad una minaccia per la propria sopravvivenza,
osservabile per altro in tutti gli esseri umani e animali.I rapporti paradossalmente positivi che
le vittime sviluppano nei confronti dei loro aggressori sono stati osservati in molte specie di
mammiferi, in particolare nei primati (Adorjan, Christensen, Kelly & Pawluch, 2012).
Graham et al. (1995), propongono quattro ipotetici precursori alla Sindrome di Stoccolma:
a) percezione di minaccia fisica e / o psicologica alla sopravvivenza, sia per il rapitore che per
l’ostaggio; b) percezione da parte della vittima (all’interno di un contesto di terrore) della
gentilezza da parte del rapitore che, per quanto piccola, fa suscitare sentimenti di simpatia nei
confronti di quest’ultimo; c) isolamento dal mondo esterno e assenza di una prospettiva di
salvezza alternativa a quella del rapitore / abusatore; d) impossibilità / incapacità per la
vittima di fuggire.
Inoltre, Graham (1994) ha realizzato una Scala per l’identificazione della Sindrome di
Stoccolma nei confronti delle donne vittime di violenza e abusi domestici che manifestano
l’incapacità di separarsi dal proprio compagno. Lo strumento è composta da 49 item
finalizzati a valutare il legame tra la vittima e l’aggressore (Martínez, 2018). L'analisi
fattoriale identifica la presenza di tre fattori principali: a) presenza della sindrome,
caratterizzata da distorsioni cognitive e altre strategie per far fronte alla situazione violenta;
b) presenza di danni psicologici, caratterizzati da depressione, bassa autostima e perdita del
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senso di sé; c) presenza del legame di amore – dipendenza tra i due soggetti, dominato dalla
credenza che non si possa sopravvivere in assenza della benevolenza del proprio aggressore.
La scala si è dimostrata efficace per l’individuazione della sindrome nelle vittime di legami
traumatici (Martínez, 2018). Nella psicodinamica della Sindrome, le vittime percepiscono una
minaccia per la propria sopravvivenza e sperano che, attraverso l’utilizzo della gentilezza nei
confronti dell’aggressore gli sarà permesso di vivere. In queste condizioni, se non esiste altra
via di fuga, le vittime spaventate negano sia il terrore che sperimentano sia l'abuso e il legame
con il lato gentile dell’aggressore rappresenta la loro unica fonte disponibile di aiuto e
possibilità di sfuggire agli abusi (Martínez, 2018).
La revisione sistematica della letteratura internazionale sulla Sindrome di Stoccolma di
Adorjan, Christensen, Kelly e Pawluch (2012) consente di chiarire che il termine può anche
essere usato come spiegazione di fenomeni osservati in situazioni in cui sono presenti atti che
limitano la libertà personale. L'ampliamento del significato dell'etichetta della Sindrome di
Stoccolma e la sua applicazione in una gamma sempre crescente di situazioni è un buon
esempio di espansione del dominio. Tale concetto è stato osservato anche in relazione ad
alcune etichette mediche, dove quelle già esistenti sono state ampliate e rese più inclusive
(Adorjan, Christensen, Kelly & Pawluch, 2012).
La Sindrome di Stoccolma è stata anche utilizzata per descrivere le reazioni dei minori
sottoposti ad abuso sessuale, in particolare nei confronti di coloro che manifestavano
resistenza alla denuncia dell’abuso alle autorità o ad altri soggetti. Diversi autori hanno
collegato la Sindrome di Stoccolma alla prostituzione e al traffico sessuale.
Infine, l'etichetta è stata anche applicata a coloro che hanno subito incesti, ai prigionieri di
guerra, ai membri di culti, sette e organizzazione criminali / terroristiche. Dunque, la
Sindrome di Stoccolma è diventa un’espressione generalizzata, usata dagli esperti per riferirsi
a una serie di situazioni in cui è presente sia una differenza di poteri tra i soggetti, sia un
controllo mentale che distorce la percezione della realtà che le vittime hanno (Adorjan,
Christensen, Kelly & Pawluch, 2012).
1.4.1 Sindrome di Stoccolma e abuso sessuale sui minori
L'abuso di minori è un grave problema sociale che espone i bambini a conseguenze fisiche e
psicologiche molto gravi. Ogni individuo che maltratta un minore è ritenuto un abusatore.
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Secondo gli studiosi (Santhosh, 2016), i soggetti che perpetrano abuso sui minori sono
individui egocentrici e narcisistici che mancano di fiducia in sé stessi, di controllo degli
impulsi e sono carenti di empatia; presentano spesso fallimenti nelle loro relazioni coniugali
che possono essere abusive, disfunzionali o angoscianti. Alcuni soffrono di problemi di salute
mentale e ritiro sociale (Santhosh, 2016). I comportamenti abusivi possono essere classificati
in non sessuali e sessuali: Tra gli abusi non sessuali, vi è la punizione corporale, usata in
alcune culture come strumento per impartire la disciplina nei confronti dei minori, ignorando
le conseguenze negative sullo sviluppo di quest’ultimi.
Numerosi studi sui fattori di vulnerabilità all’abuso su minori hanno indicato che il genere
maschile è più predisposto (Santhosh, 2016), rispetto a quello femminile. Inoltre, i padri
abusano più frequentemente rispetto alle madri (Santhosh, 2016). Le madri biologiche con
problemi di salute sono più vulnerabili alla messa in atto dell’abuso e possono aver
sperimentato a loro volta abusi nell’infanzia. Altri abusatori possono essere nel 29% dei casi i
partners maschili delle madri (Santhosh, 2016); gli abusi perpetrati da soggetti senza legami
biologici con le vittime possono assumere tratti particolarmente violenti.
Alcuni studi hanno evidenziato che, i bambini che vivono con adulti che non sono parenti
vanno incontro ad un maggiore rischio di abusi barbarici, rispetto a quelli che vivono con i
genitori biologici (Santhosh, 2016). La presenza di un caregiver che non ha legami di sangue
col bambino è uno dei più forti predittori di maltrattamento mortale infantile (Santhosh,
2016).
Generalmente, si presume che i bambini vittime di abusi sessuali non siano in grado di
rivelare il crimine per incapacità di parlare o di denunciare alle autorità competenti, oppure
per incapacità di inquadrare la loro esperienza come abusiva. Queste non sono le uniche
ragioni; spesso si creano dinamiche relazionali tra abusatore e abusato che ne impediscono il
disvelamento all’esterno (Jülich, 2005). Meccanismi psicologici tipici della Sindrome di
Stoccolma, possono portare i minori a provare sentimenti positivi verso gli aggressori, da cui
il più delle volte dipendono, come forma di adattamento finalizzata alla sopravvivenza.
Secondo alcuni studi, tutti i casi di abuso sessuale sarebbero influenzati dai sintomi della
Sindrome di Stoccolma e le vittime solitamente sono portate a considerare l’abusatore come
appartenente alla propria rete familiare o sociale (Jülich, 2005).
Graham ha suggerito alcuni indicatori che servono come guida per determinare la presenza
del disturbo (Jülich, 2005):
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▪ la vittima mostra sintomi di trauma in atto o disturbo post – traumatico da stress;
▪ la vittima è legata al colpevole;
▪ la vittima si sente gratificata dai pochi gesti di gentilezza che riceve dall’abusatore;
▪ la vittima nega la propria rabbia agli altri e a sé stessa;
▪ la vittima mantiene uno stato di ipervigilanza verso i bisogni dell’aggressore, al fine di
assicurarsi la sua felicità e limitare i danni per la propria sopravvivenza;
▪ la vittima vede il mondo dal punto di vista dell’abusatore;
▪ la vittima vede i soccorritori come i "cattivi" e l'autore del reato come il "bravo
ragazzo" o il protettore;
▪ la vittima teme rappresaglie da parte dell'autore del reato.
Spesso il legame tra i due soggetti è presente ancora prima dell'inizio degli abusi sessuali,
infatti, senza una relazione preesistente stabilita, l'abuso cronico non potrebbe persistere
(Jülich, 2005). La relazione di potere tra adulto e minore, combinata con un legame affettivo
consolidato, consente al pedofilo di sfruttare il minore, sicuro di non essere denunciato.
Lo sviluppo della Sindrome di Stoccolma dipende da diversi fattori (già precedentemente
esposti) uno dei quali è la percezione che le vittime hanno di poter fuggire. Alcuni studi
hanno rivelato che quest’ultime, anche in età adulta, continuano a credere nella loro incapacità
di fuggire, a causa delle distorsioni cognitive sviluppate in seguito all’abuso (Jülich, 2005).
Le vittime minorenni di abusi sessuali che scelgono di denunciare, potrebbero non essere
comprese nelle loro motivazioni, per via delle dinamiche della sindrome che appaiono di
difficile comprensione da parte dei soggetti esterni alla relazione duale. Infatti, a causa
dell'impatto della Sindrome di Stoccolma, le risposte delle vittime di abusi sessuali potrebbero
essere interpretate erroneamente dagli estranei come manifestazioni di consenso verso
l’aggressore. Per questo motivo, è fondamentale per il recupero di questi soggetti che vengano
trattati nell’ottica del modello della Sindrome di Stoccolma per una corretta comprensione del
loro caso (Jülich, 2005).
Gli studiosi hanno mostrato che esiste una vasta gamma di problemi sociali, psicologici e
somatici collegati all’abuso sessuale infantile. Questi problemi includono: disturbi del sonno,
disturbi alimentari, auto-mutilazioni, isolamento sociale, comportamento antisociale,
disfunzione sessuale e disturbi dell'attaccamento (Somer & Szwarcberg, 2001). Le
conseguenze dell'abuso nelle vittime minorenni comprendono il trauma immediato e gravi
esiti evolutivi caratterizzati da una compromissione della fiducia, dell'intimità, della sessualità