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economico scambiato. In sostanza, l’approccio relazionale correla la durabilità
aziendale alle scelte dei clienti nel medio-lungo periodo e, dunque, ad una soddisfazione
durevole.
1.2 L’estensione dell’ambito di applicazione: il marketing sociale
1.2.1 Può o deve il marketing spaziare nel sociale?
Dalla lettura della precedente sezione, si evince come il marketing abbia avuto un ruolo
determinante nella crescita del sistema delle imprese e nella commercializzazione di
beni e servizi. Servendosi del marketing, il sistema capitalistico ha di fatto realizzato lo
sviluppo economico del mondo avanzato, al costo, però, di consistenti esternalità
negative, tra le quali:
• deterioramento e inquinamento ambientale;
• consumo delle risorse naturali e fisiche ad un ritmo superiore al loro rinnovo;
• incremento della concentrazione della ricchezza, sia all’interno dei paesi, che nel
confronto tra paesi ricchi e poveri;
• crescente inurbamento della popolazione e conseguente deterioramento della
qualità della vita;
• sfruttamento del lavoro.
Si badi bene: il marketing è una scienza neutra, dotata però di strumenti estremamente
efficaci; tutt’al più, questa deve rispondere della grande quantità dei soprusi di coloro
che la applicano prescindendo dai valori etici, che pure nella disciplina sono considerati.
Studiosi e ricercatori di marketing hanno da sempre dovuto confrontarsi con una cattiva
reputazione, proprio attribuibile a coloro che violentano il marketing e i suoi strumenti
per fini non meritevoli. La “mano invisibile” del capitalismo, poi, è da sempre orientata
al soddisfacimento dei bisogni contingenti e individuali, sacrificando quelli collettivi e
di lungo periodo che d’altro canto, pure sono considerati nel marketing.
È per tali ragioni che i maggiori sforzi e contributi in letteratura sono stati proprio
orientati a espandere l’applicazione del marketing, mostrando il ruolo positivo
investibile per il progresso e quanto possa essere benefico non già alla soddisfazione di
un capriccio; quanto al perseguimento del benessere sociale. Il marketing, dunque, non
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deve essere demonizzato, al contrario il suo ingresso nella sfera sociale consentirebbe
un maggior successo dei messaggi di cambiamento della società lanciati da enti,
associazioni e organizzazioni che non hanno il lucro come fine ultimo della loro azione,
come numerosi esempi storici studiati in letteratura dimostrano.
Già nel 1952, G.D. Wiebe si chiedeva; “Why can’t you sell brotherhood like you sell
soap?” (citato in Kotler & Zaltman, 1971). La provocazione lanciata da Wiebe non
passò inosservata agli studiosi dell’epoca, che negli anni susseguenti definirono il
marketing sociale. Wiebe esaminò come le campagne sociali che utilizzavano le
moderne tecniche di marketing riscontravano un successo maggiore rispetto a quelle che
non ne facevano uso. Egli analizzò le campagne in relazione a cinque aspetti:
1) Forza. L’intensità dimostrata dal destinatario quale combinazione sia della sua
predisposizione a priori, sia degli stimoli del messaggio comunicativo;
2) Direzione. Conoscenza di come e dove la persona potrebbe giungere se non
dovesse possedere la motivazione
3) Meccanismo. L’esistenza di una infrastruttura o delle condizioni che permettano
di tramutare la motivazione in azione;
4) Adeguatezza e compatibilità. Deve essere ricercata una proporzionalità del
compito richiesto, così da consentire l’esecuzione dell’azione auspicata;
5) Distanza. La stima realizzata dall’audience sull’energia e sui costi richiesti in
relazione ai benefici.
Wiebe riscontrò come le campagne che tenevano in debita considerazione questi fattori,
si rilevavano di successo, al contrario di altre: in particolare egli analizzò la campagna
promossa da Kate Smith per la vendita di titoli di stato durante la Seconda Guerra
Mondiale. Questa registrò un grande successo per la grande presenza di forza
(patriottismo), direzione (chiarezza del messaggio dell’acquisto di bond), meccanismo
(banche, uffici postali e numeri telefonici garantivano una facile accessibilità
all’acquisto di titoli), adeguatezza e compatibilità (i diversi tagli di bond consentivano
l’acquisto a seconda delle possibilità) e distanza (facilità di compravendita data dalle
caratteristiche del titolo) (Kotler & Zaltman, 1971).
Il marketing, dunque, è disciplina attinente non soltanto le imprese aventi scopo di
lucro, ma i suoi strumenti possano essere adoperati con successo da associazioni ed enti
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no profit, al fine di ottenere miglioramenti auspicabili nella società. Così il marketing
diviene patrimonio di quanti, compresi i singoli cittadini, ricerchino un mutamento per
il benessere sociale, attraverso la promozione di idee e comportamenti. Il “social
marketing” è definibile come “l’utilizzo delle strategie per influenzare un gruppo target
ad assumere, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, al fine
di ottenere un obiettivo a loro vantaggio o a vantaggio della collettività” (Kotler,
Roberto, & Lee, 2002, p. 5).
1.2.2 La contestata conciliazione tra il sociale e il mercato
Già lo stesso Kotler evidenziava come il nascente marketing sociale fosse visto con
sospetto da numerosi studiosi comportamentali, in quanto questi scorgevano
nell’applicazione di metodi e tecniche commerciali per il perseguimento di obiettivi
sociali una dimostrazione dell’incapacità del capitalismo di auto controllarsi (Kotler &
Zaltman, 1971). Emerge, tuttavia, come l’analisi effettuata dagli studiosi del marketing
sociale sia una naturale illustrazione di quanto già avveniva: il marketing era ed è la
disciplina in grado di fornire quegli strumenti che garantiscono una maggiore incisività
alle intraprese degli attori, a prescindere dalla presenza o meno dello scopo di lucro,
perché focalizzate sulla conoscenza del gruppo target e sulla sovranità del destinatario.
Proprio l’approccio di marketing ha consentito il superamento dell’approccio alla
vendita, che poneva al centro l’azione commerciale dell’impresa, impegnata a reperire
consumatori cui vendere con qualsiasi mezzo la produzione realizzata; per riconfigurare
tutta l’organizzazione dal cardine del consumatore al fine di soddisfare i bisogni e
desideri di quest’ultimo.
La parola “marketing” ha sofferto e soffre di una cattiva reputazione: spesso sui social
media e nel linguaggio comune è associata ad azioni commerciali aggressive, truffe e
promesse inconsistenti che non troverebbero poi riscontro in azioni concrete (Marino,
Resciniti, & D’Arco, 2020). È bene ribadire, pertanto, la dignità della parola marketing,
il cui accostamento a parole quali “sociale” e “politico” potrebbe essere visto con
sospetto da chi non è conoscitore della disciplina. Un’ ulteriore precisazione, ritenuta
necessaria per quanti possano trovare preoccupante l’accostamento delle parole
“market” e “politica” è la seguente: con la parola mercato, nella sua accezione più
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ampia, si intende il luogo figurato dell’incontro tra domanda ed offerta, avente non
necessariamente il carattere strettamente dettato dalla onerosità della transazione.
Forte del grande accumulo di casi di successo teorici ed empirici del marketing sociale,
possiamo affermare come questo abbia raggiunto robustezza e maturità tali da essere
oggi praticato da imprese che contemperano lo scopo di lucro con il perseguimento di
cause sociali: sempre più lo studio del marketing è oggi imprescindibile ed appare
chiaro come sia indipendente dalla presenza dello scopo di lucro. È proprio in seno al
sociale, che tanti studiosi hanno cominciato ad analizzare, sotto la prospettiva di
marketing, più specificamente l’ambiente politico, oggetto del presente elaborato. Del
resto, è alla politica assegnato il compito di governare e soddisfare buona parte dei
bisogni delle collettività dei vari paesi del mondo.
1.3 Il marketing politico
1.3.1 Il marketing politico esiste?
Nel 1969 Joe McGinniss pubblica un libro, divenuto poi best-seller, riguardante la
campagna elettorale condotta un anno prima per la corsa alla presidenza USA del
candidato Richard Nixon. Il libro, dal titolo eloquente, “The selling of the President,
1968”, descrive la strategia adottata dal futuro presidente degli Stati Uniti, fondata su un
massiccio uso della televisione: pubblicitari, uomini di pubbliche relazioni, copywriter,
fotografi e personaggi dello spettacolo si coordinarono per creare l’immagine che
avrebbe reso Richard Nixon il brand preferito dagli americani. Emergeva così, in quegli
anni, una prima consapevolezza dell’importanza della conduzione di una campagna
elettorale con gli strumenti del marketing: quest’ultimo poteva essere utile non già alla
vendita di beni di largo consumo, ma alla promozione di idee e ideali. Da allora, la sub-
disciplina nascente del marketing politico ha registrato significativi progressi, con
contributi in letteratura dalla grande consistenza sia in termini di scala che di valore,
acquisendo una via via crescente e distinguibile identità (Butler & Harris, 2009). Ciò a
causa di numerose spinte centripete provenienti da più parti: la già citata espansione
della disciplina del marketing oltre i prefissati confini rivelatisi innaturali, l’esigenza di
restaurare la politica e riavvicinarla al cittadino, l’avvicinamento del management
pubblico al modello privatistico, il cambiamento dei modi di comunicare e l’evoluzione
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dei media quali nuove agorà del dibattito pubblico. Ricercatori, manager, uomini
politici e di comunicazione, cittadini e figure professionali aventi retroterra culturali
differenti hanno tutti contribuito alla convergenza verso la definizione della materia del
marketing politico.
1.3.2 Divergenze e convergenze tra il marketing politico e convenzionale
L’ identificazione di una branca di studio distinguibile dal nome “marketing politico”
impone il contemperamento di due esigenze, per certi versi antitetiche: quella di
dimostrare l’effettiva sussistenza di parallelismi per concetti, metodi e strumenti tra il
marketing convenzionale e l’attività politica; nonché l’emersione di differenze e
divergenze senza le quali non si potrebbe giungere alla definizione di una materia a sé
stante, ma alla semplice applicazione dei principi di marketing al campo politico.
In effetti, l’applicazione del marketing alla politica è giustificabile in virtù di numerosi
combaciamenti, sia riguardo ai concetti (segmentazione del mercato, targeting,
posizionamento, marketing mix, fedeltà), sia riguardo agli strumenti adoperati (ricerche
di mercato, canali di comunicazione adoperati, pubblicità). Tuttavia, a giudizio di alcuni
studiosi, il prodotto politico, che sia un candidato piuttosto che un partito, è
caratterizzato da contorni meno definiti rispetto ad un prodotto appartenente a qualsiasi
altra categoria merceologica quale potrebbe essere, ad esempio, un soft drink
(Hampson, John, & Goldberg, 1986).
Andrew Lock e Phil Harris (1996) avevano puntualizzato sette sostanziali differenze tra
il marketing politico e quello convenzionale.
1) I soggetti legittimati al voto effettuano la loro scelta definitiva insieme, negli
stessi giorni in cui hanno luogo le elezioni: così non è nel mercato dei beni, dove
i consumatori possono acquistare i prodotti in qualsiasi momento, in base ai loro
bisogni e al potere d’acquisto contingenti: a tal fine sono sviluppati sistemi di
previsione che cercano di analizzare l’andamento della domanda dei beni nel
tempo. Sebbene tali sistemi previsionali possano essere assimilati ai sondaggi
sulle intenzioni di voto, a ben vedere i primi sono basati su dati storici di
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vendita, i secondi su intenzioni di voto campionarie, che potrebbero essere
diverse dai risultati finali. La natura del prodotto politico è, a ben vedere, ad
offerta illimitata: non sono infatti contemplate crisi derivanti dall’incapacità di
soddisfare la domanda.
2) Nell’acquisto di un bene, il consumatore ha modo di conoscere il suo prezzo.
L’elettore, invece, non è a conoscenza del costo che dovrà sostenere effettuando
una scelta di voto piuttosto che un’altra: tutt’al più, questi potrà prevedere le
conseguenze della sua decisione, stimando i guadagni e le perdite in un’ottica di
lungo periodo derivanti dalla sua scelta. Tuttavia, le aspettative dell’elettore
potrebbero essere deluse durante il governo della forza politica eletta: tale
insoddisfazione, peraltro, è più frequente rispetto a quella eventualmente
susseguente l’acquisto di un bene.
3) L’elettore deve attenersi al risultato finale del voto, anche nel caso in cui avesse
espresso una preferenza di voto diversa. La scelta da parte dell’elettore si
configura dunque come una scelta collettiva, frazionata in tante scelte
individuali. Al contrario, il consumatore è sovrano delle sue scelte: un tentativo
di imporre un prodotto differente da quello prescelto sarebbe percepito come un
sopruso.
4) “Winner takes all”. I vincitori delle elezioni politiche sono assimilabili al
monopolio di mercato, compatibilmente alle normative nazionali sulla
rappresentatività delle opposizioni. Nella competizione di altri mercati, invece, il
monopolio è condizione difficilmente raggiungibile.
5) Il partito politico o il candidato è un prodotto complesso, fatto dell’insieme delle
idee espresse sui diversi temi, che non può essere scisso o scelto parzialmente.
Sebbene vi siano anche alcuni prodotti e servizi commerciali che non possono
essere scissi, i consumatori possono in qualsiasi momento cambiare idea e
scambiare i prodotti non di loro gradimento. In caso di ripensamento, al
contrario, l’elettore deve necessariamente attendere le elezioni successive.
6) L’introduzione di un nuovo partito politico è un processo complesso e
circoscritto nel tempo. Inoltre, difficilmente un partito riesce a scavalcare i
confini nazionali: finora non vi sono state esperienze di partiti sovranazionali o
multinazionali, tolta l’esperienza dei gruppi politici transnazionali del
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Parlamento Europeo. Al contrario, numerosi sono i brand di beni e servizi che
sono capillarmente diffusi globalmente grazie alla globalizzazione.
7) Le imprese leader in un mercato tendono a mantenere e consolidare la loro
posizione di mercato. I partiti politici, d’altro canto, tendono a degradare il
successo elettorale conseguito con grande facilità a causa di più ragioni che
verranno in seguito esaminate.
Nella transizione dal marketing convenzionale a quello politico, dunque, a mutare è non
solo l’oggetto del giudizio, ma anche l’importanza dello stesso: l’acquisto di un
prodotto fisico o di un servizio è maggiormente legato ad attributi specifici di questo o a
esperienze passate di soddisfazione, la scelta di un prodotto complesso come quello
politico è invece in maggior misura legata ad informazioni astratte, al grado di
comprensione delle tematiche da parte del cittadino, nonché alla sensibilità che questi
sviluppa rispetto alle stesse.
Le succitate differenze suggeriscono dunque prudenza nell’assimilare il partito politico
ad un brand commerciale: tenendo ferme le similitudini esistenti prima evidenziate, le
molte diversità hanno generato una copiosa produzione accademica che ha fatto sì da
considerare il marketing politico quale branca di studi rappresentante un unicum dai
contorni ben delineati, con suoi modelli prescrittivi e predittivi.
Per la prima volta adoperato da Stanley Kelley nel 1956 nel libro dal titolo
“Professional Public Relations and Political Power” (citato in Lock & Harris, 1996), il
marketing politico è stata definito come la disciplina derivante dal matrimonio tra le
scienze politiche ed il marketing (Lees-Marshment, 2001), frutto dell’applicazione della
teoria di marketing management alla pratica e alla teoria politica, sull’assunzione che
l’attività politica presenti insistenti analogie alle tradizionali condizioni di marketing
(Kaskeala, 2010). Il marketing politico riguarda, secondo la definizione data da Lilleker,
“il raggiungimento di decisioni e il grado di influenza che si ha sulle stesse, la
formulazione di strategie e la creazione di proposte politiche in grado di soddisfare
bisogni e desideri della società. Quest’ultima scambia la propria rappresentanza con la
soddisfazione dei bisogni e desideri.” (citato in Lees-Marshment, 2009, p.29)
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1.3.3 L’evoluzione dell’orientamento delle campagne politiche: dal party-
concept al marketing concept
Bruce I. Newman (1994), osservando il mutamento delle campagne presidenziali
americane, ha descritto l’introduzione del concetto di marketing nella sfera politica
definendo quattro stadi susseguenti, come evidenziato in Figura 1.4 (p. 32).
Figura 1.4 I diversi orientamenti delle campagne politiche
Fonte: adattamento da Newman (1994)
1) Party concept. l’organizzazione partitica opera con un focus interno: le scelte
sono prese in considerazione delle informazioni e delle idee provenienti dagli
uomini fedeli di partito, quest’ultimo è spesso guidato da un uomo forte,
carismatico e accentratore nei confronti del quale i collaboratori assumono un
atteggiamento servile. Ove si verificava tale approccio (non ancora del tutto
scomparso, in verità), le campagne elettorali si svolgevano ponendo un maggior
accento sull’uomo, più che sulle ideologie, esaltando le presunte capacità
individuali nella gestione dei problemi del paese.
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2) Product concept. Seguendo tale approccio, la relazione tra partito e uomo
politico è ribaltata: scopo dell’organizzazione diviene quello di rinvenire il
candidato migliore possibile al fine di rappresentare al meglio le idee di partito.
Bene ultimo da preservare è dunque il partito e non l’uomo politico, che con
fedeltà e spirito di servizio ne supporta l’azione secondo le sue capacità.
3) Selling concept. In tale stadio evolutivo, il baricentro della campagna elettorale è
per la prima volta spostato verso l’esterno dell’organizzazione: si analizzano le
reazioni dell’elettorato alle apparizioni sui media del candidato, facendo sì di
esaltare gli aspetti graditi e incrementare il consenso. Tale approccio, come il
precedente, mantiene tuttavia un focus sul candidato.
4) Marketing concept. è in tale ultimo stadio che si identificano prioritariamente i
bisogni dei cittadini, per sviluppare idee a supporto del soddisfacimento di tali
bisogni. L’azione del partito politico è dunque guidata dall’elettore e non più dal
candidato.
Ad una classificazione simile giunge Lees-Marshment (2001, 2003), nel dettaglio
analizzata nella sezione 2.6, distinguendo il passaggio dall’orientamento alla
produzione, a quello alla vendita e, dunque, al mercato.
Superata la questione della legittimazione della disciplina del marketing politico, appare
necessario approfondire come il “marketing concept” sia stato calato nella sfera politica,
quali siano i contesti e le modalità di applicazione esplorati in letteratura nelle diverse
prospettive di modellizzazione.