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INTRODUZIONE
La tesi trae origine dall’interesse sorto a seguito della scoperta della
flessibilità strutturale dello strumento trust familiare che, assieme ad
altre fattispecie di patrimoni separati di fonte legislativa, conferma la
tendenza a passare da un sistema basato sulla generalità della
responsabilità patrimoniale di famiglia ad un sistema che valorizza la
specializzazione di tale responsabilità prevedendo, programmando e
destinando con largo anticipo, limiti, scopi e rischi.
Il trust familiare viene istituito per durare decenni, per andare oltre le
vite di tutti coloro che sono coinvolti, garantendo un futuro sicuro ai
propri figli, ai propri nipoti, a famiglie di diritto, acquisite o di fatto o
anche a legami personali qualche volta riservati evitando dispersioni
di ricchezza, pignoramenti, fallimenti: spesso non è importante che i
propri eredi o beneficiari abbiano la piena proprietà dei nostri beni,
bensì che ne godano il più a lungo possibile ancor più se i propri
discendenti o familiari non hanno, per motivi attitudinali o genetici o
psico-fisici, le capacità necessarie per gestire questi beni o, in generale,
dei patrimoni familiari più o meno cospicui.
Molti pensano che i trust familiari siano qualcosa di esotico, un
escamotage fiscale riservato solo a grandi e ricche famiglie; è, invece,
importante capire la semplicità di fondo dello strumento trust
familiare, la sua adattabilità alle proprie più disparate necessità siano
esse quelle di proteggere il risparmio e gli asset di famiglia dai rischi
dei nuovi imprevedibili scenari economici o quelle di risolvere
conflitti generazionali tra fratelli, genitori e figli, evitando che il nostro
non agire permetta che di questo, di noi, della nostra famiglia, se ne
occupino gli altri, il Fisco, i Tribunali
1
.
Con specifico riferimento ai trust interni, il trust familiare vuole
rispondere ad una carenza legislativa nazionale che non prevede
adeguati ed efficienti strumenti di gestione del patrimonio al di fuori
dell'ambito commerciale e soprattutto societario, essendo il nostro
codice civile strutturato, nella gestione del patrimonio, sull’archetipo
societario; nel diritto dei trust, invece, a differenza che nel diritto
1
PARETE, Il trust per tutti, Milano, 2020, 17 ss.
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societario, non esistono modelli tipo ma piuttosto principi di diritto
applicando e rispettando i quali si possono costruire infiniti modelli
di trust su misura ai diversi motivi di istituzione, siano essi
filantropici, assistenziali, imprenditoriali, di garanzia o, per l'appunto,
familiari: ogni trust è unico.
I soggetti tipici del trust familiare, che più in generale caratterizzano
quasi tutti i trust, sono il Disponente, il Trustee, il Beneficiario ed il
Guardiano con l’apporto esterno di alcune figure professionali.
Solitamente il Disponente trasferisce dei beni al Trustee il quale,
divenendone proprietario, li gestisce preservandoli e possibilmente
accrescendoli; a controllare il Trustee vi è il Guardiano il quale, a sua
completa discrezione ed anche senza motivazione alcuna, ha
addirittura il potere di rimuoverlo.
Beneficiario, invece, può essere chiunque, può capitare che essi,
quando sono più di uno, non si conoscano neppure tra loro, oppure
che, ed è questo il caso dei Beneficiari inconsapevoli, scoprano di esserlo
solo nelle distribuzioni finali. Durante tutta la vita del trust, il
Beneficiario potrà ricevere anticipazioni in ogni momento dal Fondo in
Trust su indicazione del Disponente o per discrezionalità del Trustee.
Il patrimonio, solitamente, non è ingessato nel trust ma ha una vita
dinamica potendo essere venduto, permutato, investito.
Il Disponente, che ha costituito il trust affinché ad una data prestabilita
o al verificarsi di determinati eventi i beni conferiti siano assegnati ai
Beneficiari da egli designati, per tutta la vita del trust, se vuole e se
previsto dall’atto istitutivo, può dialogare con il Trustee attraverso le
Lettere di desiderio dette Letter of Wishes con le quali può chiedere che
vengano assegnati denari o beni di qualsiasi entità ai Beneficiari già
indicati o a nuovi Beneficiari o solo ad alcuni di essi o anche a se stesso,
e tale prerogativa, dopo la morte del Disponente, sarà propria del
Guardiano.
Il Trustee, ricevute tali lettere ed effettuate le dovute considerazioni in
base alla legge ed alle finalità del trust, potrà disporre secondo tali
volontà con, come vedremo nel capitolo 3, grande favore fiscale a
patto che il trust sia vero, che vi sia stata una segregazione
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patrimoniale vera e genuina funzionale al perseguimento dello scopo:
i beni che il Disponente trasferisce nel cosiddetto Fondo in trust devono
essere usciti completamente dalla sfera giuridica del Disponente il
quale non è più proprietario; il nuovo proprietario è, invece, un
soggetto terzo, completamente estraneo, denominato Trustee; questi,
attenzione, non è un fiduciario del Disponente bensì, come detto, il
nuovo vero e pieno proprietario anche se, e qui la grande straordinaria
novità e tipicità del trust, il Fondo in trust resterà comunque un
patrimonio completamente separato dal Trustee stesso malgrado
questi ne sia pienamente il proprietario.
L'Italia non si è dotata di una propria legge regolatrice dei trust ma,
nel 1985, ha firmato la Convenzione dell'Aja che si è posta l'obiettivo di
armonizzare le regole del diritto internazionale privato in materia di
trust e questo, di fatto, è stato sufficiente per il pieno riconoscimento
degli effetti dei trust negli ordinamenti di Civil Law privi di una
specifica disciplina interna.
La Convenzione, indicando che costituiscono trust tutti i rapporti
giuridici istituiti dal Disponente con atto tra vivi o mortis causa i cui beni
siano stati posti sotto il controllo di un Trustee nell’interesse di uno o
più Beneficiari o per uno scopo specifico, ne individua all'art. 2 le
caratteristiche essenziali: i beni del trust costituiscono una massa
distinta e non fanno parte del patrimonio del Trustee; i beni del trust
sono intestati a nome del Trustee o di un’altra persona per conto del
Trustee; il Trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui
deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo
i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge.
Per la giurisdizione alla quale si risponde e per la fiscalità che verrà
applicata al trust tutto dipende dalla residenza del Trustee intesa non
come sede legale indicata dalla Trust Company ma, più propriamente
come place of effective management ovvero come il luogo dove davvero
vengono prese le decisioni della vita del trust, dove sono conservati
gli originali dell’atto istitutivo e dei successivi atti dispositivi, dove si
ricevono e si leggono le Letter of Wishes, dove si compila e viene
conservato il Libro degli eventi, dove vengono effettivamente redatte e
firmate le Trustee Resolution.
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L'ordinamento giuridico italiano riconosce, quindi, il trust familiare,
tuttavia ne priva dei suoi effetti giuridici nei casi in cui esso sia
strutturato in modo tale da far presumere la natura simulata dello
stesso da parte del Disponente il quale aveva nella sua reale volontà
quella di sottrarre il proprio patrimonio dall’azione dei creditori
2
. Nel
caso, invece, il trust familiare fosse validamente istituito, esso godrebbe
in maniera piena dei propri effetti giuridici lasciando viva agli
eventuali creditori del Disponente la possibilità di esperire l'azione
revocatoria (ex art. 2901 c.c.) entro 5 anni dal conferimento dei beni nel
Fondo in trust (entro un solo anno per l'azione revocatoria semplificata
art. 2929-bis c.c.) qualora in capo al Disponente sussistano gli elementi
costitutivi di tale azione ovvero il periculum (o eventus) damni e la
scientia damni
3
.
Nel proseguo si parlerà in maniera più specifica oltre che dei soggetti
e degli impieghi del trust familiare (rispettivamente nei capitoli 1 e 2)
anche e soprattutto di fiscalità (nel capitolo 3); si vuole tuttavia
anticipare che il trust familiare in Italia comporta ad oggi importanti ed
ingenti benefici fiscali, soprattutto in tema di imposte di successione e
donazione ma anche per i redditi, per i quali, nelle imposte dirette, si
può essere tassati per la metà o addirittura per nulla rispetto alla
tassazione ordinaria .
2
Si parla in questi casi anche di trust in frode alla legge, ex art. 1344 c.c.
3
La proposizione dell’azione revocatoria, peraltro, non consente al giudice, nel caso di
rigetto della stessa, di rilevare d’ufficio l’eventuale nullità del trust perché la domanda
revocatoria ne presuppone la validità e la nullità rilevata ex officio modificherebbe,
ampliandolo, l’oggetto della domanda, in spregio al principio dispositivo, ex art. 112
c.p.c. . Tra le tante, Cass., sentenza del 27 aprile 2011, n. 9395, dove si legge: “La
rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera
solo se da parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a
verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che,
senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano
configurarsi come mere difese del convenuto. Ne consegue che quando la domanda sia,
invece, diretta a far valere l’invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per
inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullità diversa
da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base
dell’interpretazione coordinata dell’art. 1421 c.c. e 112 c.p.c., tenuto al rispetto del
principio dispositivo, anche alla luce dell’art. 111 cost.
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Nonostante il non univoco orientamento della Corte di Cassazione e
dell'Agenzia delle Entrate sull’assolvimento delle imposte di
successione e donazione, queste, vuoi per la ridicola quota fissa
dell’imposta di registro (200 euro), vuoi per l'elevata franchigia
prevista (1 milione di euro per ciascuno degli eredi), vuoi per
l’irrisoria aliquota applicata sulla differenza oltre la franchigia (4% e
per gli immobili franchigia calcolata per di più solo sui valori
catastali); tutto questo e non solo fa sì che in Europa si parli dell’Italia
quale impareggiabile paradiso fiscale in tema di imposte di successione
e donazione.
Una pregevole caratteristica accessoria del trust familiare del quale mi
sento di portare all'attenzione del lettore in questa introduzione
riguarda la riservatezza, ovviamente non la riservatezza ai fini della
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, perché tale
riservatezza è reato e prevede pene severe per il Disponente e per
chiunque abbia partecipato al progetto della frode, ma, naturalmente,
quella lecita che riguarda la privacy e dove il trust familiare non ha
eguali nell’assoluzione delle volontà del Disponente assicurando,
appunto, massima riservatezza. E’ il caso, uno, ma ce ne sono tanti
diversi, in cui il Disponente voglia indicare quali propri Beneficiari
anche i figli nati da una relazione stabile con un'altra donna ma che
non ha legalmente riconosciuto; in tal caso, con la scelta di una legge
regolatrice appropriata, il trust familiare sarà sicuramente in grado di
garantire la riservatezza richiesta infatti, tra i soggetti, solo il Trustee ed
il Guardiano potranno avere accesso alle Lettere di desiderio e spesso si
riesce ad escludere anche quest’ultimo, sicuramente nessuno degli
altri Beneficiari ne avrà accesso, il tutto senza ledere le quote della
successione legittima.
Concludendo, si diceva ad inizio paragrafo, come molti pensano che i
trust familiari siano riservati solo a grandi e ricche famiglie, non è così;
il trust nasce davanti ad un notaio per una parcella media di circa 2.300
euro una tantum (forbice compresa tra i 1.500 ed i 3.000 euro); l’onorario
mensile del Trustee per tutta la durata del trust è in media di circa 1.250
euro (la forbice annuale è tra i 10.000 ed i 20.000 euro); per il progetto e
la redazione dell’atto istitutivo, se questo è redatto unicamente dal
Trustee, solitamente è compreso nei costi di gestione mensili indicati,
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al contrario, più professionisti si coinvolgeranno nella redazione è più
costerà; infine, il ruolo di sorveglianza da parte del Guardiano è un
ufficio per tradizione svolto a titolo gratuito dall’avvocato o dal
commercialista o dal consulente finanziario di famiglia che considera
un onore il rinnovo di fiducia da parte del Disponente ma non è
escluso, nei casi in cui la vigilanza richieda molto impegno, che tale
funzione sia remunerata per tutta la durata del trust con un onorario
mensile medio di circa 400 euro (la forbice annuale è tra i 3.500 ed i
6.000 euro): la costituzione di un trust familiare è, quindi, permessa a
tutti.
Tutto ciò premesso, il Capitolo 1 sarà dedicato al riconoscimento del
trust nell’ordinamento italiano e alla presentazione dei soggetti del
trust: un capitolo interlocutorio con lo scopo di introdurre l’origine e
le regole comuni a tutti i trust e quindi applicabili anche ai trust
familiari. Con il Capitolo 2 si entrerà nello specifico dell’utilizzo del
trust nei patrimoni familiari. Con il Capitolo 3, infine, il più corposo, si
affronterà la comune disciplina fiscale dei trust con la presentazione
dei casi più controversi di applicazione delle imposte ai trust familiari
dell’ultimo quinquennio.
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Cap. 1 - I soggetti del trust
1.1 Il trust nell’ordinamento giuridico italiano
L’istituto del trust nasce nel diritto inglese a partire dal XIV secolo con
oggetto ristretto alla proprietà immobiliare: un soggetto (il vassallo),
titolare di un dato patrimonio immobiliare, affidava tale patrimonio
ad un soggetto terzo affinché costui lo amministrasse e lo gestisse a
vantaggio dei Beneficiari indicati dal Disponente (evitando, oltre che le
imposte di successione, anche le leggi feudali del tempo secondo le
quali, alla sua morte, le proprietà, in tutto o in parte, fossero restituite
alla Corona)
4
.
Nel corso del tempo il trust si è diffuso ampliando il proprio oggetto
sino ad estendersi, oggi, a tutte le posizioni giuridiche soggettive e
questo grazie alla codificazione di un modello internazionale di trust
capace di rimuovere quelle regole giurisprudenziali inglesi del
cosiddetto modello tradizionale che bloccavano lo sviluppo della trust
industry. Si sono sviluppati, infatti, due modelli di trust, spesso in
competizione tra loro: da un lato, quello tradizionale, concepito in Gran
Bretagna ed implementato poi in Australia, Nuova Zelanda e Stati
Uniti; dall’altro, il modello internazionale presente in giurisdizioni con
maggiore appeal fiscale quali Jersey, Lussemburgo, Isole Cayman,
Principato di Monaco, chiaramente volte all’attrazione di capitali
stranieri.
Nel 1980, nell’ambito della Hague Conference on Private International
Law, si diede avvio ai lavori finalizzati alla stesura di una legge
applicabile ai trust ed al loro riconoscimento; il 1° luglio 1985, all’Aja,
fu firmata l’omonima Convenzione con entrata in vigore della stessa
in data 1° gennaio 1992 ed attualmente operativa in ben 14 Stati.
L’Italia, oltre ad essere stata tra i primi firmatari della Convenzione, è
stata anche tra i primi Paesi a ratificarla e lo fece limitandosi
semplicemente a sancirne la piena ed intera esecuzione con la legge n.
4
LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Milano, 2016,
14
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364 del 1989 senza l’utilizzo di una legge interna che la attuasse
magari integrandone o adattandone il testo
5
.
Il nostro ordinamento non si è dotato, in ambito civilistico, di una
propria legge regolatrice per i trust istituiti in Italia (da residenti
italiani e non), per tale motivo, ogni volta, si è costretti a scegliere,
secondo quanto disposto dagli artt. 6 e 7 della Convenzione, una tipica
legge regolatrice straniera dotata almeno dei contenuti minimi
indicati all’art. 8 della Convenzione. Pur esistendo oggi più di 200
leggi regolatrici (tra i modelli tradizionali ed internazionali)
solitamente la scelta ricade sulla Jersey Law perché è la più diffusa,
oppure sulla Legge inglese, oppure sulla Legge di San Marino perché
pensata e scritta in italiano. La scelta deve essere espressa o risultare
dalle disposizioni dell’atto che costituisce il trust oppure, portandone
la prova, interpretata, se necessario, avvalendosi delle circostanze del
caso. Qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato
dalla legge con la quale ha più stretti legami tenendo conto: del luogo di
amministrazione del trust, del luogo dei beni, della residenza o sede degli
affari del Trustee; dei luoghi dove dovranno essere realizzati gli obiettivi
del trust.
Rinviando l’analisi dei singoli articoli della Convenzione e le relative
criticità ad altra sede
6
, è possibile affermare che, in seguito alla ratifica,
pur in assenza di una regolamentazione civilistica e fiscale specifica,
nel nostro ordinamento trovano ingresso e riconoscimento sia i trust
istituiti all’estero sia quelli istituiti in Italia
7
. L’Italia, tuttavia, non si è
5
In Appendice si pubblica il testo dei 32 articoli della Convenzione dell’Aja del 1985
nella traduzione italiana.
6
Ci si riferisce: alla definizione di trust contenuta all’art. 2, la quale, essendo frutto di
un compromesso redazionale tra le definizioni vigenti negli ordinamenti common law e
civil law, appare troppo ampia e generica; all’intenzione, in tema di questioni preliminari,
di volere dettare con l’art. 4 norme di conflitto e di riconoscimento che riguardano solo
il momento istitutivo e non quello dispositivo; alle critiche dottrinali poste all’art. 9 sulla
possibilità del cosiddetto depeçage che sarebbe di complicata applicazione in tutti gli
ordinamenti privi di una organica disciplina del trust; alle divergenti interpretazioni
dell’art. 13 sul riconoscimento o meno di un trust i cui elementi importanti siano correlati
a ordinamenti di Stati che non prevedono l’istituto del trust; alla corretta interpretazione
dell’art. 20 riguardante il riconoscimento o meno di un trust in base ad una decisione o
pronuncia giudiziale;
7
Tra i Paesi firmatari della Convenzione vi sono Stati in cui l’istituto del trust è
corrispondente alla Convenzione; Stati in cui il trust è disciplinato da legge interna