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1.2 Lo stile di leadership
Per prima cosa è importante specificare che non esiste uno stile in assoluto migliore
di altri. Dipende tutto dal contesto in cui ci si trova ovvero dalla situazione da gestire,
nonché dalle caratteristiche del/dei leader. Abbiamo infatti leader democratici o
autoritari, orientati ai compiti o alle relazioni interpersonali, che prendono decisioni
per proprio conto oppure in comune. Il leader normalmente tende a comportarsi in
un certo modo (ad esempio è autoritario, orientato ai compiti e prende le decisioni
da solo) ma ciò non preclude che egli, data la situazione in cui si trova, non possa
cambiare modo di essere e di agire. Inoltre, non bisogna vedere la leadership come
autoritaria o democratica, ovvero occupare una delle due estremità (ad esempio
potrebbe porsi in una via di mezzo tra autoritaria e democratica). Lo stesso vale per
la presa di decisioni.
Lo stile di leadership può essere visto come il risultato del mix di due variabili
(autoritario/democratico e direttivo/partecipativo) le quali assumono un valore
incluso tra 0 e 1 (dove 0 e 1 rappresentano le estremità).
Analizziamo ora le variabili:
• Da autoritario a democratico. Il leader autoritario si focalizza sulle mansioni da
svolgere e sugli obiettivi da raggiungere, pensando che le persone siano pigre
e per questo debbano essere controllate tramite incentivi e punizioni. Impone
rispetto, rischiando l’abuso di potere e di farsi odiare dai collaboratori. Questo
stile di leadership è performante quando il tempo stringe e bisogna prendere
velocemente una decisione, evitando così la perdita di tempo e mantenendo
tutto in ordine.
D’altro canto, il leader democratico si focalizza sulle persone ed alle relazioni
con esse, pensando che le persone abbiano bisogno di autonomia per lavorare
meglio e per la crescita personale. Il leader democratico è amato da tutti,
esiste però il rischio di creare caos e perdere di vista l’obiettivo comune.
• Da direttivo a partecipativo. Adottando lo stile direttivo, le decisioni spettano
al/ai leader, mentre in quello partecipativo le decisioni vengono prese in
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comune. Come è stato detto precedentemente, la scelta dello stile da
adottare dipende dalla situazione nella quale ci si trova. Lo stile sarà quindi
più o meno partecipativo tenendo conto dell’importanza della decisione, del
tempo a disposizione e della competenza dei collaboratori. Quello direttivo
rispecchia più una leadership autoritaria, mentre quello partecipativo una
leadership democratica.
1.2.1 Gli stili di leadership di Daniel Goleman
Daniel Goleman, personaggio noto per lo studio della leadership e dell’intelligenza
emotiva, ha definito sei stili di leadership differenti:
1- Stile coercitivo: autoritario, impartisce ordini. Utile nel breve periodo, ideale in
tempi di crisi e trasformazioni e per prendere decisioni importanti. Bisogna
però fare attenzione, potrebbe portare più danni che benefici.
2- Stile autorevole: l’empatia gioca da protagonista. Il leader ispira gli altri,
condivide con tutti un obiettivo comune ma lascia ad ognuno la libertà di agire
come meglio crede. Questo funziona solo se il leader risulta autorevole,
affidabile, competente, entusiasmante ed infine che sappia comunicare e
trasmettere le proprie idee.
3- Stile affiliativo: si focalizza su armonia e clima positivo. Il leader connette le
persone tra loro, risolve i conflitti, ascolta i bisogni e le necessità dei
collaboratori. Questo stile di leadership è utile quando ci sono conflitti oppure
momenti di tensione e di stress.
4- Stile democratico: come è possibile intuire, questo stile presenta una
collaborazione tra persone. I colleghi partecipano al processo decisionale, il
leader ascolta molto e parla solo quando è necessario.
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5- Stile battistrada: è incentrato sulla performance e sul raggiungimento degli
obiettivi. Se il leader non provvede a motivare a dovere i collaboratori, c’è il
rischio di un aumento di turnover (aumento di licenziamenti/dimissioni)
oppure di raggiungere il cosiddetto “burnout”
9
.
6- Stile “coaching”: il leader coltiva le persone ed allinea gli obiettivi personali di
ciascuno con quelli aziendali. Si tratta di un investimento a lungo termine,
perciò è necessario un’efficace selezione del personale.
Pertanto, una volta analizzato il contesto e le variabili a disposizione, bisogna
adottare lo stile di leadership che risulta più utile in quella determinata situazione.
1.3 I tratti e le competenze di un leader
Prima di iniziare a parlare di tratti e competenze bisogna fare una premessa. Nel
nostro pianeta ci sono milioni di leader, ciascuno dei quali porta una unicità di tratti
e caratteristiche. Ciò significa che non c’è una ricetta per diventare leader, però
attraverso l’osservazione di svariati leader sono state individuate certe
caratteristiche che si ripetono in molti osservati.
Il fatto di non possedere una di queste caratteristiche non esclude la possibilità di
diventare leader.
La teoria dei tratti afferma che i tratti sono dei mattoncini che compongono la
personalità, sono generalmente stabili nel tempo e permettono di comportarsi e
pensare in una certa maniera. Si tratta di genetica, ma con l’esperienza possono
modificarsi leggermente.
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È uno stato di esaurimento dovuto allo stress.
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Ritornando al discorso di prima, l’università di Harvard ha stilato un elenco
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dei tratti
più comunemente riscontrati nei leader:
• Capacità di avere dell’influenza sugli altri;
• Trasparenza;
• Incoraggiamento a rischiare ed innovare;
• Valori di etica ed integrità;
• Agire in maniera decisa;
• Bilanciare dure verità con ottimismo.
Sono presenti numerosi pensieri a riguardo, come ad esempio quello di Weber (citato
in precedenza) che si concentra fondamentalmente sul carisma. Altre caratteristiche
individuate sono la sicurezza di sé, integrità, estroversione, affidabilità, capacità di
adattamento, coraggio, credibilità, altruismo.
Di seguito verranno approfondite le caratteristiche più importanti che una
leadership dovrebbe possedere.
1.3.1 Carisma
Come anticipato nell’introduzione, si nasce leader per il 25% mentre la restante
parte viene sviluppata con l’apprendimento. Lo stesso vale per il carisma, principale
caratteristica di una leadership carismatica.
Secondo Max Weber, il carisma si basa su tre componenti:
• Psicologica (riguarda le qualità interiori);
• Sociale (riguarda l’influenza della famiglia e della società);
• Relazionale (riguarda i rapporti interpersonali).
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Articolo del blog online di Harvard Business School, 4 ottobre 2018.
https://online.hbs.edu/blog/post/characteristics-of-an-effective-leader
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Per diventare una persona carismatica non può mancare l’autostima, la fiducia in sé
stessi, la consapevolezza di sé, la perseveranza, la persuasione e l’intelligenza
emotiva.
Per concludere, esistono quattro tipi di carisma diversi definiti da Business Insider”
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:
1- Carisma focus: mette al centro le altre persone.
2- Carisma visionario: inspira le altre persone.
3- Carisma gentile: trasmette calore umano e vicinanza grazie al linguaggio del
corpo.
4- Carisma autoritario: trasmette superiorità ed intimidisce.
In base alla situazione in cui ci si trova è possibile adottare una delle quattro
tipologie.
1.3.2 Intelligenza emotiva
L’intelligenza emotiva è quella capacità dell’individuo di riconoscere, distinguere,
etichettare e gestire le proprie emozioni e quelle di altrui.
Il successo professionale viene spesso associato al QI della persona, ma questo non
è del tutto vero. In uno studio condotto sui laureati di Harvard è stato dimostrato
che esiste una correlazione nulla o addirittura negativa tra il punteggio di QI
ottenuto al test d’ingresso e il successo nella carriera
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. Tuttavia, il quoziente
intellettivo può incidere sulla prestazione per un massimo del 25%. Anche la
competenza professionale non ne determina il successo, bensì rappresenta un
requisito soglia.
Detto in parole semplici, avere un alto quoziente di intelligenza ed essere capace di
eseguire una determinata prestazione ha poco a che vedere con il successo.
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Citazione presa dall’articolo online intitolato “I 12 modi per diventare un leader carismatico” di Business
Insider, 23 gennaio 2016.
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Tomas Achenbach e Chaterine Howell, “I problemi degli adolescenti americani stanno peggiorando?
L’andamento degli ultimi 13 anni”, Journal of the American Academy of child and adolescent psychiatry,
novembre 1989.
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Questo significa che l’intelligenza emotiva determina la quasi totalità del successo
di una prestazione. O meglio, l’intelligenza emotiva esprime la potenzialità di
apprendere e mettere in pratica le capacità basate su cinque dimensioni:
consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, empatia ed abilità nelle relazioni
interpersonali. Queste capacità messe in atto assieme vengono definite come
competenza emotiva.
Possedere una buona intelligenza emotiva non significa avere anche una buona
competenza emotiva, ad esempio una persona empatica potrebbe non essere ancora
in grado di sfruttare l’empatia nel lato pratico, ma ha le potenzialità per farlo.
Le competenze sopra citate si dividono in competenze personali e competenze
sociali. Come detto, ciascuna competenza deriva da una delle cinque dimensioni
dell’intelligenza emotiva:
Consapevolezza di sé
Significa conoscere i propri stati interiori. Le competenze sviluppabili sono:
• consapevolezza emotiva: riconoscere le proprie emozioni e gli effetti che
provocano;
• autovalutazione accurata: conoscere i propri punti di forza ed i propri limiti;
• fiducia in sé stessi: essere sicuro delle proprie capacità e del proprio valore.
Padronanza di sé
Significa dominare i propri stati interiori ed impulsi. Le competenze sviluppabili sono:
• autocontrollo: dominare le emozioni e gli impulsi distruttivi;
• fidatezza: mantenere un certo standard di onestà ed integrità;
• coscienziosità: assumersi le proprie responsabilità;
• adattabilità: essere flessibile nella gestione del cambiamento;
• innovazione: sentirsi a proprio agio ed essere aperto a nuove idee o nuovi
approcci.