INTRODUZIONE.
Questa tesi analizza i temi attuali che riguardano la figura del consulente
finanziario, la tutela patrimoniale e la questiona legata alla nuova normativa MiFID II.
Il primo capitolo introduce brevemente il tema centrale, analizzando la nascita e
la storia della psicologia economica. Lo studio si delinea principalmente all’interno
dell’ambito della finanza comportamentale, di cui esistono tre filoni principali. Il primo
concerne la finanza comportamentale classica, il cui approccio è basato sul principio
dell’individualismo metodologico. Questo principio presume di arrivare alla piena
conoscenza del cliente/investitore attraverso l'analisi degli aspetti legati alla soggettività
dell’individuo e le sue componenti cognitive. Questo approccio ha ottenuto grandi
risultati, tra cui almeno tre premi Nobel per l’economia, e ancora oggi rappresenta il
principale presupposto teorico della finanza comportamentale. Gli si riconosce il merito
di aver condotto ad una visione meno ingenua dell'investitore e delle sue componenti
psicologiche, ma nel tempo è diventata una visione limitante: seguendo questo
principio, secondo cui basta studiare gli aspetti cognitivi individuali dell'investitore per
comprenderlo, viene preso in considerazione solo una piccola parte del fenomeno.
Il secondo approccio è, quindi, un’espansione del filone di ricerca precedente e
considera il cliente/investitore all’interno delle relazioni sociali in cui inserito.
L’investitore opera in un ambiente costantemente bombardato da informazioni, opinioni
e notizie, su cui l'investitore stesso deve avere degli atteggiamenti e, talvolta, è
addirittura il consulente a chiedere consigli e lasciandosi influenzare. Questo principio,
secondo cui ognuno di noi è immerso in una rete di informazioni per cui diamo e
riceviamo notizie, è fondamentale ed è il principio che ha portato agli studi sull’herd
behavior, cioè il comportamento gregge, secondo cui ci si muove tutti assieme.
Il terzo filone è rappresentato dagli studi che indagano in modo molto
approfondito quello che passa nel vissuto emotivo e psicologico del cliente/investitore,
ed è la cornice teorica di riferimento di questo studio. Secondo questo approccio, la
finanza comportamentale si dovrebbe occupare delle motivazioni all’investimento
indagando aspetti più profondi, differenti dalla sola rete di informazioni in cui sono
inseriti gli agenti economici. Lo sforzo che si cerca di fare è quello di soffermarsi e
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prestare attenzione al rapporto che si instaura tra il consulente e il cliente, studiare la
relazione in un'ottica più qualitativa, quasi clinica, non intesa nel senso di cura della
malattia ma come approccio che va molto in profondità nella relazione. Questo è il
motivo per cui sono state condotte le ventuno interviste approfondite a consulenti
finanziari che sono l'oggetto di analisi di questo elaborato.
Il secondo capitolo è un approfondimento riguardo figura del consulente
finanziario, la sua storia e la normativa vigente che regolamenta la professione. È stata
dedicata particolare attenzione alla legge di stabilità 2016, attraverso cui i promotori
finanziari hanno cambiato nome in “consulenti finanziari” con rilevanti conseguenze dal
punto di vista psicologico della percezione del ruolo professionale, e alla normativa
MiFID II, entrata in vigore a gennaio 2018, proposta per rafforzare le misure di tutela
degli investitori aumentando la trasparenza delle negoziazioni nei mercati finanziari.
Il terzo capitolo è dedicato alla descrizione dello studio empirico: sono state
descritte in modo approfondito la metodologia qualitativa e le tecniche di rilevazione
dei dati, con attenzione particolare agli strumenti utilizzati. Attraverso le interviste
approfondite ai consulenti si sono analizzate le loro parole ed è stato possibile far
emergere i vissuti profondi, le dinamiche psicologiche interne alla relazione e gli aspetti
emotivi ad essa collegati. Sono state proposte delle interpretazioni psicologiche dei
cambiamenti attuali che si stano vivendo all'interno della professione in questo
momento storico, dovuti alle modifiche legislative ma anche sociali.
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CAPITOLO 1 – La finanza comportamentale.
1.1 La psicologia economica e la nascita della finanza comportamentale.
La psicologia economica è una disciplina relativamente nuova che nasce in
America alla fine del primo dopoguerra e arriva in Italia alla fine degli anni Ottanta. Si
declina inizialmente su due livelli: in ambito teorico, grazie all'economista John
Maynard Keynes, si concentra sugli aspetti psicologici che entrano nell'economia; in
ambito applicativo, invece, si focalizza sulle teorie dei consumi e sulla psicologia del
risparmio. Da questo secondo ambito si pongono le basi per la nascita della finanza
comportamentale, che studia l'andamento dei mercati partendo dal presupposto che essi
non seguano le leggi e i principi economici, ma che siano invece le forti componenti
emotive a portare gli individui a mettere in atto comportamenti irrazionali.
Fin dall'antichità tutte le scienze sono state un sapere unico e indifferenziato; la
conoscenza era unica e generale, ma col tempo essa si è divisa creando le singole
discipline di studio. Questo fenomeno ha avuto delle conseguenze positive da una parte,
producendo un aumento della conoscenza nelle singole materie, ma negativo dall'altra,
poichè questo isolamento estremizzato ha portato ad un esclusivismo e un riduzionismo
degli argomenti di interesse.
L'economia come scienza inizia ad esistere in modo approssimativo già in epoca
medievale, grazie alla nascita della piccola-media borghesia, con cui si sono sviluppate
la ragioneria e la contabilità. Il padre dell'economia moderna è considerato essere Adam
Smith, che nel 1776 scrisse La Ricchezza delle Nazioni. In questa trattazione vengono
presi in considerazione esclusivamente problemi economici, senza mai considerare le
dinamiche psicologiche presenti all'interno di tali processi, soprattutto in ambito fiscale,
anche se è evidente come l'intera opera sia intrinsecamente pervasa da una forte
componente psicologica. La stessa metafora della “mano invisibile” mostra delle
componenti psicologiche riguardo la natura degli individui che costituiscono il mercato:
gli individui sono spinti a perseguire i propri scopi personali ed egoistici da una forza
anonima, frutto della razionalità del mercato, contribuendo allo sviluppo economico e
collettivo della società.
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Dal 1870 il paradigma dominante dell'economia moderna è stato quello
marginalista, che ha vissuto due fasi principali. La prima, molto vicina alla psicologia,
grazie alla rilevanza che assunse il concetto di utilità, in cui si identificò l'origine del
valore economico. Esso però era un concetto ambiguo, a causa della pluralità di
significati che gli sono stati attribuiti dalle diverse discipline: poteva indicare le
proprietà vantaggiose di un bene, il benessere prodotto dagli oggetti, il piacere tout
court, le preferenze espresse negli atti o le preferenze intese come interesse di una
persona (Haslett, 1990). Nella seconda fase, dagli anni '30, si è vissuto invece un rifiuto
radicale verso la psicologia, come si legge in Schumpeter (1954):
i fautori della psicologia del valore dovettero fare fronte a due accuse
supplementari: primo, che essi stavano esplorando aspetti psicologici del valore
d'uso che erano irrilevanti per i fatti obiettivi del processo economico; secondo,
che la loro psicologia era cattiva. (Schumpeter, 1954, pp. 1296-97)
Questo autore spiega come l'uso di concetti psicologici da parte di non esperti
porti a fare una cattiva psicologia e come per questo motivo sia necessario evitare subito
di utilizzarla per evitare gravi errori ed equivoci.
Secondo questa visione dell'economia classica gli individui trattano qualsiasi
decisione in modo razionale, agendo sempre in modo egoistico e cercando di
massimizzare i guadagni e minimizzando le perdite.
Fu grazie all'economista John Keynes e alla pubblicazione della sua opera Teoria
Generale del 1936 che, dal primo dopoguerra, le due discipline pian piano si
riavvicinarono. Il merito di Keynes fu quello di aver riportato all'interno dello scenario
economico il concetto psicologico di aspettativa, intesa come prefigurazione mentale
del proprio futuro. Le aspettative sono delle previsioni, delle prefigurazioni
dell'andamento futuro dei mercati, dalle quali si genera il comportamento economico
attuale. Le persone hanno delle credenze circa quello che accadrà, che fanno sì che si
comportino in un certo modo, comprando o vendendo i titoli. L'attenzione degli
investitori ricade perciò sempre di più sulle aspettative delle attese del grande pubblico,
che è “volubile”. Secondo Keynes il mercato è sempre meno al servizio degli
investimenti produttivi e sempre più attento alle occasioni di speculazione, ovvero
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occasioni di movimento dei prezzi determinate dalle oscillazioni delle opinioni della
massa di investitori e dalla loro fiducia in esse. Keynes coglie quindi la necessità e
l'importanza delle categorie non economiche nella spiegazione del funzionamento dei
mercati. Tuttavia nega la possibilità di una comprensione psicologica più profonda, a
causa del periodo storico in cui vive (Ferrari 1999).
È possibile ricondurre la nascita della psicologia economica a partire dai lavori di
George Katona del secondo dopo guerra. Egli è forse il primo vero psicologo
economico che manifesta per la prima volta in modo chiaro ed esplicito l'idea che
l'economia e psicologia debbano integrarsi:
l'economia senza la psicologia è incapace di spiegare importanti processi
economici, mentre la psicologia senza l'economia non è in grado di fare luce su
alcuni fra i più comuni aspetti del comportamento umano (Katona, 1951, pp. 36-
37).
Le teorie economiche fino ad allora si erano basate su analisi finalizzate ad
attribuire regolarità e stabilire delle leggi invariabili che descrivessero l'andamento
economico. Queste leggi sostenevano che sarebbe stato il tempo a ristabilire la
regolarità prevista, senza che ci fosse alcuna necessità di considerare le variabili
psicologiche implicate nei processi. L'effettiva realizzazione di questi schemi di
regolarità, però, si basa su un postulato psicologico: si assume che l'uomo si comporti in
modo meccanicistico, come un automa, reagendo agli stessi stimoli in modo sempre
uguale, fatto che nella realtà non accade.
Katona riprende la Teoria Generale di Keynes e il concetto delle aspettative dei
consumatori diventa centrale nello studio dell'andamento dei mercati. Le aspettative
vengono utilizzate per predire i comportamenti di consumo futuri e sono quindi
indicatori dell'andamento economico. Il contributo di Katona è principalmente
empirico: si parte dall'assunto che le aspettative possono essere misurate, ed egli si
concentra sullo studio del sentiment, l'indice del sentimento del consumatore,
intervistando campioni di consumatori (rappresentativi della popolazione) chiedendo
loro come si aspettavano che sarebbero cambiate le prospettive economiche, o alcune
caratteristiche dell'economia in un certo periodo di tempo: se in meglio, in peggio o se
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sarebbero rimaste invariate. Dimostrò come le reazioni del consumatore agli stimoli
economici potevano essere spiegate sulla base di misurazioni psicologiche.
Da questi studi, alla fine degli anni '70, nasce e si sviluppa la finanza
comportamentale (behavioral finance), un settore della psicologia che studia i mercati
finanziari e il modo in cui gli individui prendono le decisioni all'interno di essi. È un
approccio di studio nato dalla consapevolezza che i modelli teorici utilizzati fino a quel
momento non erano adeguati ma limitanti e non realistici rispetto a quelle che sono le
reali motivazioni comportamentali e cognitive degli agenti economici.
1.2 I modelli classici.
Lateoria dell'Utilità Attesa ( Expected Utility Theory, 1944), proposta da Von
Neumann & Morgenstern nel loro libro Theory of games and Economic Behavior, è
stata per circa trent'anni uno dei modelli teorici principali nello studio della presa di
decisione. Questa teoria presuppone che gli individui agiscano in maniera perfettamente
razionale e prevedibile, comportandosi secondo dei modelli predeterminati che si
conformano ad una funzione di utilità attesa dei risultati, in base alla quale si valuta
anche il grado di rischio. L'utilità attesa è intesa come l'indice di preferenze del
consumatore in ambito di incertezza: ci si aspetta cioè che gli individui scelgano sempre
le alternative associate al massimo raggiungimento dell'utilità, della soddisfazione o il
massimo profitto minimizzando le perdite. La funzione di utilità inoltre ha due
proprietà: rispetta l’ordine delle preferenze di scelta dell'individuo e può essere
utilizzata per ordinare le alternative rischiose, tenendo in considerazione i risultati
possibili e la probabilità che questi si verifichino.
La formula matematica della teoria è:
UA = α ∙ U + (1 – α ) ∙ V
dove: U è l'utilità della prima alternativa, α è la probabilità che questa si verifichi,
V è l'utilità della seconda alternativa, sempre minore di U, e con la probabilità che si
verifichi complementare alla prima (Von Neumann, Morgenstern, 1944, pp. 24)
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In base a queste variabili la funzione può assumere diverse forme: è concava
quando descrive preferenze di un individuo avverso al rischio; è convessa quando
descrive le preferenze di un individuo propenso al rischio; è lineare quando descrive le
preferenze di un individuo neutrale al rischio.
Questa teoria fa inoltre riferimento ad alcuni assiomi di razionalità:
– la transitività, ovvero la coerenza logica tra le alternative preferite dal
decisore;
– la dominanza, nel senso che le opzioni sono definite in base a diverse
dimensioni e la loro valutazione si esplica in una preferenza che conduce alla
scelta dell’opzione dominante;
– l'invarianza, ovvero un'opzione viene mantenuta anche quando ci son
alternative equivalenti.
In un contesto così descritto, in cui vige la visione dell'uomo perfettamente
razionale e orientato alla massimizzazione dei propri guadagni, si sviluppa la teoria dei
mercati mercati efficienti (Efficient Market Hypothesis).
Questa teoria ingloba la precedente ipotesi, detta random walks (1934), secondo la
quale il miglior modo per descrivere l'andamento del prezzo di un titolo è come una
“passeggiata a caso”. Da osservazioni empiriche e statistiche dell'andamento dei prezzi
è emerso che il valore di un titolo evolve casualmente nel tempo senza alcuna regolarità
e per questo non è assolutamente prevedibile. Il prezzo in un tempo t non dipende
assolutamente dal prezzo in un tempo t-1, così come nel gioco d'azzardo non truccato il
risultato di un lancio di dadi non è influenzato dal lancio precedente e non influenza
quello successivo. Questa teoria evidenzia una visione irrazionalistica dei mercati che
viene superata dalla teoria dei mercati efficienti. Quest'ultima cerca di riportare
razionalità all'interno dei mercati stessi, ipotizzando che gli investitori adeguino le
proprie aspettative, e di conseguenza le transazioni, al flusso casuale di informazioni in
arrivo. Queste notizie, che arrivano in modo casuale per tempo, frequenza, provenienza
e rilevanza, hanno un impatto sulle variabili della formula fondamentale che determina
il valore attuale di un titolo. Fama, nel suo importante articolo Efficient Capital
Markets: A Review of Theory and Empirical Work, scrive:
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