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CAPITOLO I: L’ESDEBITAZIONE
1.1 La natura dell’istituto e la sua evoluzione nell’ordinamento italiano
L’istituto della Esdebitazione è stato introdotto nel nostro sistema normativo con il d.lgs.
n.5/2006 andando a riformare la precedente legge fallimentare, con la finalità di liberare il
fallito dai debiti residui al termine della nuova procedura.
Questo istituto ha sostanzialmente sostituito il precedente storico rappresentato dalla
riabilitazione civile. Prima di tale riforma nel nostro ordinamento, infatti, tale “riabilitazione”
si proponeva di reinserire nuovamente il debitore-fallito nella società, eliminando tutte le
personali
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conseguenze che seguivano il fallimento ai sensi dell’art.50 come previsto nella
precedente legge fallimentare
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: si otteneva, in sostanza, la cancellazione del nome del fallito
dal registro apposito, oltre alle incompatibilità previste.
Era però necessario, trattandosi di un effetto non automatico nella procedura concorsuale,
che il fallito o i suoi eredi presentassero istanza per la concessione della cosiddetta
“riabilitazione civile” e il provvedimento veniva emesso al termine del procedimento in camera
di consiglio
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, dopo aver sentito il pubblico ministero.
Anche se apparentemente l’istituto della riabilitazione civile poteva sembrare un beneficio
a favore del fallito, è opportuno ricordare che si trattava di un sistema fallimentare con finalità
manifestamente punitive nei confronti del soggetto della procedura fallimentare.
Infatti, l’organo giudicante non era proiettato alla ricerca e determinazione dei
presupposti che avrebbero avvicinato il debitore-fallito alla possibilità di riabilitarsi ma
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Paluchowsky, Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1993, 726.
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art.50 Legge Fallimentare. Articolo abrogato dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.: Nella cancelleria di ciascun
tribunale è tenuto un pubblico registro nel quale sono iscritti i nomi di coloro che sono dichiarati falliti dallo stesso
tribunale, nonché di quelli dichiarati altrove, se il luogo di nascita del fallito si trova sotto la giurisdizione del
tribunale. Le iscrizioni dei nomi dei falliti sono cancellate dal registro in seguito a sentenza del tribunale.
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Ghia, L’esdebitazione. Evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, Milano, 2008,
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piuttosto orientato alla valutazione di una eventuale presenza di elementi negativi che
avrebbero impedito al debitore di accedere a tale beneficio; d’altronde è opportuno ricordare
che nell’ambito della procedura l’atteggiamento del pubblico ministero si mostrava
inquisitorio.
A tal proposito è utile menzionare le condizioni necessarie previste nel vecchio art. 143
e l’ulteriore indagine sulla meritevolezza del debitore da parte del giudice: la concessione
del beneficio, infatti, era una facoltà dello stesso che non era mai obbligato a concederla.
Ai sensi del citato art. 143 L. Fallimentare, il beneficio veniva concesso al debitore-fallito
solo qualora fosse riuscito a pagare interamente tutti i crediti ammessi nel fallimento,
comprensivi di interessi e spese.
Veniva richiesto in alternativa che il debitore-fallito avesse adempiuto al concordato quando
il tribunale lo avesse ritenuto, a sua discrezione, meritevole del beneficio avendo tenuto in
considerazione di tutte le circostanze del fallimento, quindi delle cause, delle condizioni del
concordato, della percentuale prevista e avendo soddisfatto i creditori chirografi.
Era, inoltre, necessario che lo stesso debitore-fallito avesse dato prova costante di “buona
condotta” nei successivi cinque anni dalla chiusura del fallimento ovvero che avesse dimostrato
da parte sua lo svolgimento di un’attività volta alla riparazione del danno prodotto con il
fallimento
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, oltre che l’esclusione delle circostanze previste nel vecchio art. 145 della suddetta
legge fallimentare.
L’istituto della riabilitazione civile era, rispetto al suo antecedente, ancora fortemente
permeata da una logica negativa del fallimento che qualificava il debitore-fallito come un
pericolo per l’economia mia pubblica confinandolo ai margini e rendendo difficoltoso il
percorso per ottenere tale “beneficio”, rimanendo ancorato alla esclusiva tutela dei creditori in
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Satta, S. (1974) Manuale di diritto fallimentare, cit., 332; Paluchowsky, Pajardi, Manuale di diritto
fallimentare, cit., 729 afferma che “la riabilitazione non costituisce, pur in presenza delle condizioni, un diritto per
il fallito e che quindi in definitiva una indagine di meritevolezza sociale si impone in ogni caso, così come si
impone per la natura delle cose la discrezionalità del tribunale nel giudizio di meritevolezza”
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una logica di tipo garantista che si scontrava con la tutela dei diritti fondamentali della persona,
il debitore-fallito in questo caso, diritti compressi per un lasso di tempo eccessivamente
consistente violando quei principi comunitari fondati sulla ragionevole durata del giudizio e
sulla tutela dei suddetti diritti fondamentali.
Con l’introduzione dell’istituto dell’esdebitazione si poteva, invece, finalmente ottenere dal
tribunale un provvedimento che dichiarava “l’inesigibilità nei confronti del debitore già
dichiarato fallito, dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente” quindi un istituto
proiettato sul rapporto instauratosi con i creditori e non più sulla vita personale del fallito come
previsto invece dalla “riabilitazione civile”.
I motivi che hanno portato ad introdurre nel nostro ordinamento questo nuovo istituto sono
da ricercarsi nell’evoluzione dell’intero sistema fallimentare e nello sviluppo dell’economia e
dei mercati come emerge nella Relazione ministeriale che ha accompagnato la Riforma della
legge fallimentare ovvero il d.lgs 5/2006; si prendeva esplicitamente atto che la precedente
normativa in materia di fallimento si orientava verso un punto vista meramente sanzionatorio
mirando esclusivamente a liquidare il patrimonio del fallito e tale concezione non era più adatta
al mutato contesto economico. Mentre nella vecchia normativa l’idea che il debitore-fallito
potesse avviare nuovamente una propria attività commerciale era un’ipotesi marginale, con
l’esdebitazione si mira, invece, a liberare l’imprenditore dai debiti pregressi con finalità di tipo
“recuperatorio”
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.
Certamente l’intenzione di favorire il recupero ed il risanamento dell’impresa, come si legge
nella Relazione, doveva anche tener conto di prevenire eventuali abusi da parte dei debitori,
altrimenti si sarebbe avuto un uso distorto dell’istituto ai danni dei creditori. La riforma doveva
essere necessariamente allineata ai principi comunitari espressi nella “Comunicazione della
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Relazione ministeriale illustrativa della riforma delle procedure concorsuali in www.procedure.it
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Commissione Europea al Consilgio e al Parlamento”, documento in cui si esprime la preferenza
verso interventi a favore della “politica della seconda possibilità
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.
La stessa Commissione Europea riteneva che fosse necessario favorire un ambiente il più
possibile tollerante, tenuto conto dei rischi di un’attività imprenditoriale e di come il fallimento
ne facesse parte, superando l’idea che l’insolvenza degli imprenditori dovesse essere vista
necessariamente come una frode.
In questo modo sarebbero diminuiti i fallimenti e si invitavano, pertanto, gli Stati ad adottare
misure per favorire l’attività imprenditoriale e gli imprenditori in crisi incentivando le
ripartenze, individuando lo strumento che meglio avrebbe risposto a queste esigenze ovvero la
concessione della cancellazione del debito. A fronte di un bilanciamento di interessi si sarebbe
comunque compiuta una distinzione tra falliti fraudolenti e falliti non fraudolenti
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.
Nella disciplina dell’istituto della esdebitazione viene sicuramente richiamata una teoria
denominata “cooperazione del debitore” secondo quanto dichiarato dalla Commissione
Europea. In Italia la dottrina, infatti, si espresse successivamente sul concetto di fallimento,
facendo emergere l’esigenza di dover tutelare e consentire il risanamento delle attività
imprenditoriali e all’accordo tra debitore e creditori, cercando di restituire all’imprenditore
l’opportunità di rimettersi nuovamente sul mercato. Pertanto, viene data con il nuovo istituto la
possibilità al “fallito” di abbracciare, sin da subito, una condotta coerente con la volontà di
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63COM(2007)584 del 5 ottobre 2007 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento
europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolato “Superare la
stigmatizzazione del fallimento aziendale- per una politica della seconda possibilità. Attuazione del paternariato
di Lisbona per la crescita e l’occupazione”.
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COM584. Nella Comunicazione, la Commissione europea propone molti esempi concreti per dimostrare
che gli imprenditori che subiscono un fallimento sono poco incentivati a intraprendere una nuova attività
imprenditoriale, per il fatto che, per come sono strutturati i procedimenti di insolvenza, l’imprenditore subisce dal
fallimento un forte impatto che fa cadere la sua autostima. L’ambiente circostante del resto non aiuta, poiché i
finanziatori ed i possibili clienti sono piuttosto contrari ad investire in una società che ha alle spalle un fallimento
proprio perché la si considera inaffidabile. La Commissione, in seguito, precisa che da parte di alcuni Stati è stata
presa qualche iniziativa per favorire una seconda possibilità; questi progressi, comunque, lasciano aperta la strada
per ulteriori modifiche, improntate su un atteggiamento più positivo nei confronti dell’imprenditorialità.
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fronteggiare la crisi con chiarezza ed onestà, compiendo quindi una scelta a monte, per poter
poi arrivare ad ottenere il beneficio della liberazione dei debiti residui.
Qualunque soggetto, sapendo di poter ottenere il beneficio dell’esdebitazione, sarebbe stato
incentivato ad assumersi i rischi di un’attività di impresa considerando l’esdebitazione come
uno strumento di tutela contro il pericolo di non riuscire più a fronteggiare i debiti
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.
La logica posta alla base del nuovo istituto sarebbe quindi stata quella di liberare il fallito
dai debiti residui, consentendo allo stesso di poter tornare nel mercato come consumatore ma
anche e soprattutto come soggetto produttivo, assumendo come presupposto che quasi sempre
il creditore è un istituto finanziario o comunque un soggetto che può sopportare un probabile
inadempimento.
È evidente un cambio di prospettiva rispetto al precedente istituto della “riabilitazione
civile” e il mutamento delle premesse poste alla base dell’esdebitazione, in linea con i principi
di derivazione comunitaria anche se rispetto ad altre realtà la struttura dell’ordinamento italiano
rimaneva improntata sulla tutela dei creditori.
Secondo gran parte della dottrina il nuovo istituto della esdebitazione sarebbe da considerarsi
come un’eccezione al principio generale disciplinato dall’art. 2740 c.c. sulla responsabilità
patrimoniale secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni
presenti e futuri. L’effetto infatti è quello di trasformare in “inesigibili” i debiti rimanenti,
pertanto, non verrebbe violato il principio suesposto in quanto il debitore non sarebbe più
responsabile di tali prestazioni mentre per i debiti rimasti fuori dall’esdebitazione rimane
applicabile la disciplina prevista dal codice civile.
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Castagnola, L’esdebitazione, in Giurisprudenza commerciale 2006, III, 458; dello stesso avviso
Marcucci, L’insolvenza del debitore civile e “fresh start”, le ragioni di una regolamentazione, in Analisi giuridica
dell’economia, 2004, II, 227
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1.2 Le novità introdotte dalle riforme del 2006 e del 2007
L’esdebitazione ha rappresentato nel panorama giuridico italiano un istituto innovativo
soprattutto per la rivoluzione delle procedure concorsuali. Con i provvedimenti di riforma del
R.D. 267/1942 introdotti negli anni 2006 e 2007 il Legislatore voluto dare inizio ad un radicale
cambio di direzione nella materia del fallimento, trasformando il debitore-fallito in un soggetto
meritevole di tutela a cui concedere una seconda possibilità. Sulla scia dei principi comunitari
il fallimento viene considerato come fisiologico e strettamente connesso all’attività di impresa
piuttosto che come fenomeno da punire con la limitazione dei diritti personali e al debitore è
concessa l’opportunità di reinserirsi nuovamente nella società, riacquistando la possibilità di
riprendere l’esercizio di attività di impresa.
Il legislatore stabiliva, dunque, che tale procedimento era attivabile dopo la chiusura del
fallimento ed era condizionato dalla presenza di presupposti e requisiti, sia oggettivi che
soggettivi.
I nuovi articoli 142, 143 e 144 della l. fallimentare rappresentavano il fulcro centrale della
riforma introdotta attuata con il D.lgs 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente modificato dal
D.lgs. 12 settembre, n. 16.
Il fallimento, ormai considerato fisiologico all’attività d’impresa, non produceva più soltanto
conseguenze svantaggiose a carico di chi vi era sottoposto, ovvero il debitore-fallito, ma gli
procurava l’opportunità giuridica di ottenere il “beneficio” proiettandosi sul patrimonio e sul
piano dei rapporti sostanziali.
La riforma aveva abrogato i precedenti artt. 142 e 144 l. fallimentare dedicati alla
“riabilitazione civile”, istituto che poneva fine alle incapacità che derivavano dalla sentenza
dichiarativa di fallimento a fronte però dell’integrale pagamento di tutti i crediti ammessi o, in
alternativa, all’adempimento del concordato.