L’avvento del terrorismo internazionale e la legislazione antiterrorismo: Stati Uniti e Regno Unito in chiave comparata
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INTRODUZIONE
Il terrore è un fattore di influenza che si è sempre presentato alle porte degli Stati,
indipendentemente dal loro regime politico. Esso viene usato per conseguire determinati
obiettivi esaltando una sorta di carattere teatrale della violenza, destinata a produrre una
paura profonda e diffusa all’interno di una società in modo tale da condizionarne le
istituzioni.
Il lavoro che segue nasce dall’attenzione nei confronti della pressione delle forze
dissipatrici che il terrorismo esercita sul circuito democratico, che ha suscitato in me un
vivo interesse verso la questione terroristica e le conseguenze che essa comporta per degli
Stati di diritto. Il terrore usato come fine politico è un elemento che accomuna la storia di
molti ordinamenti ed è noto che quello di più recente storia ha modificato rapidamente
gli equilibri geopolitici mondiali all’indomani dell’11 settembre 2001, in un modo
talmente intenso che vent’anni dopo ancora se ne risentono gli effetti.
È per questo motivo che il terrorismo è oggetto del presente lavoro che mira a costituire
uno studio sviluppato su tre diverse direttici: una storica relativa all’avvento del
terrorismo moderno ed ai primi tentativi di armonizzazione delle legislazioni nazionali
per mezzo di trattati internazionali, una giuridica incentrata sugli strumenti normativi
antiterrorismo degli Stati Uniti ed una comparativa volta a confrontare le contromisure
del Regno Unito, un altro ordinamento giuridico di common law.
Dal primo tipo di analisi, l’argomento si sviluppa prendendo in considerazione
innanzitutto la genesi del terrorismo per mezzo di una breve ricostruzione storica di quelle
che sono state le cause e le motivazioni delle violenze e degli attentati a partire dal 1900.
Successivamente si è messo in risalto il carattere globalizzato del fenomeno ricostruendo
i contenuti e le innovazioni giuridiche principali delle Convenzioni internazionali adottate
dalle Nazioni Unite in risposta al cambiamento somatico del terrorismo che rendeva
necessario un intervento normativo, sia definitorio che organico, per alcune situazioni che
non si erano mai prese in considerazione fino ad allora, come ad esempio il dirottamento
aereo.
L’apporto della Comunità internazionale è stato importante perché ha cercato di rendere
omogenea una normativa che a seconda dei contesti di riferimento poteva essere
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profondamente differente, criminalizzando aspetti che in altre realtà venivano tollerati. In
questo modo è stato proficuo analizzare gli strumenti giuridici che dai trattati sono stati
riproposti ed adattati nelle leggi nazionali dei due casi di studio, mostrando come il
contributo delle Convenzioni internazionali e regionali sia stato essenziale per alcune
tematiche, in particolare per il controverso aspetto della definizione stessa di terrorismo.
Cambiando approccio ed affrontando il tema dell’adattamento delle leggi degli Stati Uniti
al terrorismo, sono state messe in luce le principali caratteristiche del fenomeno
domestico e delle misure legali, prevalentemente di indagine e sorveglianza, disposte per
fronteggiarne le violenze. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti
iniziarono una guerra totale al terrore con l’invasione dell’Afghanistan che si è conclusa
in modo quantomeno rocambolesco lo scorso agosto. Le leggi antiterrorismo approvate
in tale contesto sono state a lungo oggetto di dibattito ed hanno posto in essere una serie
di restrizioni particolarmente severe che hanno sollevato numerosi dubbi sulla
compatibilità di tali previsioni con i diritti fondamentali costituzionalmente presidiati
arrivando, in alcuni casi, a pronunce giurisprudenziali che hanno smentito le posizioni
dell’Amministrazione.
In ultima istanza, si è considerata la legislazione antiterrorismo del Regno Unito in chiave
comparata, sottolineando come il terrorismo sia stato affrontato in modo diverso, in primo
luogo a causa del contesto Nord-irlandese che per decenni ha caratterizzato l’esperienza
britannica. Una volta conclusa quell’emergenza, l’avvento di un terrorismo inedito e
globale ha modificato radicalmente l’approccio del Governo, che ha optato per il
consolidamento della legislazione e l’introduzione di misure proporzionalmente coerenti
con la gravità del terrorismo in atto.
Per tutti gli argomenti trattati viene data, inoltre, particolare attenzione alla questione del
rispetto dei diritti fondamentali, alle incoerenze che talvolta possono emergere da una
legislazione speciale come quella in materia di antiterrorismo ed alle difformità di
approccio che emergono da due Stati simili per tradizione ma che nella prassi hanno
mostrato differenze sostanziali, soprattutto a causa della forma di governo e della diversa
intensità del terrorismo domestico.
Nel dettaglio, nel primo capitolo si è data importanza alla genealogia ed alla
fenomenologia del terrorismo, evidenziando sia le caratteristiche che negli anni sono
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rimaste simili sia le esigenze nuove che gli attacchi più recenti hanno mostrato,
racchiudendo le informazioni essenziali delle organizzazioni terroristiche ancora in
attività.
Di particolare rilevanza è stato l’apporto delle numerose Convenzioni internazionali in
materia, che hanno contribuito a creare una legislazione abbastanza omogenea a livello
globale, soprattutto per quanto riguardava le zone d’ombra che solamente lo sforzo della
Comunità internazionale aveva saputo illuminare.
Il contributo più prezioso derivante dai Trattati è stata la settorializzazione di alcune
particolari forme di violenza che fino a quel momento non erano classificate come atti
terroristici, in particolar modo per quanto riguardava gli attentati all’interno degli
aeroporti, gli attacchi dinamitardi contro singoli rappresentati dello Stato ed i dirottamenti
aerei o navali.
In aggiunta, negli anni più recenti sono emersi altri ambiti ed esigenze che è stato ritenuto
opportuno codificare come l’accesso e la protezione dei siti nucleari, l’uso di armi
batteriologiche e l’aspetto smaterializzato ma ugualmente letale del cyberterrorism.
Il secondo capitolo si concentra, come detto, sulla legislazione antiterrorismo degli Stati
Uniti, prendendo come riferimento la data spartiacque dell’11 settembre 2001 e le
conseguenze che sono derivate dagli attacchi.
La legislazione posta in essere sotto la Presidenza Bush ha causato profondi malumori
all’interno della Comunità internazionale e nella stessa società statunitense per via della
profondità delle misure adottate. In nome della sicurezza collettiva sono state sacrificate
essenziali libertà e diritti, diversificando l’azione penale per gli stranieri.
Ampio spazio è stato concesso alla trattazione del campo di prigionia di Guantánamo a
Cuba, mettendo in risalto le violazioni dei diritti umani e la perplessità della Corte
Suprema sulla legalità delle detenzioni. Per questo motivo sono stati analizzati i casi
giurisprudenziali più eclatanti della Corte Suprema che ha censurato più volte le misure
speciali introdotte dall’Amministrazione Bush, considerando successivamente le
ripercussioni che tali pronunce hanno avuto sui mandati dei Presidenti Obama e Trump,
concludendo con qualche breve considerazione sul neoeletto Presidente Biden.
Il terzo capitolo conclude il lavoro evidenziando le differenze maggiori tra la legislazione
descritta in precedenza e quella del Regno Unito. La questione Nord-irlandese ha
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caratterizzato l’azione congiunta del Parlamento e del Governo, che hanno preferito
approcciare il terrorismo in questione con il principio della temporaneità delle misure
introdotte, che venivano rinnovate a cadenza biennale.
Solamente la fine del conflitto irlandese ha delineato una legislazione nuova e
permanente, con la quale si è preferito definire con più riguardo e criminalizzare gli
attacchi di organizzazioni terroristiche che fino al nuovo millennio non erano conosciute
dal contesto domestico britannico.
Infine, il ruolo e l’efficacia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Corte
che essa istituisce sono stati particolarmente presi in considerazione in un ambito che,
come quello considerato, mostra diverse criticità sul piano della conformità delle
restrizioni introdotte con le libertà fondamentali.
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CAPITOLO I
L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEL TERRORISMO: UNA DEFINIZIONE
DI DIRITTO INTERNAZIONALE
1.1 – Fenomenologia del terrorismo
Garantire la sicurezza dei propri cittadini è uno dei compiti fondamentali di uno Stato.
Dacché esiste tale necessità, si è formata in parallelo, con sfumature diverse, una forza
dirompente che mira al disorientamento, alla paura e al terrore. Assumere il terrorismo
come un fenomeno recente non è completamente corretto, perché forse l’uso di armi
moderne e l’approccio a nuove sofisticate tecnologie digitali possono trarre in inganno.
In realtà, sin dai primi embrioni di ciò che oggi è noto come Stato, si sono verificate
tendenze violente con lo scopo di ottenere un qualcosa che modificasse una situazione
precedente. Gli elementi comuni sono sicuramente la lotta armata e l’uso della forza.
Successivamente, a partire dal XIX secolo, il terrorismo si è affermato come un elemento
dotato di un certo grado di sistematicità nelle proprie azioni e rivendicazioni. Certamente,
i gruppi di persone che compivano atti eversivi sono stati molto eterogenei, tanto che è
possibile tentare di individuarne peculiarità e differenze, ponderate anche con l’epoca e
lo scenario storico nei quali si misuravano.
È necessario chiedersi preliminarmente cosa è terrorismo e cosa non lo è affatto. Per
quanto un’azione sia eclatante, deve esserci sempre dietro non solo una premeditazione,
ma anche un gruppo organizzato di individui coordinati tra loro per porre in essere un
determinato evento violento, destinato a smuovere le coscienze comuni, in primis quelle
di chi ricopre un ruolo istituzionale. Questo assunto allora esclude ogni azione
individuale, sia dal punto di vista della realizzazione materiale che da quello della
organizzazione preventiva. Per questo motivo non si è potuto parlare di terrorismo tout
court nei casi di omicidio di alte cariche di uno Stato come, ad esempio, dei Presidenti
Carnot, McKinley e Kennedy
1
.
1
W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001, p. 14.
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Effettivamente, per molto tempo i bersagli che i terroristi colpivano sono stati singoli
individui, perché inizialmente il concetto di azione che si portava avanti era quello di
eliminare i vertici nella speranza di determinare un cambiamento politico o talvolta,
invece, arrestarlo completamente. È questo il caso di un’organizzazione terroristica russa
che ha operato negli anni conclusivi dell’Ottocento, nota come Narodnaya Volya, che
sicuramente ha caratterizzato la storia della Russia moderna, colpendo a morte non
solamente ministri e funzionari di alto rilievo, ma anche lo stesso Zar Alessandro II nel
1881.
Il caso del Narodnaya Volya è un’importante fattore esplicativo di come il terrore sia
un’arma “a due fattori”, nel senso che irrompe prepotentemente nella quotidianità e, più
o meno consapevolmente, contribuisce a creare le condizioni per un cambiamento futuro.
Difatti, dopo l’attentato allo Zar, l’organizzazione è stata quasi completamente
smantellata, ma gli ideali vengono più volte riproposti dal Partito dei Socialisti
Rivoluzionari, responsabile di attentati alla vita di diversi ministri
2
.
Un secondo aspetto che merita di essere messo in risalto è che il Narodnaya Volya è stata
un’organizzazione all’avanguardia, perché ha saputo sfruttare dei fattori esterni e
completamente indipendenti a vantaggio del fine che perseguiva. In particolare, la
modernizzazione che ha investito la Russia del tardo Ottocento ha prodotto le condizioni
ottimali per gli attentati, da un lato aumentando le vulnerabilità strategiche – come la rete
ferroviaria che era sovente teatro di attacchi – e, dall’altro, non garantendo la sicurezza
nei confronti di una società che sviluppava forme di aggregazione più ramificate, vivaci
e complesse
3
.
I fini di una organizzazione possono essere un modo efficace per distinguere le une dalle
altre. Se il cambiamento di un indirizzo politico e l’impossibilità di accesso alla vita
politica erano le motivazioni che spingevano le azioni del Narodnaya Volya, lo stesso
non si può dire di altri gruppi. Una prima divisione può essere quella tra organizzazioni
che vogliono ottenere una libertà o l’indipendenza portate avanti da una precisa parte
della popolazione; si può, invece, mirare ad un fine prevalentemente politico senza però
individuare un collegamento con caratteristiche comuni degli appartenenti al gruppo
4
.
2
W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001, pp. 11 ss.
3
M. CRENSHAW, The causes of terrorism, in Comparative Politics, 13 (4), 1981, p. 381.
4
C. WALKER, Defining terrorism in national and international law, in In Terrorism as a Challenge for
National and International Law - Security versus Liberty?, Berlino, 2004, p. 4.
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Della prima tipologia fanno parte l’ETA in Spagna, i gruppi palestinesi in Israele, il PKK
in Turchia, l’IRA in Irlanda del Nord, mentre nella seconda categoria si possono
ricondurre le BR italiane e la RAF in Germania degli anni Settanta.
Oltre alle motivazioni politiche o ideologiche alla base della formazione terroristica e che
quindi sono strettamente legate alla genesi di un gruppo, possono essere individuate anche
delle variabili indipendenti che contribuiscono alla nascita del terrorismo. Bisogna
sempre tenere a mente che esso nasce come risposta violenta al malcontento generale, ad
una violazione particolare del Governo oppure ancora all’instabilità politica. In tali
contesti può fare la differenza la modernizzazione dello Stato, come nel già citato caso
del Narodnaya Volya. Lo sviluppo di moderne tecnologie, come il trasporto aereo, ha
permesso nuove tipologie di estremismi. Il dirottamento degli aeromobili, che crea
problematiche anche a livello internazionale, come si dirà, è uno dei metodi più utilizzati
e che maggiormente scuote l’immaginario collettivo. Recentemente, lo sviluppo dei droni
a controllo remoto ha messo in crisi la macchina di sicurezza statale, tanto è vero che
molti Paesi hanno creato all’interno delle forze armate gruppi ad hoc per questa esigenza
specifica. Nondimeno, una preoccupazione che ancora oggi merita particolari attenzioni
è l’accesso dei gruppi terroristici ad armi nucleari, che renderebbe catastrofico qualsiasi
attacco
5
. Recentemente, invece, il terrore si è smaterializzato ponendosi su un nuovo
campo di battaglia che non è più fisico ma appunto virtuale: il cosiddetto cyber-
terrorismo presenta specificità nuove e pericolosamente letali quanto improvvise, in
quanto un solo attacco hacker andato a buon fine può colpire aspetti importanti dei servizi
pubblici essenziali e per tale motivo richiede una competenza tecnologica avanzata per
un’efficace azione antiterroristica
6
.
Nel momento in cui si è spostato il bersaglio da singolo a collettivo, l’urbanizzazione
delle città ha sicuramente dato una spinta alla progettazione degli attentati, che non più
miravano alla figura di vertice, ma al contrario colpivano casualmente quante più persone
possibile. Questo è particolarmente vero in America Latina degli anni Sessanta, tanto che
secondo alcuni il concetto di guerriglia urbana è stato parte di un fenomeno terroristico
7
.
Tuttavia, bisogna ponderare tale assunto innanzitutto con il contesto sudamericano di
5
F. CASINI, La comunità internazionale nell’era del terrorismo globale, in Il Politico, 72 (3), 2007, pp.
29 ss.
6
Cfr. R. GARNETT & P. CLARKE, Cyberterrorism: a new challenge for international law, in A.
BIANCHI (cur.), Enforcing international law norms against terrorism, Hart Publishing, Oxford, 2004.
7
M. CRENSHAW, The causes of terrorism, in Comparative Politics, 13 (4), 1981, p. 382.
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quegli anni, che non è improntato tanto al terrorismo in sé per sé come finora considerato,
ma più collocato all’interno di una lotta di destabilizzazione politica interna di ampio
respiro, dettata soprattutto dalla guerra tra Stato e organizzazioni criminali dedite alla
produzione e vendita di droga, come è avvenuto ad esempio in Colombia. Certamente si
può parlare di atti terroristici in quel periodo, ma solamente come una delle tante scelte a
disposizione di chi compiva tali gesti, infatti non erano rari anche sequestri, intimidazioni
di vario genere ed estorsioni. È per questo motivo che il concetto di guerriglia urbana e
terrorismo sono senza dubbio connessi ma non concausali
8
.
Un ulteriore elemento oggettivo collegato al terrorismo è l’instabilità dei governi ed una
inadeguata struttura di intelligence. È evidente che, in questi contesti, una organizzazione
piccola e clandestina può repentinamente affermarsi. Da questo punto di vista, si nota una
difformità nell’efficacia delle azioni poste dallo Stato a seconda della forma di
quest’ultimo. Paradossalmente, uno Stato democratico-sociale è più esposto al fenomeno
terroristico di quanto non lo sia uno totalitario. Secondo Paolo Bonetti:
ogni forma di Stato democratico-sociale è più vulnerabile delle altre perché in essa
l’esercizio dei pubblici poteri ha dei limiti politicamente e legalmente insuperabili. [...]
La forma di Stato democratico-sociale è più vulnerabile di altre anche circa i contenuti
di eventuali misure di prevenzione o repressione della violenza politica, alcuni dei quali
potrebbero vanificare i fondamenti stessi di quella forma di Stato
9
.
Infine, è stata determinante anche la globalizzazione, perché con un mondo sempre più
interconnesso è risultato più semplice lo sviluppo di un terrorismo non precisamente
localizzato come nei casi citati, in quanto agente in diverse parti del mondo. Inoltre, l’suo
di Internet e dei social network ha ampliato esponenzialmente i modi di comunicare tra i
membri delle organizzazioni, rendendo necessari anche nuovi mezzi di monitoraggio da
parte degli Stati. Questo elemento è stato determinante soprattutto dal punto di vista
economico: in particolare, il mercato dei capitali ricopre un ruolo chiave nel
sostentamento delle organizzazioni, sfruttando intermediari finanziari per reperire fondi
8
Cfr. W. LAQUEUR, Guerrilla: historical and critical study, Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1977.
9
P. BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 16-18.
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5
e successivamente distribuirli ai membri operativi
10
. Risulta, infine, particolarmente
prolifico l’uso di Internet per reperire non solo materiali ma specialmente nuove persone
disposte ad essere affiliate nell’organizzazione, nelle modalità di cui si parlerà nel
paragrafo seguente.
Da questo punto di vista, gli Stati sono decisamente messi nelle condizioni peggiori in
cui operare, sia per i motivi di disparità tra una organizzazione che mira a preservare i
diritti fondamentali, l’ordine, la pace e la sicurezza ed un’altra che conosce nella violenza
l’unico modo di confronto, sia per la differenza qualitativa delle forze che si confrontano:
se lo Stato segue procedure chiaramente individuate – talvolta anche di ordine
costituzionale – un gruppo terrorista contemporaneo, invece, si presenta come un’entità
senza base territoriale (quasi ubiquitaria) e, proprio per questo, svincolata dagli impegni
che pesano sugli Stati costituiti e dunque più spregiudicata e imprevedibile nell’azione
11
.
È, pertanto, un conflitto di civiltà asimmetrico.
I primi anni del XXI secolo sono segnati da una serie di attentati che, pochi anni prima,
non sarebbero stati possibili e che hanno caratterizzato anche gli avvicendamenti
geopolitici successivi, sempre secondo la concezione del terrorismo “a due fattori”. Il
terrorismo che, come noto, ha avuto la sua più efficace e triste espressione nel 2001 è il
connubio tra modernità e tradizione, perché la globalizzazione viene sfruttata all’interno
di un contesto fortemente ideologico religioso che risulta esattamente l’opposto del primo
elemento. In effetti, il terrorismo di matrice religiosa è una realtà relativamente nuova: il
segno marcato della religione non era presente in Russia durante gli anni del Narodnaya
Volya, tanto meno caratterizzava il terrorismo armeno che era in risposta all’oppressione
dell’esercito turco nel 1890
12
. Differentemente, l’Irlanda del Nord ha conosciuto scontri
marcatamente religiosi tra cattolici e protestanti, tuttavia questa caratteristica si è legata
alla lotta per l’indipendenza dal Regno Unito: è per questo che la matrice islamica è così
caratterizzante il terrorismo di Al-Qa’ida prima ed ISIL poi, perché le azioni di questi
gruppi erano in grandissima parte inspirate ai dettami mistificati dell’Islam.
10
N. POLLARI, Un nuovo approccio all’analisi del fenomeno ‘terrorismo internazionale’, in Il Politico,
72 (3), 2007, p. 201.
11
F. CASINI, La comunità internazionale nell’era del terrorismo globale, in Il Politico, 72 (3), 2007, p.
25.
12
Sul punto si veda W. LAQUEUR, A history of terrorism, Taylor & Francis Group, New York, 2001.
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1.1.2 – Le organizzazioni terroristiche oggi
Sicuramente, non conoscere l’avversario che si sta fronteggiando è l’elemento più
pericoloso di tutti. Inizialmente la mancanza di informazioni sulla vita interna di queste
organizzazioni ha comportato uno svantaggio da parte della comunità internazionale, che
solo successivamente è riuscita a ricostruire tutti i movimenti di questi gruppi.
Un team di studiosi
13
, ha cercato di analizzare la struttura delle organizzazioni
terroristiche da un punto di vista aziendale-finanziario, basandosi sulle informazioni rese
disponibili dagli Stati. Certamente, non rileva tanto in questa sede l’analisi della materia
economica come, invece, è stato autorevolmente fatto dagli Autori citati, ma è proficuo
estrapolarne alcuni aspetti cercando di evidenziare le caratteristiche strutturali
dell’argomento in esame.
Dal punto di vista organizzativo, la formazione dei gruppi è spesso non formalizzata, nel
senso che la necessità di mimetismo e di duttilità per sfuggire agli Stati impone strutture
flessibili e capaci di adattarsi repentinamente ai cambiamenti. Certo è che la figura di
vertice esercita la sua leadership con carisma, la quale gli garantisce obbedienza assoluta
anche per la totale dedizione dei membri nella causa che abbracciano. Non esiste perciò
una chiara formazione gerarchica piramidale, però si può individuare una costellazione
poliforme di membri che gravitano attorno alla base decisionale dell’organizzazione
terroristica. È noto che la parola Al-Qa’ida significa proprio “la base”, che è appunto il
nucleo duro decisionale dal quale dipendono piccoli gruppetti isolati di affiliati operativi
disseminati in tutto il mondo e pronti in qualsiasi momento ad agire. A collegare la base
con le cellule operative sono degli intermediari che hanno il compito di coordinare le
azioni terroristiche, fornendo ad esempio materiali, informazioni e denaro. Queste figure
sono a capo di più cellule ed hanno uno strettissimo legame fiduciario con la leadership.
In questo contesto, appare ancora più evidente quanto la globalizzazione e l’accesso ad
Internet abbiano aumentato esponenzialmente la minaccia di tali gruppi. Infatti, una delle
fasi più importanti, vale a dire il reclutamento di personale, l’indottrinamento e
13
Cfr. W. ENDERS & T. SANDLER, The political economy of terrorism, Cambridge University Press,
Cambridge, 2012; W. ANDERS & X. SU, Rational terrorists and optimal network structure, in Journal of
Conflict Resolution, 51 (1), 2007; W. ENDERS & P. JINDAPON, Network externalities and the structure
of terror networks, in Journal of Conflict Resolution, 54 (2), 2010.