Introduzione
È attorno al tema dell'acqua che si gioca la preservazione degli ecosistemi, il
benessere, la salute di chi abita sul territorio e la qualità della vita in generale. Come ricorda
Ivan Illich «l'acqua ha una sua capacità illimitata di caricarsi di metafore [...] e ancor più
sottilmente dello spazio, possiede sempre due lati diversi» [Illich 1985: 33]. Soprattutto nella
nostra epoca “moderna” l'acqua porta con sé una costruzione storica ed è stata concepita, in
seguito all'arrivo dell'irrigazione, come “dominio della tecnica” per cui sia l'aspetto simbolico
che l'immaginario culturale legato ad essa vengono oscurati ed estromessi proprio dai
processi di modernizzazione. L'ambivalenza dell'acqua si ritrova sia nell'aspetto fisico,
generatrice di vita o di morte, sia nell'aspetto simbolico legato al genere: «diversi studi hanno
mostrato l'antica connessione dell'acqua con la femminilità, la maternità, la purezza
femminile, la sensualità o la nudità femminile, aspetti per esempio che si sono riattivati nelle
lotte per la difesa dell'acqua pubblica» [Van Aken 2019: 39]. È proprio il tema della lotta per
la difesa dell'ambiente e più in particolare dell'acqua, intesa come bene comune da preservare,
il motore che ha condotto la mia ricerca fin dall'inizio e che mi ha portato ad incontrare i
protagonisti della vicenda che affronterò già dal primo capitolo. Il mio lavoro parte da un
“casus belli”, la vicenda dell'inquinamento da Pfas in Veneto da parte dell'azienda chimica
Rimar-Miteni, che ha visto e vede tutt'oggi contrapporsi diversi protagonisti: popolazione
locale, associazioni, istituzioni e aziende chimiche. Queste “fazioni” estremamente
eterogenee nelle loro modalità di azione, a seguito di un evento impattante e traumatico sia
fisicamente che socialmente, si sono trovate improvvisamente su un terreno di frontiera
caratterizzato da forti “frizioni” e che ha permesso loro di incontrarsi. Ne è derivato un
incontro/scontro tra saperi e visioni del mondo che ha fatto emergere questioni riguardo la
salute pubblica, la gestione dell'acqua e la tutela dell'ambiente, i beni comuni e la loro odierna
mercificazione, ma ha anche contribuito, attraverso l'impatto sulla scena pubblica, a far
emergere differenti idee di natura e di acqua che vengono quotidianamente agite. Come
sostiene Ivo Mauro Van Aken l'acqua è eletta a “feticcio” della modernità perché incarna la
nostra relazione con l'ambiente, la imprime nella carne, la fa entrare nel nostro corpo, e come
tale agisce e noi agiamo tramite l'idea che abbiamo di essa. È l'idea di acqua con cui agiamo
che porta a determinare le scelte ed è pertanto legata alle azioni e ai comportamenti umani.
L'acqua non è storicamente neutra ma è contornata di un progetto culturale e sociale. Alla
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luce di ciò l'acqua può essere trattata anche come un insieme di saperi attraverso cui
categorizziamo il mondo e ci pone nell'arena della lotta per la classificazione del mondo. È in
un quadro così delineato che la battaglia in un ambiente in crisi prende forma, ponendo a chi
sa osservare, diverse questioni che, partendo da un piccolo contesto locale come Lonigo - un
piccolo paese in provincia di Vicenza finito in “zona rossa” per l'elevato rischio ambientale -
possono portare al confronto di possibili immaginari del futuro che vogliamo costruire.
Un gruppo di mamme di Lonigo, una piccola cittadina in provincia di Vicenza, si è trovato in
una “scomoda posizione”: dover combattere per la salute dei propri figli. In questo piccolo
paese, entrato dal 2017 nella cosiddetta “zona rossa” - una zona comprendente 21 comuni e
ad elevato rischio per la salute a causa dell'elevata concentrazione di Pfas nelle acque
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- è in
corso una dura battaglia per la salute che vede coinvolte in primis la popolazione locale,
alcune associazioni ambientaliste, le istituzioni governative e l'azienda chimica Rimar-Miteni,
quest'ultima è considerata la responsabile di un inquinamento del territorio su larga scala che
dura da decenni. I dati hanno mostrato che i residenti di questi comuni hanno un'incidenza di
malattie molto più elevata rispetto alla media italiana. Questo a dimostrazione che il territorio
di Lonigo ha una lunga storia di inquinamenti ambientali alle spalle i quali, come vedremo,
sono radicati nella memoria collettiva della popolazione. Come sosterrò in seguito, questo ha
generato una certa “familiarità” col concetto di disastro ambientale che ha influito sulla
percezione del rischio di alcuni dei soggetti coinvolti. Le mamme dei bambini di questa zona
che, in seguito a uno screening del sangue dei loro figli nel 2017, hanno scoperto che il loro
sangue conteneva alte concentrazioni di Pfas, hanno visto cambiare radicalmente le loro
abitudini quotidiane e si sono organizzate per rispondere a quello che sarebbe stato dichiarato
nel 2018 “Stato di Emergenza” da parte del Ministero della Salute. Per affrontare questa
potenziale situazione socialmente disgregante, queste mamme hanno formato nel 2017, un
gruppo di “genitori attivi” che è stato chiamato “Mamme no Pfas” e che è diventato per me,
durante la mia ricerca sul campo, il nucleo centrale della mia ricerca. Come spiegherò in
seguito, la scelta di restringere il campo di ricerca alle Mamme no Pfas è avvenuta in seguito
a diverse chiacchiere informali, ed esperienze vissute direttamente con diversi protagonisti e
attivisti che mi hanno permesso di comprendere la complessità della situazione e in seguito,
di inquadrare la vicenda nell'ampio quadro teorico di antropologia dei disastri.
1 Sostanze Perfluoroalchiliche. Esse sono un gruppo di oltre 4000 sostanze classificate come interferenti
endocrini, e che saranno oggetto di studio nel primo capitolo.
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Elisa Dalla Benetta, un medico di base operante nella Ulls9 Scaligera nella “zona rossa” e che
aveva in cura alcuni dipendenti dell'azienda Miteni con diverse “strane” patologie ha reso
bene l'idea di quello che queste persone si sono trovate ad affrontare:
La salute va al contrario. Ci dicono di bere l’acqua del rubinetto, mentre dobbiamo bere
acqua di bottiglia. Che i bambini vanno allattati al seno, ma è provato che la trasmissione
degli Pfas avviene già con il latte materno. E che il cibo migliore è quello a ‘chilometro
Zero’. Per sopravvivere, invece, dobbiamo, fare il contrario [Dalla Benetta in Il Fatto
Quotidiano: 18 Novembre 2018].
I Pfas hanno la capacità di inquinare acqua, aria e suolo, sono bioaccumulabili, il che vuol
dire che il corpo umano non li metabolizza e non riesce ad espellerle se non nell'arco di circa
10 anni - a patto di non ingerirne altre -, sono inodori, insapori e incolori quindi non è
possibile accorgersi sensorialmente della loro presenza. Sono tali caratteristiche che,
prendendo in prestito un'espressione di Gianluca Ligi, mi hanno permesso di dare
l'appellativo di “nemico invisibile” a questo gruppo di sostanze. L'invisibilità è un tema
centrale dell'antropologia dei disastri: essa non si riferisce solamente alla capacità di vedere
una minaccia ma anche «all’impossibilità di averne una percezione sensoriale complessiva
mediante la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto, il gusto e con la propria esperienza corporea dello
spazio naturale e dei fenomeni atmosferici» [Ligi 2009: 61]. L'invisibilità sensoriale può
diventare anche un'invisibilità cognitiva, cioè un'impossibilità di immaginare e di conferire
senso al mondo perché «gli esseri umani fanno molto di più che vedere, udire, sentire,
toccare, odorare, nel semplice senso di registrare il loro ambiente. Contemporaneamente,
proprio mediante le esperienze corporee, essi lo interpretano, avanzano inferenze riguardo ad
esso, lo sognano, lo giudicano, lo immaginano, e si impegnano in ancora altre forme di
conoscenza. Ciò significa che i processi percettivi sono sempre anche simbolici» [Ligi 2009:
63]. Da un punto di vista più ampio, l'invisibilità di queste sostanze e il loro impatto sulla
salute non sempre percettibile perché in molti casi i danni gravi sul corpo adulto potrebbero
manifestarsi tra qualche decennio
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, si interseca con un'altra invisibilità: l'invisibilità dei cicli
dell'acqua. Tutte le persone che ho intervistato mi hanno confessato che fino al 2017, anno in
cui sono pervenuti i risultati dello screening del sangue dei ragazzi, non sapevano
2 I Pfas essendo interferenti endocrini hanno un maggior impatto sulla salute per i bambini. Molte mamme mi
hanno confermato la presenza di patologie nei propri figli tra cui problemi di ipotiroidismo e colesterolo alto
in tenera età.
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assolutamente nulla dei Pfas. Come mostrerò nella mia ricerca, tale inconsapevolezza è stata
alimentata da ciò che Ivo Mauro Van Aken chiama “invisibilità dei cicli dell'acqua”: l'acqua,
in seguito alle innovazioni tecniche ha perso la sua visibilità pubblica per essere convogliata
sotto terra tramite le tubature. Ma insieme alla sua visibilità sono stati persi, o meglio, sono
stati nascosti anche altri caratteri della sua multidimensionalità sociale, culturale e politica. La
modernizzazione dell'acqua di cui parla Van Aken che comprende la nascita di nuove tecniche
irrigue, l'ingegneria idraulica e l'economia dello sviluppo, ha portato ad oscurare la funzione
sociale dell'acqua e la sua antica multidimensionalità. Secondo l'autore soltanto prendendo
atto di questo processo che ha portato all'allontanamento dell'acqua da società e cultura è
possibile produrre quello scarto che servirebbe a ricomprendere come l'uomo attiva il suo
coinvolgimento con l'acqua. La costruzione di questa ignoranza nei confronti dei processi
culturali e sociali dell'acqua ha quindi portato all'invisibilità dell'acqua, alla sua astoricità, e a
dare per scontata la sua presenza e la sua gestione: ciò che prima era considerata una risorsa
di cui prendersi cura, ora è vista come naturale, scontata e perciò diventa invisibile, ed è
diventata terreno di competenza degli esperti, dei tecnici. «Non ne ho mai sentito parlare di
Pfas. Sarò stato addormentato io, sarò stato squadrato che pensavo solo al mio lavoro e basta,
ma io finché stavo a Legnago non ho mai sentito parlare di Pfas. Ne ho sentito parlare nel
2016»
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, ha affermato l'ex presidente Isde Vicenza Francesco Bertola, protagonista della
vicenda Pfas a fianco delle mamme, quando gli ho chiesto in che modo è entrato in contatto
con le sostanze inquinanti. Questa “scomoda posizione” in cui si sono trovati i tanti
protagonisti di questa vicenda ha portato a far riemergere e riproblematizzare molti temi che
riguardano la socialità dell'acqua attivando meccanismi di solidarietà e partecipazione. La
formazione delle Mamme no Pfas si inserisce in questo quadro così delineato: «Sono una
mamma e ho due figli, una di diciassette anni e l'altra di presto sedici, è nato tutto nel 2017, a
Marzo 2017 quando sono pervenute a casa nostra le analisi di mia figlia, la più grande, perché
ha fatto questo screening, è stata chiamata dalla regione Veneto per fare questo controllo sulla
quantità di Pfas nel sangue. Quando sono pervenute a casa mia le analisi ho visto che i valori
di questi Pfas erano molto più alti rispetto ai valori di riferimento. Nel frattempo mi hanno
chiamato delle altre amiche che appunto essendo io infermiera, volevano capire cosa erano
questi valori. Da lì ci siamo incontrate in un bar bevendo un caffè e da lì abbiamo cominciato
a ragionare su questo problema e come risolverlo»
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, mi ha raccontato Michela durante la
3 Intervista a Francesco Bertola, 25 Maggio 2020.
4 Intervista a Michela Piccoli, 3 Aprile 2020.
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nostra prima intervista Skype. In seguito a questa prima intervista ho cominciato a capire che
il tema dell'acqua ha una multidimensionalità che emerge nel momento in cui diamo la
possibilità agli attori di far emergere la propria voce e le proprie visioni del mondo. L'acqua
ha una dimensione materiale, biologica, fisica, sociale, culturale e politica, al tempo stesso
individuale e sociale, che manifesta la nostra iper-connessione e fa vedere quanto la vita sia
riconducibile all'azione umana. L'acqua è il sostrato materiale che registra la complessità del
mondo, in altre parole il ciclo dell'acqua è un prisma che fa emergere la multidimensionalità
del reale. L'analisi di questa multidimensionalità all'interno del contesto del “disastro” mi ha
portato a porre l'accento sulle trasformazioni che si sono venute a creare nella quotidianità dei
singoli individui e sulle nuove forme di aggregazione e di modalità del vivere insieme. Ciò fa
dell'acqua un “fatto sociale totale”: la percezione del rischio e l'impatto che tali sostanze
hanno avuto nel quotidiano per queste famiglie sono diventate totalizzanti. Queste sostanze,
attraverso l'acqua, si sono intrufolate nei corpi delle persone e nella loro vita quotidiana:
l'acqua del rubinetto non può più essere usata per bere, per lavarsi i denti, per cucinare, per
coltivare l'orto, per abbeverare gli animali. Come mi ha confidato Monica, una mamma no
Pfas impegnata nella battaglia per l'acqua: «questa acqua la uso solo per lavare i piatti, per
fare le lavatrici e per lavarmi. Per tutto il resto acqua in bottiglia. [...] Mio marito con mio
papà ci siamo messi d'accordo di prendere qualche gallina e dare l'acqua del rubinetto. Le
uova sono un iper-concentrato di Pfas quindi ne metti due su una torta e ne accumuli una dose
infinita»
5
. Questa questione è diventata subito motivo di riflessione, “densa” di significati. Il
semplice gesto di dare acqua in bottiglia alle galline per poter mangiare le uova non
contaminate si è subito rivelata una modalità di azione che esula dal mio quotidiano ma che,
per queste mamme, è diventata abitudine. Il fatto di dare visibilità al problema ha portato
quindi alla formazione di nuove abitudini ma anche di una nuova consapevolezza che svela il
valore simbolico e culturale implicito dell'acqua, questione di cui parla Van Aken: «l'acqua
nei circuiti urbani è invisibile, nascosta, è stata “silenziata”, tolta ed omessa dalla dimensione
sociale, “come se” fosse natura che entra nelle città e case moderne per poi uscirne in modo
discreto, in una distinzione dicotomica degli spazi della cultura e della natura» [Van Aken
2019: 43]. La scelta delle mamme di “scendere in campo” è stata veicolata anche dal fatto che
il “tornare a casa” non permette l'allontanamento dal campo e dal problema: è una battaglia
che si gioca nel quotidiano. L'ambiente pulito è una priorità. Lo stesso Francesco Bertola mi
5 Intervista a Monica Greizzaro, 27 Ottobre 2020.
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ha detto: «quando apri la finestra vuoi vedere un bel paesaggio, l'acqua vuoi che sia pulita»
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.
Analizzare l'acqua nel suo contesto sociale e culturale ci conduce in una visione diacronica e
ad affrontare i disastri come processi storici. La definizione di disastro che utilizzeremo, cioè
la definizione di Oliver Smith ci porterà a pensare anche il disastro allo stesso modo, cioè
come processo sociale, dotato di variabili antropologiche, di cui si valuterà un impatto (non
naturale ma sociale) e una vulnerabilità associata al concetto di rischio.
[...] un disastro è un processo/evento che interessa la combinazione di agenti
potenzialmente distruttivi derivanti da un ambiente tecnico o naturale e una comunità
umana che si trova in una condizione di vulnerabilità socialmente o tecnologicamente
prodotta. Si manifesta in termini di percepita distruzione dei dispositivi che assicurano il
normale ottemperamento dei bisogni individuali e sociali di una comunità, necessari per
la sopravvivenza fisica, per l'ordine sociale e il mantenimento del sistema di significati.
[...] il disastro è un fenomeno che si manifesta nel punto di connessione fra società,
tecnologia e ambiente, e può essere interpretato come effetto particolarmente eccezionale
causato dalle interazioni profonde di questi tre elementi [Oliver Smith in Ligi 2009: 43].
Il dibattito natura-cultura riemerge qui con forza: quanto di naturale c'è in un disastro e
quanto c'è di associato alla mano dell'uomo? Se consideriamo il disastro non come evento in
sé - sincronico - ma come processo - diacronico -, vengono alla luce le complessità di una
definizione che tiene conto dei processi e dei cambiamenti sociali. Anche la colpa e la
responsabilità di un disastro assumono così un ulteriore significato e diverse sfumature. “Tutti
siamo in qualche modo responsabili”, per non aver agito o non essercene interessati. Emerge
qui una questione spinosa ma estremamente importante per l'analisi: il processo di “blaming”
cioè il processo di attribuzione di colpa. Esso fa leva su quella che Raymond Williams ha
chiamato “struttura del sentimento” che è estremamente correlata con le percezioni di se
stessi nel mondo, e quindi con i processi di “identizzazione” [Alliegro 2020] in periodi di
crisi e con il doloroso processo di ricostruire la struttura di significato che apparteneva a un
mondo ormai sgretolato.
Il disastro, affrontato come processo socio-culturale consente perciò di porre l'attenzione sulla
dimensione diacronica dell'evento catastrofico e di mettere l'accento sia sulle conseguenze
sociali dell'impatto, sia sui meccanismi di produzione di conoscenza che stanno alla base
6 Intervista a Francesco Bertola, 25 Maggio 2020.
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