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INTRODUZIONE
La salute e il benessere rappresentano due dimensioni necessarie al
raggiungimento di una buona qualità di vita degli individui nella società, e sono
strettamente collegate ai temi della partecipazione al lavoro, alla produttività e
alla sostenibilità. Il lavoro, infatti, influenza enormemente anche la salute, se si
considera che specifici fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro possono
essere causa di infortuni, malattie professionali e disturbi connessi all’attività
lavorativa, e avere anche conseguenze a lungo termine sulla salute. Il benessere
lavorativo e la salute sono fattori fondamentali della strategia generale europea,
come riportato nella Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2020 sulla
strategia dell'UE in materia di sanità pubblica dopo la crisi del COVID-19. In
ogni caso, già nel 2008, con il Patto Europeo per la salute e il benessere mentale,
firmato a Bruxelles, viene sottolineata l’importanza di queste dimensioni, per
una Europa forte e competitiva.
Un’economia sana è strettamente correlata all’esistenza di una popolazione sana.
Senza questa premessa, le imprese divengono meno produttive, mentre i cittadini
perdono la possibilità di vivere una vita longeva e di qualità. Le condizioni di
lavoro influiscono direttamente sulla qualità di vita degli individui. Perciò il
lavoro rappresenta una componente irrinunciabile del benessere di una persona,
innanzitutto perché garantisce un reddito, secondariamente perché consente una
più ampia socialità. La depressione e lo stress legati all’attività lavorativa sono
due problematiche cui viene rivolta un’attenzione crescente, poiché possono
ridurre il benessere, anche fino a compromettere irrimediabilmente la capacità
lavorativa.
I temi della salute e del benessere si inseriscono in un mercato del lavoro ormai
multietnico, e nel quale la partecipazione attiva dei lavoratori stranieri può
generare una importante ricchezza ed integrazione economico-sociale, così
come il riconoscimento di diritti e tutele individuali.
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La diffusione della pandemia CoVid-19 ha inciso profondamente sugli stili di
vita quotidiani e sulle dinamiche relazionali, con contraccolpi pesanti sul
benessere psicosociale dell’intera collettività.
Da sempre le emergenze sanitarie possono determinare situazioni di forte stress
ed ansia, e il dato è più evidente se si considerano le caratteristiche della
pandemia in corso e le misure restrittive messe in atto per fronteggiarla.
Gli aspetti intrapsichici di tutti gli individui coinvolti nella pandemia, quali
stress, paura e ansia elevate, causati dalla quarantena forzata cui l’intero Paese è
stato sottoposto, possono comprometterne in maniera rilevante la salute, e gli
esiti potrebbero essere, in alcune circostanze, tali da sopraffare l’individuo.
Il lockdown, causato dalla necessità di gestire la pandemia CoVid-19, ha limitato
la libertà dell’individuo, ponendolo dinanzi ad innumerevoli vissuti e condizioni.
L’incertezza sullo stato di salute, la preoccupazione per la malattia, la paura per
il pericolo del contagio potenzialmente presente nei diversi contesti nei quali
l’individuo vive e agisce, il senso di solitudine determinato dalla separazione dai
propri affetti, le preoccupazioni per le probabili ricadute economiche, inducono
stati emozionali negativi con perdita di autoregolazione e autocontrollo emotivo,
che possono sfociare in comportamenti di rabbia e condizioni di distress
psicologico, inteso in termini di livelli di ansia e depressione, che possono
determinare anche condizioni psicopatologiche di salute.
La risposta psicologica e comportamentale di una comunità è influenzata dalla
condivisione delle informazioni sui rischi e dalla comunicazione delle decisioni
e delle azioni politiche attivate per gestirli. Una comunicazione efficace
favorisce la riduzione dello stress, consentendo ai membri della comunità di
concentrarsi sullo svolgimento dei loro ruoli a casa e al lavoro. Quando le
persone si trovano a dover “fare i conti” con problemi che li destabilizzano,
riescono anche a generare un adattamento alle esperienze di vita, definito
“resilienza”, che comporta difficoltà e sfide.
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La presente tesi di ricerca, partendo dai temi della qualità della vita e del
benessere del lavoratore, si propone di indagare gli effetti psicologici causati
dalla pandemia CoVid-19 su un campione comparato di ventisei lavoratori
autonomi esercenti il commercio, di cui la metà costituita da lavoratori stranieri
extracomunitari appartenenti a differenti etnie.
In particolare, scopo di questo lavoro di ricerca è la verifica della omogeneità o
della disomogeneità di elementi correlati alla pandemia, quali la capacità di
resilienza e gli effetti socioeconomici causati dalla emergenza sanitaria nei
soggetti esaminati.
Il primo capitolo esamina il percorso che, dal disinteresse delle aziende e delle
istituzioni per la condizione di sicurezza e di benessere del lavoratore, conduce
al concetto di benessere organizzativo e a quello più ampio che lo ricomprende,
della qualità della vita. In particolare, sono stati analizzati una pluralità di fattori:
quelli che contribuiscono al mantenimento e all’incremento del benessere, e
quelli che al contrario si pongono come ostacoli di quest’ultimo, prestando
particolare attenzione agli effetti negativi dello stress lavoro-correlato. Per
completare il quadro viene inoltre fornita la visione che l’antropologia ha del
benessere e della qualità di vita, e viene delineato un breve excursus sulla
normativa italiana, in materia di sicurezza, prevenzione e benessere nei luoghi
di lavoro.
Il secondo capitolo analizza, partendo dalla definizione del concetto di
emergenza, i vari effetti psicologici che il CoVid-19 ha prodotto sulla
popolazione. L’attenzione viene progressivamente focalizzata sugli effetti
prodotti nella popolazione immigrata, essendo quest’ ultima una delle
dimensioni della tesi di ricerca. Viene inoltre effettuata una panoramica delle
ripercussioni che la pandemia ha avuto sul mondo del lavoro, sia dipendente che
autonomo, con particolare riguardo alle motivazioni che hanno portato a
scegliere quest’ultimo come oggetto dell’indagine.
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Il terzo capitolo permette di entrare nel vivo della letteratura precedentemente
analizzata. Vengono infatti indagati gli effetti psicologici che la pandemia ha
generato su un campione di lavoratori indipendenti, sia italiani che
extracomunitari, al fine di verificare se la situazione di emergenza da CoVid-19
abbia aggravato il presunto svantaggio di questa categoria di lavoratori. Inoltre,
viene posta particolare attenzione ai fattori generatori di malessere, e, viceversa,
ai fattori che hanno permesso il mantenimento di una parvenza di normalità, da
un punto di vista personale e professionale, che in alcuni casi hanno prodotto
strategie innovative, mostrando la resilienza dei lavoratori.
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Capitolo 1
SALUTE, BENESSERE, QUALITÀ DELLA VITA
1.1 Dal Taylorismo alle Human Relations
La ricerca psicologica ha acquisito, con il trascorrere del tempo, un interesse
progressivo verso i temi del benessere e dell’emotività positiva, studiando i
fattori che favoriscono la promozione e il mantenimento dello stato di salute.
Oggi la promozione della salute e del benessere è una priorità nei diversi campi
della psicologia, così come nella pratica clinica e nella ricerca.
In passato accadeva il contrario, quando le scienze della salute fisica e della
salute psichica si occupavano solo della malattia e della sua cura. Le rivoluzioni
industriali del XX secolo e la ricerca tecnologica avevano prodotto consistenti
modifiche agli assetti sociali ed economici, e il lavoratore, secondo la concezione
elaborata dall'ingegnere statunitense Frederick W. Taylor (1911), era
semplicemente l’appendice di una macchina, lavorava in simbiosi con essa, in
definitiva non era che una ulteriore risorsa nella produzione di beni e servizi. Le
aziende avevano un unico obiettivo, quello di conseguire il miglior risultato in
termini di costi e benefici economici. L’ambiente di lavoro e la salute del
lavoratore erano perciò di scarso interesse per l’azienda, quindi i problemi
“umani” dovevano riguardare, secondo Taylor, esclusivamente il modo di
produrre, e per questo motivo dovevano essere ridotti al minimo.
Il lavoratore non aveva un ruolo attivo e di conseguenza non aveva autonomia,
sul lavoro. La sua motivazione era alimentata esclusivamente dagli incentivi
economici, unici elementi di valore nella sua vita psichica (Smiraglia, 1993;
Sarchielli, 2003; Avallone, 2005).
Al riguardo, nella sua breve monografia sull’organizzazione scientifica del
lavoro (The Principles of Scientific Management, 1911), Taylor ipotizzava un
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incremento della produttività legato a tempi di realizzazione inferiori, e la
definizione dei salari calcolata in base all’efficacia lavorativa, e quindi al
rendimento. Ma nella sua teoria non vi sono riferimenti agli aspetti umani ed
alla salute del lavoratore, tutta l’attenzione è incentrata sul processo produttivo,
sulla One Best Way, che indica il modo più economico per compiere una data
operazione, e non ammette l’esistenza di ritmi individuali, perché questi sono
decisi dalla Direzione.
Il processo produttivo teorizzato da Taylor con il metodo dell’organizzazione
scientifica del lavoro è stato attuato ed interpretato in maniera più radicale da
Henry Ford, che creò la catena di montaggio introducendola negli stabilimenti
della Ford Motors Company nel 1913. Questa consisteva nello scomporre il
ciclo di produzione industriale in una serie di operazioni ripetitive e sequenziali,
dove ogni lavoratore aveva solo un compito, non esisteva più il gruppo, tutti
diventavano ingranaggi della catena di montaggio, e per questo i lavoratori erano
considerati tutti uguali e tra loro interscambiabili.
Nel nuovo sistema produttivo, come abbiamo visto, al lavoratore veniva tolta
ogni tipo di discrezionalità: mentre in precedenza egli poteva scegliere i tempi e
i modi del suo lavoro, con l'introduzione delle nuove procedure era costretto ad
adattarsi ai ritmi e ai metodi scelti dai dirigenti. L’applicazione pratica del
taylorismo, che ha aperto la strada al metodo di produzione fordista, basato sulla
creazione della catena di montaggio, influenzò fortemente tutta l'organizzazione
del lavoro nelle industrie.
Nel frattempo, tra il 1930 e gli inizi della Seconda guerra mondiale, inizia ad
esservi un’attenzione maggiore ai fattori che potevano essere causa di infortuni
sul posto di lavoro. Non esiste ancora un interesse al benessere, ma quantomeno
un interesse alla salute del lavoratore, ed in particolare all’assistenza dei
lavoratori coinvolti in infortuni sul lavoro. Ciò portò all’istituzione di enti e
comitati, governativi e non, che erano preposti alla sorveglianza con l’obiettivo
di migliorare la sicurezza delle condizioni di lavoro. L’importanza di prevenire
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i rischi, piuttosto che curare gli infortuni che potevano verificarsi, emergerà solo
diversi anni dopo.
L’approccio taylorista, anche con l’applicazione che si è avuta con il modello
fordista, venne criticato da chi riteneva che il cronometraggio dei tempi e la
separazione del lavoro intellettuale da quello manuale, producesse risultati
paradossali e del tutto diversi da quelli attesi. Soprattutto, si sosteneva che il
sistema degli incentivi determinasse un aumento del ritmo di produzione tale da
far superare il livello di sicurezza, mentre la monotonia dello svolgimento di
compiti ripetitivi rendeva i lavoratori più soggetti a distrazioni, esponendoli così
maggiormente al rischio di infortuni sul lavoro, con ripercussioni sulla stessa
produttività aziendale (Gabassi, 2007).
1.2 Elton Mayo e le Human Relations
Tra i vari metodi proposti per contenere la minaccia del razionalismo e del
riduzionismo che caratterizzavano il metodo di Taylor, vi fu quello dello
psicologo Elton Mayo (1933), basato sulla salvaguardia dell’integrità psichica e
fisica del lavoratore. Così, elementi come l’alienazione, la scarsa motivazione e
le dinamiche di gruppo, che influivano sul malessere dei lavoratori,
determinarono un nuovo interesse rispetto al fattore umano in azienda.
Il metodo di Elton Mayo si proponeva di privilegiare lo sviluppo di un
management moderno orientato ad attribuire la giusta importanza al fattore
umano, non più inteso come mezzo di produzione, ma come individuo dotato di
tutte le sue peculiarità, che con il lavoro andava ad interagire nel contesto
aziendale: veniva data, cioè, sempre più importanza alla natura sociale e
relazionale dell’individuo. L’innovativa teoria delle Human Relations, creata da
Mayo, nasce dagli esperimenti condotti negli stabilimenti Hawthorne della
Western Electric Company, la società presso cui lavorava come consulente, che
aveva sede in un sobborgo di Chicago.