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INTRODUZIONE
«Io non sono feroce, non lo sono mai stato – dice il leone Kan –
Ne ho abbastanza di far paura alla gente, tu lo sai,
a me piacciono le verdure. […] Mi pare d’essere uno di quei vestiti
che vengono rovesciati prima di buttarli nelle immondezze,
perché dall’altra parte possono ancora servire.»
1
Fin dal mondo classico le pagine della letteratura si sono riempite di presenze
animali, di bestie immaginarie o reali che hanno popolato i miti e le favole
dell’antichità e che sono arrivate fino a noi seguendo percorsi diversi e variegati. Il
panorama letterario del Novecento è infatti ricchissimo di apparizioni e presenze
bestiali che tuttavia, rispetto a quelle del passato, subiscono un vero e proprio
processo di problematizzazione. Le bestie novecentesche non sono più
semplicemente simboli e oggetti vuoti con funzione moralizzante, ma diventano
esseri cognitivamente superiori, capaci di sentire e pensare. All’interno del vasto
repertorio dello scorso secolo dedicato agli animali letterari ci siamo voluti
soffermare sulla specificità delle bestie di Aldo Palazzeschi, autore unico nel suo
genere poiché sfuggente a qualsiasi tipo di categorizzazione.
Questo lavoro muove però i suoi passi a partire dal significativo contributo che
alcuni autori prima di lui hanno dato alla presenza animale nella letteratura. Dopo
aver accennato all’utilizzo letterario della bestia in autori come Leopardi, Pascoli e
D’Annunzio, parleremo poi nel primo capitolo della favola umoristica di Pirandello,
delle apparizioni “immotivate” delle bestie di Tozzi, dell’utilizzo letterario
dell’animale “gravido di significato” di Landolfi, della modernità della favola di
Arturo Loria e, ancora, dei personaggi animali gaddiani.
Nel secondo capitolo ci soffermeremo sull’analisi tematica dei dodici racconti
che insieme formano un piccolo capolavoro di Palazzeschi, troppo spesso passato
inosservato: Bestie del 900. In questo libro lo scrittore confronterà il mondo degli
animali con quello degli uomini, divertendosi a tirare dei «fili – per niente invisibili
– fra le due sponde»
2
: fa ricorso a figure animali che hanno tratti umani o al contrario
a uomini che si comportano come animali. Vedremo animali intrappolati nel loro
1
ALDO PALAZZESCHI, Kan, in Tutte le novelle [1957], Milano, Mondadori, 1966, pp. 165-66.
2
SIETSKE LANGBROEK, Le bestie nel codice di Palazzeschi. Analisi tematica della narrativa di
Aldo Palazzeschi, Amsterdam, Free University Press, 1985, p. 24.
3
ambiente che cercano di ribellarsi al padrone, bestie straordinarie che sconvolgeranno
il mondo degli uomini, i quali, la maggior parte delle volte escono sconfitti dal
confronto.
Edoardo Sanguineti definì, non a caso, Palazzeschi il «ritrattista per eccellenza
delle Bestie del ‘900», o meglio, «il ritrattista delle bestie, per eccellenza»
3
. Il suo
“bestiario” infatti non si esaurisce con questa raccolta di novelle, ma, come vedremo
nel terzo e ultimo capitolo di questo lavoro, la presenza di bestie è una costante
caratteristica della produzione palazzeschiana fin dalla sua prima produzione poetica.
Le presenze zoomorfe che tuttavia popolano l’opera di Palazzeschi non
rientrano propriamente in quel filone tematico che diversi critici hanno ricondotto ad
una forma di nichilismo, sia esso attivo o passivo, in cui gli animali si muovono
all’interno di «un’atmosfera di desolazione» e denunciano come «capri espiatori o
come vittime […] i crimini dell’orgoglio antropocentrico e di un’intramontabile
sovranità del soggetto»
4
. Le bestie palazzeschiane rappresentano in realtà, rispetto a
questa tendenza, il controcanto allegro e fantasioso il quale, pur rimanendo sempre
sui toni buffi e irriverenti, non rinuncia alla critica degli stessi pregiudizi
antropocentrici.
Ernestina Pellegrini, nel suo saggio Bestie imperfette, lo inserisce nel gruppo
dei «bestiari fantastici»
5
, che costituisce la «coda allegra e fantasista» del suo studio
sulle presenze animali nella letteratura moderna e, in particolare, su «una precisa e
pur varia tipologia di animali che contraddicono lo statuto stesso della bestia, vale a
dire la sua esistenza racchiusa in una biologia elementare […] come risultato di
“istanze meccaniche”». Il repertorio della Pellegrini è costituito infatti da bestie
pensanti, che provano sentimenti come la tristezza e la paura della morte, creature
appunto “imperfette” in quanto derivano dalla stravagante contaminazione tra uomo
e animale, «frutto di incroci e metamorfosi». Nell’elenco compaiono ad esempio le
creature di Tozzi, di Montale, di Buzzati, autori nei quali il confine tra uomo e bestia
è estremamente sfumato e viene delineata una realtà lontana dalle tendenze
3
EDOARDO SANGUINETI, L’incendiario, in Palazzeschi oggi, Atti del convegno, Firenze, 6-8
novembre 1976, a cura di Lanfranco Caretti, Milano, Il saggiatore, 1978, p. 66.
4
ERNESTINA PELLEGRINI, Bestie imperfette, in Bestiari del Novecento, a cura di Enza Biagini,
Anna Nozzoli, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 76-77.
5
Ivi, p. 96.
4
naturalistiche, spesso palesemente antiumanistica, fino ad arrivare al «surrealismo
allucinatorio di Tommaso Landolfi». A queste presenze si aggiungono anche quelle
in cui l’animale, o la sua morte, diventano rispettivamente il soggetto e il motivo di
riscatto della sua stessa esistenza.
Palazzeschi è invece citato nella raccolta della Pellegrini poiché intraprende un
sentiero letterario diverso, quello del buffo e della fantasia, che tematicamente
conduce al Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges fino al Great Roe di
Woody Allen
6
. Le bestie in questione sono vere e proprie creature
dell’immaginazione, «bestie vistosamente finte, pure invenzioni, animali cartacei,
mostri linguistici»
7
.
Basti pensare a Kan, il leone vegetariano dell’omonima novella, costretto a
recitare la parte della bestia feroce pur essendo vegetariano, o al coccodrillo
Dagobert, anch’esso rinchiuso nelle vesti di un gentiluomo inglese. La sensazione
che il lettore prova di fronte a questi animali immaginari è principalmente quella di
un forte ma divertito spaesamento che induce a guardare il creato da una prospettiva
completamente diversa ed in questo gioco di ribaltamenti Palazzeschi è un maestro.
6
Il Manuale di zoologia fantastica di Borges non è altro che una parodia di un trattato scientifico, un
giardino zoologico di mitologie in cui lo scrittore argentino crea perfino un animale che in realtà è la
proiezione di chi lo sta guardando. Anche il Great Roe di Woody Allen appartiene al mondo della
mitologia, è infatti una chimera autoreferenziale con la testa di leone e il corpo di leone.
7
Ivi, p. 96.
5
1. BESTIE NELLA LETTERATURA DEL NOVECENTO
1.1 Origini del bestiario e presenze animali nell’Ottocento
Col termine “bestiario” ci riferiamo a una forma letteraria che ha per tema gli
animali, che fin dal mondo classico sono stati utilizzati come metafore dei vizi e delle
virtù umane, come modelli di comportamento da seguire o sono, ad esempio nelle
favole di Esopo, animali parlanti, protagonisti che diventano simboli di atteggiamenti
tipicamente umani. Sono poi diventati gli animali che conoscono la metamorfosi,
l’ibridazione fantastica, il grottesco come nel bestiario dantesco
8
, o ancora, sotto il
peso del simbolismo cristiano, hanno dato forma ai fantasiosi Bestiari medievali:
«tutte le creature che Dio creò sulla terra, le creò per l’uomo, e affinché l’uomo possa
ricavarne esempi di religione e fede»
9
. Su queste premesse si fonda la totalità dei testi
che fanno capo al genere medievale del bestiario, i quali risalgono tutti al Physiologus
greco, breve opera di autore ignoto, presumibilmente composta ad Alessandria
d’Egitto nel II o III secolo d.C., il cui nucleo originario è formato da animali biblici;
è un catalogo di descrizioni zoologiche, generalmente fantastiche, seguite da uno
sviluppo di carattere allegorico
10
.
Anche nella letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento la presenza
animale è molto frequente. Pensiamo al Passero solitario in cui Leopardi accosta le
sue abitudini a quelle del passero: quest’ultimo trascorre isolato la primavera, così
come il poeta vive in solitudine la giovinezza, “primavera” della sua vita. Ne La
ginestra, o il fiore del deserto il popolo delle formiche che viene ucciso dalla caduta
di una mela sul loro formicaio, così come l’eruzione del Vesuvio distrugge le città
degli uomini, sta a simboleggiare l’uguale indifferenza che la natura ha nei loro
confronti. Nei Paralipomeni alla Batracomiomachia gli animali sono i protagonisti:
8
ANTONIO PRETE, Lo sguardo animale, in Prosodia della natura, Milano, Feltrinelli, 1993.
9
C. REBUFFI, Il «Bestiaire» di Pierre de Beauvais, in Bestiari medievali, a cura di LUIGINA
MORINI, Torino, Einaudi, 1996.
10
Si presenta come una serie di capitoli divisi in due parti: nella prima vengono descritti le
caratteristiche o i comportamenti più significativi di un animale, quindi la loro “natura”; nella seconda
tale “natura” è oggetto di una interpretazione che la riferisce a nozioni di teologia cristiana. Il
fondamento del bestiario è costituito dall’idea che “il mondo è un simbolo”.
6
dietro la trama fiabesca, che riguarda lo scontro tra i topi abitatori di Topaia e i
granchi invasori, si nasconde un intento sarcastico e polemico contro la società
contemporanea. Le vicende rappresentano gli avvenimenti storici tra il 1815 e il 1821,
relativi al clima oppressivo della Restaurazione voluto dalla Santa Alleanza e i
tentativi insurrezionali del 1820-21. I granchi, che sono rappresentati con
caratteristiche mostruose, simboleggiano gli austriaci, mentre i topi, talvolta generosi
ma perlopiù ingenui e vigliacchi, i liberali italiani. «La guerra, abisso del tragico, è
anche l’abisso della differenza tra l’uomo e gli altri animali. Per Leopardi cade, con
la guerra, ogni analogia tra la specie umana e “qualsivoglia altra specie conosciuta,
sia animale o inanimata, sia d’animali insocievoli o de’ più socievoli dopo l’uomo”
(Zib., 3791-3792)»
11
.
Possiamo ricordare L’Assiuolo di Pascoli, lirica contenuta in Myricae
12
, in cui
una notte lunare e il canto di un uccello notturno, appunto “l’assiuolo”, divengono la
guida per mezzo della quale è possibile risalire al significato simbolico e misterioso
della realtà e della vita. Il verso dell’uccello, «chiù»
13
, è una voce che richiama al
mondo dell’oltretomba; l’assiolo è portavoce del desiderio del poeta di ricongiungersi
in questo caso a suo padre «che fu»
14
. Nei Canti di Castelvecchio
15
troviamo più che
altro insetti, come ad esempio nel primo canto de Il ciocco
16
, i vv. 221-248 sono
dedicati all’analisi della sorte comune tra formiche e uomini, minacciati da una natura
insensibile, ostile
17
. Ancora nel secondo canto ai vv. 35-52 troviamo le atropi ossute,
le zanzare o i moscerini che girano intorno (simboleggiano il moto di rivoluzione dei
11
ANTONIO PRETE, Lo sguardo animale, in Prosodia della natura, cit.
12
I testi compresi nell’edizione definitiva di Myricae furono composti tra il 1877 e il 1900; nella
prefazione scritta da Pascoli per la terza edizione il poeta affronta due temi centrali nel libro: quello
della morte del padre e quello della natura quale consolatrice benefica, ma il tema della morte è il
grande protagonista dell’opera.
13
GIOVANNI PASCOLI, Poesie, Milano, Mondadori, 1978.
14
Ibid.
15
Pubblicati a Bologna nel 1903, qualche testo fu aggiunto nelle successive edizioni, che si
succedettero fino alla sesta, uscita postuma nel 1912. Ritroviamo una certa continuità con Myricae,
nella struttura agiscono due motivi: quello naturalistico, modellato sul trascorrere delle stagioni, il cui
ritmo allude all’alternanza di vita e morte, e quello familiare, centrato sulla tragedia dell’uccisione del
padre, che configura una perdita irreparabile segnata dalla cattiveria umana.
16
Poemetto in cui sono presenti le stelle, il sole, la luna e l’universo; è composto da due canti: nel
primo vengono rappresentati i ritratti e i discorsi dei contadini, nel secondo una riflessione cosmica.
17
Fonte primaria de Il ciocco è sicuramente La ginestra di Leopardi, in cui il poeta invita a prendere
atto dell’infelicità degli uomini così da stabilire un rapporto di solidarietà tra tutti i componenti del
genere umano, che devono allearsi contro la natura, che è la vera nemica.