6
INTRODUZIONE
I dati ISTAT al 1° gennaio 2013 rivelano che l’indice di vecchiaia, definito come
rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in
età giovanile (meno di 15 anni), collocano l’Italia al secondo posto in Europa dopo la
Germania, con un rapporto di 144 persone che invecchiano ogni 100 giovani. Si prevede
che per il 2051, in Italia, ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani. La conseguenza di
questo processo è che, con l’avanzare dell’età dell’individuo, aumenta statisticamente la
percentuale di patologie legate all’invecchiamento e tra queste la demenza, considerata
una specie di “epidemia”, anche se fortunatamente non contagiosa (ISS. Osservatorio
demenze: old.iss.it).
La demenza è descritta come sindrome caratterizzata da una compromissione globale
delle funzioni corticali superiori. L’individuo subisce il declino delle abilità cognitive,
emotive, sociali; i deficit di memoria e della capacità di far fronte alle richieste della
quotidianità sono sempre più evidenti, la personalità subisce un cambiamento
(ALZHEIMER ITALIA: www.alzeimer.it).
“Nel mondo, il numero di persone sopra i 60 anni è di quasi 900 milioni. Tra il 2015 e
il 2050, si prevede che il numero di persone anziane che vivono nei paesi ad alto reddito
crescerà del 56%. Nei paesi a reddito medio-alto l’aumento previsto è invece del 138%,
in quelli a reddito medio-basso è del 185%, mentre nei paesi a reddito basso la crescita
stimata è del 239%. L’aumento dell’aspettativa di vita sta determinando una rapida
crescita numerica, ed è associato all’aumento della prevalenza di malattie croniche
come la demenza” (World Alzheimer Report 2015: www.alzheimer.it).
Da qualche decennio, in Europa, la percentuale di anziani che necessitano di assistenza
sanitaria nei luoghi di lungodegenza è aumentata; i pazienti con Demenza hanno
un'aspettativa di vita da 5 a 15 anni dopo l'esordio dei sintomi; l’aggravarsi della
malattia e la progressiva perdita della propria autonomia funzionale rendono necessario
l’inserimento dell’individuo in strutture assistenziali.
L’Organizzazione Mondiale della Salute definisce la salute come “stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia” (OMS:
7
www.salute.gov.it). La ricerca e la cura della Demenza, con il suo carico che grava non
solo sull'individuo ma anche sulla società, è una delle grandi sfide del futuro che
richiede un approccio bio-psico-sociale. Tale modello, sviluppato da Engel alla fine
degli anni ‘70, fa riferimento ad una particolare strategia di approccio alla persona che
si basa su un concetto multidimensionale di salute, come descritto dall’Organizzazione
Mondiale della Salute, e pone il paziente al centro di un ampio sistema influenzato da
molteplici variabili (Engel, 1977).
L’obiettivo del presente lavoro è mettere in evidenza che l’invecchiamento è una realtà
che ci appartiene in quanto fa parte del nostro vissuto e del nostro futuro; lo scopo è
riuscire a descrivere le patologie della demenza, collegate al processo di
invecchiamento, nella loro rappresentazione fenotipica e nel loro aspetto clinico, sulla
base di resoconti di autorevoli studiosi, che sono animati dal desiderio e dalla necessità
di dare risposte ai grandi interrogativi sulle complicanze connesse all’invecchiamento;
la ricerca è stata effettuata all’interno di una panoramica internazionale e interculturale.
La presente tesi compilativa argomenta sulle patologie mentali connesse, come già
affermato, con l’invecchiamento; è suddivisa in cinque capitoli che accompagnano il
lettore lungo un percorso che va dall’epidemiologia delle demenze alle proposte di cura
non farmacologica più innovative.
Il primo capitolo propone cenni epidemiologici, con uno sguardo alla demenza ad
esordio giovanile; sono descritti alcuni aspetti metodologici associati allo studio sulla
demenza; viene trattato l’argomento sui fattori di rischio e prevalenza delle principali
demenze corticali.
Il secondo capitolo fa riferimento alla clinica e alla nosografia delle demenze
degenerative e vascolari; descrive inoltre due tipi di demenza, la pseudodemenza
depressiva e il Mild Cognitive Impairment, che, secondo alcuni autori (Kang et al.,
2014; Bruno et al., 2015), sono potenzialmente reversibili.
Nel terzo capitolo si affronta il tema del percorso diagnostico che si avvale delle più
recenti linee guida e protocolli messi a punto nell’ambito di tavoli di lavoro presieduti
da esperti e caratterizzati dal concetto di “work in progress” (Zanetti 2016, p.74).
L’iter diagnostico segue uno schema ben delineato: test di screening, valutazione
neuropsicologica finalizzata a identificare funzioni cognitive deficitarie; utilizzo delle
più moderne tecniche di neuroimaging, per indagini strutturali e funzionali; la diagnosi
8
differenziale, effettuata mediante accurati esami neuropsicologici con l’ausilio di
neuroimaging, è una componente essenziale del percorso diagnostico.
Il capitolo quattro conduce il lettore all’interno della Residenza Sanitaria Assistenziale
(RSA) e spiega, attraverso la letteratura, l’utilità di una valutazione neuropsicologica,
effettuata mediante strumenti di screening e batterie di test specifici, finalizzata ad
individuare le abilità residue della persona anziana inserita nella della Struttura. La
valutazione neuropsicologica effettuata in RSA ha lo scopo di permettere, agli
specialisti della riabilitazione, di pianificare interventi di stimolazione cognitiva delle
aree deficitarie, progettati a misura di paziente, al fine di garantire all’individuo il
mantenimento, il più a lungo possibile, delle capacità residue, il controllo dello stato
affettivo e una qualità di vita migliore.
Nel capitolo viene descritto il Mini-Mental State (Folstein, 1975), uno strumento di
screening per la valutazione del deterioramento mentale nell’anziano, ampiamente
utilizzato all’interno delle RSA. Sempre in riferimento alla valutazione cognitiva dei
pazienti anziani ricoverati in strutture di lungodegenza, dal Giappone arriva un modello
di Assessment Conversazionale, elaborato da Oba e coll. (2018), denominato CANDy
(www.cocolomi.net).
Infine, viene presentato uno studio longitudinale italiano che ha utilizzato la valutazione
neuropsicologica multidimensionale dello stato cognitivo, affettivo e funzionale in una
popolazione di anziani, ospiti di una RSA della provincia di Monza, per rilevare
l’incidenza di disturbi psichici e comportamentali (Ricci et al., 2009).
Il quinto e ultimo capitolo propone alcuni modelli di trattamento non farmacologico
delle demenze. Carrion et al., nel loro articolo del 2013, descrivono quattro diversi
approcci psico-sociali, presenti nelle linee guida pubblicate nel 2007 dall’American
Psychiatric Association, che incoraggiano l’impiego di trattamenti non farmacologici
delle demenze. L’approccio cognitivo persegue l’obiettivo di stimolare le competenze
mentali utilizzando varie tecniche, tra cui programmi di stimolazione cognitiva
computerizzata, che si avvalgono dell’ausilio della tecnologia informatica; l’approccio
multistrategico è orientato alla stimolazione delle capacità affettivo-emozionali;
l’approccio orientato alle strategie psico-comportamentali è finalizzato al contenimento
di alcuni sintomi non cognitivi; l’approccio orientato alla stimolazione multisensoriale
si pone l’obiettivo di raggiungere il benessere psico-fisico del paziente.
9
In riferimento al processo di invecchiamento, le statistiche affermano che la
popolazione anziana è in aumento; tale aumento è dato dalla diminuzione della
popolazione giovane, a causa del calo demografico, mentre il numero di individui che
invecchiano cresce con il passare degli anni, per effetto del cambio generazionale.
Estendere il concetto di salute espresso dall’OMS a questa numerosa popolazione di
anziani sarebbe auspicabile, perché comporterebbe un netto miglioramento della qualità
della vita di molti individui.
Con il termine “popolazione” i dizionari introducono il concetto di “stessa specie nello
stesso luogo” per descrivere esseri viventi che abitano nello stesso luogo e che sono
contraddistinti da caratteristiche e attributi comuni. L’essere vivente in questione, per
quello che ci riguarda, è l’uomo e il luogo di riferimento è il posto dove vive.
Attualmente il luogo abitato da quella popolazione di anziani caratterizzati da patologie
disabilitanti, tra cui la demenza, che necessitano di cure e assistenza, è la Residenza
Sanitaria Assistenziale (RSA). Occorre fare un’analisi accurata della definizione RSA
per comprendere il valore intrinseco della denominazione di questa struttura. Anzitutto
la RSA è un luogo di cura; questo concetto include l’attività medica, compresa nella
definizione Sanitaria, e l’attività dell’Assistenza, che fa riferimento a tutte quelle azioni
quotidiane volte a soddisfare i bisogni della persona anziana. Ma soprattutto questo
luogo è la Residenza, la casa dove gli individui che vi abitano hanno in comune la
fragilità della malattia; la popolazione degli individui residenti in RSA ha in comune
l’attributo fragile, per questo necessita di sostegno.
Quello che avviene in RSA, il luogo in cui abita questa fragile popolazione, deve essere
considerato come un’attività di cura in un contesto ecologico.
10
CAPITOLO 1
EPIDEMIOLOGIA
1.1 CENNI EPIDEMIOLOGICI
L’Osservatorio delle Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità ha recentemente
pubblicato che:
“La demenza è in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita,
secondo il Rapporto OMS e ADI, una priorità mondiale di salute pubblica: nel 2010
35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con stima di aumento del doppio
nel 2030, il triplo nel 2050, con ogni anno 7,7 milioni di nuovi casi (1 ogni 4 secondi) e
una sopravvivenza media dopo la diagnosi di 4-8 anni. La stima dei costi è di 604 mld
di dollari/anno con incremento progressivo e continua sfida per i sistemi sanitari. Tutti i
Paesi devono includere le demenze nei loro programmi di salute pubblica; a livello
internazionale, nazionale, regionale e locale sono necessari programmi e coordinamento
su più livelli e tra tutte le parti interessate.” (Ginevra 11 aprile 2012).
Tuttavia le previsioni a lungo periodo non tengono conto che l’avanzare della ricerca e
le scoperte scientifiche, nonché miglioramenti nello stile di vita degli individui,
potrebbero modificare sostanzialmente l’evoluzione delle patologie dementigene,
rallentandole o, si spera, bloccandole.
La speranza dei ricercatori va nella direzione di una diagnosi precoce e cura preventiva
per ritardarne l’esordio; la riduzione della durata della malattia, favorita da un migliore
controllo terapeutico e la messa in atto di progetti riabilitativi, comporterebbe una
migliore qualità di vita del paziente e delle famiglie, nonché la stabilità della spesa per
la gestione della malattia. Il mantenimento della salute degli individui è una sfida dal
punto di vista sociale, sanitario ed economico, e la società deve farsene carico. Per
raggiungere tale obiettivo è fondamentale il monitoraggio sempre aggiornato delle
condizioni di salute degli anziani, ai quali occorre garantire benessere e buon comfort.
In Italia, la stima dei pazienti con demenza è di oltre un milione (di cui circa il 60% è
11
affetto da demenza di Alzheimer); il numero di persone direttamente o indirettamente
coinvolte nell’assistenza di questi pazienti è tre volte superiore, cioè circa 3 milioni. “Le
conseguenze sul piano economico ed organizzativo sono facilmente immaginabili,
tenendo conto che i soli costi annuali diretti per ciascun paziente vengono, in diversi
studi europei, stimati in cifre variabili da 9000 a 16000 Euro a seconda dello stadio di
malattia. Stime di calcolo circa i costi socio-sanitari delle Demenze in Italia ipotizzano
cifre complessive pari a circa 10-12 miliardi di euro annui, e di questi, 6 miliardi per la
sola Malattia di Alzheimer” (ISS. Osservatorio demenze: old.iss.it).
1.1.1 Demenza con esordio giovanile
Considerando l’età un fattore di rischio per la demenza, la maggior parte delle ricerche è
stata rivolta a soggetti con età superiore ai 65 anni; tuttavia nell’ultimo decennio il
Regno Unito ha avviato diversi studi, con l’obiettivo di individuare la prevalenza delle
demenze in persone con età inferiore ai 65 anni, in un ampio bacino di utenza; una
diagnosi precoce potrebbe permettere di organizzare e distribuire lo studio della malattia
in tempi ampi e ragionevoli, così da poter mettere a punto una cura efficace prima che la
malattia si esprima, con tutte le sue devastanti conseguenze.
Dai dati è emerso che la prevalenza della demenza tra i 30-64 anni era di 54 individui su
100.000; tra i 45-64 anni, la prevalenza era di 98 su 100.000; è evidente una “strong age
depency”: a partire dai 35 anni la prevalenza della demenza è quasi raddoppiata con
l’aumentare dell’età.
Dai dati emerge anche un’inversione di tendenza nella differenza di genere, riferita alla
prevalenza in popolazioni di età superiore ai 65 anni: l’esordio precoce di demenza
interessa maggiormente la popolazione maschile rispetto a quella femminile, in
controtendenza rispetto all’esordio in età più avanzata.
I dati delle ricerca sopra descritta rivelano che nel Regno Unito ci sono oltre 18.000
persone affette da demenza con età inferiore a 65 anni. Di queste, il 34% è risultato
affetto da Malattia di Alzheimer, che è la causa prevalente di demenza con esordio
giovanile, sebbene inferiore rispetto all’età più avanzata; la prevalenza relativa alla
Demenza Vascolare, che riguarda il 18% degli individui, è equivalente a quella di età
maggiore ai 65 anni; la Demenza Frontotemporale, che riguarda il 12% degli individui,