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INTRODUZIONE
Il lavoro è un mezzo attraverso il quale si garantisce la democratizzazione del Paese, tanto da essere
considerato appunto il motore dell’economia, che favorisce appunto sia la sopravvivenza che la circolarità
di: informazioni, scambi, moneta, incontri, basati sia sull’economia che dall’incontro me-altro. Più che mai
questo diritto è fortemente reclamato all’interno dell’art.1. della Costituzione Italiana e dalla ruota del
simbolo della Repubblica Italiana appunto “L’Italia è un Paese democratico fondata sul lavoro. Compito
dello Stato è quello di garantire il pieno riconoscimento senza distinzioni di: razza, sesso, opinione politica
e civile”. Questo diritto appunto non è stato garantito del tutto in maniera onnipervasiva al mondo intero, che
a partire dagli antipodi del 2020 ha avuto a che fare con il fenomeno del Covid-19. Non a caso questo diritto
fondamentale dello Stato è stato recepito come minoritario, e del tutto declamatorio da difendere e
preservare, soprattutto da coloro i quali sono alla prima ricerca, cambiamento, o ricerca innovativa a causa
di: licenziamento, malattia, inadempienza, rispetto a quello precedente. Al di là dei tempi e delle epoche,
come ha sottolineato il sociologo Domenico de Masi
“Oggi c’è chi ce l’ha, chi lo vorrebbe cambiare, chi è stressato, e da esso vorrebbe scappare senza
comprenderne il vero valore. Questi sotto tutti problemi che si ripetono negli anni e facilmente risolvibili
con il ricorso delle tecnologie a servizio degli uomini”(De Masi,2018a).
Proprio con l’avvento del Covid-19 il lavoro, oltre ad essere un tema fortemente dibattuto, è stato del tutto
rivalutato: Non a caso ciò che è venuta a far presenza marcata è la tecnologia come elemento onnipresente
ed alienante della vita dell’essere umano, sia per creare relazioni che dare senso al lavoro, al fine di rendere
tecnologico il Paese, che purtroppo ha un tasso di deficienza tecnologica, non di pura importanza. Oltre ad
un processo di tecnologizzazione del Paese, si è avviato anche una ridefinizione dei linguaggi che
definiscono appunto il mondo del lavoro. Questi rimarcano appunto il linguaggio britannico, che non di
meno ha causato difficoltà sia nella classificazione del lavoro, che una marcata difesa della lingua italiana
specialmente in quest’anno dove si celebrano i 700 anni del Sommo Poeta, corona d’alloro noto per aver
cercato di creare una lingua comune, che sapesse del sangue gettato dai compatrioti, dallo spirito
nazionalistico, e dal tentativo di creare un’unione territoriale e linguistica. Il seguente lavoro di ricerca
attraverso un approccio compilativo vuole definire il fenomeno del lavoro, nonché le trasformazioni:
sociologiche, antropologiche, filosofiche, della tematica, tanto che come si è detto precedentemente la
questione è cominciata a definire del tutto “soffocante”, in quanto è stata fortemente ribadita la richiesta del
lavoro, oltre che la sua salvaguardia attraverso la definizione di politiche a tutela del cittadino e del diritto
fondamentale dell’essere umano ad essere garantito. La ricerca in esame si articola in 5 capitoli, e persevera i
seguenti obiettivi:
- Definire il concetto di lavoro attraverso uno sguardo locale e d’oltralpe;
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- Comprendere il significato del termine “smart working”
- Analizzare le trasformazioni del lavoro nell’Era Covid-19
- Riconoscere il diritto del lavoro in una visione “smart” e con le relative applicazioni
- Intervistare ed avvalorare il proprio di ricerca con intervista a testimoni privilegiati;
Seppur il lavoro sia di natura prettamente compilativa sono stati intervistati alcuni testimoni privilegiati che
hanno vissuto in prima linea queste nuove modalità di intendere e fare lavoro, oltre ad alcuni ricercatori della
materia che operano in campo: psicologico, sociologico, imprenditoriale, di cui si tratterà a breve.
Nel primo capitolo “Non di solo pane vive l’uomo” si è cercato di definire quelli che sono le trasformazioni
del termine lavoro, e soprattutto della concezione a livello locale e d’oltralpe. In sociologia esistono tre tipi
di approccio alla definizione del lavoro:
- Olistico
Con Emile Durkheim considerato il padre della sociologia, il lavoro è inteso come parte integrante
della società, per garantire la collaborazione tra le varie membra del corpo, ovvero gli individui. Non
a caso egli usa l’espressione “lavoro sociale”, con la quale intende “La ripartizione delle attività in
senso lato, al di là delle aree direttamente produttive”(G.Pollino&A.Pretto,2016a). L’analisi di
Durkheim ha seguito dalla funzione che il diritto assolve all’interno delle varie società, come
“simbolo vivente che permette di comprendere le diverse forme di solidarietà sociale e di stabilire in
quale modo la divisione del lavoro costituisca una forma di coesione sociale”(S.Negrelli,2007a).
- Economicista
Per Smith la divisione del lavoro apporta degli aspetti notevoli all’interno di un contesto sociale:
Aumento di abilità nel singolo individuo, risparmio di tempo nel passaggio da un lavoro ad un altro,
utilizzo delle macchine tecnologiche nello svolgimento rapido delle mansioni lavorative
Vocazione
L’Etica Protestante egli sosteneva che “Uno dei doveri fondamentali del capitalismo è concentrare tutti i
pensieri obbligati al senso della professione”.
Nel secondo capitolo “Ma di ogni parola che esce dalla sua bocca” viene affrontato il mutamento del lavoro,
a partire dall’industria fino a giungere ad un uso massiccio della tecnologia. L’affermazione della tecnologia,
nonché un mutamento radicale delle modalità di intendere e fare il lavoro, causando un vero e proprio
squilibrio tra: centro, cioè quei paesi sviluppati, semiperiferia quei paesi in via di sviluppo, periferia quei paesi
che non raggiungono un quorum efficiente per la sopravvivenza. A questo proposito si è espresso il sociologo
polacco Baumann, noto per gli studi sulla globalizzazione, il quale ha sostenuto che: Possiamo scegliere la
guerra; ma se vogliamo la pace, possiamo ugualmente scegliere la pace. Se vogliamo la rivalità,
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possiamo scegliere la rivalità; ma possiamo anche decidere per un’amichevole cooperazione. Il
problema però è che – sia stato o no configurato dalle decisioni assunte e attuate dai nostri antenati
– il nostro mondo di inizio XXI secolo non è favorevole alla coesistenza pacifica, e tanto meno alla
solidarietà umana e alla cooperazione amichevole;
Nel terzo capitolo “Un nemico in via di sviluppo” l’attenzione è stata posta al modello dello
smartworking, il quale ha cominciato a riscontrare maggiore interesse durante l’anno pandemico.
Esso è regolamentato in Italia dalle Legge 81/2017, il quale definisce l’ambito di intervento ed
applicazione dello smart-working, oltre che i diritti e doveri del lavoratore. All’interno del seguente
capitolo è stato verificato attraverso la somministrazione di un questionario quanto
“I segni di stanchezza e stress nelle loro popolazioni derivanti dal perdurare della pandemia si
traducono in scetticismo e demotivazione delle persone nel mettere in atto i comportamenti protettivi
raccomandati per la tutela della salute dei singoli e delle comunità all’inizio di una situazione di
emergenza le persone attivano sistemi di adattamento e risposta allo stress che li rende ricettivi e
reattivi ma se lo stress diventa cronico e prolungato è molto probabile che la stanchezza mentale
prenda il sopravvento”
Nel quarto capitolo “Quali scenari avremo?” l’attenzione è stata rivolta a quelle che sono le trasformazioni:
sociali, culturali, psicologiche dovute all’affermazione dello smart working. I solchi che lascerà saranno
tanto più profondi quanto più a lungo durerà l’epidemia, prima di trovare un farmaco e soprattutto un
vaccino. D’altronde i dati delle previsioni economiche sono chiari: l’Italia, con il suo bilancio malandato,
rischia di chiudere con meno 5 punti di Pil (ma è una previsione ottimistica), gli Usa con 30 milioni di
disoccupati. Senza parlare della perdita di vite umane. E’ uno scenario comparabile a quello seguito al
venerdì nero di Wall Street. E pensare che il mondo stava faticosamente uscendo dalla bufera economica
cominciata nel 2007. Ci aspettano tempi molto duri”. E’ come chiedere: siamo pronti a morire? Non siamo
mai pronti a morire, ma quando è il momento, anche senza avere una preparazione specifica, riusciamo tutti
a farlo, molto bene. Non conosco nessuno che non ci sia riuscito. Nella vita, a volte, bisogna fare di
necessità virtù”(D. Zanghi,2020).
Nel quinto capitolo “One best way between sciences” l’attenzione è stata posta attraverso l’intervista
a testimoni privilegiati in tematica di: utilizzo, fruizione, analisi dello smart working durante
quest’anno pandemico. In questo momento storico l’attenzione dei media, e soprattutto come la
pandemia ci sta insegnando che l’attenzione maggiore fondamentale oggi è l’umano. Avere come
obiettivo la definizione sotto ogni punto di vista: Sociale, relazionale, emotivo, significa
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comprendere a chi destinare il cambiamento, oltre che cercare di prepararsi ad un nuovo avvenire
denso di incertezza, dubbi, difficile rinascita per il Paese ormai stremato dalla pandemia. Questa
nuova modalità di lavoro ha permesso di attuarsi delle domande: Chi è l’umano? Dove opera? In che
modo lavorare in una maniera del tutto onesta, e soprattutto efficace?. L’aspetto pregnante che si è
ridefinito, se non annullato è appunto la relazione, quella dettata dai legami in presenza per affrontare
in maniera compatta le mansioni, scambiare delle chiacchiere durante una pausa, imparare a
collaborare e risolvere i diversi conflitti che il lavoro comportava, e soprattutto vivere il lavoro
appunto a misura di umano. Questo purtroppo non è avvenuto, o meglio se avvenuto in maniera del
tutto differente con l’avvicendarsi della pandemia, perché più che il tema della relazione, ciò che è
andato ridefinendosi è il lavoro, circa gli scenari, e soprattutto i problemi ad esso connessi: La
perdita, le nuove modalità di lavoro, i cambiamenti di scenari dal punto di vista organizzativo, le
modalità di sicurezza del lavoro, l’eventuale ritorno.
Fermo restando che la tematica del lavoro è del tutto avvertita in particolar modo dai giovani che
sono alla ricerca, da quelle imprese che hanno dovuto ridefinire i protocolli di lavoro, e soprattutto da
quelli che tentano in tutti i modi di difenderlo, o sono ad una ricerca innovativa, il destino dell’umano
è del tutto incerto, in quanto da una parte ciò che verrà a mancare in futuro è la presenza massiccia
dell’umano, dall’altra parte della cosiddetta “normalità” antecedente alla pandemia. Ciò che sarà
evidente come ha sottolineato la sociologa Sherry Turkle è una marcata solitudine, dove questa verrà
compensata dalle macchine, le quali da una parte accelerano il processo lavorativo dall’altra
definiranno un nuovo umano dagli ignoti connotati.