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Introduzione 
 
La globalizzazione è un "insieme ampio di fenomeni connessi con la crescita dell'integrazione 
economica, culturale e sociale tra le varie aree del mondo"
1
. La parola deriva dal francese glo-
balisation ed è comparsa per la prima volta negli anni Sessanta, ma solo a partire dagli anni 
Novanta ha assunto la connotazione che tutti noi conosciamo, grazie all'avvento di Internet e la 
fine della Guerra Fredda. Essa "si fonda su quattro elementi: liberalizzazione degli scambi e 
degli investimenti internazionali, rivoluzione telematica, moltiplicazione dei concorrenti, delo-
calizzazione"
2
. Essa viene perciò rimandata soprattutto a finalità politico-economiche, ma le 
implicazioni che presenta vanno ben oltre. Infatti, gli effetti che la globalizzazione presenta 
sono vari e differenti. Si può parlare ad esempio di effetti positivi sull'economia mondiale, per 
i quali la liberalizzazione dei mercati potrebbe favorire lo sviluppo di aree più povere, anche se 
ciò ha allo stesso tempo un lato negativo, poiché si verifica un contrasto tra i settori sociali che 
traggono vantaggio dai processi di globalizzazione e quelli che invece ne sono danneggiati. Nel 
processo di globalizzazione, la lingua è un mezzo di comunicazione che facilita gli interessi 
economici tra i vari Paesi, aiutando gli scambi commerciali. Un altro effetto concerne l'evolu-
zione linguistica, dato che in un "villaggio globale" c'è bisogno di una "lingua globale", uguale 
per tutti e comprensibile a livello internazionale. Le relazioni tra le lingue sono in continuo 
cambiamento e la struttura, il comportamento e i bisogni della società moderna sono stati am-
piamente compromessi dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie. Le numerose associa-
zioni e organizzazioni formatesi negli ultimi anni hanno dato vita ad una società civile interna-
zionale sempre più interconnessa e con rapporti di scambio reciproco sempre più diffusi. Questo 
cambiamento sociale, come si può notare, ha influenzato in maniera ampia anche le lingue, 
portando ad una lingua franca comune, ovvero l'inglese, che tutti dovrebbero conoscere e che 
rende il mondo un luogo sempre più omogeneo, ma caratterizzato da forti differenze socioeco-
nomiche e culturali.
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 Nella seconda metà del 1900 si è passati dallo studio della lingua inglese 
esclusivamente come lingua straniera ad uno studio dell'inglese come seconda lingua (ESL, 
metodo che riconosce la funzione svolta dall'inglese a seconda del Paese in cui viene insegnata), 
che è poi diventata lingua franca e lingua globale. Nei Paesi in cui è stato proposto l'insegna-
mento dell'inglese come seconda lingua il modello seguito non è più quello del Regno Unito o 
degli Stati Uniti come un tempo: piuttosto, è un modello basato sull'inglese di altri Paesi oramai 
diventati bilingue. Il linguista Braj Bihari Kachru rappresenta la comunità mondiale parlante 
inglese attraverso tre cerchi concentrici
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: l'inner circle, l'outer circle e l'expanding circle, dove 
il primo racchiude le popolazioni di madrelingua inglese, il secondo le ex-colonie e il terzo i 
Paesi influenzati dalla cultura occidentale. Questa teoria ha, però, dei punti deboli, in quanto la 
società moderna è sempre in movimento: basti pensare ai grandi flussi migratori, ai richiedenti 
asilo, ai turisti, agli studenti internazionali, al personale delle organizzazioni internazionali.  
Il seguente studio critico si sofferma in particolare sull'aspetto linguistico del fenomeno, sui 
cambiamenti che ha portato nella storia – facendo riferimento, soprattutto, alle conseguenze 
che ha portato nel lessico della lingua italiana e di quella giapponese – e su uno dei risultati di 
questi cambiamenti, ovvero l'estinzione linguistica, descrivendo il modo in cui alcuni Paesi 
 
1
 S. Rossi, Dizionario di economia e finanza, Treccani, 2012 
2
 L. Galimberti, Enciclopedia dei ragazzi, Treccani, 2005 
3
 B. Baldi, L. M. Savoia, Linguaggio e globalizzazione, Treccani, 2007 
4
 M. Laganà, Forme dell’inglese semplificato. Il “globish” di Jean-Paul Nerrière, in Illuminazioni (ISSN: 2037-
609X), n. 41, Reggio Calabria, luglio-settembre 2017
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hanno cercato di contrastarla. Le motivazioni della scelta di questo argomento sono state mol-
teplici, tra cui soprattutto l’interesse per le lingue, che hanno portato a frequentare questo corso 
di studi, e l’interesse per il mondo di Internet, che al giorno d’oggi regola sempre di più la vita 
di tutti i giorni. L’obiettivo principale dello studio è indicare come la globalizzazione linguistica 
sia, in realtà, sempre stata presente, nonostante ci si sia soffermati sull’argomento solo in tempi 
recenti grazie all’interconnessione tra popolazioni. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso 
un approccio metodologico empirico, concentrandosi sull’analisi critica della letteratura con-
sultata e sul raccoglimento di dati provenienti da utenti dei social network.
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1. L'influenza della globalizzazione nelle lingue 
 
Prima di tutto è importante riconoscere il ruolo del periodo storico attuale, definito periodo 
"postglobal", ovvero successivo all'era della globalizzazione, intesa quale "progetto politico 
liberale nei paesi capitalisti […] col fine di diffondere a livello mondiale un benessere analogo 
a quello di cui godevano i cittadini delle democrazie occidentali"
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, cui seguono processi di 
"deglobalizzazione". La globalizzazione, specialmente quella linguistica, non è frutto di qual-
cosa avvenuto in tempi recenti, ma di un processo che dura da secoli: non è solo una conse-
guenza dell'imperialismo, ma anche della formazione dei vari Stati-nazione. 
Secondo la rivista «Ethnologue», nel mondo moderno si parlano circa 6809 lingue, ma se con-
tiamo solo quelle parlate da più di 200 milioni di parlanti, la scelta diminuisce fino ad arrivare 
ad un totale di sei macrolingue, in cui l'inglese ha una posizione chiave
6
. L'inglese ha, infatti, 
un ruolo fondamentale come lingua franca ed è diventata nel corso della storia la "lingua del 
mondo", a scapito delle altre che diventano lingue locali e perdono la loro importanza come 
lingue di comunicazione internazionale. Perciò si può dire che l'inglese abbia avuto una grossa 
influenza sulle realtà locali, portandole ad assorbire al loro interno parole dell'inglese stesso. 
1.1. L’inizio dell’egemonia linguistica e le politiche italo-coreane 
 
L'egemonia della lingua si era già manifestata tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni 
Novanta, complici la fine della Guerra Fredda e l'avvento di Internet, che portano la lingua ad 
un nuovo livello di influenza mondiale. L'inglese, nel 1999, era parlato da più di 341 milioni di 
persone e circa 500 milioni di esse lo parlavano come seconda lingua. Al 2010, i parlanti ma-
drelingua sono aumentati fino ad arrivare a 379 milioni, facendone la terza lingua più parlata al 
mondo dopo lo spagnolo e il cinese mandarino. Alcuni, a causa di questa diffusione dell'inglese, 
parlano di "genocidio linguistico" e puntano il dito contro la globalizzazione definendola la 
causa principale anche se, in realtà, le cause sono molteplici e racchiuse soprattutto nella sfera 
politica. Un esempio in particolare riguarda la questione coreana dell'inglesizzazione: il Go-
verno Militare degli Stati Uniti in Corea (USAMGIK, United States Army Military Government 
in Korea) dal 1945 al 1948 introdusse nel Paese l'inglese come materia obbligatoria scolastica 
e come materia chiave nei test d'ingresso universitari, portando ad un processo di colonizza-
zione anglofona. E c'è chi, ancora oggi, vorrebbe l'inglese come lingua ufficiale della Corea del 
Sud nonostante quest'ultima, insieme alla Corea del Nord, sia un paese quasi interamente mo-
nolingue coreano. Jae Jung Song spiega approfonditamente come ci sia stato un rapporto stretto 
tra l'imposizione dell'inglese e la cristallizzazione di determinati sistemi di potere interni alla 
nazione coreana, dimostrando come l'importanza della lingua non sia tanto generata dalla glo-
balizzazione in questo caso, quanto nel "costituire un ideale sotterfugio per nascondere la disu-
guaglianza in materia d'istruzione all'interno della società coreana"
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 e creare una disugua-
glianza in termini sociali, che si può notare anche nel fatto che gli studenti stranieri che studiano 
solo ed esclusivamente in lingua inglese presentano scarsi incentivi ad imparare la lingua locale 
e finiscono in quella che viene definita "bolla linguistica", causando un possibile successivo 
handicap nella ricerca di lavoro nel Paese di accoglienza. 
 
5
 M. Deaglio, Postglobal, Edizioni Laterza, 2004 
6
 G. Schirru, Il mito della globalizzazione linguistica, rivista Italiani Europei, 2/2002 
7
 J. J. Song, English as an official language in South Korea – Global English or social malady?, University of 
Otago, 2011, in R. Phillipson, Americanizzazione e inglesizzazione come processi di occupazione globale. (Ita-
lian Edition) Roma, Esperanto Radikala Asocio, 2013, pos. 48
6 
 
La stessa cosa si può dire per il progetto attuato a partire dal 2014 da parte del Politecnico di 
Milano di voler svolgere tutte le lezioni dell'ateneo interamente in inglese. Tuttavia, non tutti 
sono favorevoli a questa scelta. Infatti, i fondi destinati a questo progetto sono fondi che sareb-
bero potuti andare ad altri progetti e ciò è un ottimo esempio di distorsione della concorrenza 
dovuta all’"egemonia della lingua inglese" (Phillipson, 2013). In più, la scelta comporta degli 
handicap, poiché gli studenti che studieranno solo in inglese saranno considerati monolingui 
interamente inglesi, dato che non conosceranno il vocabolario scientifico in italiano, portando 
ad una graduale sostituzione dell'italiano nella mente dei ragazzi. Inoltre, la politica adottata 
impedisce agli studenti di studiare in italiano nel proprio Paese e fa una discriminazione anche 
tra le famiglie che possono permettersi di far studiare i propri figli all'estero per imparare l'in-
glese prima di entrare nell'Ateneo contro quelle che invece, soprattutto per motivi economici, 
non possono farlo. 
L'inglesizzazione totale, dunque, 
crea a molti cittadini difficoltà nell'accesso al sapere, limita la libertà di scelta per chi vuole 
studiare nella propria lingua madre nel proprio paese, introduce una frattura linguistica fra 
élites e comuni cittadini, e rappresenta un tradimento di una delle finalità dell'università, cioè 
divulgare sapere in modo accessibile a tutti.
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Sempre più si parla, perciò, di "villaggio globale", che, come definizione, può implicare dei 
rischi, in quanto chi ha a disposizione la possibilità di imparare una seconda lingua (soprattutto 
l'inglese) può anche avere la capacità di usare questa lingua a scapito di chi questa possibilità 
non la possiede, aumentando quindi ancora di più il divario tra ricchi e poveri. La presenza di 
una lingua franca per tutti potrebbe implicare una certa inclinazione a non imparare altre lingue 
per pura pigrizia o la scomparsa di certe minoranze linguistiche ritenute non più necessarie.
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Ma la presenza di una lingua comune non sempre si traduce in armonia sociale o comprensione 
comune, come si è visto durante la storia.
 
2. La globalizzazione linguistica nella società nel corso del tempo 
 
La globalizzazione linguistica è, in realtà, qualcosa che va ben oltre i tempi moderni. Già dall'e-
poca dei Romani si puntava ad una sorta di globalizzazione, che viene chiamata per l'appunto 
romanizzazione. Una figura di estrema importanza di questo movimento fu Gneo Giulio Agri-
cola, che puntò alla romanizzazione della Britannia edificandone le città con lo stile architetto-
nico romano e facendo sì che la cultura romana diventasse il modello cardine delle nuove ge-
nerazioni partendo già dalla classe dirigente, ovvero i capi delle tribù, come descritto da Tacito: 
Per assuefar co' piaceri al riposo ed all'ozio uomini sparsi e rozzi, e perciò pronti alla guerra, 
[Agricola] consigliò in privato, e coadiuvò pubblicamente le costruzioni di templj, piazze, e 
case, lodando i solleciti, e riprendendo ì morosi: così orrevol [= onorevole] gara era in vece di 
forza. Fece ammaestrare i figli de' Capi nelle arti liberali, dando agl'ingegni Britanni il vanto 
su' colti Galli, acciò quei, che testé sdegnavano il linguaggio Romano, ne bramasser poi l'elo-
quenza. Così anche le foggie nostre vennero in pregio, e la toga, in uso; e a poco a poco si 
giunse a' fomiti [= esche, attrattive malefiche] de'vizj, come portici, bagni, squisite mense: 
gl'inesperti chiamavan ciò cultura, mentre era parte di servaggio.
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8
 R. Phillipson, Americanizzazione e inglesizzazione come processi di occupazione globale. (Italian Edition) 
Roma, Esperanto Radikala Asocio, 2013, pos. 145 
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 D. Crystal, English as a Global Language – Second Edition, Oxford, Cambridge University Press, 2003 
1
 C. Cornelio Tacito, Agricola, trad. it. di G. de Cesare, G. Piatti, Firenze, 1805, cap. XXI