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Introduzione
Il presente elaborato nasce dalla volontà di approfondire una tecnica di marketing relativamente recente e poco
affrontata dalla letteratura: il newsjacking. Il termine è frutto di un neologismo, coniato dall’economista e
scrittore statunitense David Meernam Scott (2015) nel suo libro The New Rules of Marketing and PR, e deriva
dal verbo to hijack che significa “dirottare”. In sostanza, il newsjacking è la pratica che viene utilizzata dai
marchi che cercano di allinearsi e agganciarsi a notizie, trend ed eventi per inserirsi all’interno del flusso delle
conversazioni presenti in rete, sfruttando così la massima attenzione degli utenti. I benefici che ne derivano
sono chiari: il marchio riesce a ottenere visibilità, generare engagement e aumentare la propria awareness.
Tale tecnica va ricollegata allo slittamento del marketing al societing, un temine che deriva dall’incrocio tra
la parola “marketing” e “società”: il brand va oltre alla mera vendita di un prodotto e in parte si distacca dalle
logiche commerciali per adattare la sua comunicazione ai cambiamenti sociali.
Il newsjacking viene spesso confuso o assimilato al real-time marketing (RTM), una strategia che consiste nel
rispondere prontamente a eventi e stimoli esterni. Tuttavia, è più corretto identificarlo come uno dei quattro
casi d’uso del RTM che derivano dall’intersezione di due variabili distinte: il comportamento del brand
(reattivo o proattivo) e l’evento (pianificato o non pianificato).
È interessante notare che per la maggior parte del tempo, sin dal suo inizio, l’interesse per il newsjacking non
sia stato molto forte, con una sua riscoperta solo negli anni più recenti, soprattutto grazie all’ascesa dei social
media
1
. Dal momento che l’attenzione rivolta verso la tematica del newsjacking è piuttosto recente, in
letteratura non sono state individuate molte ricerche che ne illustrino l’efficacia. Più numerosi, infatti, sono gli
studi realizzati in merito al real-time marketing che hanno indagato le potenzialità di tale tecnica
prevalentemente nel generare engagement.
Nonostante si configuri come una strategia caratterizzata da un enorme potenziale, i principali rischi sono
legati alle ripercussioni che questo può avere in termini di brand reputation. Di fatti, realizzare una campagna
di newsjacking non sempre garantisce un esito positivo, nemmeno quando il marchio segue l’onda del
momento “giusto”. Ciò è spiegabile alla luce del fatto che non è solo la creatività ad essere uno degli elementi
caratterizzanti; il buon senso oltre che la legittimità rappresentano gli altri pilastri fondamentali per la riuscita
di tale tecnica. Ogni marchio deve valutare in maniera molto attenta se collegarsi ad un determinato evento o
notizia, se ciò sarà a suo favore o se al contrario potrà avere un impatto negativo. Detto in altre parole, il rischio
potrebbe essere quello di urtare la sensibilità delle persone nel momento in cui percepiscono la volontà del
marchio di sfruttare la notizia a fini di marketing. Ciò è tanto più vero nel contesto della rete, in cui la
reputazione è una risorsa preziosa, ma anche difficilmente controllabile e fragile, in quanto rapidamente
danneggiabile. La web reputation può essere definita come “il risultato (continuamente rinegoziabile)
dell’insieme di conversazioni e messaggi, relativi all’operato di un soggetto, diffusi sui social network tramite
1
D. M. Scott, Newsjacking: How to Inject Your Ideas Into a Breaking News Story, Wiley, 2011.
6
il processo di word of mouth”
2
. Di fatti online grazie soprattutto alle piattaforme offerte dal Web 2.0, quali
social network, blog e forum, i consumatori hanno acquisito un certo empowerment che permette loro di
esprimere giudizi e opinioni sull’operato del marchio. Di conseguenza, i brand hanno sempre meno controllo
e finiscono per essere sempre più esposti a problemi di reputazione.
Prendendo spunto da quanto fin qui riportato e cercando di fornire un contributo alla scarsa letteratura sul
tema, il presente elaborato si pone l’obiettivo di analizzare il rapporto che intercorre tra il newsjacking e la
brand reputation. Più nello specifico mira a rispondere alla seguente domanda di ricerca il newsjacking
impatta positivamente sulla brand reputation?
Al fine di perseguire tale obiettivo il presente elaborato è articolato in tre capitoli: nei primi due viene raccolta
una rassegna della letteratura sul tema, nel terzo capitolo vengono svolte le analisi per fornire un contributo
concreto allo studio in oggetto. Più nello specifico, nel primo capitolo viene tracciato un breve excursus storico
sulla pubblicità e su come questa abbia cambiato forma, soprattutto in seguito alla nascita del Web 2.0.
Successivamente, particolare attenzione viene posta sull’evoluzione del marketing e sullo sviluppo di strategie
più attuali ed innovative, quali il real-time marketing e il newsjacking.
Nel secondo capitolo, per comprendere meglio le tematiche legate alla domanda di ricerca, viene definito il
concetto di reputazione aziendale, concepita come una risorsa intangibile e di valore, inimitabile, non
facilmente trasferibile e costruibile, ma anche capace di rappresentare un vantaggio competitivo. Verranno poi
approfonditi il cambiamento e la formazione della reputazione nel contesto digitale dominato dalle reti sociali
e dalle interconnessioni, la cosiddetta web reputation. Infine, si dedicherà l’attenzione alla definizione e alla
gestione della crisi, intesa come un evento improvviso, inaspettato il cui accadimento e visibilità, all’interno
o all’esterno, minacciano di dispiegare degli effetti negativi.
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi per cercare di fornire una risposta all’obiettivo di ricerca: indagare il
rapporto che intercorre tra il newsjacking e la brand reputation. Per adempiere a tale fine, verranno presi in
esami alcuni brand appartenenti al settore del food & beverage: Lavazza, Ceres, Ferrarelle e Barilla che hanno
prodotto campagne di newsjacking avvalendosi della news del Covid-19. Tali brand oltre a godere di una
riconosciuta leadership di mercato rispetto al core business e al settore di appartenenza, si sono distinti durante
il periodo del Coronavirus per il tone of voice, la loro presenza online e la scelta del canale in cui far veicolare
la campagna.
Nell’analisi del caso studio si è voluto prendere in esame il periodo di operatività dei marchi durante il Covid-
19, emergenza sanitaria globale che ha causato contagi, un alto tasso di mortalità, una contrazione
dell’economia. L’umanità è stata coinvolta in un evento clamoroso che ha imposto di interrompere la
quotidianità, il contatto con gli altri al fine di lottare contro un nemico “invisibile”. Di fronte a tale contesto
emergenziale, i marchi si sono ritrovati a gestire una crisi senza precedenti e dover prendere una scelta
2
P. PEVERINI Reputazione e influenza nei social media, una prospettiva sociosemiotica. Corpi mediali Semiotica e
contemporaneità, a cura di Lucio Spaziante, Edizioni ETS, Pisa, 2014.
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strategica: inserirsi o meno all’interno del flusso comunicativo, costringendo loro stessi a ripensare alle attività
di marketing e comunicazione.
La metodologia di analisi scelta è di tipo qualitativa, un approccio alla ricerca che non porta alla raccolta delle
informazioni osservabili in forma numerica, ma richiede un’analisi di tipo interpretativo piuttosto che
statistico. Verrà dapprima svolta un’analisi semiotica delle campagne realizzate dai brand presi in esame al
fine di comprendere il significato più profondo del messaggio veicolato, le scelte espressive e i valori di
comunicazione. In seguito, verrà svolta un’analisi netnografica tramite la quale verranno raccolti i commenti
e le conversazioni generati online in risposta ai contenuti e alle campagne di newsjacking realizzate. In tal
modo, sarà possibile comprendere il sentiment (negativo, positivo o neutro) nonché il word of mouth che è
stato prodotto dagli utenti online. Tali elementi saranno utili nel determinare l’impatto che le campagne hanno
avuto sulla brand reputation.
Nella parte finale dell’elaborato verranno illustrate le conclusioni, le limitazioni, le ricerche future del presente
elaborato.
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Capitolo 1: La Pubblicità e il Newsjacking
1.1 La pubblicità
Ovunque siamo circondati dalla pubblicità: basta accendere il televisore, la radio, camminare per strada o
collegarsi al proprio smartphone. Certamente la pubblicità è uno dei principali motori dell’economia e un
potere ricchissimo che condiziona tutti i mezzi di comunicazione di massa; è anche il più diffuso e il più
capillare canale di comunicazione, quello che impone al mondo, con la forza delle idee e soprattutto dei grandi
numeri, immagini, parole, pensieri, gusti, oltre che merci e prodotti
3
.
La pubblicità svolge un ruolo essenziale nella vita quotidiana e nelle abitudini di ognuno di noi. Essa nasce e
si sviluppa sulla base dei tratti caratteriali dell’individuo, dei bisogni e delle aspettative a cui cerca di dare
delle risposte. Allo stesso tempo, crea un impatto sul modo di pensare e sugli atteggiamenti nei confronti di sé
stessi e delle aspettative che normalmente ci prefiggiamo
4
.
Nella lingua italiana, il termine “pubblicità” deriva da “pubblico” ed assume il semplice significato di “rendere
noto”, “svelare”. Al contrario, il termine inglese advertising si focalizza sulla natura commerciale, finalizzata
al raggiungimento del destinatario del messaggio. Diverse sono le definizioni fornite in letteratura e,
nonostante divergano tra loro, la maggior parte degli autori preme l’accento sul concetto di persuasione che
vogliono raggiungere. In linea generale, infatti, la pubblicità si configura come una delle forme di
comunicazione più tipiche, diffusa dai mass media, orientata ad influenzare conoscenze, valutazioni,
atteggiamenti e comportamenti. La pubblicità, che in termini semplici può essere definita come sistema di
tecniche di comunicazione persuasiva, utile a promuovere consumi, non è solo una quantità di messaggi diffusi
in una quantità di luoghi fisici e, sempre più, nello spazio virtuale del web. È un luogo della mente: una
struttura del pensiero che, come scrive il sociologo Fausto Colombo, ha la “caratteristica fondamentale di
mescolare le carte in un intreccio di volontà e pulsioni diverse, spesso divergenti: informare, convincere,
imporre, autoconvincersi, sforzarsi di piacere e così via”
5
.
I ricercatori svedesi Dahlen e Rosengren (2016) sostengono che l’obiettivo della pubblicità sia mutato dal
“vendere” al “persuadere” grazie all’evoluzione dei media e del consumatore. Naturalmente la persuasione si
configura come una vera e propria dimensione ontologica rispetto alla comunicazione, ma nella pubblicità
esiste un legame strettissimo tra la strutturazione del messaggio, la definizione della strategia e la persuasione
che si riesce a generare. Secondo Mcguire (1972) la persuasione è frutto di un processo che comprende una
serie di step sequenziali da dover seguire al fine di perseguire l’obiettivo finale:
1. Presentazione del messaggio: il messaggio deve essere percepito dal soggetto;
3
U. VOLLI, Semiotica della pubblicità, Laterza, Bari-Roma, 2004, p. introduzione.
4
S. MAZZARELLA “Introduzione alle tecniche dell’advertising” in Comunicazione integrata e Reputation Management, Luiss,
2019, a cura di G. Comin, p. 311.
5
F. COLOMBO, Introduzione allo studio dei media. I mezzi di comunicazione fra tecnologia e cultura, Carocci, Roma, 2003.
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2. Attenzione: generare un’attenzione nel soggetto;
3. Comprensione dei contenuti: il soggetto deve conoscere i codici e il linguaggio del messaggio;
4. Accettazione: il soggetto deve accettare l’opinione presentata nel messaggio;
5. Memorizzazione della nuova opinione;
6. Comportamento conseguente: l’azione dell’individuo sulla base della nuova opinione.
In merito alle sue origini, risulta arduo identificare l’esatto momento in cui essa sia nata, anche se le insegne
poste sopra le botteghe nell’antica Grecia e nell’antica Roma sono annoverate tra i primissimi casi di
comunicazione atti a promuovere beni e servizi. La “vera” pubblicità nasce con la rivoluzione industriale,
l’espansione della concorrenza e con l’invenzione della stampa ad opera di Johann Gutenberg nel XVII secolo.
Di fatti, mentre le radici di tale pratica potrebbero risalire a migliaia di anni fa, la prima vera definizione è
considerata da molti “la vendita in stampa” data da Daniel Starch nel 1923
6
.
Configurandosi come un vero e proprio atto comunicativo, essa si sviluppa attraverso un processo
bidirezionale che vede coinvolti diversi elementi. Il politologo statunitense Harold Dwight Lasswell nel 1948
sviluppa uno dei più noti modelli di comunicazione, quello delle 5W. Secondo la sua visione, ogni atto
comunicativo prevede una risposta alle seguenti domande:
1. Who (chi)?
2. Says What (dice cosa)?
3. In Which channel (con quale mezzo)?
4. To Whom (a chi)?
5. With What effects (con quali effetti)?
Il sovrastante schema, oltre a spiegare il processo comunicativo, mira a far corrispondere ad ogni domanda
uno specifico settore del campo della comunicazione di massa:
6
D. STARCH, Principles of Advertising: a semantic syllabus of the Fundamental Principles of Advertising, Andesite Press, 2015.