4
INTRODUZIONE
Le relazioni sono una realtà presente fin dalla nascita di ognuno di noi e contribuiscono, quindi, alla
creazione della nostra personalità, del modo in cui sentiamo le emozioni fino ad influenzare le nostre
scelte e a diventare, talvolta, l’unico motore delle nostre vite. Il seguente elaborato tenta, quindi, di
esplorare l’influenza del ruolo e delle funzioni materne sul futuro sviluppo di un’individualità stabile
ed integrata di un soggetto, e l’incidenza che le stesse avranno sulla formazione della sua autostima
e rappresentazioni di sé, del mondo esterno e delle relazioni tra lui e gli altri. È stato, infatti, indagato
il peso che i MOI, creati attraverso le prime relazioni con la figura significativa, eserciterebbero sulla
scelta di futuri partner: essendo ogni madre diversamente responsiva, empatica ed attenta alle
esigenze psicofisiche del proprio bambino, creerebbe con lo stesso diversi tipi di attaccamento e
quindi anche differenti tipi di rappresentazioni mentali dei rapporti in sé che, sebbene flessibili e
modificabili attraverso future esperienze, porterebbero l’individuo in questione ad avvicinarsi a
soggetti, le quali caratteristiche, rispecchierebbero le sue aspettative precedenti di relazione. Per
questo motivo sono state prese in esame le condizioni per le quali soggetti che avrebbero sviluppato
un tipo di attaccamento insicuro-ambivalente nell’infanzia sarebbero portati, in futuro, a legarsi
intimamente con soggetti insicuri-evitanti in un circolo relazionale mal adattivo che non
consentirebbe né un’evoluzione del rapporto né una crescita dei singoli individui. L’elaborato cerca
di far luce, quindi, sulle radici di questo modello relazionale che la letteratura scientifica definisce
come “love addiction” prendendo in considerazione, oltre al ruolo della figura materna anche le
possibili cause neurobiologiche, sociali e cognitive che contribuirebbero alla protrazione di questo
rapporto malsano. È stato, infatti, dimostrato come il funzionamento delle aree cerebrali responsabili
della memoria di lavoro, dei processi decisionali e dell’impulsività sarebbero simili tra soggetti con
dipendenze comportamentali e quelli con dipendenza da sostanze (Potenza, 2009). La dipendenza
affettiva rientra, infatti, nelle BD (behavioral addiction) ovvero quelle dipendenze legate non a
sostanze ma a condotte socialmente accettabili e che, per insufficienza di letteratura scientifica in
merito e strumenti di screening validi, non sarebbero state riconosciute come disturbi autonomi dal
DSM-5. Il comportamento impulsivo, compulsivo e ossessivo nella ricerca dell’oggetto di
dipendenza che in questo caso si identificherebbe col partner stesso si attuerebbe ogni qual volta i
dipendenti affettivi percepirebbero una minaccia sulla sicurezza della relazione. Si è, dunque,
esplorato come la paura dell’abbandono unita ad una scarsa capacità di mentalizzazione di entrambi
i partner, una bassa autostima e una difficoltà nel riconoscimento e regolazione delle proprie emozioni
genererebbe un rapporto tanto conflittuale da poter sfociare in vari episodi di violenza domestica.
5
L’obiettivo dell’elaborato, quindi, non consisterà solamente nel rintracciare fonti e studi che possano
descrivere al meglio i soggetti maggiormente esposti al rischio di sviluppare un tipo di rapporto mal
adattivo, ma prenderà in considerazione oltre alle cause della dipendenza affettiva anche le sue
possibili conseguenze. L’impossibilità di regolare le proprie esigenze con quelle dell’altro e uno stile
comunicazionale autocentrato composto maggiormente da toni accesi, insulti e incomprensioni,
genererebbe una rottura di equilibrio nella coppia fino al punto in cui un partner sarebbe capace di
agire minacce verbali e fisiche, comportamenti abusanti in termini economici e sessuali e azioni
aggressive ed intimidatorie sull’altro. Verranno, quindi, discusse le caratteristiche delle figure
principali coinvolte nella situazione di violenza, ovvero quella della vittima e del partner maltrattante
e le motivazioni alla base delle loro condotte prendendo poi in considerazione anche l’effetto di tale
scenario relazionale sugli eventuali figli: si valuterà, quindi, sia il rischio della loro possibilità di
sviluppare distorsioni cognitive e disturbi comportamentali sia la probabilità e i casi in cui si potrebbe
avverare la prospettiva intergenerazionale della violenza domestica.
6
CAPITOLO PRIMO
ATTACCAMENTO E RELAZIONI INTERPERSONALI
La funzione della madre nella relazione di attaccamento con il bambino in termini di empatia e
sensibilità alle richieste del figlio sarà necessaria per la formazione di un’identità sana ed autonoma
e sarà fondamentale per lo sviluppo di modelli operativi interni, cioè la rappresentazione di sé,
dell’altro e della relazione tra sé e l’altro determinanti, secondo la prospettiva evoluzionistica
dell’infant research, aspettative circa le relazioni future per via di una generalizzazione delle prime
rappresentazioni sulla relazione affettiva (Carli, Cavanna, Zavattini, 2009). Si creerebbero, dunque,
in base a ciò, diversi possibili tipi di attaccamenti di coppia che inizialmente sarebbero determinati
dalle rappresentazioni delle prime relazioni di entrambi i partner con la figura significativa
dell’infanzia e, successivamente, potranno modificare essi stessi le aspettative sulla relazione di
entrambi i partner nonché i rispettivi stili interazionali. Ogni nuovo legame di coppia diverrà dunque
un tipo di attaccamento unico ed originale rispetto ad altri poiché esso implicherà l’interdipendenza,
la negoziazione e l’accomodamento tra le diverse rappresentazioni della relazione presenti nella
mente di entrambi i partner (Carli, Cavanna, Zavattini, 2009) oltre al fatto di integrare l’attaccamento
alle diverse esigenze di accudimento e sessualità, componenti anch’esse peculiari e differenzianti il
rapporto di coppia da quello tipico della prima infanzia tra madre e bambino (Baldoni, 2009).
1.1. Dalla dipendenza necessaria a quella patologica: il ruolo della figura materna
Secondo una prospettiva evolutiva, le basi per lo sviluppo di relazioni più o meno soddisfacenti
vengono poste nelle prime relazioni di attaccamento tra madre e figlio. Lo sviluppo di questo legame
instauratosi tra adulto significativo e bambino consente, infatti, non solo la soddisfazione del bisogno
alimentare, ma anche di quello emotivo ed affettivo e, proprio per questo motivo, la relazione di
attaccamento sarà fondamentale per la crescita psicofisica del soggetto (Winnicott, 1965). Questo
tipo di rapporto nasce, dunque, nei primi mesi di vita in base a come la madre riesce a sostenere il
figlio in tutti i suoi bisogni esplicitati attraverso espressioni facciali e gesti: si parla, infatti, di madre
“sufficientemente buona” per indicare una figura che riesce a cogliere e a soddisfare ogni esigenza
del suo bambino dal semplice modo di tenerlo in braccio al suo bisogno di nutrizione, di affetto, di
rassicurazione adattandosi anche ai suoi ritmi di sonno-veglia e tenendo il passo di ogni cambiamento
che si verifica di giorno in giorno durante il suo sviluppo (Winnicott, 1965). Queste attenzioni insieme
alla capacità materna di mirroring (empatizzazione della figura materna con le emozioni del figlio) e
7
mastering (padroneggiamento degli affetti del bambino da parte della madre) consentiranno
all’infante di riconoscere e regolare man mano le sue emozioni in relazione alla situazione contestuale
e di avere una fiducia nell’ambiente circostante grazie appunto alle gratificazioni che ne riceve. Egli
sarà portato in questo caso a sperimentare la condizione di “relazionalità dell’io” (Winnicott, 1965),
di vivere, cioè, l’esperienza di essere solo in presenza di altri: grazie a questa sicurezza oggettuale
(della persona significativa) il bambino, crescendo, diventerà capace di fare a meno della madre
interiorizzando la sua figura (Winnicott, 1965).
Le basi per l’organizzazione dell’Io, la forza dell’Io nonché la salute mentale dell’individuo intesa
come libertà dalla tendenza alla psicosi sono poste, dunque, dalla qualità delle cure verso il bambino
poste in essere dalla persona significativa nella sua infanzia: l’insuccesso della madre all’esigenza di
“onnipotenza” del figlio provocherebbe, infatti, in lui, continue reazioni alle conseguenze di tale
insuccesso spezzando la continuità della sua esistenza ed indebolendo di conseguenza il suo Io. Si
creerebbero in questo modo le premesse per lo sviluppo di una personalità disturbata nonché la
possibilità di formazione di legami di attaccamento futuri devianti proprio per l’impossibilità del
figlio di “esistere” come individuo separato dalla figura materna (Winnicott, 1965): una volta
diventati adulti, infatti, questi soggetti cercheranno persone a cui aggrapparsi e da cui dipendere
proprio per la mancanza di un’identità e personalità autonome e svincolate. Si realizzerà in questo
modo il passaggio da una dipendenza necessaria alla figura materna, per esigenze di sopravvivenza,
ad una dipendenza protratta nel tempo e ricercata in ogni relazione futura instaurata dal soggetto
poiché vista da lui stesso come condizione necessaria della sua esistenza in relazione con l’altro
(Guerreschi, 2011). È necessario, per cui, porre luce sulle capacità empatiche materne per spiegare i
vari possibili comportamenti di attaccamento futuro che potrebbero scaturirne.
Se la madre avrà, infatti, riconosciuto e soddisfatto appieno le esigenze fisiche ed emotive del suo
bambino sarà possibile anche un distacco tra i due non traumatico per il bimbo proprio perché
introiettando la figura materna e le sue cure egli ha fiducia in un ambiente a lui favorevole ed è
tranquillo nella sua esplorazione sapendo di ritrovare al suo ritorno la figura di attaccamento
(Winnicott, 1965). La madre attendibile e costantemente dedita ai bisogni del figlio, quindi, verrà
considerata da quest’ultimo una “base sicura” (Bowlby, 1989), da cui partire per fare esperienza del
mondo e da cui poter tornare in qualsiasi momento con la consapevolezza di trovare in lei conforto e
rassicurazione. Questo tipo di legame venne definito da Mary Ainsworth et al. (1970) come sicuro
per le sue caratteristiche positive anche in riferimento allo sviluppo relazionale del soggetto in altri
contesti e con altre persone. Dunque, mentre l’attaccamento ad una madre responsiva ed empatica
prevede un distacco con conseguente formazione di una personalità autonoma da parte del soggetto,
un disturbo nella relazione di attaccamento con la figura principale potrebbe generare conseguenze
8
negative circa la costruzione del sé, della propria autostima, la formazione di un’individualità
autonoma, il riconoscimento dei propri bisogni e l’importanza dedicata agli stessi influendo, così di
conseguenza, anche nella formazione di relazioni di attaccamento future (Bowlby, 1989). I due
principali stili di attaccamento disfunzionali in cui vi è un fallimento della funzione materna come
“sufficientemente buona” prevedono due condizioni. La prima è caratterizzata da madri piuttosto
fredde emotivamente ed incapaci di rispondere significativamente ai segnali ed esigenze psicofisiche
dei loro figli. Rifiutanti anche nei confronti del contatto con il loro bambino, esse percepiscono le sue
richieste di affetto e protezione come un peso e una limitazione alla loro vita e manifestano tutto ciò
con sentimenti di impazienza ed irritazione (Main, 1994). Il risultato di questo tipo di comportamento
materno sarà un bambino non libero di esprimere i suoi bisogni per paura di un rifiuto e che cercherà
di meritarsi l’amore della madre attraverso un distacco dalla stessa indirizzando la sua attenzione
nell’ambiente circostante: verranno perciò definiti per queste caratteristiche come soggetti evitanti
(Ainsworth et al. 1970). L’altra condizione in cui vi è un fallimento della funzione materna prevede
lo sviluppo di soggetti ambivalenti (Ainsworth et al., 1970), cioè di bambini che non si sentono amati
dalla figura di attaccamento ma sono allo stesso tempo concentrati sul non perderla, sul ricercare
continuamente il contatto con la stessa poiché nell’infanzia hanno interiorizzato la figura di una madre
non attendibile nella soddisfazione delle loro esigenze emotive. Si tratta infatti di madri imprevedibili
nelle cure dei loro bambini, in genere ipercontrollanti e intrusive, che ricercano il contatto fisico e la
vicinanza dei propri piccoli ma risultano poi incapaci di creare comportamenti e risposte emotive
sulla base dei loro bisogni (Main, 1994). Se, quindi, la madre non risulta esser stata capace di
rispondere alle esigenze del figlio, non si è mostrata adeguatamente empatica o addirittura non
attendibile ed affidabile, si potranno generare due situazioni nelle relazioni di questi soggetti in età
adulta: mancanza di fiducia nel partner (tipico di soggetti evitanti) o ricerca smisurata del compagno
nelle relazioni intime (comportamento generalmente attuato da soggetti ambivalenti) (Poudat, 2005).
Saranno proprio queste due ultime condizioni che determineranno molto probabilmente la possibilità
di sviluppare nelle relazioni future una dipendenza patologica al partner per via di un mancato
riconoscimento dei propri desideri come autonomi, distinti e caratterizzanti la propria personalità
(Guerreschi, 2011). La funzione materna nelle primissime fasi di sviluppo del soggetto, dunque,
risulta fondamentale poiché oltre a sviluppare nel bambino una più o meno adeguata capacità di
regolazione affettiva (tramite, appunto, la capacità di mirroring/mastering della madre) (Winnicott,
1965), lo pone anche nella posizione di sviluppare pensieri e convinzioni circa la figura di
attaccamento che, in futuro, si generalizzerebbero, secondo un’ipotesi evolutiva, ad altre forme di
relazione condizionando il soggetto nella scelta di partner e nel comportamento all’interno del
rapporto in sé (Carli, Cavanna, Zavattini, 2009). Assumendo quindi la teoria dell’attaccamento