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INTRODUZIONE
Il presente lavoro mette a confronto il De bello Gallico, in cui Cesare narra gli
avvenimenti che si sono svolti durante i suoi sette anni di governatorato in
Gallia, con la Römische Geschichte (Storia di Roma) di Theodor Mommsen e il
Caesar (Giulio Cesare) di Christian Meier, opere della storiografia moderna
che hanno analizzato e approfondito l’impresa d’oltralpe del generale
romano.
Nel primo capitolo è stato analizzato il testo cesariano: del De bello Gallico
sono stati evidenziati i tratti caratteristici – dalla proverbiale obiettività
ostentata dal generale agli espedienti apologetici per esaltare la sua persona;
dalle importanti pagine etnografiche al rapporto speciale che lega il dux ai
suoi soldati. Si è poi esaminato il modo in cui Cesare presenta sé stesso ai
lettori e come giustifica la sua condotta in Gallia, che il generale romano
riconduce all’interno del mos maiorum e nel concetto di bellum iustum. L’analisi
ha messo in luce come Cesare abbia fissato sul Reno il nuovo confine dello
Stato romano, con l’intento di rendere l’Occidente il nuovo terreno su cui
basare in futuro il potere di Roma.
Il secondo capitolo è dedicato a Die Unterwerfung des Westens, la parte della
Storia di Roma di Theodor Mommsen, in cui si parla dell’assoggettamento
della Gallia. In questo lavoro, lo storico tedesco sottolinea sia l’importanza
che la conquista ha avuto nell’immediato per lo Stato romano, sia
l’influenza che essa avrà nei secoli successivi. Mommsen esalta la figura del
dux romano, spiegando che, con la romanizzazione della Gallia, Cesare ha
messo un freno alle migrazioni barbariche e ha permesso all’Europa intera
di avere nella cultura ellenico-italica le sue radici comuni.
Infine, nel terzo capitolo si è esaminato l’opera di Christian Meier, una
biografia che racconta la figura di Cesare in modo più critico: per l’autore
tedesco, il generale romano è stato un outsider del suo tempo che è riuscito,
grazie alle sue doti di stratega, diplomatico, condottiero e scrittore, a
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disobbedire alle regole del suo ceto e a ottenere per sé il traguardo che si era
prefissato: conquistare l’imperium di Roma. L’analisi di Meier, rispetto a
quella di Mommsen, è più obiettiva e imparziale nei confronti dell’operato
di Cesare: nel suo Giulio Cesare, Meier spiega infatti che il generale romano
ha strumentalizzato l’iniziativa imperialistica d’oltralpe per renderla
funzionale ai suoi scopi di politica interna e come vero e proprio prologo
alla guerra civile.
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CAPITOLO I: IL DE BELLO GALLICO DI G. GIULIO CESARE
1. I C. IULII CÆSARIS COMMENTARII RERUM GESTARUM
Nonostante la sua prolifica produzione
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, a consacrare Cesare come scrittore
sono i C. Iulii Cæsaris commentarii rerum gestarum, opera in dieci libri, scritta
secondo la tradizione romana della memorialistica, in base a cui un nobile
contribuisce ad accrescere la gloria di Roma e della sua gens, narrando e –
nel caso specifico del generale romano – anche giustificando le imprese che
ha compiuto.
I Commentarii sono concepiti come un’opera unitaria e solo in epoca
antonina sono divisi in due scritti distinti: il De bello Gallico
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, composto da
sette libri e relativo alla campagna condotta da Cesare in Gallia come
proconsole tra il 58 e il 52 a.C.; e il De bello civili, diviso in tre libri e basato
sulla guerra civile che vede opposto Cesare a Pompeo dal 1° gennaio del 49
al novembre del 48 a.C.
I Commentarii, come detto, sono stati scritti su modello degli hypomnémata dei
generali ellenistici: si tratta di appunti e annotazioni, paragonabili ad una
sorta di diario di guerra. Eppure, già Svetonio, nella biografia di Cesare,
sottolinea che questi rapporti militari furono redatti in modo differente,
rispetto a quella che era la consuetudine: essi, infatti, sono realizzati come
liber memorialis ampio, articolato e ricco di dettagli.
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Cesare compone numerose pagine di oratoria, poesia e anche trattati scientifici. Nel 54 a. C.
scrive il De Analogia, in due libri, dedicato a Cicerone; nella giovinezza compone il poema Laudes
Herculis (Le lodi di Ercole) e la tragedia Oedipus, opere che Augusto proibì poi di pubblicare;
successivamente racconta nel poemetto odeporico Iter (Il viaggio) il suo viaggio alla volta della
Spagna nel 45 a.C. Il suo esordio nell’oratoria è nel 77 a. C. quando sostiene l’accusa – forse
vittoriosa – contro l’aristocratico sillano Cn. Cornelio Dolabella. Nel corso di tutta la sua vita
compone i Dicta collectanea, ricordati da Cicerone come Apophtegmata. Frutto dei suoi interessi
scientifici è il trattato De astris (Sulle stelle). Dopo il suicidio a Utica di Marco Porcio Catone, capo
degli optimates, Cesare compone l'Anticato (Contro Catone), la risposta alla Laus Catonis di Cicerone.
Si aggiungono alla produzione cesariana le laudationes funebres per la zia paterna Giulia e per la
moglie Cornelia (fra il 69 e il 67 a.C.) e le Epistulae. Di alcuni scritti, purtroppo, non si è conservato
nulla.
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Per il lavoro di tesi e per le traduzioni è stato consultato il volume: CESARE, traduzione di F.
BRINDESI, La guerra gallica, Milano, Bur Rizzoli, 2018.
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Per quanto riguarda la stesura, il Bellum Gallicum è quasi interamente
strutturato proprio sulle relazioni che Cesare annualmente invia al Senato:
su questi accurati resoconti poggia la struttura portante dell’intera opera.
Ad essi, si devono aggiungere i rapporti militari; la fitta corrispondenza che
Cesare mantiene costantemente con i suoi ufficiali; e gli acta Senatus, cioè i
documenti ufficiali delle riunioni del Senato, divulgati successivamente tra il
popolo: tutto ciò è raccolto negli archivi
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militari, gestiti dalla segreteria
cesariana che quasi certamente organizza il materiale, preparando dei
dossier, che sono poi rielaborati da Cesare stesso per i suoi Commentarii.
Il condottiero romano, inoltre, come sottolineano Manca e Rohr, è
costantemente supportato nella redazione dei suoi scritti, sia pubblici che
privati, da un imponente apparato propagandistico
4
.
Nonostante siano strutturati su materiale spoglio e privo di ornato, le opere
cesariane non sono una mera raccolta di documenti: esse, infatti, pur
risultando asciutte e dense di azioni, non sono aride.
A differenza degli hypomnemata di altri generali, che danno spazio più alla
sostanza e non si occupano di abbellire il materiale attraverso espedienti
retorici – lavoro quest’ultimo che riguarda invece gli storiografi –, i
Commentarii cesariani sono opere compiute, che non necessitano di
un’ulteriore rielaborazione.
I Commentarii sono memorabili per elegantia, che si sostanzia principalmente
nella Latinitas, nella purezza e nella correttezza dell’eloquio latino, grazie alla
scelta accuratissima delle parole tipica dell’atticismo, cui Cesare aderisce
senza esitazione per la sua prosa; per vis espressiva; per la brevitas, ossia
l’essenzialità, oltre che per la varietà dei contenuti: le battaglie si alternano
alle sottili azioni diplomatiche, le preziose descrizioni etnografiche ai robusti
discorsi di grande eloquenza.
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«Dà a Crasso il comando di Samarobriva e gli assegna una legione, perché lasciava là i bagagli
dell'esercito, gli ostaggi delle nazioni galliche, gli archivi e tutto il grano che aveva fatto portare là
come provvigione per l'inverno». CESARE, op. cit., p. 289.
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Cfr. M. MANCA, F. ROHR VIO, Introduzione alla storiografia romana, Roma, Carocci, 2019, p. 143.
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I Commentarii, come già avevano notato i contemporanei
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e come ha ribadito
la critica moderna, sono infatti capolavori tanto perfetti nella loro asciutta
essenzialità, priva di qualunque ornato, che, anche se apparentemente
sembrano fornire materiale per una vera opera storiografica più ambiziosa
ed elaborata dal punto di vista artistico-letterario e retorico, non possono
che dissuadere da una simile impresa, come evidenziato da Cicerone, tutti
gli uomini sani di mente
6
.
2. IL CONTENUTO DEL DE BELLO GALLICO
Ognuno dei sette libri del De bello Gallico è dedicato ad un anno del
governatorato di Cesare in Gallia. Il I libro – che si apre con il celebre
l’excursus geografico sul territorio della Gallia, elemento già significativo
della differenza tra l’opera cesariana e gli altri scritti di memorialistica
proprio per il fatto che, come si vedrà più approfonditamente nell’analisi di
Meier, Cesare decide di iniziare dallo spazio anziché dal tempo – è dedicato
all’anno 58 a.C. e alla guerra contro gli Elvezi, sconfitti dal generale romano
a Bibratte; poi l’autore racconta la guerra contro gli Svevi di Ariovisto,
sconfitti da Cesare e ricacciati oltre il Reno.
Nel II libro, incentrato sulle vicende dell’anno 57 a.C., sono narrati gli
scontri tra l’esercito romano e le popolazioni della Gallia Belgica, in
particolar modo contro la popolazione dei Nervi, disfatti a Novioduno.
Il III libro, basato sulle vicende in Gallia del 56 a.C., dopo la conferma degli
accordi triunvirali a Lucca, riferisce del conflitto con i Veneti dell’Armorica,
della vittoria romana nella prima battaglia navale combattuta sull’Oceano, e
della battaglia contro gli Aquitani.
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Già Aulo Irzio nell’introduzione al liber VIII a tal proposito scrive: «[…] essi furono scritti per
fornire agli storici notizie su imprese così importanti e riscossero da tutti tanta ammirazione che
invece di facilitare l’opera degli scrittori, gliel’hanno resa impossibile». CESARE, op. cit., p. 477.
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Il giudizio di Cicerone nel Brutus in tal proposito è illuminante (262): «I commentarii [di Cesare,
ndr.] sono davvero pregevoli: sono infatti nudi, schietti e attraenti, privi di ogni ornato retorico,
come se si fossero spogliati dei vestiti. Ma, volendo offrire materiali, a cui possano attingere coloro
che vogliono scrivere di storia, ha fatto opera gradita forse solo agli sciocchi, che vorranno
imbellettarli, ma ha scoraggiato dallo scrivere le persone sane di mente; nulla è infatti più gradevole
nella storia di una concisione pura e luminosa».
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Nel IV libro, dove sono raccontati gli avvenimenti del 55 a.C., dopo il
terribile massacro di Usipeti e Tencteri, Cesare narra della costruzione del
primo ponte sul fiume Reno, che permette all’esercito romano di compiere
una rapida incursione in Germania; successivamente il generale romano dà
notizia del primo sbarco in Britannia.
Pacificata la Gallia, Cesare nel libro V, basato sui fatti accaduti nel 54 a.C.,
narra la seconda spedizione in Britannia e dunque la battaglia sul Tamigi
contro Cassivellauno; il libro si conclude con il racconto dell’insurrezione
degli Eburoni, dei Treviri e dei Senoni.
Nel 53 a.C. avvengono invece le rivolte di Nervi, Senoni, Carnuti, Menapi e
Treviri, raccontate nel VI libro: qui è descritta la severa punizione inflitta da
Cesare agli Svevi per aver aiutato i ribelli; inoltre è riportata la campagna
punitiva contro gli Eburoni.
Infine nel VII libro, l’ultimo scritto di suo pugno, si racconta
dell’insurrezione in tutta la Gallia, guidata dal capo arverno Vercingetorige,
che si conclude con la celebre vittoria di Cesare nel 52 a.C. ad Alesia
7
.
L’ottavo libro del De bello Gallico, che illustra gli avvenimenti del 51 e del 50
a.C., invece, è stato aggiunto – in tutto o in parte – dal fedele Aulo Irzio
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per congiungere cronologicamente l’opera con il De bello civili. Bisogna
comunque presupporre che Irzio, per completare le parti mancanti, abbia
lavorato su documenti preesistenti, ovvero su materiale inedito redatto dallo
stesso Cesare.
7
Cfr. M. MANCA, F. ROHR VIO, op.cit., pp. 139-140.
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Il completamento dei Commentarii di Cesare è fenomeno analogo a quello delle continuationes, di cui
erano già stati oggetto Tucidide e Polibio: quindi Cesare, subito dopo la morte, diventa un classico.
La fonte che indica Irzio come possibile continuatore del De bello Gallico è Svetonio che nel Divus
Iulius (56) scrive: «Lasciò anche dei Commentarii sulle sue gesta nelle guerre galliche e in quelle
contro Pompeo. E però incerto che sia l'autore di quelli sulla guerra alessandrina e su quella
africana e spagnola. Alcuni li attribuiscono a Oppio e altri a Irzio, che terminò anche l'ultimo libro
delle Guerre galliche, rimasto incompiuto», in SVETONIO, Divus Iulius 56, trad. it. F. DESSÌ, 1968.
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3. LA REDAZIONE DEL DE BELLO GALLICO: TRE IPOTESI
POSSIBILI
Non è certo quali siano stati i tempi di redazione dei Commentarii cesariani.
La critica moderna ha avanzato tre ipotesi in merito alle possibili date di
pubblicazione dell’opera.
Secondo la prima opzione, i sette libri dell’opera sono stati redatti e
pubblicati tutti insieme, dopo Alesia, nell’inverno del 52-51 a.C. Coloro che
sostengono questa ipotesi individuano nell’unitarietà dell’opera la loro
principale fonte di argomentazione: Cesare, infatti, avendo la necessità di far
conoscere a Roma sia la gloria militare ottenuta sia gli enormi vantaggi
economici conseguiti attraverso la conquista del territorio d’oltralpe,
individua nella diffusione dei Commentarii lo strumento di propaganda più
idoneo e potente, per rafforzare la sua immagine agli occhi dei
contemporanei.
Per la seconda ipotesi, invece, i sette libri del De bello Gallico sarebbero stati
composti uno alla volta e pubblicati separatamente, anno per anno. Questa
teoria è basata principalmente sulle contraddizioni e sulle differenze di stile
che si possono riscontrare tra un libro e l’altro.
Infine, per l’ultima ipotesi, i libri sarebbero stati pubblicati a gruppi, in
coincidenza con le supplicazioni votate per Cesare a Roma e citate dallo
stesso autore del De bello Gallico alla fine dei libri II, VI, VII. Dunque i libri I
e II sarebbero stati diffusi alla fine del 57 a.C.; i libri dal III al VI nell’anno
53 a.C.; e infine il VII libro sarebbe stato pubblicato nel 52 a.C., dopo la
vittoria contro Vercingetorige.
Gli assertori di questa terza interpretazione sostengono infatti che sono
evidenti i rapporti che ciascun gruppo di libri ha con gli eventi della politica
interna negli anni di pubblicazione; inoltre è possibile rilevare
contraddizioni interne tra i gruppi di libri e un’indubbia evoluzione nello
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stile; e, infine, la conoscenza stessa della Gallia da parte di Cesare, che si
approfondisce gradualmente da un gruppo di libri all’altro
9
.
I critici, pur avendo opinioni contrastanti sulle date di redazione e
pubblicazione dell’opera, sono assolutamente concordi sul fatto che, nel 46
a.C., Cesare, partendo dal libro VII, abbia iniziato a sottoporre il Bellum
Gallicum ad un riesame e ad una correzione complessivi. È altresì probabile
che il generale romano non sia riuscito a concludere l’operazione di
revisione della sua opera a causa della morte soggiunta nel 44 a.C.: questo è
il motivo per cui, secondo la critica moderna, il libro I e il libro VII sono
decisamente più curati rispetto a tutti gli altri.
4. CESARE VISTO DA CESARE
Cesare dei suoi Commentarii è sia autore sia personaggio: è interessante
osservare come il Cesare autore presenti nell’opera il Cesare personaggio. Si
può notare fin da subito che Cesare presenta se stesso come l’assoluto e
unico protagonista. La scena è tutta incentrata sulla sua figura: il generale è
mostrato al lettore come il governatore romano che, con il suo operato
lontano dalla patria, adempie i suoi molteplici compiti, secondo tradizione,
in modo coscienzioso, accorto ed esemplare.
Il personaggio di Cesare ha un atteggiamento freddo, calcolatore, è colui
che sa sempre cosa deve essere fatto in qualunque momento. L’errore nelle
sue azioni non è mai contemplato: tutto ciò che è compiuto da Cesare ha
uno scopo ben preciso e si giustifica, come si evidenzierà in seguito,
nell’ottica del mos maiorum e dei valori della Res Publica.
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Cfr. M. MANCA, F. ROHR VIO, op. cit., p. 146-147.
Zecchini, a proposito della redazione del Bellum Gallicum, scrive: «Il BG venne composto o anno
per anno durante le campagne di Gallia o in tre tappe coincidenti con le supplicationes del 57/56
53/52 e 52/51; o infine, come ritengo preferibile, tutto insieme nel 52/51 sulla base della sua
memoria personale e dei rapporti dei suoi legati». Cfr. G. ZECCHINI, Storia della storiografia romana,
Laterza, Roma, 2016, p. 97.