61
2. Le teorie filosofiche neoliberiste: J.Locke e R.Nozik
2.1.Il neoliberismo fiscale degli anni Ottanta
Il neoliberismo, è stato una delle correnti di pensiero predominanti
nel discorso pubblico, che ha accompagnato la trasformazione del Welfa-
re-State durante gli ultimi tre decenni. L’evoluzione di questa corrente, e
dunque la sua visibilità e il suo impatto, non hanno avuto un corso lineare,
ma piuttosto una fase d’ascesa degli anni 80’; una fase di appiattimento in-
torno alla metà degli anni 90’; e una discesa negli anni 2000.
134
Negli ultimi vent’anni in Italia, infatti, si sono riaffacciati moderni
orientamenti di stampo liberista, i quali hanno ritenuto eccessivamente di-
spendiose le politiche assistenziali degli anni 70’ e 80’ – alla luce della
grande depressione causata dalla crisi del 1929 e delle successive avutesi
negli anni – ragion per cui sono stati chiesti tagli alle spese pubbliche per
conseguire una minore pressione fiscale.
Il neoliberismo fiscale, nella sua critica al Welfare-State, si fonda sul
presupposto dell’inefficienza accertativa, ritenendo lo Stato impositore ca-
ratterizzato da una sorta di “prepotenza repressiva”.
Questo infatti trova il suo fondamento nelle teorie economiche tradi-
zionali, secondo le quali, il tributo è un fattore di alterazione del diritto di
proprietà, inteso come espressione della persona e della sua libertà indivi-
duale. In quest’ottica il pensiero neoliberista si oppone alla funzione del
tributo, come strumento di distribuzione e redistribuzione, privilegiando, al
contrario, quei modelli fiscali che favoriscono la persona insieme ai suoi
diritti proprietari.
Sulla base di questa impostazione ideologica-filosofica, i sostenitori
del neoliberismo considerano che una riduzione dell’imposizione fiscale
possa avere effetti sia sulla crescita economica che sull’imposizione fiscale.
Viene, in tal mondo, auspicata la sostituzione dei servizi pubblici con i ser-
134
Si veda per approfondire l’interessante saggio di M. FERRERA, ‘Neowelfarismo liberale:
nuove prospettive per lo stato sociale in Europa’, 2013, all’interno del quale l’autore ripercorre
la cd. parabola del neoliberalismo, che distingue in tre differenti fasi, fino a teorizzare quello
che egli chiama: “neowelfarismo”.
62
vizi privati, partendo dall’assioma che i privati offrono una maggiore effi-
cienza rispetto al pubblico.
Il pensiero neo-liberista trova inoltre una “relazione stabile” tra il fe-
nomeno dell’evasione e la pressione fiscale, dimostrandosi comprensivo, in
ottica giustificazionista, verso il fenomeno dell’evasione in ragione di una
troppo elevata pressione fiscale.
In sintesi esso, dunque, tende a svalutare il sistema di accertamento
analitico oltre che a sminuire il ruolo del tributo, basandosi su valori indi-
vidualistici del mercato, della proprietà e della corrispettività; trovando
inoltre ulteriore sostegno nel processo di globalizzazione, sino al punto di
generare all’interno dell’ordinamento italiano (e non solo) un fenomeno di
egoismo sociale.
In un paese come l’Italia, questo revival neoliberista ha goduto di un
certo appeal politico e sociale , al punto di raccogliere una folta schiera di
sostenitori, perché rappresentava il “malcontento comune” di coloro i quali,
lamentavano la cattiva gestione del prelievo tributario e della spesa pubbli-
ca.
Diretta conseguenza della suddetta posizione è stata, da un lato, la
richiesta di un sistema fiscale neutrale nei confronti del mercato, che sia
capace di assicurare un modello ideale di mercato, quello della libera con-
correnza; e dall’altro lato, la distribuzione del carico fiscale tra i cittadini,
che va inteso come il risultato di una scelta politica e del libero operare del-
le forze economiche, che il legislatore ha il compito di controllare, e non di
contraddire.
Tuttavia, portando alle estreme conseguenze questa visione ideologi-
ca vedremmo come risultato una quasi “abolizione” del settore pubblico, e
dal punto di vista fiscale soprattutto una messa in discussione del fonda-
mento morale e solidaristico del principio di tassazione.
2.2. Le teorie filosofiche neoliberiste: John Locke
Dopo aver trattato, a grandi linee, i punti cardine del fenomeno neo-
liberista, che si è ammantato di modernità, intervenendo ed influenzando
63
l’economia moderna, pare opportuno e necessario, ai fini della completezza
di questa analisi, un approfondimento sulle teorie filosofiche deontologiche
che sono alla base del fenomeno neoliberista.
Tali teorie infatti, oltre a respingere il modello di Stato sociale, han-
no sopravvalutato l’importanza dei diritti proprietari, definendoli “intangi-
bili”, in quando diritti originari e fondamentali dell’individuo; ragion per
cui ciascuno ha diritto a conservare la maggior parte dei frutti del proprio
lavoro, limitando l’Ente pubblico nel prelievo dei tributi solo quando è as-
solutamente inevitabile.
Lo Stato impositore è dunque legittimato al prelievo fiscale, dalle
leggi naturali, per finanziare il costo della tutela della proprietà e l’offerta
dei beni pubblici classici come i servizi di polizia, di difesa e i servizi giu-
diziari.
135
Viene dunque, da una parte, sminuito il potere dello Stato in tale am-
bito; e dall’altra valorizzato l’individuo, come persona titolare dei fonda-
mentali diritti di libertà e proprietà, in virtù dei quali l’imposizione è piut-
tosto una “autolimitazione”.
John Locke filosofo inglese è stato considerato padre fondatore del
liberalismo classico e del contrattualismo
136
- di cui queste teorie costitui-
scono una rielaborazione - e aveva come obiettivo quello di liberare
l’individuo dal potere feudale e da quello arbitrario del sovrano
137
.
Locke, difatti, fautore dell’individualismo possessivo intendeva di-
stinguere la proprietà esclusiva dell’individuo dalla sovranità, la quale ha
135
F. GALLO, Le ragioni del fisco, cit., p. 40
136
Locke partiva dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da T. Hobbes e ripresa poi nel
celebre Contratto sociale di J.J. Rousseau).Nello Stato di natura tutti gli uomini possono essere
uguali e godere di una libertà senza limiti; con l'introduzione del denaro e degli scambi com-
merciali, tuttavia, l'uomo tende ad accumulare le sue proprietà e a difenderle, escludendone gli
altri dal possesso. Sorge a questo punto l'esigenza di uno stato, di una organizzazione politica
che assicuri la pace fra gli uomini. A differenza di Hobbes, infatti, Locke non riteneva che gli
uomini cedessero al corpo politico tutti i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli. Lo
Stato non può perciò negare i diritti naturali, vita, libertà, uguaglianza civile e proprie-
tà coincidente con la cosiddetta property, violando il contratto sociale, ma ha il compito di tute-
lare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini.
137
LOCKE, The Second Treatise, cit., cap. V in F.GALLO, Le ragioni del fisco, cit., pp. 40 ss.
64
come scopo principale la conservazione del diritto e della proprietà, ma non
costituisce un bene privato del sovrano.
138
Insieme a Locke, anche altri autori
139
intendevano il rapporto tra
l’individuo-proprietario e la collettività prevalentemente in senso naturali-
stico, antiegualitario, antisolidaristico
140
; l’individuo proprietario di beni è
all’interno della società un atomo distinto dalle istituzioni, non collabora
all’interno della società con altri individui, non servendo tale fattore come
criterio di riparto.
2.3. La teoria del “titolo valido” di Robert Nozick
Robert Nozick, partendo dalle medesime premesse del liberalismo
classico e costituendo la miglior espressione del pensiero lockeano, sostie-
ne una visione radicalmente individualista della vita, che comporta una
drastica riduzione della sfera di intervento dello Stato negli affari dei citta-
dini (cd. Stato minimo), e che è aspramente critica nei confronti delle poli-
tiche del Welfare State.
Nozick sostiene l’assoluta priorità degli individui sulla società -
prendendo le mosse dalla tradizione liberale classica - e analogamente a
Locke, afferma che l’individuo abbia il diritto, libero da costrizioni esterne,
di perseguire i propri piani di vita attraverso il diritto alla proprietà, che se
posseduto a giusto titolo non può essere assolutamente limitato. Nozick, in-
fatti, vuole confutare il principio di giustizia distributiva, ritenendolo ille-
gittimo, e al contrario conia la teoria del cd. titolo valido, che rinviene la
causa giustificatrice della distribuzione, o meglio della “proprietà di un be-
ne” nella storia.
138
Espressione del liberalismo politico di J. Locke , si rinviene in un saggio di J. LOCKE, ‘Epi-
stola sulla tolleranza’, 1685, in cui scrisse: “Lo stato mi sembra la società degli uomini costitui-
ta soltanto per conservare e accrescere i beni civili. Chiamo beni civili la vita, la libertà, l'inte-
grità del corpo e la sua immunità dal dolore, e il possesso delle cose esterne, come la terra, il
denaro, le suppellettili ecc..”
139
Sul punto L. MENGONI, Proprietà e libertà, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1988, e l’opera che si ri-
fà al costituzionalismo liberale di A.F. VON HAYEK, The road to Serfdom, Chicago, 1944.
140
F.GALLO, Le ragioni del fisco, cit., p. 41.
65
Per questo filosofo, a ciascun individuo viene attribuito alla nascita il
diritto fondamentale ed intangibile della proprietà oltre al diritto della di-
sponibilità quasi esclusiva dei frutti del proprio lavoro.
141
Secondo la sua teoria, dunque, la redistribuzione della ricchezza da
parte dello Stato impositore è illegittima ed inammissibile, in quanto intac-
cherebbe la libertà e le dinamiche di mercato.
In ultima analisi, il diritto di proprietà, per Nozick, è un elemento in-
trinseco del diritto di libertà individuale, intesa quest’ultima, come una li-
bertà negativa, e cioè priva di costrizioni esterne.
Questa scuola di pensiero può essere considerata il frutto della rea-
zione, che si è avuta negli USA e di conseguenza anche in Europa, alle teo-
rie keynesiane e rooseveltiane
142
dominanti nel secondo dopoguerra, che ha
finito per rilanciare le cd. politiche dal lato dell’offerta
143
, le quali sottoli-
neavano i limiti delle politiche statali, l’inefficienza della spesa pubblica,
collegata all’inidoneità della classa dirigente politica a risolvere i problemi
della società.
141
La teoria del titolo valido di R. Nozick trova una giustificazione alla validità della proprietà,
e cioè secondo tale pensiero , un individuo ha diritto alla proprietà quando il processo storico
che lo ha portato ad essere proprietario è storicamente giustificato secondo tre fasi di legittimità:
è legittimo il momento del primo acquisto, “il momento dell’acquisizione”; è legittima ogni
forma di scambio avvenuta tra proprietà diverse “il momento del trasferimento”; in ultimo, in
caso di infrazione al possesso, si è ristabilita la proprietà legittima “momento di ristabilimento
della giustizia”.
142
In seguito alla grande crisi scoppiata nell’ottobre del 1929, dopo l’elezione di F.D. Roosevelt
il New Deal, con l’obiettivo di rilanciare la produzione industriale e diminuire la disoccupazio-
ne in breve tempo, attuò una politica di deficit di bilancio e di incremento della spesa pubblica
come leva per orientare lo sviluppo e ridurre i dislivelli di reddito tra i ceti sociali , applicando
le teorie dell’economista J.M. Keynes.
143
Politiche che, con le parole di Paul Samuelson, “descrivono il taglio delle tasse come il ri-
medio ad ogni male economico e come ricetta infallibile per la ripresa”. Si v. F.GALLO, Le
ragioni del fisco, cit., pp. 42 ss.
66
3. Le teorie filosofiche consequenzialiste e quelle egualitariste
come reazione all’orientamento neoliberista
3.1. Le teorie consequenzialiste: il pensiero di John Rawls
In netta contrapposizione con le teorie liberiste e neoliberiste si pon-
gono le teorie cd. consequenzialiste, le quali vengono così chiamate perché
considerano il diritto di proprietà in un’ottica di “appartenenza”
all’individuo e come una conseguenza di leggi fiscali
144
. Seguendo questa
linea di pensiero la proprietà si lega ad un sistema di obbligazioni sociali
in virtù del principio di “giustizia distributiva”.
145
A partire dal New Deal - nello stesso filone teorico - è emersa una
scuola di pensiero, riconducibile a quella liberale, che si fonda sul principio
della libertà positiva, cioè una libertà di cui ciascun individuo può godere
in una ideale condizione di uguaglianza; infatti l’unico limite posto alle li-
bertà positive è l’uguale libertà degli altri nel godimento del diritto di pro-
prietà. Non occorre dunque, per garantire i diritti fondamentali degli indi-
vidui, ridurre il ruolo e l’autorità dello Stato.
Rawls, filosofo statunitense, nonché figura di spicco della filosofia
morale e politica del Novecento, si pose come obiettivo quello di valorizza-
re il ruolo della responsabilità collettiva e della giustizia come equità di-
stributiva
146
.
Rawls, tra i maggiori teorici del principio di giustizia e delle pari
opportunità sociali, parte dalla premessa secondo cui gli individui nascono
in una posizione originaria di “ignoranza” – privati dunque di qualsiasi co-
noscenza circa il ruolo che rivestono all’interno della società – ed in una ta-
144
Ciò – pur non disconoscendo l’importanza dei diritti proprietari, come garanzia delle libertà
individuali – ma tali teorie cd. consequenzialiste si distinguono dalle predette teorie neoliberiste
in quanto separano tali diritti (proprietari) dai diritti dell’individuo e li declinano con la respon-
sabilità sociale e il principio di distribuzione.
145
F.GALLO, Le ragioni del fisco, cit., pag 44.
146
Secondo Rawls il concetto di “giusto” doveva essere considerato prioritario rispetto al “be-
ne”, coerentemente con la critica dai lui mossa verso l’utilitarismo, la quale al contrario volendo
a tutti i costi massimizzare la felicità comune intesa come mera somma delle felicità individuali,
può giungere a considerare legittima la violazione di alcune libertà fondamentali.
67
le condizione trova naturale espressione il principio di differenziazione, se-
condo cui le ineguaglianze tra i consociati sono giustificate solo se compor-
tano un beneficio anche per i meno avvantaggiati, rispetto ai più ricchi.
Egli intende dimostrare, infatti, la necessità di dare priorità ai miglio-
ramenti delle condizioni dei più svantaggiati rispetto a quelle dei più ricchi:
il suo pensiero è teso a valorizzare la libertà dell’individuo, ma anche la re-
sponsabilità collettiva e la giustizia, quali presupposti necessari dell’equità
distributiva
147
.
Questa teoria rawlsiana, in netta contrapposizione con quelle liberi-
ste, con le parole di F. Gallo “presuppone la divaricazione tra ciò che alla
persona appartiene – ed è quindi suo senza essere interna ad essa - e ciò
che la persona stessa è, quale individuo sociale titolare di diritti e altri do-
veri ( e non quale soggetto astratto e distaccato)
148
.
3.2. Le teorie egualitariste: Amartya Sen
Amartya Sen, economista, filosofo e accademico indiano, inquadrato
nella schiera dei pensatori egualitaristi liberali, ha sviluppato un approccio
radicalmente nuovo e diverso dell’eguaglianza e delle libertà.
Sen intende proporre una prospettiva tesa all’effettiva tutela di aspet-
ti centrali dei diritti umani, in contrasto teorico con il discorso utilitarista –
che invece si concentra sull’utilità complessiva, tralasciando l’importanza
dell’individuo che diventa solo un “mezzo”, uno strumento per progetti
collettivi - affermando la volontà di mediare tra quest’ultima e una dottrina
fondata invece sui diritti.
Sen si trova d’accordo con il neo-contrattualista Rawls, precisamente
sulla considerazione della persona separata dalla proprietà, quale indivi-
duo sociale non egoista
149
.
147
F. GALLO, Le ragioni del fisco, cit., p. 45.
148
Ibidem, nota 141; il pensiero di Rawls porta alla luce una nuova idea della persona intesa
come proprietario a cui appartiene un bene, ma che non si configura con il bene stesso.
149
F.GALLO, Le ragioni del fisco, cit., p. 45.
68
Lo Stato, secondo la visione proposta da Sen, si rende responsabile
primario, in primo luogo, dell’individuazione e della rimozione delle cause
di ingiustizia distributiva; in secondo luogo, della distribuzione dei beni e
dei servizi primari; in ultimo, del reperimento delle entrate necessarie per
finanziare i servizi, diretti a garantire una soglia minima di benessere della
società
150
.
Lo Stato per poter garantire l’effettivo equilibrio tra i principi di
uguaglianza sostanziale ed economica, di libertà e di solidarietà , deve assi-
curarsi che la disponibilità dei beni e servizi essenziali sia consentita a
chiunque, in base alla “capacità” differenziata di ciascuno
151
.
In questo contesto, dunque il tributo limita la libertà, i diritti di pro-
prietà e le potenzialità economiche, e in questo consta il sacrificio indivi-
duale.
Sen ritiene che il tributo, ripartito in modo equo e legittimato dal
consenso dei consociati espresso dalle leggi, sia lo strumento più idoneo
per perseguire “la libertà” di ciascuna persona all’interno della società , so-
lo se associata ad obiettivi di uguaglianza.
Secondo il pensiero di Sen, la legittimazione etica dello Stato sociale
impositore e la sua funzione distributiva si fonda proprio sull’uguaglianza,
a patto che, per uguaglianza si intenda l’uguale interesse che lo Stato deve
avere nei confronti di ogni cittadino. La legittimità dell’intervento dello
Stato così inteso dipende dall’uguale cura che, attraverso le leggi, esso di-
mostra per le libertà di ciascun consociato
152
.
Allo Stato, con le sue leggi, spetta il compito di stabilire regole, che
attraverso lo strumento fiscale di riparto, consentano di rispettare la pari di-
150
Questa visione dello Stato combacia con l’impostazione proposta da John Stuart Mill il qua-
le: “attribuisce allo stato il compito di svolgere controlli fiscali, per contenere le diseguaglianza
nella distribuzione del reddito entro determinati limiti che siano compatibili con l’eliminazione
della miseria”.
151
A. Sen ha sviluppato la visione egualitaria della welfare community, anche nota come cd.
dello sviluppo umano, insieme a B. WILLIAMS in “Utilitarismo e oltre” trad. it., 1984; che si ba-
sa sulla concezione dell’human functioning , in virtù del quale l’utilizzazione dei beni e dei ser-
vizi si basa sulle diverse capacità e sui diversi progetti di vita che ciascun individuo intende se-
guire.
152
F. GALLO, Le ragioni del fisco, II Ed., Il Mulino, Bologna, 2011
69
gnità e le libertà positive e progressive di ogni singolo individuo, non più
intese dunque come attributi personali.
3.3. Conclusioni
Come abbiamo visto, quello che le idee egualitariste e rawlsiane vo-
gliono dimostrare in sostanza è che una società che si fonda sul “mito della
proprietà”, in assenza di interventi re-distributivi dello Stato, si riduce ad
essere una società regredita e priva sia di coesione sociale, sia di considera-
zione dei rapporti interpersonali, con scarsa formazione di capitale uma-
no
153
.
I fautori delle teorie egualitariste sostengono l’idea secondo cui nelle
moderne democrazie l’intervento pubblico è il risultato del fondamentale
principio del consenso popolare, incarnato nella legge, e frutto della fun-
zione regolatrice del diritto.
La legge è indispensabile per attuare, attraverso lo strumento fiscale
(cioè il tributo) il riparto dei carichi pubblici, secondo il principio di equità
distributiva e per superare gli egoismi del mercato e le disuguaglianze che
ne conseguono, oltrechè per adottare politiche concrete ai fini di promozio-
ne dello sviluppo del benessere sociale.
Seguendo quest’ordine di idee, lo “Stato minimo” proposto dai pen-
satori neoliberisti sarebbe possibile solo in una società astratta e ideale, che
si caratterizza per redditi individuali elevati e già ab origine, equamente re-
distribuiti, conseguendone un’assoluta e perfetta parità di trattamento.
In una società come la nostra, aderire a un simile ordine di idee,
comprometterebbe l’equilibrio sociale ed economico, dato che le disegua-
glianze sono presenti in maniera piuttosto massiccia, ragion per cui l’unica
soluzione plausibile si rinviene nella re-distribuzione attuata dallo Stato at-
traverso l’imposizione fiscale e la giustizia distributiva
154
.
153
Ibidem n.151, cit., p. 49.
154
Si v. G. NARDOZZI, I rapporti tra finanza e distribuzione del reddito: un’interpretazione
dell’economia di fine secolo, Ricerca del Politecnico di Milano per l’Associazione G. Carli, Ot-
tobre 2001.