14
2.2 Minimizzazione dei rischi legati alle TSE
L’utilizzo di sottoprodotti di origine animale per la produzione di medicinali è strettamente
connesso al rischio di trasmissione delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE):
malattie degenerative croniche del sistema nervoso centrale caratterizzate dall’accumularsi
di un’isoforma di una glicoproteina cellulare, PrP
c
, caratterizzata da un folding anomalo e
definita PrP
sc
. Tale proteina è considerata essere l’agente infettivo alla base della
trasmissione delle TSE ed è risultata molto resistente ad agenti degradanti quali proteasi e
temperature elevate.
La proteina prionica è in grado di plasmare le molecole di PrP
c
presenti nell’ospite,
modificando la struttura secondaria proteica in modo da ottenere copie in grado di alterare
la struttura delle altre PrP
c
. Gli aspetti strutturali delle proteine coinvolte nella patogenesi
delle TSE non sono stati chiariti a sufficienza per spiegare con precisione il meccanismo alla
base della trasmissione della malattia e del passaggio dall’isoforma sana a quella anomala.
Sono stati distinti numerosi ceppi della PrP
sc
e anche nello stesso ceppo è possibile osservare
differenze strutturali tra una proteina e l’altra, oltre che la presenza di proteine in forma
monomerica parallelamente ad aggregati anche di grandi dimensioni. [11]
Tra le TSE, le più note sono l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), o morbo della mucca
pazza, tra i bovini, la Scrapie, encefalopatia degli ovini e varie forme della sindrome di
Creutzfeldt-Jacob negli umani. Le TSE possono colpire anche animali selvatici, come nel
caso della Chronic Wasting Disease (CWD), che colpisce cervi, alci e renne ed è diffusa
soprattutto in Nord America ed Europa settentrionale
La via di trasmissione più comune è quella orale, per assunzione di mangimi di origine
animale, ma sono documentati casi di trasmissione iatrogena di encefalopatie spongiformi
negli animali e negli umani a seguito di somministrazione di medicinali contaminati con
materiale proveniente da individui infetti. Inoltre, per quanto la trasmissione interspecie sia
difficile, sono disponibili evidenze convincenti che la variante della sindrome di Creutzfeldt-
Jacob sia causata dallo stesso agente eziologico della BSE.
Per questo motivo le linee guida comunitarie sono improntate alla cautela riguardo
all’utilizzo di tessuti provenienti da specie a rischio di TSE nella produzione di medicinali
ad uso umano o veterinario, con grande attenzione al processo di minimizzazione del rischio
15
in tutta la filiera produttiva, dall’allevamento alla produzione del medicinale passando per
la macellazione e il trattamento dei vari sottoprodotti derivati.
Nel documento EMA/410/01 vengono tracciate tali linee guida e sono definiti i fattori di
rischio relativi ai sottoprodotti di origine animale [12]:
▪ Fonte animale: il rischio di infezione varia in base alla specie animale considerata; le specie
considerate “TSE-relevant” sono bovini, ovini, felini, alci e cervi.
▪ Origine geografica: la World Organization for Animal Health (OIE) ha definito alcuni criteri
che permettono di classificare i paesi di origine degli animali in base al loro rischio BSE in
tre categorie:
• A: negligible risk
• B: controlled risk
• C: undetermined risk
Il produttore di medicinali contenenti materie prime di origine animale dovrà rifornirsi
esclusivamente da paesi appartenenti alla categoria A.
Per quel che riguarda l’origine geografica di ovini e caprini, bisognerà considerare sia il
rischio legato alla Scrapie che quello legato alla BSE, poiché la prima viene spesso scambiata
per la seconda.
▪ Tipo di tessuto: in un animale infetto, tessuti diversi sono dotati di livelli di rischio differenti
e sono catalogati in diverse categorie di rischio.
o Categoria IA: tessuti del sistema nervoso centrale e ad esso anatomicamente
associati che costituiscono il materiale maggiormente a rischio.
o Categoria IB: tessuti periferici ad infettività inferiore, cioè che sono risultati
positivi in almeno una tipologia di TSE.
o Categoria IC: tessuti privi di infettività rilevabile, cioè che sono stati saggiati
per TSE senza dare esito positivo.
L’utilizzo di tessuti appartenenti alla categoria A sarà da evitarsi, a meno che venga fornita
una relazione che descriva le circostanze eccezionali che rendono necessaria questa scelta.
16
▪ Età dell’animale: visto il lungo periodo di incubazione delle TSE, l’avanzamento dell’età
dell’esemplare da cui si prelevano i tessuti comporta, in caso di infezione, una maggiore
concentrazione di agente infettivo nel tessuto stesso e quindi un maggior rischio di infezione.
È dunque buona norma utilizzare, dove possibile, animali giovani.
▪ Contaminazione crociata: la contaminazione dei tessuti di interesse per contatto con parti
dell’animale ad alta infettività può avvenire in varie fasi del processo produttivo, dallo
stordimento e successivo abbattimento, specie con l’utilizzo di certi metodi che prevedono
traumi cerebrali e/o il taglio del midollo spinale, alla macellazione della carcassa, e perfino
durante la lavorazione dei tessuti, se tale procedimento avviene in impianti che trattano
anche materiale a rischio.
È pertanto necessario mettere in atto opportune misure di controllo secondo le linee guida
prescritte da protocolli quali HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points), GMP
(Good Manufacturing Practice, o ISO 9000 ( dall’Organizzazione internazionale per la
normazione, la più autorevole organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme
tecniche) lungo tutta la filiera e che ogni aspetto, dalla progettazione degli impianti alla
definizione dei metodi di pulizia degli strumenti sia improntato alla minimizzazione del
rischio.
Oltre ai parametri già elencati, il produttore dovrà tener presente, in fase di analisi
rischi/benefici, altri fattori quali: la via di somministrazione, la quantità di materiale di
origine animale nel prodotto, il dosaggio terapeutico massimo e i benefici terapeutici relativi
al prodotto in questione.
La nota EMA è relativa ai sottoprodotti di origine animale derivanti da specie ad alto rischio
TSE, cioè bovini, ovini, caprini, alci, cervi e felini. Questo significa che le PAT attualmente
in commercio derivanti da fonti differenti da quelle indicate, ad esempio quelle autorizzate
per i mangimi degli animali da allevamento (esclusi quelli da pelliccia), non sono considerate
nel documento.
È bene inoltre, considerare che il programma di campionamento ufficiale dei mangimi
previsto dal Piano Nazionale Alimentazione Animale 2018-2020 (PNAA 2018-2020), che
prevedeva il prelievo e l’analisi di più di diecimila campioni di mangime in tutta Italia, ha
evidenziato un certo numero di positività per la presenza di DNA di ruminante, che hanno
dato luogo anche ad allerte comunitarie. Il piano ha lo scopo di tutelare il benessere animale
17
e la sicurezza dei prodotti di destinati al consumo umano tramite la vigilanza sui mangimi.
[13]
Simili irregolarità possono esser dovute a contaminazione crociata in qualche punto della
filiera produttiva o a frode e costituiscono un fattore di rischio da tenere presente in un
eventuale impiego delle PAT come materia prima in campo farmaceutico, avvalendosi di un
adeguato sistema di controllo qualità del materiale impiegato, con analisi PCR che rilevino
la presenza di DNA di ruminante e acquistando le materie prime dopo un accurato processo
di selezione dei fornitori.
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3. ASPETTI RELATIVI ALLA SICUREZZA DELLE PAT
Nell’ultimo decennio, il campo di applicazione delle proteine animali trasformate si è
ampliato, rendendo più che mai necessario approfondire la nostra conoscenza dei rischi
legati al loro utilizzo, non solo in merito alla loro capacità di trasmettere agenti infettivi, ma
anche riguardo alla possibile presenza di contaminanti di natura organica e inorganica,
derivanti dai tessuti degli animali impiegati nella loro produzione, come antibiotici,
antiparassitari e antinfiammatori, comunemente utilizzati durante l’allevamento di animali
da reddito per il trattamento di patologie, che potrebbero residuare a basse dosi fino al
termine del processo di rendering.
L’accumularsi di queste molecole e dei loro metaboliti nei tessuti degli animali da
allevamento e quindi nei sottoprodotti che ne derivano, come le PAT, può costituire una via
di rientro nella filiera alimentare e potenzialmente una modalità di dispersione nell’ambiente
di sostanze dannose, qualora non vengano smaltite in modo adeguato. [14]. È stato ad
esempio mostrato come nelle piume di pollo, ingrediente comune di alcune farine utilizzate
nei mangimi, tendano ad accumularsi alcuni antibiotici quali ossitetraciclina, enrofloxacina
e ciprofloxacina, che sono stati rilevati e quantificati in questa matrice a concentrazioni
maggiori di quelle presenti in muscolo e fegato. [15] È stata inoltre rilevata, tramite analisi
HPLC-MS la presenza di enrofloxacina e ciprofloxacina in PAT di pollo e suino
commercialmente disponibili all’interno dell’Unione Europea. [16]
Questi dati destano una certa preoccupazione circa la sicurezza delle PAT in relazione ai
possibili effetti sui consumatori finali e all’eventualità che possano contribuire all’instaurarsi
di meccanismi di antibiotico resistenza, veicolando piccole dosi di antibiotici e metaboliti
agli animali e all’ambiente e finendo per incentivare la selezione di ceppi resistenti delle
popolazioni batteriche con cui verrebbero inevitabilmente in contatto.
Un primo monitoraggio su scala nazionale per verificare l’eventuale presenza di tetracicline
nelle PAT è stato effettuato per volere del Ministero della Salute nel corso del PNAA 2018-
2019-2020, il Piano Nazionale Alimentazione Animale, che prevede il prelievo e l’analisi di
campioni di mangime lungo tutta la filiera alimentare. La ricerca delle tetracicline ha
riguardato soltanto 46 campioni all’anno contro gli oltre diecimila raccolti nell’ambito del
controllo del rischio BSE e non ha rilevato irregolarità. Sarebbe tuttavia auspicabile in futuro
un’analisi più ampia e riguardante un più vasto spettro di principi attivi e metaboliti,
includendo altre classi molto usate come penicilline e fluorochinoloni. [13]
19
Altro fattore di rischio è la possibile presenza di micotossine, prodotte da microrganismi
fungini durante la fase di stoccaggio e conservazione o accumulate nei tessuti di animali
nutriti con mangimi contaminati. Queste sostanze sono contaminanti relativamente comuni
nei mangimi e nelle materie prime e la normativa europea prevede limiti ben precisi per le
diverse molecole appartenenti a questa categoria.
La Direttiva 2002/32/CE [17] regolamenta i livelli nei mangimi di aflatossina B1, mentre
sono disponibili delle linee guida, contenute nelle raccomandazioni della Commissione
2006/576/CE [18], per deossinivalenolo, ocratossina, zearalenone e fumosina B1 e B2. Studi
condotti su mangimi di origine vegetale e animale, tra cui campioni di PAT, derivanti
rispettivamente da sangue e piume di pollo e da carne, ossa e sangue di maiale, hanno
mostrato la presenza di diciotto micotossine, seppur a dosi molto lontane da quelle
considerate tossiche.[19]
Anche la contaminazione da metalli è un aspetto delle PAT che varrebbe la pena investigare
in maniera approfondita. Materie prime come le piume di pollo possono costituire un sito di
accumulo e una possibile via di ingresso nel mercato, come dimostrato dal caso dei composti
organici dell’arsenico, vietato in Europa dal 1999 (Allegato XVII REACH) ma largamente
utilizzati negli Stati Uniti fino al 2013 come agente coccidiostatico e promotore di crescita
del pollame.[20]
Questo elemento mostra la tendenza ad accumularsi nelle piume di pollo, ingrediente
comune nelle PAT, in particolare nella forma di composti inorganici e molto più tossici dei
prodotti di origine come il Roxarsone, il più usato fino al divieto. [21]
Il profilo di sicurezza delle proteine animali è fortemente influenzato dalla provenienza
geografica, la specie di origine, l’età dell’animale e le parti anatomiche che vengono
impiegate nella produzione, oltre che dalla sicurezza e dall’adeguato utilizzo delle sostanze
impiegate nell’allevamento. A tutto questo si sommano le modifiche subite durante il
processo di rendering.
Le PAT costituiscono dunque una matrice complessa, che richiede metodi analitici adatti:
sono necessari protocolli multi classe capaci di individuare una vasta gamma di molecole e
tecniche di estrazione adatte a isolare gli analiti in un substrato che, per via delle condizioni
di temperatura e pressione previste nel processo di rendering, può risultare anche molto
degradato e nel quale i principi attivi e le sostanze in analisi possono esser presenti come
metaboliti e residui, generalmente in quantità molto basse.
20
A rendere ancora più urgente una conoscenza approfondita delle sostanze indesiderate che
potrebbero entrare nella filiera alimentare con l’utilizzo delle PAT è stata l’approvazione
dell’utilizzo di farine derivanti da sette diverse specie di insetto come fonte proteica nei
mangimi per acquacoltura.
Le specie autorizzate sono state considerate sicure e la normativa europea regola in maniera
stringente le caratteristiche che devono presentare i substrati impiegati nel loro allevamento.
Alcuni studi evidenziano, però, potenziali criticità derivanti dall’accumulo negli insetti di
sostanze nocive derivanti dal substrato stesso, che richiedono un’attenta analisi caso per
caso.
Ad esempio Biancarosa et al. hanno determinato tramite ICP-MS la quantità di diverse
specie indesiderate in farine di insetti (IM) prodotte a partire da Hermetia Illucens, la mosca
soldato nera (BSF), allevate su un substrato a base di alghe marine (A. nodosus, 60%) e
destinate all’uso come mangime per l’allevamento del salmone atlantico. Gli autori hanno
inoltre analizzato l’eventuale trasferimento ai tessuti del pesce a seguito della
somministrazione di diverse diete contenenti IM in porzioni crescenti e farine e olio di pesce
comunemente utilizzati nell’acquacoltura. [22]
Le larve di BSF presentano un elevato contenuto proteico e sono una buona fonte di lipidi e
vitamine e possono essere arricchite di elementi quali iodio, vitamine e acidi grassi omega-
3 crescendole su un substrato adatto quale le alghe marine, il che le rende un ottimo
candidato a sostituire almeno parzialmente le farine di pesce. Un aspetto negativo delle IM
è l’accumulo da parte degli insetti impiegati di metalli pesanti e arsenico, naturalmente
presenti nelle alghe marine contenute nel substrato. La presenza di cadmio in particolare è
considerata un fattore di rischio rilevante per questa tipologia di PAT, in quanto diversi studi
hanno mostrato un elevato potenziale di trasferimento di questo metallo dal substrato
all’insetto. [22]
Gli autori hanno rilevato la presenza di metalli pesanti (mercurio, piombo e cadmio) e
arsenico in tutti i campioni di IM analizzati ed è stato registrato un aumento considerevole
del contenuto di cadmio nella dieta contenente IM nella massima proporzione (14.75% del
totale). Le concentrazioni di tutti i metalli pesanti registrati sono risultate comunque inferiori
ai limiti previsti dalla normativa europea.
Concentrazioni decisamente superiori ai limiti massimi consentiti sono state registrate
invece per l’arsenico, registrato nelle IM a 4.7 mg kg
-1
contro i 2 mg kg
-1
previsti dalla
direttiva CE 2002/32. [17]
21
Bisogna specificare che la tossicità dell’arsenico dipende in larga parte dalle caratteristiche
chimiche dei composti di cui fa parte, con le specie inorganiche dell’arsenico considerate
generalmente più tossiche di quelle organiche. Nel caso della presenza di arsenico in un
mangime inoltre, bisogna valutare il grado di trasferimento dei composti rilevati ai tessuti,
che dipende dalla loro capacità di permeare le membrane e di accumularsi nel muscolo, e
quindi dalla loro lipofilia.
Nonostante l’elevato contenuto nelle PAT utilizzate, le concentrazioni di arsenico inorganico
nel tessuto muscolare dei salmoni ai quali gli autori hanno somministrato le diete contenenti
IM hanno mostrato una chiara riduzione all’aumentare della quantità di farine di insetto
presenti nel mangime.
Questo fenomeno può essere dovuto alla presenza nelle PAT di insetto di specie
dell’arsenico scarsamente in grado di penetrare nel tessuto muscolare. La maggior parte delle
specie rilevate nello studio sono state impossibili da identificare, il che evidenzia la necessità
di una caratterizzazione più approfondita del profilo chimico delle IM, estendendo l’indagine
a tutte le specie autorizzate e considerando i vari substrati disponibili.
Altre sostanze oggetto dell’analisi sono state diverse diossine, micotossine, fluoro e pesticidi
di vario tipo, ma nessuna ha mostrato concentrazioni superiori ai limiti consentiti per i
mangimi. [23]
Investigare gli aspetti meno conosciuti del profilo di sicurezza delle PAT, come la possibile
contaminazione da metalli, e approfondire quelli già noti è di fondamentale importanza
prima di un loro eventuale utilizzo in campo farmaceutico, soprattutto se si considera una
loro applicazione nei medicinali per uso umano.