NUOVI APPROCCITEORICI ALLO SVILUPPO TERRITORIALE – Edoardo Chiusolo
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D'altra parte la modernità industriale nasce de-territorializzata. Il compromesso tra
il territorio e la modernità si realizza sopprimendo le varietà locali ossia la cultura
delle persone, la storia e le relazioni legate ai luoghi perdono rilievo. La dimensione
territoriale viene definita all'interno di Stati nazionali; infatti nazionali sono: i
mercati, le monete e le istituzioni. L'internazionalizzazione prima, e la
globalizzazione poi, conducono ad una limitazione della sovranità degli Stati
nazionali in quanto l'economia globale sfugge al controllo di ogni singolo Stato e ne
riduce i margini di manovra e discrezionalità. Il territorio che ha già perso le
connotazioni locali sembrerebbe avviarsi a perdere anche quelle nazionali per
determinare un completo distacco tra economia e territorio.
In questa situazione, invece, riemerge la dimensione territoriale per due principali
motivazioni:
• la scoperta dei contesti territoriali quali fonte di differenziazione dell'azione
economica (nei fini e nei mezzi) [ i distretti industriali hanno portato l'attenzione sui
sistemi locali di organizzazione produttiva e di cultura, evidenziando relazioni ed
elementi socioculturali che determinano una diversa qualità dell'organizzazione
economica in ciascun luogo];
• la scoperta del carattere evolutivo dell'economia globale, vale a dire che
l'economia continua a contenere le varianti derivanti dalle storie nazionali e locali,
ma la novità è che queste oggi sono compresenti e concorrenti nello stesso mercato,
il mercato globale.
Il territorio, quindi, non può essere inteso soltanto come semplice contenitore delle attività
economiche o come ulteriore fattore di produzione, bensì anche come spazio relazionale atto a
potenziare o depotenziare gli stimoli e le dinamiche di aggiustamento ai cambiamenti. Le due
dimensioni (locale e globale) sono indispensabili. Ciascun luogo della modernità industriale è "
locale " quanto basta per essere diverso dagli altri luoghi ed allo stesso tempo " globale " quanto
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basta per poter essere messo in interazione con altri, traendo vantaggio dal rapporto con le diversità
che incontra e conosce sulla scena mondiale.
Approcci teorici
Nell'ambito di questa nuova visione, caratterizzata dal binomio locale-globale
possiamo trovare alcuni originali approcci di analisi ed evoluzione della struttura
dei sistemi produttivi territoriali. Uno di essi assume come punto di partenza il
declino del fordismo e dei grandi sistemi, i quali essendo complessi, cioè dotati di
ampi margini di indeterminazione e di un alto grado di varianza , avevano
rivoluzionato il concetto di economia intesa come scienza dei comportamenti
computabili. Il sapere prodotto dall'apprendimento evolutivo che dà vita ai grandi
sistemi, non è codificato e trasferibile, ma, al contrario nasce strettamente legato a
particolari contesti. Ora nella misura in cui la globalizzazione agisce attraverso
circuiti cognitivi di carattere aperto, polivalente, l'apprendimento non è più
riducibile a sedimentazione cumulativa interna ad un contesto, ma prende sempre
più forma di ibridazione, di contaminazione, di ricombinazione del sapere
proveniente da più contesti. E' l'interazione tra contesti che alimenta la formazione
delle competenze nei singoli luoghi dell'economia mondiale. Questo contrasta con
la logica fordista dei sistemi chiusi per cui il passaggio al postfordismo considera il
fenomeno cruciale del trasferimento trans-contestuale delle conoscenze attraverso
reti globali di connessione. Di qui l'importanza e l'esigenza, per imprese e sistemi
locali, di linguaggi formali comuni di comunicazione e di una veloce
trasformazione strutturale.
Secondo un altro orientamento viene in evidenza lo spazio territoriale quale attore di sviluppo. E' il
cosiddetto "spazio attivo" il frutto di un'insieme di iniziative e risposte che il complesso degli attori
di una data area territoriale sa produrre al suo interno e verso l'esterno. Ogni area è potenzialmente
uno spazio attivo, ma il grado in cui lo è dipende da un campo di forze caratterizzato da tre
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dimensioni: apertura, sostenibilità e capacità creativa del sistema territoriale specifico. Per apertura
s'intende la messa in comunicazione delle diverse componenti di un sistema tra loro e con i centri
del sistema al fine di generare benefici di scala e di varietà, superando ostacoli di carattere fisico,
socioeconomico, culturale e politico. Per sostenibilità, invece, s'intende un limite al pericolo di
perdita di stabilità sociale e coesione culturale derivante da un'influenza esterna troppo marcata.
Infine la capacità creativa è quella capacità del sistema locale di rispondere alle sfide interne ed
esterne ad esso con obiettivi, norme e comportamenti strategici. La miscela efficiente di coesione,
innovazione e comportamenti strategici in un contesto sistemico-evolutivo, quindi, da come risultato
uno spazio attivo di grado elevato.
Un ulteriore approccio, facendo leva sull'indiscussa imprescindibilità dalla
conoscenza quale risorsa necessaria nei i sistemi di produzione odierni, pone
l'accento su quella tipologia di conoscenza che non è codificabile, ossia la
conoscenza tacita. Questa conoscenza sostiene l'eterogeneità delle risorse
d'impresa, elemento fondamentale nel processo di selezione tra imprese
concorrenti; essa dà luogo a know-how, capacità e competenze che difficilmente
possono essere trasmesse attraverso reti di telecomunicazione bensì attraverso
veicoli altamente sensibili alla distanza tra soggetti: apprendimento per esperienza
ed imitazione, addestramento, contatto personale, ecc. A conferma di queste
osservazioni ci sono varie indagini empiriche che mostrano come le attività ad alto
contenuto di conoscenza rimangono spazialmente concentrate perché comportano,
assieme ad elevati livelli d'incertezza, la presenza di competenze tacite più
efficacemente gestibili attraverso relazioni interpersonali garantite dalla prossimità
spaziale. E' il caso dei distretti industriali: Il differente sviluppo del sapere
imprenditoriale accumulatosi nelle imprese e nei diversi sistemi produttivi
territoriali è responsabile dei diversi livelli di competitività fra i sistemi locali.
Se le capacità regionali (le risorse umane e fisiche nonché lo stock di conoscenza tacita incorporata
nella struttura industriale ed istituzionale) sono rare e difficilmente imitabili in altri luoghi( per
l'ampia gamma di conoscenze accumulate, l'incomprimibilità dei tempi di apprendimento o la
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complessa trama di relazioni istituzionali locali), si traducono in vantaggi competitivi durevoli per le
imprese situate in quella regione.
Caso pratico
A supporto di quanto visto a proposito dell'apprendimento localizzato e delle
capacità regionali possiamo citare l'esempio dei distretti industriali calzaturieri delle
Marche e della riviera del Brenta. Le Marche costituiscono la più grande
concentrazione di aziende di calzature in Italia, mentre la zona del Brenta ha una
lunga tradizione nella produzione di calzature da donna di alta qualità.
L'industria italiana del settore ha registrato, dal dopoguerra alla metà degli anni '80,
una crescita vertiginosa, sotto la notevolissima spinta delle esportazioni. Basti
vedere che le esportazioni, negli anni '50, rappresentavano solo il 3,7% della
produzione totale, per poi passare al 63 % nel 1970 ed all'84% del 1993. Il segreto
di questo successo sta nell'aver sfruttato nella fase di sviluppo, gli anni '60, il
vantaggio del minor costo del lavoro rispetto agli altri competitori europei. Dalla
metà degli anni '80 la crescente concorrenza di nuovi competitori europei, quali la
Spagna, il Portogallo e l'ex Jugoslavia, nonché asiatici, quali Corea del Sud, India e
Cina ed anche del Brasile, ha frenato le esportazioni italiane. I nuovi produttori
hanno potuto sfruttare il vantaggio del costo del lavoro ed anche un cambiamento
nelle abitudini dei consumatori dalle calzature classiche in pelle, punto di forza
italiano, alle calzature sportive sintetiche, nelle quali tendono a specializzarsi Paesi
quali Corea ed Hong Kong. Per fronteggiare questa serrata competizione, l'Italia ha
rinforzato il suo vantaggio in termini di immagine, stile e design al fine di ridurre
l'elasticità al prezzo dei suoi prodotti, cercando di incrementare le esportazioni nei
segmenti alti di mercato. Da considerare, poi, l'alta specializzazione del sistema
produttivo, basato sulla divisione del ciclo di produzione tra più imprese,
specializzate nelle differenti fasi produttive, e l'esistenza alle spalle di una rete
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molto ben sviluppata di aziende collegate, aventi per scopo la produzione di
componenti e semilavorati del settore. Inoltre dal punto di vista tecnico-produttivo è
opportuno sottolineare come il manufatto italiano non sia quasi mai un oggetto
standardizzato, ma un bene unico ( a volte riscontrandovi elementi artistici come
spesso avviene in particolari realizzazioni della Riviera del Brenta). L'unicità del
prodotto trova un maggior riscontro nei gusti dei consumatori, sempre più orientati
a rispettare anche negli acquisti l'originalità della loro vita; ecco, quindi, che una
caratteristica dei distretti risulta essere la flessibilità intesa come rapidità di risposta
alle richieste del mercato. Il 'time to market' è tanto più importante quanto più il
prodotto rientra nell'ambito della moda, dove il ciclo di vita è particolarmente
ridotto. Questa attenta politica di differenziazione del prodotto coadiuvata da un
limitato scarico sui prezzi, ha consentito alle imprese italiane di fronteggiare la
congiuntura non proprio esaltante della domanda in alcuni mercati internazionali e
la perdurante stagnazione nel mercato interno. A partire dal 1993, grazie anche ad
una forte svalutazione della Lira in quell'anno, si è avuta una moderata ripresa,
confermata, però, anche negli anni successivi. Possiamo anche vedere i lineamenti
principali del settore tra il 1995 ed il 1996. Il risultato italiano è tanto più positivo
se si guarda alla produzione mondiale di calzature per aree geografiche degli ultimi
anni: c'è un forte incremento nell'area asiatica, mentre si registra, per contro una
riduzione in tutte le altre aree del mondo, compresa quella di appartenenza
dell'Italia. L'Italia, quindi, mantiene agevolmente il terzo posto per produzione ed
esportazione a livello mondiale ed il primo a livello europeo. La produzione italiana
è concentrata quasi esclusivamente in sette regioni e con riguardo alle esportazioni,
elemento trainante del settore, il 69% del valore totale di esse proviene da Veneto,
Toscana e Marche. In particolare i distretti della Riviera del Brenta e delle Marche
presentano quegli elementi di flessibilità che hanno permesso all'intero settore di far
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fronte ad una sempre più serrata concorrenza. Nelle due aree le aziende possono
contare sull'esistenza di una vasta rete di piccole imprese subappaltatrici,
specializzate in una o più fasi del ciclo produttivo (ad es. cucitura, taglio). Le
aziende qui tendono a decentrare quasi esclusivamente all'interno della loro area
per facilitare le relazioni con i subappaltatori, mantenendo stabili e continue
connessioni con essi al fine di esercitare uno stretto controllo sul loro lavoro.
Sempre a monte del ciclo di produzione, poi, spicca nelle due aree un sistema di
fornitori molto ben sviluppato, caratterizzato dall'abilità nel fabbricare una larga
varietà di prodotti in ristretti tempi di consegna. I vantaggi più evidenti sono: la
progressiva riduzione del periodo che intercorre tra ordine e consegna, la
minimizzazione degli inventari e l'incremento della capacità dei produttori di
calzature di diversificare i loro prodotti e soddisfare la domanda di mercato. Questo
avanzato sistema di produzione comprende: conciatori, produttori di componenti e
accessori, fornitori di macchinari ed aziende di servizi. Per quanto concerne i
produttori di componenti ed accessori nonché le aziende di servizi, la disponibilità è
molto alta nei due distretti. Data la frequentissima prossimità fisica e l'abituale
lunga durata dei rapporti (fattori ritenuti dai soggetti interessati come cruciali per
una continua interazione ed un'importante fonte d'insegnamento), se qualcosa non
va bene, in altre parole se il produttore di componenti o di servizi non fornisce la
qualità richiesta o l'azienda di calzature non paga gli ordinativi, l'informazione
circola immediatamente nel distretto, determinando una perdita di reputazione.
Questo sistema informale di tipo socioeconomico contribuisce a creare un sistema
di produzione molto efficiente e cooperativo, adatto a soddisfare una domanda
molto diversificata e volatile. Per quanto riguarda, poi, i principali attori
istituzionali locali essi sono costituiti, sia nelle Marche che nella zona del Brenta,
dalle associazioni di categoria. Tali associazioni forniscono vari servizi ai soggetti
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membri e giocano un ruolo importante nel promuovere iniziative di supporto al
settore. Tra le aziende campione i servizi più utilizzati sono la consulenza fiscale e
l'organizzazione di fiere commerciali. L'ACRIB (Associazione Calzaturifici della
Riviera del Brenta),sorta nel 1961, ha sostenuto un grande consorzio di
esportazione e un centro per assistenza ed addestramento tecnologico. Il consorzio
di esportazione - Consorzio Maestri Calzaturieri del Brenta - creato nel 1967 con un
iniziale finanziamento pubblico, gestisce società pubblicitarie collettive, assiste
aziende nelle attività di esportazione e amministra una banca dati di 20.000 clienti
da tutto il mondo. Inoltre il consorzio organizza fiere collettive a Düsseldorf due
volte l'anno e promuove indagini di mercato. Nel 1986 l'ACRIB ha promosso una
nuova iniziativa, il Consorzio Centro Veneto Calzaturiero, con funzione di servizio
in materia di tecnologia, controllo di qualità, controllo ambientale e formazione
professionale. Nelle Marche ci sono due associazioni di categoria, a Fermo e
Macerata, che forniscono servizi relativi all'informazione, alla contabilità,
all'assistenza fiscale e finanziaria dei loro membri. Le due associazioni hanno
recentemente lanciato una nuova iniziativa: un centro specializzato (Società per la
Calzatura Marchigiana) che fornisce assistenza tecnologica, informazioni sulle
tendenze della moda e attività promozionali. Emerge, in questo caso, una differenza
tra le due aree in quanto la tradizione di intervento istituzionale è maggiormente
consolidata nella zona della riviera del Brenta che nelle Marche. C'è ancora da
considerare come in queste due aree avvenga anche ciò che caratterizza i distretti
industriali italiani, ossia le abilità sono accumulate e trasmesse da una generazione
all'altra assicurando costantemente un serbatoio di mano d'opera specializzata.
Questo processo di apprendimento collettivo, di accumulazione di conoscenza e di
circolazione di know-how tra le aziende attraverso la mobilità della forza
lavoro(derivante anche dalla necessità di risparmiare sui costi di formazione),
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aumenta la capacità di innovazione locale e quindi di competizione a livello
globale. Il processo di innovazione che usualmente ha luogo all'interno dell'azienda,
diviene un processo collettivo nei distretti industriali, basato su conoscenza comune
accumulata tra individui piuttosto che tra aziende. Negli ultimi anni, però, si sta
registrando una maggiore propensione dei giovani verso lavori alternativi in altri
settori più accattivanti e qualificanti, persino fuori della loro area di origine. Questo
cambiamento è una delle principali caratteristiche interne che possono avere un
importante impatto sul processo di apprendimento collettivo all'interno dei sistemi
industriali locali. Le condizioni socioculturali, che giocano un ruolo importante nei
distretti, corrono il rischio di cambiare influenzando l'evoluzione della struttura
organizzativa di una data area territoriale.