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INTRODUZIONE
Negli ultimi anni l’attenzione nei confronti della funzione delle risorse umane è cresciuta
notevolmente, poiché le competenze, le conoscenze e le qualità di queste ultime
costituiscono la fonte principale del vantaggio competitivo tra le diverse aziende operanti
sul mercato. La crescita della concorrenza, il progredire delle tecnologie e la globalizzazione
delle imprese hanno contribuito a modificare la realtà lavorativa, trasformando il capitale
umano in fattore determinante per il successo delle aziende. Nell’attuale scenario
economico, caratterizzato da incertezza e competitività, diviene quindi indispensabile
selezionare, valutare e gestire le risorse in maniera sempre più efficace, adottando nuove
tecniche di selezione che permettano di individuare tra i candidati, quei soggetti che
dispongono delle caratteristiche necessarie al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
La finalità dell’analisi che segue è quella di mettere in risalto la centralità del ruolo delle
risorse umane ponendo l’accento sull’importanza della fase di selezione del personale,
nonché sullo studio del ruolo del selezionatore e sugli errori valutativi che possono
compromettere l'oggettività richiesta nel processo di selezione dei candidati. .
La componente distorsiva data da pregiudizi inconsci è presente, infatti, in qualsiasi
giudizio legato ad un fattore percettivo e, cioè, ad una visione della realtà filtrata in maniera
soggettiva. Le trappole cognitive possono influenzare i processi decisionali di chiunque e
quindi anche degli esperti di selezione.
Sulla scia degli studi di Kahneman e Tversky (1974), molte ricerche hanno dimostrato
che le scelte compiute sono spesso viziate dal modo in cui il nostro cervello prende decisioni.
Riconoscere le varie tipologie di pregiudizi valutativi rappresenta il primo passo verso una
riduzione degli errori cognitivi. Ogni attività di selezione dovrebbe affidarsi a nuovi
strumenti di valutazione capaci di limitare gli unconscious biases, catturando caratteristiche
dei candidati che spesso sfuggono ad una mera osservazione esterna.
La tesi sarà articolata in cinque parti:
- sviluppo della disciplina della funzione “Risorse Umane”;
- selezione del personale;
- ruolo del selezionatore e distorsioni cognitive;
- tecniche e strumenti per ridurre le distorsioni cognitive nei processi valutativi;
- nuove frontiere del recruiting.
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Il primo capitolo ripercorrerà sinteticamente le tappe dell’evoluzione della funzione
“Risorse Umane”: da una prima fase in cui tale funzione viene ad essere confusa con la sola
direzione amministrativa, per arrivare ad una quarta fase in cui lo sviluppo del potenziale
umano rappresenta il fattore determinante per il successo dell’impresa.
Il secondo capitolo proporrà una visione d’insieme del processo di selezione del personale
e delle metodologie utilizzate, nonché un esame dei riferimenti legislativi in materia.
Il terzo capitolo analizzerà il ruolo del selezionatore ponendo l’accento sulle euristiche
che conducono ad errori sistematici di valutazione, con riferimento agli studi condotti da
Daniel Kahneman e Amos Tversky (1974; 1979), psicologi che per primi hanno dimostrato
come i processi decisionali delle persone tendono a violare sistematicamente alcuni principi
della razionalità.
Il quarto capitolo proporrà un’analisi delle nuove tecniche di selezione delle risorse
umane che possano consentire di ridurre gli unconscious biases.
Infine, il quinto capitolo analizzerà le nuove frontiere della selezione gettando uno
sguardo al futuro del lavoro. Conoscere le ultime tendenze del digital recruiting è
fondamentale per coloro che operano nel settore delle Risorse Umane.
Intelligenza artificiale, machine learning, gamification sono solo alcuni dei fenomeni
emergenti che impatteranno le organizzazioni nel futuro prossimo.
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CAPITOLO 1
LA FUNZIONE DELLE RISORSE UMANE
EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA
Tra le grandi funzioni delle imprese, la funzione delle Risorse Umane è la più recente,
registra, infatti, un’accelerazione importante soltanto durante gli anni Ottanta.
Ripercorrere sinteticamente le tappe dell’evoluzione risulta di fondamentale importanza
per comprendere le motivazioni che oggi portano a considerare detta funzione come fonte di
un vantaggio competitivo tra le diverse aziende presenti sul mercato.
1.1. L’amministrazione del personale
Dal punto di vista organizzativo la funzione delle Risorse Umane è stata confusa per molti
anni con la direzione contabile-amministrativa. Tale modello di gestione esclusivamente
formale aveva lo scopo di mobilitare le risorse umane dell’organizzazione in modo ottimale,
introducendo razionalità e prevedibilità nei processi operativi.
Ciò corrispondeva ai principi fondatori espressi, nel 1916, da Henri Fayol nel suo trattato
sull’amministrazione industriale e generale. Questo autore privilegiava una struttura
organizzativa di tipo gerarchico. Le politiche di gestione del personale venivano delegate
ai vertici aziendali ed alla line, senza l'ausilio di supporti e strumenti specialistici. Le capacità
operative del personale risultavano necessarie unicamente al mantenimento del posto di
lavoro, mentre, sentimenti, capacità cognitive e motivazioni degli individui erano considerati
estranei al funzionamento dell’organizzazione (Pedon, 2010).
Gli obiettivi prevalenti dell’approccio amministrativo riguardavano la garanzia di una
gestione delle risorse umane realizzata nel rispetto della legislazione e dei contratti in vigore.
Il riferimento della «Direzione risorse umane», pertanto, non era l’impresa né la sua mission
ma il sistema di norme e contratti a cui uniformarsi (Martone, 2007). Di conseguenza, la
professionalità degli addetti alla gestione delle risorse umane risultava piuttosto generica
relativamente agli aspetti gestionali, mentre era molto sviluppata in relazione agli aspetti
giuridico-amministrativi.
In questo contesto la selezione del personale si ispirava soprattutto a criteri di legalità,
trasparenza e correttezza.
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1.2. La scuola delle relazioni umane
Tra il 1930 e il 1950, la scuola delle relazioni umane e quella delle neorelazioni umane
hanno costituito una reazione ai limiti dell’organizzazione scientifica del lavoro.
Molti ricercatori, tra i quali Elton Mayo e McGregor, posero l’accento su una serie di
elementi di natura sociale come determinanti il rendimento lavorativo, dimostrando che il
funzionamento di un’impresa è strettamente legato a fattori ambientali e relazionali e
contribuendo, in questo modo, ad umanizzare le relazioni di lavoro (Pedon, 2010).
La necessità di rivedere il modello taylorista portò alcune aziende a muovere i primi passi
verso la rilevazione dei comportamenti tra i dipendenti, così da tracciare delle linee guida
con l’obiettivo di migliorare produttività ed efficienza. Tra queste la Western Electric
Company di Hawthorne nell'Illinois.
Questa azienda, intorno al 1925, affidò un programma di ricerche sperimentali ad Elton
Mayo al fine di determinare il grado di connessione esistente tra illuminazione nell’ambiente
di lavoro e rendimento produttivo. Furono selezionati due gruppi: un gruppo di controllo e
un gruppo sul quale effettuare l’esperimento inserendolo in un ambiente più illuminato.
Dopo una serie di rilevazioni basate sul livello di produttività raggiunto in diverse condizioni
d‘illuminazione, i risultati si rivelarono inaspettati: la produttività era aumentata in entrambi
i gruppi. Il rapporto tra le due variabili, produttività e illuminazione, si mostrò così anomalo
da far pensare all‘esistenza di una variabile interveniente, il cosiddetto “fattore umano”.
La dimostrazione dell‘esistenza di questo fattore si ebbe due anni più tardi, quando Mayo,
insieme ad un gruppo di psicologi, ristrutturò l’esperimento coinvolgendo sei operaie. I
ricercatori trascorrevano parecchio tempo con il gruppo di lavoro discutendo delle modifiche
da apportare in relazione a salari, ferie, orari. Tutte le volte che subentrava un cambiamento
si registrava un aumento di produttività. Nonostante ciò, Mayo e il suo gruppo non
riuscivano a credere all’esistenza di una correlazione quantitativa stretta con le variazioni da
loro apportate, così, fecero una controprova ritornando alle condizioni di lavoro iniziali. La
produttività scese rimanendo comunque su livelli alti rispetto agli altri gruppi dell’azienda.
Mayo giunse in questo modo ad una conclusione: la maggiore produttività delle operaie
era data dal sentirsi parte di un gruppo e gruppo oggetto di analisi, individui e non ingranaggi
di una macchina, lavoratori investiti della responsabilità della propria performance e di
quella dell’intero gruppo. Quello che venne definito effetto Hawthorne altro non era che
attenzione al fattore umano (Masci, 2007). Questo effetto si riferisce alla variazione di un
comportamento che si verifica per effetto della presenza di osservatori.
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Mayo dimostrò, dunque, che la produttività e la soddisfazione nel lavoro dipendono dagli
incentivi di natura non economica capovolgendo la prospettiva tayloristica che basava i suoi
assunti sugli incentivi monetari. L‘uomo è motivato da bisogni di natura sociale ed ottiene
dal rapporto con gli altri il suo senso di identità personale.
Gli importanti contributi della scuola delle Human Relations non furono, però, esenti da
critiche. Il superamento del paradigma delle relazioni umane nasce dalla necessità di
perseguire obiettivi che investano in maniera incisiva la struttura dell’organizzazione del
lavoro e del ruolo dei lavoratori affinché vengano soddisfatti i bisogni di autorealizzazione
di questi ultimi.
Secondo McGregor, la prestazione dei lavoratori può migliorare soltanto lasciando spazio
all’iniziativa individuale e valorizzandone le capacità. Egli osserva che l’organizzazione
tradizionale del lavoro si è sviluppata sulla base di specifiche ipotesi relative alla natura
umana. Tali ipotesi, che McGregor ha riassunto in un modello denominato Teoria X, sono
rappresentate dal fatto che l’uomo è intrinsecamente pigro e incline a sfruttare qualsiasi
occasione per evitare i carichi di lavoro. Ciò porta il management a sviluppare sistemi di
controllo dei propri collaboratori, sotto la minaccia di sanzioni. Dopo aver descritto tale
teoria, McGregor giunse a definire questi metodi inadeguati a motivare i lavoratori. Formulò,
dunque, una teoria alternativa denominata Teoria Y, secondo la quale i lavoratori svolgono
con piacere le loro attività, sono ambiziosi e auto-motivati. L’integrazione tra gli obiettivi
aziendali e quelli individuali dei lavoratori conduce, infatti, ad una maggiore accettazione
delle decisioni e ad una maggiore partecipazione nella formulazione delle stesse, nonché ad
un incremento dei risultati produttivi (Nelli, 1994).
Le due teorie X e Y, volutamente antitetiche, furono combinate nella prassi organizzativa
per dare origine a pratiche gestionali e stili direttivi di diverse tipologie.
Lo sviluppo delle tesi sinteticamente analizzate, se da una parte, allargano il campo
d’azione della gestione delle risorse umane prendendo in considerazione la dimensione
psicologica e sociale dei lavoratori, dall’altra, non prendono in considerazione le modifiche
delle strutture delle organizzazioni affinché le stesse possano rispondere alle sfide imposte
dalla tecnologia e dai mercati.
1.3. La gestione strategica delle risorse umane
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’esigenza di rispondere ai mutamenti del
mercato portò allo sviluppo di una vera e propria letteratura manageriale. Le strategie delle
imprese e la ricerca dell’efficacia economica portarono la funzione delle Risorse Umane ad