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Introduzione
“Faccio momentaneamente rinuncia alla mia libertà, con la sola certezza che la
stessa mi sarà resa a conclusione del percorso da intraprendere, senza la garanzia
però, che la libertà di cui precedentemente in possesso potrà dirsi la stessa”.
Il presente lavoro di tesi si occupa della questione del lavoro penitenziario. L’idea
è nata in seguito ad un’esperienza che ho svolto personalmente presso la Casa
Circondariale di Taranto nell’ambito del progetto “L’Altra Città”; un percorso
interattivo allestito all’interno della Sezione femminile dal 16 al 31 Ottobre 2017.
Essere chiusa, anche se solo per pochi minuti, all’interno di una cella è servito a
farmi comprendere quanto importante sia la libertà e allo stesso tempo quanto sia
errato cadere nell’errore di credere che chi ha sbagliato non la meriti; ma soprattutto
mi ha fatto pensare a quanto difficile debba essere trascorrere in quel posto giorni,
mesi, forse anni.
Da qui è nato l’interesse per la realtà carceraria, un mondo sconosciuto alla maggior
parte di noi e spesso ignorato da chi di quella libertà può goderne ogni giorno.
In seguito ho avuto l’opportunità di visitare la Casa di Reclusione femminile di
Trani per poter seguire da vicino le detenute durante una loro giornata lavorativa.
Grazie alla disponibilità del mio Relatore e della Responsabile dell’Area
Pedagogica della Casa di Reclusione femminile di Trani, è stato inoltre possibile
intervistare quattro detenute-lavoratrici presenti all’interno della struttura, due alle
dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e due alle dipendenze di terzi,
nell’ambito del progetto “Made in carcere” della Cooperativa Officina Creativa.
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Lo studio ha l’obiettivo di illustrare i benefici derivanti alle detenute dalla
possibilità di svolgere un’attività lavorativa all’interno del carcere.
Considerata la complessità della materia, non si è potuto prescindere dall’avviare il
lavoro con una trattazione sul concetto di pena, ripercorrendone le fasi storiche ed
analizzandone le funzioni, con particolare attenzione a quella rieducativa.
Il secondo capitolo è dedicato alla descrizione del lavoro penitenziario in Italia da
un punto di vista storico, seguito da un’attenta analisi delle norme che lo
disciplinano e della loro evoluzione nel corso degli anni.
L’ultimo capitolo, cuore del lavoro di tesi, partendo dalla situazione generale delle
carceri pugliesi, con particolare riferimento alle criticità ma anche alle iniziative
promosse, restringerà il suo campo d’azione alla Casa di Reclusione femminile di
Trani.
Dopo un esame della struttura e delle attività che vengono svolte al suo interno,
sulla base dei dati forniti dall’Associazione Antigone e dal Ministero della
Giustizia, ci si soffermerà in particolare sul progetto “Made in carcere” e sulle
opportunità lavorative che tale progetto offre alle detenute.
L’ultima parte del presente lavoro, infine, sarà incentrata sulla testimonianza diretta
di chi, quotidianamente, vive all’interno di un contesto difficile come quello
carcerario.
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CAPITOLO I
PENA E RIEDUCAZIONE
1. La pena: origine ed evoluzione storica
Quando si parla di “pena”, comunemente ci si riferisce alla reazione, socialmente
organizzata, ad un comportamento avvertito come negativo o dannoso
1
.
Ricostruire i mutamenti che il concetto di pena ha subìto nel tempo è impresa ardua
in quanto, nel corso dei secoli, questa ha assunto significati tra loro assai diversi.
Già Nietzsche, infatti, avvertiva che:
“Il concetto di pena non presenta più, in realtà, in uno stato molto tardo della
civiltà, un unico significato, bensì un'intera sintesi di significati; la precedente
storia della pena in generale, la storia della sua utilizzazione ai fini più diversi,
finisce per cristallizzarsi in una sorta di unità, che è difficile a risolversi, difficile
ad analizzarsi e, occorre sottolinearlo, del tutto impossibile a definirsi”
2
.
1
G. CAMPESI, L. PANNARALE, I. PUPOLIZIO, 2017
2
F. NIETZSCHE, 1968
8
1.1 Il sistema punitivo nelle società arcaiche, nel diritto romano e nel
Medioevo
Ciò che si può affermare con certezza, però, è che la prima forma di pena comparsa
all’interno della società è la vendetta. Questa arcaica concezione portava con sé
atroci conseguenze. I parenti della persona uccisa, ad esempio, potevano pretendere
la morte dell’omicida; chi subiva lesioni personali aveva il diritto di infliggere al
colpevole un male analogo a quello da lui sofferto
3
. Per i reati contro la proprietà,
infine, la persona derubata poteva uccidere il ladro o ridurlo in schiavitù e farne
oggetto di compravendita.
In questo periodo la pena capitale, il bando e la vendetta del sangue trovavano
larghissimo impiego. La pena di morte aveva come obiettivo quello di rimuovere
all’istante il motivo di contrasto tra i membri di una comunità, garantendo così la
pace sociale.
“Civilizzandosi poscia gli uomini per l'opera della religione ed assumendo questa
la direzione universale dei loro sentimenti sarebbe venuto il pensiero che i
sacerdoti dovessero essere i misuratori della vendetta privata, di guisa che il
concetto della vendetta privata avrebbe a mano a mano ceduto il campo a quello
della vendetta divina”
4
.
3
“Ma se (la vittima) muore, richiederai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per
mano, piede per piede, ustione per ustione, ferita per ferita, lividura per lividura” (Esodo 21, 23-
25)
4
P. GENEROSI, 1909
9
Col passare del tempo, la pena inizia a diventare il mezzo attraverso il quale
propiziarsi la divinità adirata
5
e i delitti, considerati una trasgressione agli ordini
degli Dei, venivano severamente repressi attraverso la pena di morte o altre pene ad
essa equiparate.
Dalla vendetta privata si passa alla vendetta pubblica, regolata dal potere centrale.
Mentre in passato, quindi, la punizione dei criminali era affidata alle vittime stesse
o alle persone a loro legate da vincoli di vario genere, inizia ora a farsi strada l'idea
che costituisce interesse di tutti i cittadini reprimere i delitti.
Passando al sistema punitivo romano vediamo come, in origine, la comunità
interveniva raramente nella repressione dei crimini, la quale era delegata alla
persona offesa
6
. Contro determinati crimini, però, spettava allo Stato prendere
provvedimenti
7
; la pena in questi casi consisteva, di regola, nella fustigazione,
seguita dalla decapitazione.
A partire dall’epoca repubblicana iniziano ad affiancarsi alla pena di morte le pene
pecuniarie. La prima veniva eseguita raramente, in quanto l’imputato finché non
fosse stato pronunciato l'ultimo voto decisivo per la condanna, aveva la possibilità
di abbandonare il territorio cittadino e di recarsi in volontario esilio presso un'altra
città. L’esilio col passare del tempo, però, si trasformò da mezzo per evitare la
condanna a vera e propria pena.
5
S. BORGHESE, 1952
6
ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO
7
Nel diritto romano i crimina furono atti che sembravano ledere la comunità, o almeno il gruppo
cui il colpevole apparteneva; onde egli, che talora doveva con la morte purificare il gruppo, veniva
perseguito dalla comunità, tramite speciali magistrati. I delicta, invece, ledevano la sfera del singolo,
onde era demandato a lui, o ai suoi congiunti, il vendicarsi, a volte uccidendo il colpevole, a volte
producendogli un male. Tale vendetta, prima libera, fu regolata dal taglione, e infine si ammise una
corresponsione pecuniaria, comminata da parte di organi delegati dall'intera comunità, onde evitare
che ogni delitto desse adito a delle interminabili faide
10
In età imperiale si torna ad un sistema di pene prevalentemente afflittive. La pena
di morte, come già detto caduta in disuso negli ultimi anni della Repubblica, viene
ripristinata; l'esecuzione tipica era la decapitazione, ma non mancavano anche altre
forme più crudeli, inflitte per i crimini più gravi o a persone appartenenti alle classi
sociali più umili.
Tra queste si menzionano la crocifissione, l'esposizione alle belve nell'arena e la
vivicombustione. Accanto a queste erano presenti altre pene che, per la loro
crudeltà, si potevano ricondurre alla pena di morte: la condanna ai lavori forzati
nelle miniere, la condanna all'esecuzione coattiva di opere pubbliche, la condanna
ad esibirsi nel circo come gladiatori o a combattere con le fiere e la deportazione.
Vi erano anche sanzioni corporali, che spesso accompagnano la pena capitale, come
il percuotimento con bastoni. La confisca del patrimonio poteva avere carattere
accessorio. Quelle pecuniarie costituivano, dunque, pene minori.
La nascita dei moderni sistemi penali è il risultato di un lungo processo iniziato
nell’Alto Medioevo.
Nel primo Medioevo, grazie anche all’influenza delle consuetudini tribali delle
popolazioni germaniche, si attribuiva maggior rilievo alla necessità di risarcire la
vittima e di difendere la comunità, più che alla volontà di punire il criminale.
In questo contesto, non vi era spazio per l’idea di una pena pubblica amministrata
dall’autorità. Il delitto, visto come un’offesa, doveva essere vendicato, non punito.
Le pene consistevano principalmente in sanzioni pecuniarie, nel bando, nella gogna,
ricorrendo alla pena corporale solo nel caso in cui il reo non fosse stato in grado di
pagare o in caso di violazioni di particolare gravità.