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2.2 L’invecchiamento degli anziani fragili
L’aumento della popolazione anziana rispetto ad altre generazioni ha de-
terminato non solo la cosiddetta rivoluzione di longevità, ma anche un’
apprezzabile diversificazione in questa fase della vita. Così come ci sono
molti giovani-anziani attivi e partecipi, ci sono sempre più anziani in perdita
di autosufficienza parziale o totale (Luppi 2015). Questi anziani vengono
definiti fragili, in quanto le loro capacità psico-fisiche sono molto ridotte.
Nel 1974 viene introdotto il concetto di fragilità negli Stati Uniti durante il
Federal Council on Aging. Il termine viene usato per definire alcuni anziani
che ricorrono ai servizi sociosanitari e successivamente è coinciso con i
criteri di elettività dell’assistenza domiciliare (Casazza 2010). ‹‹ Quei sog-
getti di età avanzata o molto avanzata, cronologicamente affetti da pato-
logie multiple, con stato di salute instabile, frequentemente disabili, in cui
gli effetti dell’invecchiamento e delle malattie sono spesso complicati da
variabili di tipo socio-economico›› così la Società italiana di Geriatria e
Gerontologia definisce gli anziani fragili (p.49, 2003). In letteratura gli an-
ziani fragili sono quelli in condizioni di rischio e di solito si riferisce a due
validità diverse: una si riferisce al processo di invecchiamento primario,
cioè superati i 75 anni è molto probabile che si presenti questa condizione,
anche se c’è molta variabilità individuale che determina percorsi di vec-
chiaia molto diversificati (Luppi, 2015). L’altra si riferisce alla condizione
medica, dunque la presenza di più patologie che riguardano l’invecchia-
mento secondario e implica una rete di cura e supporto, che permettano
all’ anziano di mantenere un’ adeguata qualità della vita (Chattat 2012).
Lasciando da parte il fattore anagrafico, ci sono dei fattori che determinano
la condizione di fragilità che non sono solo legati alla salute (Luppi, 2015).
Infatti Chattat ne descrive cinque che sono frutto dell’integrazione di ‹‹di-
versi modelli di approccio all’anziano in un modello multidimensionale che
permette la valutazione adeguata delle aree di difficoltà ma anche la scelta
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dei supporti da fornire e il loro coordinamento››. Così che, avendo un ap-
proccio più strutturato, gli anziani con i loro bisogni possano mantenere la
partecipazione sociale ed evitare l’esclusione e l’emarginazione nono-
stante la dipendenza che comporta la fragilità. I fattori sono condizioni che
si rifanno a criticità fisiche, psicologiche e ambientali che incidono sull’ au-
tosufficienza:
• La riduzione delle riserve funzionali a carico di vari apparati e or-
gani del corpo, a causa della quale l'anziano non è in grado di so-
stenere sforzi eccessivi;
• i disturbi veri e propri a carico di vari apparati e funzioni corporei;
• le limitazioni funzionali, che non possono comportare una riduzione
di autosufficienza nello svolgimento delle attività quotidiane;
• I processi di deterioramento cognitivo, che possono limitare le pos-
sibilità dell’anziano nello svolgere una vita autonoma;
• le condizioni sociali di isolamento, scarsità di risorse economiche,
disponibilità di servizi di supporto e di assistenza e contesti am-
bientali non apprezzati. (Chattat, 2012 p.120).
Nel valutare l’anziano in condizioni di fragilità è importante quindi la rete
di cure di cui riesce ad avere beneficio e il supporto di figure dedicate alla
cura. I caregiver (chi presta cura) possono essere o familiari, amici o an-
che vicini di casa, sono persone che si fanno carico delle persone non
autosufficienti. Ci sono anche i caregiver formali che sono professionisti
della cura come infermieri, assistenti socio-sanitari, ausiliari ecc (Luppi
2015 Taccani, Giorgetti, 2010). Tra gli assistenti non formali rientrano le
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cosiddette “badanti” che sono assistenti domiciliari per lo più donne stra-
niere che si occupano a tempo pieno dell’assistenza dell’anziano in con-
dizione di fragilità (Luppi 2015).
Le problematiche che comporta “l’abuso” di assistenza domiciliare
in Italia, ormai come sostitutivo di un welfare praticamente assente, dove
viene sottovalutata la qualità dell’assistenza specifica a cui gli anziani fra-
gili e non hanno diritto di accedervi. Viene a formarsi una “cultura” dove si
crede che l’unico modo per avere assistenza ad un costo accessibile sia
quella dell’assistente domiciliare e non ci sia bisogno di figure professio-
nali che si occupino della cura in tutte le sue forme. Sottovalutando non
solo i professionisti, ma anche gli anziani esigenti di cure specializzate.
Non saranno trattate qui le problematiche rispetto all’ormai diffusissima
usanza italiana di assumere “badanti” e tutti i costi che comporta allo Stato
quella non regolarizzata e nuove problematiche come “Sindrome Italia”
(simile al born-out, definito come forma di depressione derivata da vivere
una vita in solitudine dedicata agli altri, quando tornano nel loro paese
d’origine si sentono distanti da tutto poiché hanno vissuto una vita intera
lontana dalla famiglia) (www.agensir.it).
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2.3 Approcci metodologici nella cura educativa dell’anziano
L’autonomia e l’indipendenza nella terza età sono un confine molto la-
bile, la fragilità come ho spiegato nel paragrafo precedente è un insieme
di fattori, molte volte si manifesta in forme diverse, alcune volte in modo
progressivo altre più tempestivo (Luppi 2015). Infatti l’Organizzazione
Mondiale della sanità (OMS-WHO 1986) ha introdotto il Mild Cognitive
Impairment o MCI, quindi il Deterioramento Cognitivo Lieve per descrive
il deterioramento delle funzioni cognitive, nello specifico memoria e ap-
prendimento. Si è cercato di definire il MCI perché è la fase intermedia
tra la demenza “generica” e l’Alzheimer (Chattat 2012) o meglio tra l’in-
vecchiamento primario e quello secondario. Difatti la demenza è la prin-
cipale caratteristica della fragilità nell’anziano, per questo sono stati spe-
rimentati e validati negli ultimi decenni diversi approcci che si discostano
dall’intervento medico-sanitario ma sono incentrati sulla valorizzazione
dei bisogni psicosociali degli individui (in correlazione sicuramente con i
bisogni sanitari). Garantiscano la visione multidisciplinare e globale dei
bisogni individuali (Luppi 2015). A questo proposito Abraham Maslow
con la sua teoria dei bisogni umani (1954) stabilisce che tutti gli le per-
sone devono prima appagare i propri bisogni fisiologici (fame, sete, min-
zione ecc.) e poi quelli di sicurezza (sentirsi protetti) per poi esere in
grado di soddisfare i bisogni psicologici e sociali. Questa gerarchia dei
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bisogni si può applicare anche alle persone fragili, almeno fino ad un
certo punto.
Le persone sono motivate da un bisogno di qualsiasi tipo, la stessa cosa
si può dire delle persone disorientate. C’è sempre un motivo per i loro
comportamenti (Feil 2008). Su questa base Naomi Feil ha elaborato il me-
todo della Validation (1993) che parte da presupposti di psicologia com-
portamentale e umanistica. I principi del metodo partono appunto dal mo-
tivare ogni azione. Quindi le azioni sono le manifestazioni dei presupposti
teorici. È un approccio che si basa molto sulla comunicazione empatica,
dove viene riconosciuto l’unicità e il valore di ogni anziano fragile; anche
se ad un occhio esterno può sembrare senza logica e incoerente, la Feil
afferisce che ci sia un motivo valido per ogni azione nell’anziano fragile o
disorientato. Per comprendere dei comportamenti, i pensieri dell’anziano
fragile e creare una connessione empatica si deve accettare completa-
mente la persona in ogni atteggiamento senza nessun tipo di giudizio di
valore (Feil 2008). L’ascolto autentico diminuisce i sentimenti e i pensieri
negativi, invece di ignorarli o reprimerli, esprimerli diminuisce lo stato d’an-
sia. Molto importante per questo metodo sono sicuramente le teorie dello
sviluppo di Erickson(1968) e di Schaie (1977) dove in ogni stadio evolutivo
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c’è un compito da portare a termine con successo, così da poter vivere lo
stadio successivo serenamente, passando sempre una crisi evolutiva. Se
questa non viene risolta si ripresenta nello stadio evolutivo successivo.
Nella fragilità e il disorientamento date dalla condizione di demenza, si
ritrovano ad affrontare tutto in modo amplificato, quindi il ripetere gesti,
dondolarsi su se stessi avere bisogno di una bambola da cullare sono tutte
possibilità di cercare di portare a termine delle paure e dei ricordi che non
hanno metabolizzato in passato (Feil 2008). Il fine della Validation consi-
ste nel cercare contatti relazionali emotivi e significativi che aiutino il sog-
getto a ridurre lo stato di agitazione, così da esprimere i propri sentimenti
serenamente e provando ad accettare la propria realtà interiore (Luppi
2015).
Un modello che si rivolge sempre alla cura e il benessere dell’an-
ziano ma con lo scopo di ridurre anche il burnout nei caregiver è la Gent-
lecare. La Gentlecare è un approccio ideato da Moyra Jones (1996) cen-
trato sull’anziano e sul tenere vivo la sua continuità di vita. Per fare ciò si
parte dall’analisi non solo medica patologica, ma anche di ricostruzione
della sua storia personale, il suo vissuto, come luoghi e ambienti del suo
passato (Jones 2000). Dopo questa analisi approfondita viene valutato
come la malattia dell’Alzheimer influenzi la persona, sia nell’aspetto psi-
chico, che nell’aspetto fisico e nel quotidiano come viene affrontata. La
valutazione di tutto viene fatta direttamente dal caregiver che assume il
ruolo di osservatore partecipante dove la stessa relazione con l’anziano
fragile è oggetto di valutazione e autovalutazione. La valutazione viene
fatta con strumenti qualitativi e quantitativi come da approccio multidimen-
sionale. Le capacità residue dell’anziano sono molto valorizzate, così
come la storia personale e i suoi desideri (Jones 2008). Dopo la valuta-
zione di tutte queste variabili si realizza un progetto di cura che parte con
obiettivi fattibili e mette in luce punti di forza e debolezze della persona