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CAPITOLO I
Il principio della ragionevole durata del processo
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Premesse di ordine terminologico. - 3. La ragionevole
durata quale componente del “giusto processo”: il quadro normativo. - 3.1. Segue: Il quadro
giurisprudenziale. - 4. La natura giuridica del principio della ragionevole durata del processo:
titolarità e decorso del tempo. - 5. La “positivizzazione del palliativo”: la legge 24 marzo 2001, n.
89 (cd. legge Pinto).
1. Considerazioni introduttive
Discorrere di ragionevole durata del procedimento penale, con particolare
riferimento alla fase delle indagini preliminari, significa confrontarsi con annose ed
irrisolte questioni dogmatiche. Queste ultime, ad onta dell’elevato tenore dottrinale,
hanno, in realtà, una incredibile ripercussione sul piano fenomenologico ed
empirico nella misura in cui la dilatazione della finestra temporale investigativa si
riverbera, come un macigno, sull’intero iter procedimentale.
Prima della costituzionalizzazione del giusto processo, l’esigenza della
definizione della sequenza procedimentale in tempi ragionevoli - prevista solo
all’interno delle norme transnazionali - era avvertita con estrema diffidenza, come
se il principio in discorso non fosse meritevole di considerazione, ma addirittura
sacrificabile sull’altare del primato del diritto interno
1
. L’immaginario giuridico del
tempo è sintetizzato, in modo emblematico, nelle parole della sentenza della Corte
Costituzionale n. 202 del 1985, la quale ebbe ad evidenziare che “la problematica
1
Per cogliere lo sfondo del periodo antecedente alla modifica dell’art. 111 Cost. si vedano le
lungimiranti parole di M.G. AIMONETTO, La “durata ragionevole” del processo penale, Torino,
1997, pp. 9-10. L’Autrice, testualmente evidenziava che “il diritto alla ragionevole durata del
processo non costituisce oggetto di protezione specifica da parte della normativa ordinaria, né tanto
meno ad opera delle disposizioni costituzionali”. Ma la dottrina processualistica più accorta era
consapevole che “maggiore sensibilità per i tempi del processo si rinviene nelle fonti internazionali,
che riconoscono il diritto ad essere giudicati in un termine ragionevole, quale uno degli elementi che
concorrono a garantire un processo giusto, rispettoso dei diritti umani”.
11
dei tempi processuali, recepita all'interno della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo quale aspetto del giusto processo, non trova eco
nella Carta Costituzionale, se si eccettua la particolare previsione dell'art. 13, quinto
comma, il quale impone alla legge di stabilire i limiti massimi di carcerazione
preventiva, senza affatto preoccuparsi dei tempi processuali allorché l'imputato si
trovi comunque a piede libero”. Il giudice delle leggi della prima metà degli anni
‘80, attraverso una contorsione ermeneutica, riconosceva un sia pur minimo
fondamento costituzionale al fattore tempo solo nell’art. 13, comma 5 Cost.,
dimostrando così di non cogliere minimamente la portata del problema.
Bisogna attendere quasi tre lustri per un parziale revirement della Consulta,
avvenuto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 388 del 1999. Detta
pronuncia chiarisce, in primo luogo, che “i diritti umani, garantiti anche da
convenzioni universali o regionali sottoscritte dall'Italia, trovano espressione, e non
meno intensa garanzia, nella Costituzione” e, in secondo luogo, che il diritto di agire
in giudizio, riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione, “implica una durata
ragionevole del processo”. Si posero, dunque, le basi per l’ancoraggio del diritto
alla ragionevole durata del processo nell’art. 24 della Costituzione
2
, poiché si
riteneva che “l’efficienza e l’effettività della risposta giudiziaria indispensabile ad
assicurare la giusta tutela al cittadino che ricorre al giudice per ottenere la dovuta
soddisfazione, impone che il processo sia svolto in tempi ragionevoli”
3
.
Oggi, a venti anni dalla legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, dopo un fuggevole
e timido sguardo diacronico, a nessuno verrebbe in mente di dubitare che, de iure
condito, non vi sia un espresso riferimento normativo alla ragionevole durata del
2
Bisogna rilevare invece, contrariamente con quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria del
tempo, che la Consulta ha sempre affermato la estraneità dell’art. 97, comma 2 della Costituzione
quale norma di copertura all’efficiente esercizio della funzione giurisdizionale. In tal senso si colloca
la sentenza della Corte Costituzionale n. 281/1995. In tale sede si evidenziò che “la giurisprudenza
di questa Corte è costante nel senso che il principio del buon andamento e della imparzialità
dell'amministrazione, alla cui realizzazione detto parametro vincola la disciplina dell'organizzazione
dei pubblici uffici, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia,
attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro
funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è del tutto estraneo al tema dell'esercizio della
funzione giurisdizionale nel suo complesso e in relazione ai diversi provvedimenti che costituiscono
espressione di tale esercizio”. Ex multis, cfr. sentenza Corte Cost. n. 376/1993 e ordinanza n.
275/1994.
3
B. NACAR, I termini e la ragionevole durata del processo penale, Torino, 2012, p. 56.
12
processo. Tuttavia, vi è la percezione che la durata dei processi permanga
irragionevole e tale constatazione non fa altro che confinare il principio della
ragionevole durata dei processi in un dover essere di improbabile realizzazione.
Una irredimibile conferma sul piano empirico, della percezione di cui sopra, è
da rinvenire nella “Analisi Statistica dell’istituto della prescrizione in Italia
4
”. In
riferimento al 2014 emerge che su un complessivo numero di 132.296 procedimenti
penali definiti per prescrizione, circa la metà è maturata durante la fase delle
indagini preliminari. Ed è proprio sulla scorta di tali elementi che si colloca il
recente Parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul d.l. AC 1189
(giornalisticamente definito “Spazza-Corrotti”) deliberato il 19 dicembre 2018
5
,
con il quale si fa notare che la sospensione della prescrizione a seguito della
condanna in primo grado di giudizio non sia risolutiva del problema, atteso che il
più consistente decorso del tempo ai fini della prescrizione si rinviene nella fase
delle indagini preliminari.
Occorre, però, prendere atto che non sono stati pochi i progetti di riforma volti
ad attuare in modo sostanziale la riserva di legge di cui alla seconda parte dell’art.
111, comma 2 della Costituzione. La necessità di “realizzare il principio della
ragionevole durata del processo penale”
6
andando ad incidere sulla
4
Tale analisi è a cura del Ministero della Giustizia ed è stata pubblicata il 7 maggio 2016; nella
stessa è presente un esame particolareggiato dell’istituto. Cfr. il presente collegamento ipertestuale:
https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/ANALISI_PRESCRIZIONE_CON_COMMEN
CO.pdf.
5
Per consultare il parere del CSM avverso il d.l. AC 1189 recante in sé le “Misure per il contrasto
dei reati contro la P.A. e in materia di trasparenza dei partiti politici” si consulti il seguente URL:
https://www.csm.it/documents/21768/92150/parere+anticorruzione+19+dicembre+2018/056918e6
-48e3-bc35-52da-c399ccb070ef. Il CSM va ad attenzionare l’anno 2017 e rende noto come, su
125.000 procedimenti penali definiti per intervenuta prescrizione, circa la metà sia maturata nella
fase delle indagini preliminari, un quarto durante il giudizio di primo grado e l’altro quarto in
appello.
6
Il riferimento è all’introduzione dello stimolante Progetto di riforma del codice di procedura
penale (d.d.l. C. 323) elaborato dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. A.A. DALIA
presentato il 2 maggio 2006. Interessanti, ai fini della realizzazione del principio in discorso, erano
le novità contenute nei punti: 6.2.5. il quale proponeva la riduzione del numero dei registri esistenti
presso le procure “spesso frutto di prassi o consuetudini che vanno a collocarsi oltre la previsione
normativa” e ciò nell’ottica dell’ampliamento dei poteri di controllo dell’organo giurisdizionale;
6.2.8. il qual era finalizzato alla introduzione di un controllo giurisdizionale avverso la verifica della
persistenza dello status di ignoto; e, infine, una modifica davvero interessante era quella prevista dal
punto 6.4. il quale andava a rafforzare “i controlli di legalità del giudice per le indagini preliminari”
rendendo concreta la verifica sui termini delle indagini stesse ed attribuendo al g.i.p., altresì,
13
regolamentazione delle indagini preliminari, è sempre stata avvertita ed ancora
oggi, venti anni dopo il dato formale della positivizzazione del giusto processo, si
tenta di inseguirla al fine di evitare deprecabili “esiti abortivi”
7
.
E allora, nell’ottica del contingentamento di ogni fase procedimentale si rende
opportuno lumeggiare su quella che, più di tutte, presenta dei contorni in penombra
che oscillano tra l’affidamento alla lealtà processuale del magistrato del pubblico
ministero e al rischio derivante dalla possibile concretizzazione di distorsioni
prasseologiche che si traducono in biasimevoli vulnus concernenti il diritto di difesa
della persona sottoposta alle indagini. La fase attenzionata non può che essere
quella genetica del procedimento penale e, dunque, quella relativa alle indagini
preliminari. Una fase, quest’ultima, che va ad incastrarsi nelle fredde mura dei
termini prestabiliti di cui al Titolo VIII del Libro V del codice di rito non senza,
però, discutibili appendici temporali ultronee. Tale immaginario si consuma sotto
il vigile colpo di scure della inutilizzabilità di cui all’art. 407, comma 3 c.p.p. volto
a rimarcare che il sine die investigativo non è tollerato dal legislatore.
Una predeterminazione delle fasi in termini prestabiliti che, a quanto pare, non
riesce ad assicurare la non permeabilità tra le stesse, il tutto a detrimento del
principio della netta ripartizione delle fasi processuali. Ed è proprio la progressiva
erosione di quest’ultimo principio che rende contiguo al tema della durata delle
indagini preliminari quello della “completezza investigativa”
8
, divenuta ora
ineludibile per mezzo della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 88/1991.
Ecco, è questo l’anello di congiunzione tra tematiche che sono divenute
sovrapponibili - quasi osmotiche - e che costringe ad interrogarci circa la effettiva
finalità delle indagini preliminari. Non possiamo più accontentarci di una mera
interpretazione letterale dell’art. 326 c.p.p., rubricato proprio “finalità delle indagini
“funzioni specifiche di controllo sui tempi di iscrizione della notizia di reato, individuando sanzioni
di nullità o di inutilizzabilità per le indagini svolte prima della stessa iscrizione”.
7
Queste le parole di R.E. KOSTORIS (a cura di), La ragionevole durata del processo. Garanzie
ed efficienza del processo penale, Torino, 2005, p. 12. Il medesimo articolo è riprodotto anche
nell’esordio di R.E. KOSTORIS, Processo penale e paradigmi europei, Torino, 2018, p. 12. L’Autore,
in particolare riferimento all’istituto della prescrizione, evidenzia che la stessa “è la peggior nemica
della ragionevole durata del processo perché segna il fallimento della giustizia”.
8
Sul tema della “completezza investigativa” e del suo complicato rapporto con il “principio della
ragionevole durata delle indagini preliminari”, si veda infra al Capitolo III.
14
preliminari”, il quale evidenzia che il fine del è quello di svolgere “le indagini
necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”.
Attenzione, al termine di tale disamina ben si potrebbe pervenire alla medesima
lettura dell’art. 326 c.p.p., ma appare non più procrastinabile l’attività di
destrutturazione del sistema processuale penale e la conseguente ricostruzione dello
stesso, magari utilizzando come collante, stavolta, i principi del “giusto processo”.
2. Premesse di ordine terminologico
È preliminarmente necessario chiarire un aspetto semantico di centrale
importanza: la distinzione tra “processo” e “procedimento”. Com’è noto, le due
locuzioni non possono essere utilizzate in modo alternativo o scambievole atteso
che non sono sinonimi.
Allorché ci si riferisce al “processo” è necessario immediatamente
rappresentare quella particolare fase del procedimento che si svolge dinnanzi
all’organo giurisdizionale. È necessaria, dunque, la contestuale presenza della
“triade” (accusa-difesa-giudice); di converso, quando ci si riferisce al
“procedimento” bisogna guardare al tema in discorso da un angolo di visuale più
alto. Il procedimento è “il tutto”, è una sequenza di atti ordinati aventi una
proiezione finalistica e, dunque, teleologicamente orientati al conseguimento del
risultato finale
9
: il provvedimento giurisdizionale. Vi è, tra processo e
procedimento, in definitiva, un rapporto da riferire in termini di species a genus,
atteso che “il processo penale indica una porzione del procedimento penale”
10
.
9
Sull’idea della progressione sottesa alla logica procedimentale si veda A.A. DALIA, Giudizio,
in AA.VV., Il giudizio di primo grado (a cura di), Napoli, 1991, p. 426. L’Autore evidenzia che
“procedimento è termine che deriva da procedere e sta ad indicare un progredire da un punto iniziale
verso un risultato finale”; G. SPANGHER, Ragionamenti sul processo penale, Milano, 2018, p. 1,
nello stesso senso, evidenzia che “procedimento è una sequenza di atti che muovendo da un fatto,
attraverso una sequenza successiva di atti o di attività, che si sviluppa in modo ordinato, arriva ad
un risultato”.
10
P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2018, p. 71.
15
Tuttavia, non di rado il legislatore, erroneamente, utilizza i termini per indicare
situazioni identiche ma, grazie ad una lettura sistematica ed informata ai principi
generali, “l’improprietà del lessico normativo non incide sull’essenzialità del
distinguo”
11
.
Una volta chiarito tale aspetto pregiudiziale è possibile procedere alla lettura
dell’art. 111, comma 2 Cost., il quale sancisce che “ogni processo si svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo ed
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. La seconda parte del
comma 2, concernente il principio della ragionevole durata, non reitera il
riferimento alla locuzione “processo” solo al fine di evitare ridondanza, ma
chiaramente si riferisce ad esso. Alla stregua della precisazione terminologica di
cui sopra, bisognerebbe prendere atto che la ragionevole durata - almeno
letteralmente - si riferisce al “processo” e non al “procedimento”.
Ma allora la fase delle indagini preliminari può svolgersi in tempi non
ragionevoli? La risposta non può che esser negativa
12
nella misura in cui, tale lettura
freddamente e fedelmente ancorata - in modo quasi ortodosso - al dato letterale,
andrebbe surrettiziamente a ridurre la portata operativa del principio, comportando
una deprecabile deminutio in termini di garanzia del “giusto processo”. Il principio
della ragionevole durata, dunque, è immanente all’intero iter procedimentale e lo
connota nella sua interezza. Basti pensare, a titolo di conferma, che il dies a quo ai
fini del decorso del tempo valevole per calcolare il risarcimento derivante da durata
irragionevole del processo decorre, non già dall’avvenuto esercizio dell’azione
11
Così A. DE CARO, Indagini preliminari, in AA.VV., A.A. DALIA, Il giudizio di primo grado
(a cura di), Napoli, 1991, p. 225. Per una esaustiva ricostruzione delle imprecisioni terminologiche
dissipate all’interno del codice di rito si veda A.A. DALIA- M. FERRAIOLI, Manuale di diritto
processuale penale, Padova, 2018, p. 21.
12
Critico alla lettura miope del sostantivo “processo” in riferimento all’art. 111 Cost., è D.
VICOLI, La “ragionevole durata” delle indagini, Torino, 2012, p. 52, il quale evidenzia che ove il
principio della ragionevole durata fosse riferito al solo processo, “l’incidenza dei canoni del giusto
processo risulterebbe limitata ai soli sviluppi che muovono dall’esercizio dell’azione penale; del
tutto insensibile alla direttiva costituzionale sulla ragionevole durata sarebbe la fase deputata alla
ricerca degli elementi di prova”. Nello stesso senso P. FERRUA, La ragionevole durata del processo
tra Costituzione e Convenzione europea, in Quest. Giust., 2017, 1, p. 109 il quale evidenzia che
“letteralmente intesa, la formula riguarderebbe, nel settore penale, solo il processo in senso stretto,
che inizia con l’esercizio dell’azione; ma logicamente la previsione va estesa al processo in senso
ampio, che include anche gli atti dell’indagine preliminare”.
16
penale da parte del magistrato del pubblico ministero, bensì dal momento in cui “la
persona indagata abbia conoscenza legale della sua iscrizione nel relativo
registro”
13
.
In definitiva, per “processo” deve intendersi “il fenomeno costituito dalla
globalità della risposta ad ogni notitia criminis e, quindi, l’intero tragitto che va
dalla sua acquisizione fino alla sentenza irrevocabile”
14
.
3. La ragionevole durata quale componente del “giusto
processo”: il quadro normativo
Diviene, dunque, questa la sede adatta per approfondire il concetto di “giusto
processo”, andando ad analizzare il tessuto normativo nel quale tale principio va a
collocarsi. L’art. 111, comma 1 Cost., esordisce con una formulazione icastica “la
giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Ciò che è
immediatamente percepibile, ictu oculi, è che il sostantivo “giurisdizione
15
” non è
aggettivato. Questa manchevolezza lascia intendere che, i principi proclamati dai
primi due commi, “non si riferiscono soltanto al processo penale, bensì devono
informare in sé, come una sorta di denominatore comune, tutti i processi nei quali
si ravvisa l’esercizio di un potere giurisdizionale
16
”. Tale ius dicere si attua
mediante il “giusto processo” che è regolato dalla legge. Quest’ultimo enunciato
13
Cfr. Sent. Cass. Pen., sez. I, 6 febbraio 2003, n. 1740. Sul tema, più approfonditamente, infra
al Capitolo I, § 3.
14
D. VICOLI, La “ragionevole durata” delle indagini, op. cit., p. 53.
15
Per una disamina esaustiva sul significato di “giurisdizione” si rinvia a M. GIALUZ, Il diritto
alla giurisdizione dell’imputato e della vittima tra spinte europee e carenze dell’ordinamento
italiano”, in Riv. it. dir. proc. pen., fascicolo 1/2019, pp. 75 ss. L’articolo riproduce ed amplifica
l’intervento del Prof. M. GIALUZ al XXXII Convegno dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo
Penale “G.D. Pisapia”, organizzato dal Prof. L. KALB ed intitolato ai “Diritti della persona e nuove
sfide del processo penale”, svoltosi a Salerno dal 25 al 27 ottobre 2018.
16
A. GIARDA, G. SPANGHER, Codice di Procedura Penale Commentato, in AA.VV. (a cura di),
Tomo I, V ed., Padova, 2017, p. 99.
17
rileva come una riserva di legge
17
, nel senso che solo il legislatore - espressione
della sovranità popolare - può regolamentare lo svolgimento del processo.
Con la cristallizzazione del “giusto processo” si è andato indiscutibilmente a
positivizzare un concetto di matrice giusnaturalista, saturo di connotazione
suggestiva ed evocativa. In questo sfondo, tale solenne proclama, rileva come una
idealità di giustizia verso cui tendere ad ogni costo, che preesiste alla legge e che si
inserirebbe, dunque, nel catalogo aperto di cui all’art. 2 della Costituzione
18
.
S’impone, dunque, la necessità di organizzare il processo “con cadenze e forme
idonee a produrre, pur nella fallibilità di ogni metodo, una decisione giusta”
19
. Ma
attenzione, la decisione giusta si rinviene non quando questa va ad assumere i
caratteri della inconfutabilità logica, bensì quelli dell’accettabilità razionale sulla
base delle emergenze processuali e nel rispetto pedissequo delle norme del codice
di rito, dei principi costituzionali e transnazionali.
Dopo questa ineludibile attività di chiarezza semantica, si rende necessario
tracciare - senza pretesa di esaustività - il quadro normativo del principio della
ragionevole durata del processo avendo ben chiaro un postulato di partenza: tale
principio si colloca all’interno del più ampio concetto di “giusto processo”. Questa
espressione risulta essere il portato di quattro principi, quali, segnatamente: la
riserva di legge in materia processuale, l’imparzialità del giudice, la parità delle
parti e, infine, la ragionevole durata dei processi
20
. Dunque, nel tentativo di
17
La considera riserva di legge “rinforzata” S. FOIS, Il modello costituzionale di giusto processo,
in Rassegna Parlamentare, 2000, p. 575.
18
Sul “giusto processo” quale ideale di giustizia preesistente alla legge e collegato ai diritti
inviolabili dell’uomo che lo Stato s’impegna a riconoscere e garantire, si veda, fra tutti, P. TONINI,
Manuale di Procedura Penale, op. cit., p. 42. Per un interessante approfondimento sul
“neocostituzionaliso” che ha incamerato il diritto con un fondamento etico e morale, si veda G.
BONGIOVANNI, Costituzionalismo e teoria del diritto, Sistemi normativi contemporanei e modelli
della razionalità giuridica, Roma-Bari, 2005, pp. 59 ss.
19
P. FERRUA, Il “giusto processo”, Bologna, 2012, p. 47.
20
Sul “giusto processo” quale sintesi dei principi suindicati si veda P. TONINI, Manuale di
Procedura Penale, op, cit., p. 4. Secondo il giudizio di F. DI LORENZO, Giusto processo e
ragionevole durata, Milano, 2018, p. 2, il “giusto processo include e presuppone [anche] altri
principi, quali quello del contraddittorio e della motivazione del giudice”. Si ritiene dirimente la
definizione di “giusto processo” dettata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 131/1996, con
la quale viene stabilito che il giusto processo è la “formula in cui si compendiano i principi che la
Costituzione detta in ordine tanto ai caratteri della giurisdizione, sotto il profilo soggettivo e
oggettivo, quanto ai diritti di azione e difesa in giudizio”.
18
procacciare le fonti normative del principio della ragionevole durata del processo
si prenderà in considerazione precipuamente tale declinazione specifica ma, qualora
non sia altrimenti previsto, si andrà ad individuare il genus.
Tralasciando l’origine remota del principio della ragionevole durata del
processo
21
e prendendo in considerazione un approccio “multilaterale”, occorre
evidenziare che le Convenzioni internazionali di carattere generale su scala
regionale degne di nota sono, in primo luogo, la Convenzione interamericana sui
diritti umani
22
il cui art. 7, comma 5, sancisce che “ogni persona detenuta deve
essere prontamente tradotta davanti ad un giudice o ad un altro funzionario
autorizzato dalla legge all’esercizio del potere giudiziario ed ha diritto ad un
processo entro un tempo ragionevole”; in secondo luogo, la Carta africana dei diritti
dell’uomo e dei popoli
23
la quale, all’art. 7, comma 1, lett. d) prevede “il diritto ad
essere giudicato in un tempo ragionevole da una giurisdizione imparziale”. Queste
Convenzioni hanno il pregio di istituire degli organismi di carattere giurisdizionale
deputati a vegliare sul rispetto dei principi da parte degli Stati contraenti.
24
Continuando sull’approccio “multilaterale”, ma riferito alle realtà nazionali, è
d’uopo rimarcare che il giusto processo è “una formula di antica e illustre
ascendenza, alle cui origini si trovano i concetti di fair trial e due process of law
della tradizione angloamericana”
25
. E sulla scorta di tale premessa si segnala come
nell’esperienza common law sia gli Stati Uniti d’America e sia l’Inghilterra
riconoscano all’imputato il right to a speedy trial. Il “diritto ad esser giudicati in
tempi rapidi”, in questo contesto, rileva soprattutto come diritto dell’imputato, nella
misura in cui le chances defensionali di quest’ultimo, si indeboliscono in modo
direttamente proporzionale alla dilatazione temporale. Circa le fonti normative,
negli Stati Uniti d’America è di estrema importanza l’esordio del VI
21
Tale principio era già scalfito nell’art. 39 della Magna Charta, firmata a Runnymede, nei
pressi di Windsor, il 15 giugno 1215.
22
Prodotta dall’O.A.S. (Organizzazione degli Stati Americani) adottata a San José di Costa Rica
il 22 novembre del 1969 ed entrata in vigore il 18 luglio del 1978.
23
Adottata a Nairobi il 28 giugno del 1981 dalla conferenza dei Capi di Stato e di Governo
dell’O.U.A. (Organizzazione dell’Unità Africana). È entrata in vigore il 21 ottobre del 1986.
24
Per una disamina esaustiva dell’argomento, si rinvia a B. CONFORTI, Diritto internazionale, X
ed., Napoli, pp. 206 ss.
25
P. FERRUA, Il “giusto processo”, op. cit., p. 86.