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INTRODUZIONE
Il 12 novembre 2003, a Nassiriya, diciannove italiani (dodici carabinieri,
cinque militari e due civili, oltre a nove iracheni) rimangono vittime
dell’esplosione provocata da un camion cisterna pieno di esplosivo. Nei ricordi
della mia giovanissima età, questo evento è ben impresso nella mia mente;
avevo cinque anni e mentre ero a casa con mia madre ci fu un’edizione speciale
del telegiornale. Non era quella che annunciava l’attentato terroristico, ma
quella che seguiva in diretta l’arrivo in Italia delle salme dei caduti, all’aeroporto
di Ciampino a bordo del C-130J dell’Aeronautica militare. Mia madre si fermò,
divenne seria e compresi che quello era un momento delicato che avrebbe
meritato la mia attenzione. Seguii tutto l’evento vicino mia madre in silenzio ed
il giorno dopo le consegnai un disegno, che lei non mancò di appendere fuori
la nostra porta di casa. Lì avevo raffigurato un aereo, qualche persona e tante
bandiere italiane. Davanti alle immagini del rientro in patria di quei soldati caduti
sul campo e dei loro famigliari distrutti dal dolore, c’è solo una domanda che
un bambino può porsi: perché? Perché l’uomo ha creato le condizioni affinché
accadano questi tragici eventi? Perché esistono la guerra, le armi, le bombe?
Ma il mondo purtroppo è infinitamente più complesso e crescendo,
approfondendo e intraprendendo un certo percorso di studi, si iniziano a
trovare spiegazioni, ad attribuire significati e forse a perdere di un po' di
umanità. L’attentato di Nassiriya è avvenuto all’interno di una missione con
finalità di peace-keeping delle Nazioni Unite, alla quale l’Italia ha preso parte
con la missione Antica Babilonia, con base principale proprio a Nassiriya.
Promuovere e mantenere la pace, supportare i civili in difficoltà, aiutare un
territorio a rialzarsi dopo la guerra: questi gli obiettivi. Il mondo della difesa è
molto più ampio rispetto al solo concetto di guerra e non bisogna farsi
ingannare dall’utilizzo di mezzi militari. Il documentario-evento di Michele
Bongiorno dal titolo “Lungo la Blue line” è un altro esempio di come lo
strumento militare riesca a garantire che una situazione non degeneri. Un
racconto che mostra l’impegno e la condizione particolare dei soldati (in
maggioranza italiani) che operano al confine tra Libano ed Israele dal 1978 e
che ormai sono parte integrante del territorio. Anche in questo caso si tratta di
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una missione delle Nazioni Unite, la UNIFIL (United Nations Interim Force in
Lebanon), guidata dal generale italiano Stefano Del Col.
Dunque, la difesa, come abbiamo visto in questi due esempi appena
citati, non può essere associata solamente al concetto di guerra, ma anche a
quello di pace, o meglio, di peace-keeping e peace-building. La difesa, inoltre,
è necessaria; non si può fare a meno di non avere un sistema efficiente e
capace. Il possesso della bomba atomica sia da parte americana che sovietica
(e quindi della capacità di risposta in caso di attacco) ha permesso che gli anni
della Guerra Fredda non fossero caratterizzati da conflitti armati diretti. Persino
la neutralissima Svizzera ha un sistema estremamente particolare, ma efficace,
che riesce ad offrire protezione a tutto il suo piccolo territorio e alla sua
popolazione. Ma la difesa è anche strumento di affermazione. Non si può
diventare una grande potenza senza avere un esercito avanzato; non a caso,
come sarà riportato nel terzo capitolo, dal 2010 al 2019 la Cina ha avuto un
incremento della spesa militare dell’85%
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, riuscendo a costruire un aereo da
combattimento di ultima generazione, navi portaerei, oltre che ad affermarsi
prepotentemente nel mercato mondiale dei velivoli a pilotaggio remoto, i droni
militari. E l’Europa?
L’Europa, dopo la Seconda Guerra mondiale, non si è mai occupata in
maniera convincente di difesa. Molto probabilmente perché sono sempre stati
la NATO (North Atlantic Treaty Organization) e gli Stati Uniti ad offrire la
protezione necessaria al continente. Eppure, a partire dagli anni Novanta anche
l’Unione europea ha iniziato a porre le basi per diventare un attore globale
anche nella sicurezza. Le nuove minacce ibride, in parte derivate dalla
tecnologia (basti pensare agli attacchi cibernetici) e in parte dal terrorismo
internazionale, come anche la necessità di monitorare i propri confini
meridionali dalle rotte migratorie da Africa e Medio Oriente, hanno fatto sì che
gli Stati membri iniziassero a concepire ed attuare una difesa comune europea.
Ma come si è arrivati a questo sviluppo? Quali sono oggi le reali capacità
dell’Ue in materia di difesa? E soprattutto: quali saranno le conseguenze di
un’Europa più autonoma nelle relazioni con la NATO? Nel primo capitolo di
1
Dati SIPRI 2019, Stockholm International Peace Research Institute.
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questo lavoro verranno ripercorse le fasi dell’evoluzione della difesa europea
dal Dopoguerra ad oggi. Le tre fasi non sono state individuate in base a un
criterio cronologico (la seconda e terza fase sono quasi contemporanee), ma in
base alla loro valenza: concettuale, istituzionale e militare. Nel primo capitolo
verrà analizzata la nascita del concetto di difesa europea grazie all’esperienza
della Comunità europea di Difesa (CED) del 1954. È con la CED che per la prima
volta si parla di un vero e proprio esercito europeo. Nonostante il fallimento di
questo ambizioso progetto, però, è proprio nella CED che troviamo le
fondamenta della difesa comune europea e dei suoi sviluppi successivi.
A partire dagli anni Novanta, infatti, inizia una nuova fase che doterà
l’Unione europea delle strutture istituzionali necessarie a regolare le azioni e le
decisioni comuni da prendere. Con il Trattato di Maastricht del 1992 viene
introdotta la famosa struttura a pilastri dell’Ue. Con il secondo pilastro, quello
della politica estera e di sicurezza, nasce la PESC (Politica estera e di Sicurezza
comune). Dal punto di vista istituzionale, le materie della politica estera, della
sicurezza e della difesa comune, saranno sempre caratterizzate da una natura
intergovernativa, basata sul consenso unanime degli Stati membri. Vedremo
infatti che il Parlamento europeo e la Commissione avranno dei ruoli piuttosto
marginali nelle decisioni relative a queste materie, che invece sono
appannaggio del Consiglio europeo. Saranno ripercorsi poi altri momenti
importanti dell’evoluzione della difesa europea, come l’introduzione della figura
dell’Alto rappresentante (Ar), il Trattato di Nizza, quello di Lisbona e
l’introduzione della PSDC (Politica di Sicurezza e Difesa comune).
La fase che riguarda invece l’aspetto operativo e militare dell’evoluzione
della difesa europea inizia nel 1992 con la definizione da parte dell’Unione
europea occidentale (UEO) dei Petersberg Tasks (i Compiti di Petersberg). È a
partire da questo momento che si avrà un campo d’azione limitato ad alcuni
tipi di missioni per le future azioni militari europee. Un vero cambio di passo
della difesa Ue si ha nel 2002 con la firma degli Accordi Berlin plus, che
permetteranno all’Ue di disporre delle capacità e dei mezzi NATO.
Il secondo capitolo di questo percorso si occuperà proprio della
relazione dell’Unione europea con l’Alleanza atlantica. Queste due
organizzazioni, dopo la caduta del Muro di Berlino, si sono reinventate,
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attuando importanti cambiamenti. Mentre la NATO espande il proprio campo
d’azione, l’Ue, grazie agli Accordi Berlin plus, inizia le sue prime missioni
militari. Nel capitolo saranno ripercorse alcune delle più importanti missioni a
guida europea e in cooperazione con la NATO e saranno evidenziate alcune
criticità legate non tanto alla parte operativa, quanto a quella decisionale. L’Ue
ha ormai avviato il suo percorso verso l’affermazione di sé stessa come security
provider globale e alcuni Paesi membri, come la Francia del presidente Macron,
sollecitano affinchè l’Ue cooperi in modo ancora più deciso per raggiungere un
livello di autonomia strategica capace di diminuire la dipendenza dagli Stati
Uniti e dalla NATO. Sarà davvero possibile un futuro autonomo dalla NATO in
Europa? E la NATO ha ancora interesse nel difendere l’Europa? Quale impatto
avrà la presidenza Biden nelle relazioni transatlantiche? Riuscirà a ricucire gli
strappi della presidenza Trump? La cooperazione istituzionale tra Ue e NATO
non appare in grave crisi come sembra dai battibecchi tra presidenti, seppur ci
siano tensioni, ma l’Unione europea continua a lavorare per sviluppare la
propria autonomia, specialmente nel settore dell’industria e della tecnologia
militare.
Nel terzo ed ultimo capitolo di questo lavoro, saranno analizzate le spese
militari globali ed in particolare dei Paesi membri Ue. Grazie al rapporto The
Coalition Explorer dell’European Council on Foreign Relations del 2020 sarà
dimostrato come la difesa, in realtà, non sia una delle priorità della maggior
parte dei membri Ue, ad eccezione della Francia che la colloca come first
priority. In questo capitolo, infatti, l’attenzione sarà posta all’interno dei confini
europei; l’Ue ha raggiunto importanti obiettivi e creato delle strutture
istituzionali (come l’Agenzia europea della Difesa o la PESCO), capaci di
favorire la cooperazione tra Stati membri e la creazione di un mercato comune
della difesa. Senza però l’abbandono da parte dei membri Ue degli ostacoli
culturali e della tutela degli interessi nazionali, sarà davvero difficile raggiungere
l’obiettivo di una difesa comune europea. Questa impostazione tradizionale ha
portato ad enormi sprechi ed inefficienze. Analizzando la destinazione della
spesa militare europea, infatti, si noterà che circa il 50% della spesa è destinata
al personale, che è di circa cinquecentomila unità superiore al personale degli
Stati Uniti, e che solo il 3% circa è speso in ricerca e sviluppo.
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L’obiettivo di questo lavoro sarà quello di dimostrare non solo quanto
sia vantaggioso in termini di efficienza e costi cooperare e sviluppare una difesa
realmente comune (anche dal punto di vista politico, abbandonando l’unanimità
nel processo decisionale), ma anche di dare a questo obiettivo una nuova
dimensione umana ed economica. Puntare sulla ricerca e sviluppo in ambito
militare vuol dire dare spazio ai giovani, alle università, vuol dire creare una
nuova dimensione tra pubblico e privato che condivida risorse ed expertise per
creare innovazione e creare valore. La difesa è necessaria e in un mondo che
si riarma costantemente (quinto anno consecutivo che la spesa militare globale
cresce) non c’è modo di tirarsi indietro. Allora perché non trasformare questa
necessità anche in una nuova opportunità per la crescita? Perché non ridare
forza al concetto di unità europea con la condivisione di industrie ritenute
strategiche?
Il percorso affrontato in questa tesi passa per la storia e per l’attualità,
per le cifre investite e i soldi spesi e per le istituzioni, ma sempre ricordando
quelle domande che mi sono posto da bambino, sempre ricordando la nostra
dimensione umana. Siamo la generazione cresciuta con gli Euro, l’Erasmus e
la possibilità di viaggiare in tutta Europa senza dogane o passaporti. La storia
europea è basata non solo sulle banche, sugli eserciti o sulla giustizia, ma
anche su valori comuni, sulla democrazia, sui diritti e sulla libertà. L’Europa fa
dell’unità la sua forza. Riuscirà ad unirsi e cooperare nell’industria militare per
creare una vera difesa comune europea? O questa resterà sempre un’utopia?
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CAPITOLO 1
L’evoluzione della difesa comune europea
Definire in modo preciso e definitivo cosa sia l’Unione europea ed il
concetto di Europa unita ad essa collegato non è affatto semplice;
probabilmente è pure sbagliato farlo, dal momento in cui il processo di
integrazione europea non è paragonabile ad alcuna altra esperienza storica (né
alle classiche unioni di Stati, né alle cooperazioni intergovernative, come
nemmeno agli Stati federali). Quest’ultimo si connota infatti di aspetti originali
e specifici
2
ed è il risultato della prevalenza del progetto europeo immaginato
da Jean Monnet su quello di Altiero Spinelli; se l’italiano era sostenitore di una
soluzione radicale all’obiettivo dell’unificazione europea, creando fin da subito
una Costituzione e una struttura federalista, Monnet invece vedeva
l’integrazione europea come un lungo processo a tappe, concependo la
Costituzione come punto di arrivo e non di partenza
3
.
Pensando oggi all’Unione europea, la mia mente rimanda a due
immagini: i palazzi delle istituzioni europee e l’Euro, la moneta unica. Queste
immagini si riferiscono a due aspetti che si sono sviluppati dal Dopoguerra ad
oggi con particolare successo: quello istituzionale, con un assetto strutturato,
e quello monetario, con l’Euro come moneta unica gestita dalla Banca centrale
europea. Storicamente, ancora prima della moneta e delle istituzioni, e quindi
della politica, ciò che andava a caratterizzare il concetto di sovranità era la così
chiamata “spada”, ossia gli affari inerenti alla pace, alla guerra e alla gestione
della politica estera
4
. L’Unione europea ancora oggi non ha un esercito proprio
e gli Stati membri sembrano lontani dal voler rinunciare al controllo della
“spada” per cederlo alle istituzioni europee. Altiero Spinelli affermava che non
potesse avere ragione di esistere un esercito europeo senza un Governo e uno
Stato, che solo una Costituzione può creare
5
. Ma il punto non è quello relativo
2
G. Strozzi e R. Mastroianni, Diritto dell’Unione europea, Torino, Giappichelli editore, 2019.
3
D. Velo e P. Preziosa, La difesa dell’Europa, Bari, Cacucci editore, 2019, p. 19.
4
F. Raschi, Aspetti storico-politici della politica di sicurezza e di difesa europea in F. Andreatta
(a cura di), La moneta e la spada – La sicurezza europea tra bilanci della difesa e assetti
istituzionali, Bologna, Il Mulino Arel, p. 20.
5
D. Velo e P. Preziosa, La difesa dell’Europa, cit., p. 29.