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1. INTRODUZIONE
“L’allevamento dei suini costituisce parte integrante dell’agricoltura. Esso rappresenta una
fonte di reddito per una parte della popolazione agricola.” (Direttiva CE 120/2008).
1.1 Aspetti generali della suinicoltura
Il suino o maiale (Sus scrofa domesticus L.) è un mammifero e dal punto di vista tassonomico
viene collocato nell’ordine degli Artiodattili, nel sottordine dei Suiformi ed appartiene alla
famiglia dei Suidi. Le caratteristiche di questi animali sono: la presenza di un solo stomaco
(monogastrici) che quindi impedisce loro la possibilità di effettuare la ruminazione, una pelle
spessa, ricoperta di pelo rado, capace di sviluppare un consistente strato di lardo ed infine una
dentatura con canini a crescita continua, che in alcune specie possono fuoriuscire dalla bocca
diventando uno strumento di difesa contro i predatori. (Nanni, 2013).
Si può affermare che il maiale, in quanto animale domestico, accompagna l’uomo sin da
tempi molto antichi ed è inserito profondamente nel suo processo evolutivo, infatti il suo
ruolo si è trasformato parallelamente allo sviluppo economico e culturale dell’umanità. Il
processo di domesticazione del maiale si colloca intorno al 4500 a. C. in Cina, dove si ebbe
un cambiamento radicale nello stile di vita delle popolazioni dell’epoca, che passarono da uno
stile di vita caratterizzato da attività di autosostentamento come la caccia e la raccolta di frutti
spontanei, ad uno incentrato sull’agricoltura e l’allevamento. Anche gli antichi Egizi
conoscevano il maiale, ma lo ritenevano il simbolo della siccità e quindi veniva associato al
“male”, anche se il popolo ne faceva grande utilizzo. Nelle popolazioni del medio-oriente
invece c’è chi lo riteneva una creatura immonda (arabi ed ebrei) e chi invece ne apprezzava le
qualità (assiri e babilonesi) (Nanni, 2013).
Così come in Cina, il fenomeno della domesticazione del maiale si diffuse anche in
Mesopotamia con i Fenici, dominatori del mare, che diffusero l’allevamento del suino in tutto
il bacino del Mediterraneo. Infatti si hanno notizie della presenza dei suini, sia nelle opere di
Omero, che nell’Odissea vi accenna con la maga Circe che trasforma i compagni di Ulisse in
maiali, sia tra i romani con l’autore Giovenale, il quale nell’opera “Gli animali da mensa”
mette in risalto il maiale come base dell’alimentazione di facchini e gladiatori. I romani
furono i primi ad utilizzare la salagione e l’affumicamento per la conservazione delle carni di
suino, in quanto grandi consumatori come dimostra l’opera dell’autore Apicio “De Re
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Culinaria”, in cui prevalgono nettamente le ricette a base di carne di maiale rispetto ad altre
carni (Nanni, 2013).
Nel Medioevo i suini venivano allevati allo stato brado nei boschi o nelle foreste, dove
venivano accuditi dal “porcaro”, che aveva il compito di sorvegliarli mentre grufolavano alla
ricerca di ghiande, un alimento molto gradito agli animali. I maiali di quel tempo avevano
dalle zampe molto lunghe, la carne era saporita ed il grasso di buona qualità, il peso di
macellazione si assestava sui 70-80 kg e la loro vita era di due o tre anni circa. Si pensi che, in
quel periodo, il valore delle foreste veniva misurato sulla base del numero di maiali che
potevano ospitare. Dal 1700 in poi l’allevamento suinicolo diventa circoscritto alle sole realtà
poderali, dove gli animali venivano allevati in apposite stalle ed alimentati prevalentemente
con scarti alimentari e ghiande, alla cui raccolta provvedeva l’allevatore, quindi l’allevamento
del suino passa da un sistema semi-brado ad uno estensivo. La presenza del maiale, in questo
periodo, la si riscontra non solo all’interno delle aziende agricole, ma più in generale nella
tradizione della popolazione rurale, che sul proprio pezzo di terra riservava una piccola stalla
per l’allevamento del suino per l’autoconsumo, questo perché la carne di maiale, oltre ad
essere gustosa e ricca di grasso (usato un tempo anche per la frittura), si adatta bene alla
trasformazione, molto importante in un’epoca dove non esisteva la catena del freddo (Nanni,
2013).
Fino alla metà del 1800 in Italia venivano allevati solo suini appartenenti alle razze locali,
molto rustiche e poco produttive, tuttavia a cavallo fra l’unità d’Italia e la prima guerra
mondiale inizia un progressivo processo di miglioramento genetico delle razze suine, ottenuto
prevalentemente con il metodo dell’incrocio, che culminerà con l’importazione di razze estere
nel nostro paese. Verso la metà del ‘900 l’allevamento suinicolo si trasforma ulteriormente
diventando un sistema altamente specializzato e molto produttivo, in quanto gli animali
vengono allevati secondo metodi e tecniche atti a garantire il massimo rendimento in
relazione alle esigenze dei consumatori. Nel 1968 venne istituito per la prima volta il libro
genealogico per le razze Large White e Landrace e successivamente anche per altre razze
come la Duroc e la Pietrain. Al giorno d’oggi negli allevamenti suinicoli vengono utilizzati
degli ibridi commerciali, che tendono a sviluppare al massimo l’accrescimento delle parti del
corpo che forniscono i tagli maggiormente apprezzati dal mercato, si pensi per esempio al
coscio (Nanni, 2013).
Dopo aver fatto un’introduzione storica relativa alla domesticazione del maiale e
all’evoluzione del suo allevamento, è bene soffermarsi sulla situazione attuale in cui versa il
mondo della suinicoltura su scala mondiale, europea e nazionale.
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Secondo i dati riportati dalla FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations)
la produzione di carne suina mondiale nell’anno 2018 è aumentata di circa un +1,4% rispetto
al 2017, con più di 121 milioni di tonnellate di carne prodotta. Il paese leader nella
produzione di carne suina è la Cina con più di 57 milioni di tonnellate, seguita dall’Unione
Europea con oltre 22 milioni di tonnellate, dagli USA con poco più di 11 milioni di tonnellate
e da Brasile, Russia, Canada e Giappone. (Cosmino, 2019).
Figura 1. Produzione di carne suina dei principali leader mondiali del settore (Fonte:
http://www.fao.org ).
Per quanto riguarda i consumi di carne, sempre secondo i dati della FAO, i paesi dove si fa un
maggior utilizzo della carne di maiale sono quelli asiatici (Cina, Indonesia, Corea del Sud)
insieme ad UE, Russia e USA. Tuttavia nei paesi asiatici si riscontra un problema, relativo
alla mancata autosufficienza delle produzioni rispetto ai consumi interni, che impone la
necessità di importare grandi quantità di carne suina da altri paesi. In particolare si evidenzia
il caso della Cina, che nell’anno 2019 ha avuto problemi seri nel settore suinicolo dovuti
all’epidemia della peste suina africana (ASF, african swine fever, o PSA). La PSA è un virus
estremamente pericoloso per la salute dei suini, in quanto causa febbre molto alta, enteriti,
perdita di appetito, vomito, convulsioni ed emorragie, che possono causare la morte
dell’animale. Alle volte gli adulti resistono alla malattia manifestando sintomi di lieve entità o
addirittura non manifestando alcuna sintomatologia, rappresentando quindi una fonte di
contagio per gli animali recettivi. Ad oggi non esiste né una cura efficace contro questo virus
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e neanche un vaccino, dunque la soluzione migliore per contenere i danni è quella di abbattere
tutti i soggetti contagiati e di effettuare un severo controllo sulle importazioni di animali vivi,
sulle carcasse e sui prodotti trasformati (il virus della PSA rimane attivo nel prosciutto anche
per a sei mesi). Ciò d’altra parte ha determinato una sensibile riduzione del numero di animali
macellati (circa un 20% in meno rispetto al 2018), fatto che ha aperto le porte
all’importazione di carne suina dai mercati esteri. In Cina arrivano sia carni fresche che
congelate dall’UE, dal Brasile, che nella parte finale del 2019 ha visto aumentare
progressivamente il numero degli stabilimenti autorizzati all’esportazione di carni suine, e
dagli USA. Per quanto riguarda gli Stati Membri dell’UE, solo alcuni sono autorizzati ad
esportare i loro prodotti in Cina, come accade per la Spagna, la Germania, l’Olanda, la
Danimarca ed altri. Non sono autorizzati tutti quei paesi che non rispettano i requisiti sanitari
imposti dal governo cinese, come è accaduto per esempio nel caso del Canada che ha visto
interrotti i canali delle esportazioni verso la Cina per via dello scandalo della falsificazione
dei certificati sanitari. L’Italia, invece, rispetto ad altri grandi produttori dell’UE è entrata nel
mercato dell’export verso la Cina con un leggero ritardo. Infatti, solamente dal 20 agosto del
2019 le Autorità Doganali cinesi hanno dato il consenso ad alcuni stabilimenti italiani di
esportare carni suine congelate e sottoprodotti della macelleria, come zampetti o code, molto
apprezzati in Cina (Cosmino, 2019; https://www.3tre3.it/ ; Bittante G. et al., 1993).
Nell’Unione Europea il patrimonio suinicolo resta di grande importanza, anche se nel 2018
c’è stata una leggera flessione di circa l’1,2% in meno rispetto al 2017. In particolare si
registra un incremento della popolazione suina in Spagna (+ 2,8%), Francia (+ 2,7%) e Belgio
(+ 1,7%), dall’altra parte invece paesi come Germania (-4,1%), Olanda (-2,9%), Danimarca
(1,5%), Romania (-8,7%) ed Italia (- 0,8%) hanno subito un decremento.