Introduzione
Il business delle multinazionali e i media, in accordo con i goven1anti hanno
contribuito a diffondere nuovi stereotipi e nuovi modelli tesi a identificare la
persona come semplice elemento dal quale trarre profitto. Nuovi bisogni
indotti hanno fatto in modo che la società fosse forzatamente proiettata in
avanti con la conseguenza che si strappassero i legami con le vecchie tradizioni
ed usanze. Il paesano si sente cittadino, il cittadino si sente metropolitano.
Questo capitalismo sfrenato e questa inarrestabile globalizzazione che abbiamo
oggi, sono penetrati anche nelle nostre campagne ben inserendosi nelle nuove
generazioni sempre più <linlentiche che fino a poco più di 50 anni fa i nostri avi
passavano ogni giornata nei campi con la schiena piegata a lavorare cercando di
assicurarsi una qualche sicurezza economica per l'anno successivo.
Queste passate esperienze di vite vissute, sofferte, erano espressione di cosa
realmente fosse il sacrificio; il quotidiano <luro lavoro nei campi eta teso al
raggiungimento del "necessario", a differenza di oggi che ci circondiamo
sempre più di "superfluo" soddisfacendo ogni tipo di vizio e desiderio. In
questo contesto, dove non si contavano le ore di lavoro ma soltanto le forze
residue, dove ci si riteneva soddisfatti se, oltre a mangiare, si era riusciti a
pagare i propri debiti col padrone si inserisce il tema di questa mia Tesi di
Laurea: l'antica e tradizionale lavorazione delle fibre di canapa.
Il nùo interesse per questa particolare fibra risale alla mia infanzia. Fin da
bambino seguivo i nonni che andavano al lavoro nei campi poco distanti da
casa. lJna cosa che mi ha sempre attirato ed incuriosito era una grande buca
scavata nel terreno riempita d'acqua, un macero insomma. Domandavo a cosa
servisse e ogni volta mi venivano raccontati aneddoti diversi ed avvincenti che
ruotavano intorno a quel macero e mi veniva spiegato anche un curioso
procedimento circa una pianta che vi veniva macerata all'interno, la canapa
appunto. Immaginavo solo come potevano andare le cose, fino a quando fui
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portato alla fiera contadina di San Biagio in Padule, piccola frazione di San
Felice sul Panato, dove per la prima volta vidi con i miei ocdù la macerazione,
di cui tanto avevo immaginato. Fui colpito dalla "sfonda.tura" della canapa,
ovvero dal processo mediante il quale venivano tolti. i sassi al <li sopra delle
"zattere" di canapa, per farle riemergere. Mi avevano raccontato del lungo
procedimento per estrarre le fibre tessili dalla. pianta, ma solo allora realizzai
quanto fosse lungo e faticoso quel lavoro ormai scomparso.
La scelta di incentrare questa mia tesi sulle province confinanti di Modena,
Ferrara e Bologna non viene a caso, ma è dettata da radici storiche.
Vanto della fibra di canapa Emiliana è che fosse rinomata e richiesta in tutta
Europa per la sua resistenza e qualità. Nel '500 aumentò la produzione di
cordami e tele di canapa per rispondere allo sviluppo e alle richieste della
marineria. a vela. Si arrivò ai livelli massimi di rustica produzione alla. fine del
XIX secolo, quando la crisi dei prezzi agricoli permise in aggiunta un
vertiginoso aumento dei telai domestici. L'artigianato domestico della fibra di
canapa, che tramite la filatura e la tessitura, da sempre sopperiva ai bisogni
domestici, solo in questo periodo diventa strumento per ottenere un introito
supplementare alle misere entrate del raccolto. La nascita dei consorzi, poi
contribuirono ad aumentate la gestione commerciale della fibra lavorata
incrementando gli scambi tra i vari paesi. Nel XX secolo poi le macchine tutto
cambiarono; i tempi e la fatica si dimezzarono; la quantità prodotta aumentò
sempre più fino ad arrivare agli anni dell'autarchia fascista dove l'enorme
produzione di fibra di pregiata qualità fu celebrata come una "grande vittoria"
dal Regime. L'Italia in questo periodo era la seconda produttrice al mondo
dopo la Russia, e quanto appena detto può far capire quanta fibra si esportasse
dalla nostra nazione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la scoperta del nylon
e l'elezione del petrolio a nuovo elemento di profitto, l'introduzione del
cotone, delle barbabietole e in ultimo delle leggi proibizioniste contribuirono a
decretare per la canapa una veloce scomparsa in un breve arco di tempo. I ,a
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portata del questo fenomeno "canapa" in Italia lasciò inevitabilmente delle
tracce che segnarono la nostra pianura e la memoria di chi la lavorò.
L'estrazione della fibra dalla pianta in Enùlia, conosciuta da quando si ha
memoria della pianta stessa era in realtà un lavoro estenuante e faticoso che
bisognava affrontare per più dì un mese sotto il sole coc(..-nte, immersi in nubi
di polvere o nel puzzo e nell'acqua marcia del macero, divorati dalle zanzare e
vessati dal padrone. Pino all'introduzione dei primi mezzi meccanici sul finire
dell'800 questa lunga serie di processi eta eseguita con la sola forza delle
braccia. In molte zone poi l'introduzione di queste macchine è stata lenta e ha
stentato a diffondersi, ragione per cui qualche anziano, oggi parecchio in la con
gli anni, ha visto con i propri occhi o gli è stato raccontato, questo antico
procedimento che per lunghi secoli si è mantenuto intatto. Possiamo a tal
riguardo parlare di una vera e propria "tradizione" che si è conservata intatta e si
è tramandata di padre in figlio permettendo alla produzione rustica di canapa di
crescere sempre più in tennini di quantità prodotte e terreni a coltivo.
Questa è stata la mia ipotesi di ricerca che mi ha accompagnato per tutta la durata
dd mio lavoro. Per poter andare a verificare quanto da me sostenuto ho
dovuto fare ricorso a vari tipi di fonti. Le fonti orali, le fonti storìco
bibliografiche, e l'analisi dei reperti di cultura materiale custoditi attualmente
nei musei, si sono rivelati i documenti indispensabili per la dimostrazione della mia
ipotesi. In primis, un'analisi metodowgjca e antropolo.f!ica mi ha permesso di capire
come utilizzare le fonti a mia disposizione e come sviluppa.re la mia ricerca sul
campo. Ho sviluppato quindi uno studio teorico e metodologico sulla cultura
materiale, sulla strnmentazjone, sull' e,gologja ovvero sul lavoro in quanto
successione di fasi esecutive pratiche. Questo studio mi ha fornito alcune
"coordinate" di analisi che mi hanno accompagnato per tutto il lavoro,
fornendomi anche un retto "binario" da seguire.
Sempre nuovi aspetti e prospettive di analisi emergevano infatti durante lo
studio teorico generale, aspetti che meriterebbero comunque grande attenzione
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da parte dell'antropologia culturale italiana e che in passato sono stati trattati di
rado. Mi riferisco nel mio caso alle relaziorù sociali che si instaurano ad
esempio intorno agli oggetti cd agli attrezz~ l'interazione fisica e mentale
dell'uomo con gli oggetti del passato e del presente, oppure le dinamiche e le
origini che stanno dietro ad un determinato gesto lavorativo.
Purtroppo in questa Tesi, gli elementi sopra citati non sono stati approfonditi
per evitare di dilungare troppo l'elaborato e pet evitare il rischio di incorrete in
errate generalizzaziorù la dove sarebbero richiesti, interventi di discipline
specialistiche come sociologia o neuropsicologia. Ciò non toglie che se questi
nuovi elementi fossero analizzati nello specifico, sono convinto che sarebbe un
utile contributo a spiegazioni di carattere storico-antropologico. Non credo
con ciò, debbano nascere ulteriori filoni di ricerca (già numerosi), trul ritengo
che sia necessario solamente un maggior dialogo a sfondo critico tra i tanti già
esistenti.
Prima ho parlato di "binario"; riprendo quanto pnma detto e proseguo
dicendo che i miei documenti s1 possono dividete in _fonti orali, fanti storico
bibliogrcifìche e rperti museali.
Il mio lavoro è iniziato dalle fanti 1torico-biblwgrqftche; dopo aver recuperato ed
esaminato una ventina di libri specifici sulla lavorazione canapicola emiliana, ne
ho costruito una bibliografia ragionata dove ne do in breve i contenuti e un mio
commento critico sull'attinenza o meno alla mia Tesi. Questi testi in ogni
modo hanno costituito ottima fonte di notizie storiche e fotografie (le tavole
settecentesche de "il canaplf)o" e il "dizjonan'o delle arti e de mestieri'' hanno
contribuito senza dubbio ad avvalorare la mia ipotesi) e in alcurù casi, come ad
esempio il testo di Romagnoli, contribuivano a fornire un contesto 1torico e sociale
in cui si sviluppò la lavorazione della fibra di canapa.
In secondo luogo le fonti orali reperite nei testi bibliografici e tramite interviste
hanno costituito un documento importante per cogliere anche aspetti locali e
paesani relativi all'area di ricerca. Le donne intervistate maggiormente
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divagavano rispetto agli uomini raccontandomi episodi e contesti sociali; eta
più frequente da loro sentire nonù di persona, nomi cli luoglù e precisi
.riferimenti locali. Gli uonùni invece erano più dettagliati nella descrizione dei
procedimenti tecnici e manuali, più minuziosi e meno rendevano l'aspetto
contestua.le e sociale in cui si viveva e si lavorava allora.
In ultimo il lavoro con i documenti museali si è rivelato molto utile nella verifica
dell'utilizzo tradizionale dì detenninati strumenti ed attrezzi, oltre a contribuire
in modo ottimale allo studio sulla cultura materiale degli oggetti stessi. Gli
attrezzi e gli oggetti, riguardanti l'antica lavorazione canapicola, contenuti nei
vari musei contadini dell'Emilia orientale, sono stati da me fotografati per
essere utilizzati come valido supporto alle mie asserzioni
Questi tre tipi diversi di documenti sono stati da me incrociati e messi Ul
corrispondenza per verificare la mia ipotesi di partenza e per trovare le dovute
analogie. Vecchie e nuove fotografie, vecchie e nuove testimonianze dovute al
ricordo di tempi passati hanno fatto in modo che la mia ipotesi verusse
avvalorata durante il susseguirsi dei quattro capitoli che trattano dalla
preparazione del terreno, fino alla confezione delr abito in filo di canapa.
Questo lavoro di raccolta di documenti ha fatto nascere la volwninosa sezione
in appendice. Lo studioso di cultura materiale, lo storico muscalista o
semplicemente il curioso vi troveranno tutte le foto degli oggetti da me visti nei
vari musei, insieme a sette preziose interviste riguardanti la lavorazione
canapicola tradizionale (con inevitabili digressioni su quella meccanica) e la
bibliografia ragionata precedentemente menzionata. Spero che tutto cìò possa
costituire viva consultazione e documentazione per la conservazione della
memoria attraverso le future generazioni; o solamente a titolo di sola curiosità.
Nel primo capitolo, come sopra ho preannunciato, ho descritto le fonti e gli
strumenti metodologici con considerazioni teoriche generali e delineando
indirizzi di ricerca antropologici. ·
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Nel secondo capitolo, il più ricco di storia, ho descritto il contesto sociale,
abitativo e lavorativo in cui veniva condotta l'estrazione delle fibre di canapa.
In conclusione del capitolo ho dedicato ampio spazio alla storia della
lavorazione della canapa evidenziando, quando potevo, possibili antecedenti
processuali rimasti invariati.
Nel terzo capitolo, concretamente, col supporto della cultura materiale, ho
descritto tutto il tradizionale procedimento di lavorazione ed estrazione delle
fibre di canapa dal fusto. Le esperienze di vita degli intervistati prendono voce
sia per avvalorare l'ipotesi dì partenza sia per un arricchimento documentario
della Tesi.
Il quarto capitolo tratta la lavorazione domestica delle fibre di canapa dalla
"pettinatura" alla tessitura. Sono sempre presenti stralci di interviste ad
avvalorare l'ipotesi che quelle descritte siano pratiche tradizionali e sedimentate
nella pratica comune e nella memoria da tempo.
Questa memoria purtroppo si sta spegnendo insieme ai suoi vecchi detentori.
Questo mio lavoro, tramite una lettura in chiave antropologica e utilizzando i
reperti di cultura materiale ancora oggi presenti, vuole essere un piccolo tributo
alle fatiche alle soddisfazioni, alle tribolazioni, ma anche ai passati momenti di
festa, di una civiltà passata, che ancora giacciono nei visi, negli occhi, e nelle
mani segnati dal tempo. Non ho saputo fa.re a meno di riportare alcuni stralci e
modi di dire dialettali, per non perdere il sapore della testimonianza e per
cercare di riprodurre la genuinità che contraddistingueva la civiltà contadina. La
mia speranza è che questo scritto non rimanga lettera morta, ma possa
contribuire a propagare la memotia e alle giovani generazioni. Solo ricordando
le nostre radici, portando la fierezza delle nostre origini e la consapevolezza
degli sforzi fatti dai nostri avi, potremmo apprezzare veramente ciò di cui oggi
disponiamo.
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Capitolo Primo
Fonti e strumenti metodologici per una ricerca sulla cultura materiale
1.1 Considerazioni teoriche generali e indirizzi di ricerca
11 soggetto umano fin dai tempi più remoti, ha agito sull' ambiente circostante. ln.i'l.ialmcntc,
cacciando, creandosi rifugi, per arrivare ai giorni nostri in cui utilizza treni ad alta velocità e si
sposta in tutto il mondo in tempi irrisori.
L'ambiente naturale gli si è sempre presentato sotto una fonna ambivalente: amico dell'uomo
perché gli forniva gli elementi per il proprio sostentamento e i materiali grezzi del lavoro
umano, ma anche nemico perché nascondeva insidie, pericoli e forze ostili.
Data questa premessa bisogna considerare che l'uomo è una specie animale, sottoposta a
bisogni elementari (nutritivi, igienici, riproduttivi) che devono essere soddisfatti affinché la
specie sopravviva. Il soddisfacimento dì questi bisogni (fisiologici e spirituali) avviene
attraverso la costruzione di un ambiente secondario o artificiale. Questo ambiente secondario,
è fonnato da edifici, artefatti, attrezzi per ogni tipo dì lavoro, armi, mezzi dì trasporto,
accessori liturgici per la magia e la religione, insomma il comdo materiale dell'uomo, l'aspetto più
visibile della cultura. Nella produzione di questo corredo materiale è però necessaria una
conoscenza, connessa con i meccanismi di carattere educativo, che a loro volta derivano da
regole religiose ed etiche. L'utilizzazione degli attrezzi, il lavoro comune e il godimento
collettivo dei suoi risultati si fonda su un determinato tipo dì organizzazione sociale. Quindi
all'interno della cultura materiale rientrano anche la conoscenza intellettuale, l'organizzazione
sociale, il linguaggio e i vari sistemi di valori morali, spirituali od economici. In altri termini il
corpo umano e i processi nervosi vengono adattati, attraverso l'uso di attrezzi, alla particolare
abilità tecnica; la conoscenza di certi procedimenti tecnici è strett.amcnte legata
all'apprendimento di termini specifici e tecnici; lo sviluppo del senso dì appartenenza al gruppo
sì accompagna con l'acquisizione di un vocabolario sociologico e di un linguaggio elaborato; l'
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esperienza di valori religiosi e morali si accompagna allo sviluppo di formule rituali ed etiche.
Da quanto appena enunciato si può dire che la cultura
«è un'unità ben organizzata distinta in due aspetti fondamentali - un corpo di prodotti e un
sistema di costumi» (Malinowski, in Rossi, 1984, 141 ).
L'antropologia ha analizzato questo tema avvalendosi di due concezioni Jclla storia della
cultura differenti La scuola evoluzionistica sosteneva la divisibilità della cultura in elementi
semplici, considerando questi elementi come varie unità dello stesso ordine. Sosteneva anche
che le istituzioni della cultura umana non fossero mutate a causa di modificazioni radicali, ma
attraverso una progressiva differenziazione delle varie funzioni. Si comprende come l'indagine
sull'evoluzione dovrebbe quindi essere preceduta da un'analisi funzionale della cultura. Una
critica analoga è da apporre alla scuola diffesionùtica, la quale nega l'importanza dell'evoluzione
spontanea e afferma che
«le culture si sono prodotte principalmente per imitazione o per assimilazione di artefatti e di
costumi» (Malinowski, in Rossi, 1984, 141).
Il problema della diffusione storica è presentato dall'emergere di tratti o complessi di tratti
identici, in apparenza o in realtà in aree diverse. Se quindi è valido che
«la cultura consiste tanto in un corpo di beni e di strumenti quanto nel costumi e nelle
abitudini corporee o intellettuali che operano direttamente o indirettamente ai fini della
soddisfazione dei bisogni umani» (Malinowski, in Rossi, 1984, 141 ),
i.I carattere dinamico degli elementi culturali richiede lo studio della funzione culturale.
L'antropologia fimzjonale verte appunto sulla funzione delle istituzioni, dei costumi, degli
strumenti e delle idee. Il processo culturale è soggetto a leggi e le leggi devono essere cercate
nella funzione degli dementi reali della cultura. Il funzionalismo si rivela quindi il metodo di
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studio più appropriato ai fini di una ricerca sulla cultura materiale, è rilevante per lo studioso la
diversità delle funzioni, non l'identità della forma, di uno stesso oggetto presente in contesti
culturali differenti.
Oggetto e cultura materiale. Sempre parlando dell'oggetto materiale, le sue caratteristiche
sono determinate dalla tecnica d'impiego e dall'uso a cui esso è destinato. Di fondamentale
importanza è l'aspetto sociologico dell'oggetto materiale: esso può coinvolgere più soggetti,
creare rcla.zioni con altri, coinvolgere quindi il gruppo sociale o il singolo individuo;
interessante è la definizione che dà Evans-Pritchard di oggetto materiale:
«gli oggetti materiali sono considerati "catene" sulle quali si agganciano le relazioni sociali e
sulle quali si avvolgono le percezioni importanti della esistenza>> (Evans-Pri.tchatd 1940, 89).
Possiamo dedurre quindi, in conclusione, come l'oggetto non sia un semplice prodotto della
manualità umana, ma porti implicite una serie di elementi che lo rendono un «segnale di
relazjom:» (Destro, 2001, 140). L'oggetto è legato alle relazioni sociali, all'ambiente, e
rappresenta anche concetti lel mondo fisico e biologico.
Gli oggetti come "prodotti umani" sono al centro dell'analisi del testo di Appadurai Arjun
intitolato The socia/ /ife oJ things. Lo studioso parte dalla considerazione che gli oggetti non hanno
significato se non quello che gli è attribuito dalle transazioni, attribuzioni e motivazioni umane.
Sostiene proseguendo che «questa verità formale non illumina la concreta circolazione storica
degli oggetti» (Appadurai, 1986, 5, t.d.a.). Fulcro della sua esposizione è che
«dobbiamo considerare gli oggetti in se stessi, per il valore che è inscritto nella loro forma, nel
loro uso, nelle loro traiettorie [ ... l Da un teoretico punto di vista gli attori umani decodificano
gli oggetti con significato, da un punto di vista metodologico è la mozione delle cose che
illumina il loro contesto umano e sociale» (Appadurai, 1986, 5, t.d.a.).
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