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generale dell’approccio socio-cognitivo di stampo europeo, mettendo in
evidenza come, tanto la particolare teoria, quanto l’ottica teorica di
riferimento, mostrino una specifica tendenza a ricercare nelle dinamiche
simbolico-relazionali alla base delle interazioni sociali e nelle esperienze
passate di socializzazione dei singoli individui in cui tali dinamiche sono
emerse e sono state apprese ( a qualsiasi livello queste si situino:
familiare, pedagogico, gruppale, categoriale,...), il punto di partenza per la
strutturazione delle modalità cognitive individuali, che, a loro volta
interverranno nella selezione e costruzione dei significati da attribuire alle
esperienze, alle relazioni, agli eventi sociali ( in due parole alle
“rappresentazioni sociali” della realtà, di cui parla Moscovici, 1976 ),
attraverso un meccanismo ciclico ai cui poli possono situarsi le
rappresentazioni sociali appunto ed i processi cognitivi individuali.
Tra le modalità cognitive individuali una importanza primaria
sembra ricoprirla, nell’ottica sopra esposta, un insieme di costrutti elaborati
e studiati in uno specifico filone di ricerche che si può far rientrare sotto il
nome di “psicologia del controllo” (Dubois, 1987), e tra questi quello che
ha dato il via a tale settore di studi: il costrutto di “Locus of control ” ( da
qui in avanti: LOC ), proposto da Rotter nel 1966, e di cui si tratterà
ampiamente nel secondo capitolo.
Nel seguito del lavoro si punteranno ad evidenziare i legami di tale
costrutto con le modalità individuali-sociali di costruzione di specifiche
rappresentazioni ( vedi capitolo 3 ).
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In particolare, dopo una disamina dei principali strumenti per la
misurazione e la valutazione, sia del LOC che delle rappresentazioni
sociali ( capitolo 4 ), si cercherà, utilizzando due di questi strumenti
specifici, recentemente messi a punto per la rilevazione: da una parte
delle rappresentazioni sociali, attraverso le “trame associative” ( De Rosa,
1995), dall’altra del LOC, inteso in un senso e con riferimento a contesti
più specifici e concreti rispetto alla modalità più generale con cui lo
intendeva Rotter, attraverso la “scala di LOC lavorativo: scala LOC-L”
(Argentero-Vidotto, 1994), di sottolineare il legame tra LOC e
rappresentazione del cliente in operatori del settore turistico-alberghiero,
in un contesto in cui i rapporti tra: modalità soggettive di considerare la
controllabilità o non-controllabilità delle conseguenze delle proprie azioni,
la propria attività operativa, cioè il servizio al cliente, i risultati di questa in
termini di soddisfazione/insoddisfazione del cliente stesso, i feedback
derivanti da tali risultati e la rappresentazione che tali operatori si
costruiscono del loro cliente, si ipotizzano essere significativamente
correlati ( vedi capitolo 5 ).
A conclusione di questa introduzione ritengo quantomai opportuno
rivolgere un sincero ringraziamento a chi ed a quanti hanno reso possibile
la realizzazione di questo studio, prima tra tutti la Prof. Cristina
Zucchermaglio, per la disponibilità, per gli utili consigli sia nella fase di
preparazione, che di realizzazione, che, infine di verifica, e per il sostegno
offertomi nel corso di questi due anni di lavoro; ringrazio il Prof. Giulio
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Vidotto dell’Università di Padova, per avermi gentilmente fornito
informazioni e materiale sulla “Scala LOC-L” ; così come la Prof.
Annamaria Silvana De Rosa dell’Università La Sapienza di Roma, per
avermi concesso l’uso dello strumento “Trame Associative”; un
ringraziamento particolare a tutti coloro che, all’interno della catena
Roscioli Hotels, hanno reso possibile la raccolta dei dati, dal Dott.
Giuseppe Roscioli, mio primo contatto nell’organizzazione, per la
disponibilità dimostrata ; alla Dott.
essa
Annalisa Roscioli, per la gran mole
di informazioni fornitemi, per aver organizzato la distribuzione dei
questionari e per avermi dato retta ; grazie a tutti i dipendenti della Roscioli
Hotels per aver risposto ai questionari, fornendomi i preziosi e puntuali dati
usati per le analisi statistiche ; infine un ringraziamento di cuore a chi ha
permesso tutto ciò, alla mia famiglia, per il sostegno economico, ma
soprattutto morale, per le gratificazioni e per l’affetto di cui è capace; a
Gabriella, per tutto.
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_ Capitolo 1 . L’approccio socio-cognitivo
e la teoria delle
rappresentazioni sociali.
- 1.1 L’approccio socio-cognitivo.
- 1.1.1 Approccio europeo vs. approccio statunitense alla
social-cognition.
Il termine social-cognition da molti anni, oramai, identifica un filone
di ricerche estremamente prolifico ed interessante nell’ambito della
psicologia sociale, centrato sull’analisi dei rapporti tra dinamiche sociali e
processi cognitivi.
La nascita dell’approccio socio-cognitivo è riconducibile all’ambito
statunitense, un ambito cioè che affonda le sue radici in una tradizione
scientifica di stampo comportamentista, la quale ha influenzato non poco
lo sviluppo della social-cognition, improntandone le fondamenta ad una
visione individualista del comportamento umano, attribuendolo
primariamente a processi intraindividuali e presociali. In questa ottica la
società non poteva che essere considerata come un semplice aggregato
di individui tra i quali intervengono relazioni interpersonali fondate
esclusivamente sui processi psicologici individuali.
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Un’ottica del genere non fu considerata soddisfacente da una
grande quantità di studiosi, i quali propendevano verso modalità di
interpretazione e di spiegazione del comportamento basate su di una
prospettiva più propriamente ed autenticamente sociale. In questo ambito
prese le mosse quello che venne definito l’approccio europeo alla social-
cognition .
L’approccio socio-cognitivo europeo non fa riferimento ad un’unica
tipologia di studi, ma ad un insieme di indagini afferenti ad ambiti diversi
tra loro: dalla psicologia dello sviluppo alla psicologia della
personalità,dalla psicologia sociale alla psicologia generale, tutte però
appaiono accomunate da un unico orientamento di fondo centrato sulla
critica al behaviorismo ( Ugazio, 1988 ).
Questo approccio europeo ruota intorno a due assunzioni
fondamentali che concorrono a differenziarlo dalla corrente statunitense:
1) Una visione interazionista dell’attore sociale, che prende le
mosse dalla teorizzazione di Mead ( 1934, trad. it. 1966 ),
secondo cui l’esperienza del soggetto si costruisce ed ha
significato entro i gruppi sociali di cui egli fa parte; attraverso le
interazioni sociali che intervengono nella sua esperienza,
l’individuo struttura sia i processi cognitivi individuali, sia l’
interpretazione delle varie configurazioni sociali di cui è parte o di
cui viene a conoscenza.
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2) Una considerazione della società come un tutto organizzato (
Amerio,1982 ). Scompare quindi la visione generica del sociale
prospettata dalla social-cognition americana, e si definisce un
concetto di società come articolazione e stratificazione di gruppi
e sottogruppi gerarchicamente organizzati, con valori, ideologie e
norme di comportamento frutto del percorso storico che l’ha
portata al momento presente.
Da questa visione della società non può che trarsi un concetto di
individuo, e del relativo comportamento, che non può essere considerato
indipendentemente dal particolare gruppo e dalla specifica posizione che
questi occupa nella società, perché è attraverso tale posizione, attraverso
l’acquisizione di un sistema di rappresentazione della realtà specifico del
gruppo di appartenenza e del particolare nodo in cui si è inseriti all’interno
della rete di relazioni sociali che si stabiliscono, che l’individuo da’
significato al mondo che lo circonda.
A tal fine Doise ( 1980 ) sottolinea la necessità di elaborare dei
paradigmi sperimentali capaci di operare proprio su questo bagaglio di
rappresentazioni, repertori comportamentali, sistemi di valori, di cui i
soggetti sono portatori, all’interno della situazione sperimentale, in virtù
della loro posizione all’interno della società, del loro “status di cittadini”.
Le ricerche sulla cognizione sociale di stampo prettamente
americano, finivano, a causa dell’approccio individualistico sul quale si
basavano, per ridursi al tentativo di rendere conto di come le persone
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percepiscono e danno significato alle altre persone ed agli eventi sociali (
Ugazio, 1988 ). La maggior parte delle ricerche in questo senso, prende le
mosse dalla “teoria dell’attribuzione” ( per una rassegna, De Grada-
Mannetti, 1988; Fiske-Taylor,1984; Arcuri, 1985 ), si punta cioè a dare
conto di come i soggetti spiegano il loro e l’altrui comportamento, in termini
di causalità.
Questi studi, in linea con la teorizzazione di Kelley ( 1967 ),
assumono l’individuo come “scienziato ingenuo”, che adotta procedure di
stampo statistico per l’analisi delle cause dei comportamenti sia propri,
che degli altri. Queste procedure sarebbero attivate dalla necessità di
mantenere un controllo sulla realtà; l’attivazione e l’uso di tali pratiche,
secondo gli autori che si rifanno a Kelley ( 1967 ), potrebbe subire solo dei
disturbi da parte di fattori e variabili di tipo sociale ed emotivo, alla base
degli errori più comuni nell’analisi ingenua della causalità
Uno sviluppo in senso ancor più intraindividuale in questo settore di
studi, si ha in una serie di ricerche rifacentesi al paradigma, tratto dalla
psicologia sperimentale, dello “human information processing”, in cui
l’interesse principale è rivolto a capire quali strutture cognitive, preesistenti
alla vita sociale, l’individuo adotti per elaborare le informazioni provenienti
dall’ambiente, relative ad oggetti sociali ( sono gli studi che portano alla
teorizzazione sugli scripts, gli schemi, le categorie, intese come entità
obiettive, immodificabili e connesse alla struttura più profonda della mente
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umana. Palmonari, 1987 ), e come queste contribuiscano ad articolare la
conoscenza del sociale.
Appare intuitivo come in questa evoluzione degli studi di social-
cognition, il ruolo delle variabili sociali ed emotive appaia ancora meno
rilevante, se non addirittura del tutto assente; il soggetto, in questi studi, è
concepito come un “economizzatore di risorse cognitive” e come un
“costruttore del proprio mondo sociale” ( Ugazio, 1988 ), errori intervenienti
in questa attività possono essere attribuiti, non solo a fattori sociali ed
emotivi, ma a semplici caratteristiche della mente umana. Ne consegue
una assoluta inconsistenza ed ininfluenza supposta, delle interazioni e dei
processi sociali, nella costruzione della conoscenza sociale e dei repertori
comportamentali. Per di più, in tale ottica la costruzione della conoscenza
sociale non viene affatto differenziata da quella della conoscenza non-
sociale, per cui non solo non si prende in considerazione l’importanza
delle interazioni e delle influenze sociali, ma si considerano allo stesso
modo conoscenze sociali e non, negando quindi la particolarità e la
certamente maggiore complessità delle prime: le persone verrebbero
percepite allo stesso modo degli oggetti inanimati.
A questa concezione dell’uomo proposta dall’approccio statunitense
alla social-cognition, l’ottica europea contrappone una visione
dell’individuo come “attore della vita quotidiana” ( Palmonari, 1987),
considerando l’attività di costruzione e di strutturazione della realtà come
un processo esposto all’influenza imprescindibile del sistema di potere, del
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sistema di valori, di norme e di ideologie di cui si è fornita e che governa la
cultura del gruppo e/o dell’ intera società in cui l’individuo è inserito.
E’ riconosciuta in questa ottica la circolarità del processo di
influenzamento tra società, ed interazioni che in questa hanno luogo, e
processi cognitivi individuali, tanto i primi contribuiscono in maniera
determinante alla strutturazione dei secondi, quanto i secondi orientano
soggettivamente l’organizzazione della realtà sociale ( Ugazio, 1988 ).
In questo quadro teorico, l’approccio europeo alla social-cognition
orienta il suo precipuo campo di indagine allo studio delle determinanti
sociali che orientano la definizione dei processi cognitivi individuali,
considerando non solo i processi più semplici ( percezione, memoria,... ),
ma piuttosto i processi più complessi che portano alle rappresentazioni
sociali, ai sistemi di credenze condivise, alle teorie implicite, dalle quali
tendono a dipendere gli stessi processi cognitivi di base. Questi processi e
strutture sono considerati, malgrado non si escluda l’influenza di alcune
caratteristiche di personalità proprie del singolo soggetto e delle sue
esperienze precedenti, principalmente frutto della particolare posizione del
soggetto nel sistema sociale, dei sistemi di relazione che egli ha stabilito
all’interno ed all’esterno del o dei gruppi di cui fa parte, e dai quali ha tratto
le linee portanti del suo modo di rappresentarsi la realtà sociale e le entità
che la abitano.
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- 1.1.2 Costruttivismo ed interazionismo nell’approccio europeo.
Un elemento costituente di entrambi gli approcci alla social-
cognition, sia di quello statunitense ( soprattutto nell’ottica dello “human
information processing” ) che di quello europeo, è rappresentato dalla
comune prospettiva costruttivista, adottando la quale, non solo l’individuo
viene ad essere concepito come agente attivo del suo comportamento
( quindi non come un sistema che reagisce semplicemente agli stimoli
ambientali ), ma soprattutto la realtà perde i suoi connotati di oggettività ed
unicità e diviene un’ entità volubile, le cui caratteristiche sono definite, di
volta in volta, dal singolo individuo che la percepisce e che con lei
interagisce ( Ugazio, 1988 ).
Ogni osservazione della realtà non può essere indipendente
dall’osservatore, dal sistema di norme e dalle modalità di categorizzazione
che questi stabilisce di applicare in ogni specifica circostanza percettiva e
rappresentativa. Prove sperimentali a suffragio di questa posizione
giungono ad esempio dagli esperimenti di Cantor e Mischel ( 1977 ), i
quali evidenziano come nella selezione delle informazioni le persone
adottino uno specifico schema che gli è proprio e che tende ad essere
utilizzato anche in fase di recupero mnestico di tali informazioni, con la
conseguenza che spesso vengono rievocate informazioni assenti dal
materiale presentato, ma coerenti con lo schema utilizzato ( Ugazio,
1988).
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Altre prove giungono dagli studi di Chapman e Chapman ( 1967;
1969 ) in cui si evidenzia il fenomeno delle “correlazioni illusorie”, frutto
della creazione, da parte degli individui, di particolari relazioni, spesso del
tutto immotivate, tra le informazioni che essi raccolgono. Tali relazioni, una
volta stabilite, continueranno ad essere accreditate dai soggetti malgrado
nuove esperienze e prove empiriche possano smentirle ( Ugazio,
1988 ).
Ancora su questa strada si muove la spiegazione data da Moscovici
( 1982 ) del cosiddetto “errore fondamentale” ( per cui le persone
tenderebbero ad attribuire le cause del comportamento a fattori
disposizionali, quindi propri del soggetto, piuttosto che a fattori situazionali
e contingenti ), secondo l’autore infatti, tale “errore” non sarebbe il frutto di
una distorsione nelle modalità cognitive umane, quanto piuttosto della
corretta applicazione di una rappresentazione della realtà sociale ( di una
“rappresentazione sociale” ) che, nella società occidentale, è
“personalizzata”, centrata cioè sulla responsabilità soggettiva; Dubois (
1987 ) parlerà a tale proposito di “norma d’internalità”.
Queste ricerche e molte altre, mostrano come le persone
costruiscano la realtà sociale attraverso una molteplicità di processi, e
come detto, questa ottica è condivisa tanto da coloro che si rifanno
all’approccio europeo alla social-cognition, quanto da coloro che si
riferiscono all’approccio statunitense; a questo punto però le strade dei
due approcci si separano: l’approccio europeo associa al paradigma
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costruttivista il paradigma “interazionista”, attraverso il quale si sottolinea
come la realtà sociale sia costruita dall’individuo non tramite processi
cognitivi intraindividuali, ma attraverso “l’assorbimento” della cultura, del
sistema simbolico e valoriale proprio del o dei gruppi sociali di cui egli fa
parte, che contribuiranno a definire le modalità cognitive individuali. Si
parla quindi di “costruttivismo sociale” in opposizione al “costruttivismo
individuale” dell’approccio statunitense.
- 1.1.3 La socio-genesi delle modalità cognitive.
L’origine della teorizzazione sulla associazione tra interazionismo e
costruttivismo è rintracciabile nel pensiero di Mead ( 1934 ), di Vygotskij (
1956; 1960 ), di Piaget ( 1932; 1975 ), malgrado di quest’ultimo si critichi
la scelta di aver concepito il costruttivismo nello sviluppo cognitivo, come
frutto dell’attività di interazione del bambino più con oggetti inanimati che
con gli adulti significativi e con i pari. Quindi, proprio con l’intento di
“socializzare” il costruttivismo piagetiano, sono stati sviluppati una
molteplicità di studi ( Bruner, 1975a; 1975b; 1977; 1981;1982; Kaye, 1977;
1980a; 1980b; 1980c; 1982a; 1982b; Doise-Mugny, 1981; per una
rassegna Emiliani-Carugati, 1985 ) volti a dimostrare la “sociogenesi” dei
processi cognitivi, il fatto cioè che attraverso il tipo di interazioni con i
genitori, gli adulti significativi ed i pari, si costruiscano e si strutturino i
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processi cognitivi che permettono al bambino di acquisire le capacità e gli
schemi linguistici e senso motori ( Ugazio, 1988 ).
Attraverso poi le interazioni sia con gli adulti che con i pari, in
epoche successive che Piaget definisce stadi pre-operatorio ed operatorio,
tramite un “conflitto socio-cognitivo” ( Doise, 1981 ), il bambino è portato
ancora ad evolversi cognitivamente, in risposta ad una situazione sociale
in cui, chi interagisce con lui, esprime un punto di vista diverso dal suo in
riferimento ad uno stesso compito o ad una stessa situazione.
Le conclusioni a cui questo insieme di studi portano, assumono una
connotazione uniforme e specifica che si concretizza nel considerare lo
sviluppo e l’acquisizione dei processi cognitivi individuali, come il risultato
delle interazioni sociali cui l’individuo, in vario modo, sin dalla primissima
infanzia è esposto. A partire da queste interazioni il soggetto giunge alla
costruzione di un universo di azioni e di significati condivisi, si è quindi di
fronte ad un processo circolare in cui le relazioni sociali orientano e
strutturano i processi cognitivi, allorchè questi ultimi permettono la
definizione e l’attribuzione di significato alla realtà sociale ed alle relazioni
che in questa si instaurano.