armoniosa e, al tempo stesso, la migliorano. Ciò ci porta a sentire più tardi la fatica. Lo
psicologo dello sport sopracitato C. Karageorghis ha elaborato, infine, colonne sonore
che hanno gli stessi effetti di molte sostanze illegali usate dagli atleti per eccellere nelle
varie discipline sportive. “Numerosi atleti – ha dichiarato – utilizzano la musica come se
si trattasse di una droga legale. Generalmente, ritmi trascinanti hanno un effetto
stimolante, mentre melodie più lente riducono l’eccitazione”. Così, la musica si trasforma
in un grande alleato per trarre il meglio dall’attività fisica: acquisire maggiore
motivazione e migliorare la preparazione mentale per ottimizzare la performance
individuale.
3. La Voce: una legatura di valore fra i corpi
La voce possiede un valore identitario rilevante, in quanto riflette la personalità di ogni
individuo. Ci permette di esprimerci, senza inganni, di relazionarci e confrontarci con gli
altri; permette di mettere a nudo la nostra individualità, unica nel suo genere; permette
anche di mettere in musica quello che si è, cantando. Cantare può divenire una scoperta
di sé; consiste nell’andare a cercare fino a dove si è e che cosa si può ancora
potenzialmente essere. Nel cantare si suona completamente il nostro primo strumento
musicale: il nostro corpo. Analogamente uno strumento musicale emette il suo suono
grazie alla cassa armonica di cui è costituito. Cantando, il nostro corpo vibra in tutte le
sue parti coinvolte: scheletro, muscoli, pelle, faccia, polmoni. Cantare diventa un
esercizio motorio benefico per i nostri organi interni e i nostri apparati.
La voce possiede una funzione psicologica e sociale: è strumento di contatto simpatico –
empatico con l’altro, di interazione, di risoluzione dei conflitti, di rispecchiamento e
conferma di sé, di piacere, di autocompiacimento (De Colle, 2014). Arrivare al cuore
delle persone con la propria voce, fino a toccarlo e produrre uno stato emozionale nel
nostro interlocutore, è davvero un atto magico, senza precedenti. La voce, in tutte le sue
forme fa vibrare sia il nostro corpo, ma scuote le corde di quello altrui. Essa genera una
“legatura di valore” fra le nostre materie corporee, i nostri cuori, come se questo
accadesse fra le note di un pentagramma. La voce è, infatti, sempre e comunque, un atto
di relazione, perché è espressione di un bisogno, la soddisfazione di un desiderio, il
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veicolo per portare all’esterno ciò che rimarrebbe solo interno. Non a caso S. Agostino
sentiva che “Chi canta prega due volte”, proprio perché cantare serve a confortare e
lodare la nostra vita, come dono della Creazione. Verranno trattati di seguito le
particolarità comunicative della voce materna e del suo canto, durante la gestazione e
nella vita postnatale.
3.1 Voce e canto nella vita prenatale
L’elemento sonoro-musicale insito nella nostra voce possiede poteri straordinari durante
la gravidanza. Gli studi scientifici hanno dimostrato che il feto in gestazione percepisce i
suoni ancor prima che si sviluppi completamente il suo sistema uditivo (Partanen et al.,
2013). L’apparato uditivo inizia a svilupparsi dalla terza settimana e completa la sua
crescita nel quinto mese di gestazione. I primi suoni con i quali il bambino entra in
contatto, percependoli confusi, sono le voci di entrambi i genitori, filtrate dal liquido
amniotico. I toni e i timbri di mamma e papà con le loro differenze raccontano una storia,
tradotta in musica, attraverso la melodia della loro voce. Il piccolo percepisce i rumori
interni alla madre: i suoi borborigmi intestinali, il suo battito cardiaco, il ritmo del flusso
sanguigno, il suo respiro, il suono dei suoi processi enzimatici e digestivi etc.
È possibile affermare che il ritmo binario del battito cardiaco, i movimenti di inspirazione
ed espirazione, il suono dell’acqua, legato al liquido amniotico, sono alcuni elementi
dell’ISO universale (Caterina, 2014, pag. 59). Percepisce, inoltre, anche i rumori esterni
al corpo materno: la voce del papà, la musica ascoltata, i rumori ambientali come il
traffico, il suono dei clacson, il treno che passa, ecc. Il liquido amniotico possiede una
funzione rilevante: secondo gli studi condotti da A. Tomatis, otorinolaringoiatra francese,
esso eliminerebbe le frequenze troppo gravi che, presenti in utero, potrebbero disturbare
il feto.
Inoltre, possiamo considerare che il punto di massima risonanza della voce materna sia
situato sulla spina iliaca della madre stessa, ossia una struttura ossea che si trova nel
bacino materno, il quale funge da amplificatore della sua voce, in particolare dei suoi
picchi prosodici. A questo proposito, è possibile affermare che i bambini preferiscono il
linguaggio con prosodia infantile, chiamato motherese (Werker & McLeod, 1989).
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Tale forma di linguaggio viene definita Baby talk o "discorso diretto ai bambini", per i
bambini pre-linguali, con vocalizzazioni melodiche e variate dinamicamente, espressioni
facciali esagerate, movimenti ritmici della testa e del corpo. Viene a crearsi, dunque, una
relazione tra i due, fatta di complicità e benessere. La voce in questione si propaga, quindi,
nell’aria, nell’acqua, attraverso le ossa e le zone maggiormente risonanti del corpo, come
la scatola cranica e la gabbia toracica. Anche le emozioni materne divengono protagoniste
del sistema uditivo del feto. Le emozioni giungono sotto forma di biochimica, di
neurotrasmettitori che la madre produce. Le emozioni positive e negative filtrate in
grembo possiedono una funzione di imprinting: l’atteggiamento, la vita della madre e di
ciò che le sta intorno creano una memoria sonoro/emozionale che lui/lei ricorderà per
sempre. Il piccolo riconosce la sua voce, il suo timbro, il suo colore, e con essa si
sintonizza come in un ritmo, che verrà poi ripreso dopo la nascita. Questo ritmo comune
fra madre e bambino viene concepito dal padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, come
“[…] l’elemento garante la continuità fra la vita uterina e la vita neonatale, proprio
perché il bambino nasce concepito nel movimento, nel ritmo, nel suono”
(Freud citato in De Colle, 2014, pag. 28).
La voce materna, dunque, metaforicamente, possiamo definirla un ponte, che lega la
mamma al suo bambino, creando un dialogo sonoro che dal periodo gestazionale continua
nella vita postnatale. Per questo motivo è consigliato alle donne in gravidanza di cantare
per il loro futuro bambino. Il suo primo vagito sarà la risposta a tutti gli echi che avrà
ascoltato nel grembo materno, sarà una prima espressione soggettiva avente un proprio
timbro e ritmo. Dopo la nascita gli atteggiamenti di accudimento del piccolo sono
tranquillizzanti per lui: ad esempio il cullarlo, cantando delle ninne nanne, il ritmo
dell’allattamento, rispecchiano per il piccolo il ritmo originario del battito cardiaco della
madre, generando una situazione di benessere (De Colle, 2014). Howard Gardner, dal
canto suo, ci indica che i neonati sono naturalmente predisposti alla musica e agli elementi
che la definiscono, come il tono, la melodia, il ritmo, etc. Dall’osservazione di neonati
figli di cantanti professionisti, si è potuto constatare che nei casi in cui era la madre a
cantare durante l’intera gravidanza, il bambino mostrava alla nascita solidità alla nuca e
vigore degli arti superiori. Per questo motivo è consigliato ad entrambi i genitori di creare
una relazione con il proprio bambino, attraverso il suono della loro voce, per sollecitare
il suo sviluppo affettivo, sensitivo e cognitivo. Il canto materno è un’occasione di
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nutrimento e di crescita sana per il neonato, e rappresenta, dunque, la sua prima esperienza
musicale vera e propria.
3.2 Il canto materno e il suo significato biologico
Il canto materno è una modalità di comunicazione tra madre e bambino in età preverbale,
basato su ninnenanne, filastrocche, vere e proprie canzoni finalizzate al gioco,
all’intrattenimento e alla comunicazione delle emozioni (Schön et al., 2016, pag. 24).
Il canto materno e i suoi relativi stimoli sono trasversali a tutte le culture e società.
Le caratteristiche di queste filastrocche o canzoncine per i più piccoli consiste in
un’estrema regolarità, semplicità e ripetitività della struttura, tali da incuriosire e stupire
i giovani interlocutori (Schön et al., 2016, pag. 25). Ripetizione e variazione sono le prime
esperienze musicali del bambino, consentono di attivare la comprensione del tempo, della
musica, e sono anche alla base dello sviluppo dell’attitudine musicale. I piccoli
rimangono affascinati da questo tipo di canto. Non è necessario aver studiato canto
precedentemente per cantare con i propri figli. Loro hanno bisogno della presenza fisica
e di qualcuno con cui relazionarsi e ascoltare; la qualità del canto non conta agli occhi dei
bambini. Ad esempio, le ninne-nanne sono costituite da un testo, hanno una struttura
semplice e ripetitiva, una melodia dolce e soave dall’andamento lento/adagio, dal metro
regolare binario o ternario, dal ritmo uniforme che ha un effetto rassicurante e rilassante
sul bambino. Esistono molte ninne-nanne presenti nelle tradizioni di ogni popolo e
cultura, altrettante sono state scritte da autori classici come Brahms, Chopin, Ravel, List,
etc., che hanno regalato delle bellissime pagine di musica d’arte dedicate a questo tema.
Il canto di una ninna-nanna, unito al dondolio prodotto dalle braccia materne o dalla culla,
riproducono il ritmo del battito cardiaco o il tempo del respiro percepito nel periodo fetale.
La melodia continua di una ninna-nanna cantata dalla mamma ha il potere di fondere
entrambi i corpi in un insieme armonico e fluido, capace di contenere e rassicurare come
nello stato prenatale. Inizialmente il canto si unisce al gesto e i suoni guidano la danza,
poi il bambino si rilassa e si addormenta, non tanto in virtù delle parole, quanto invece
dall’andamento dei suoni vocalici cullanti.
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Secondo gli studi condotti in Psicologia della Musica, la mamma che canta al bambino
adotta uno stile particolare, caratterizzato da un registro (tono di voce) più alto, da un
tempo lento e dall’aumento di qualità espressive nella voce (Schön et al., 2016, pag.25).
Anche l’età del piccolo influenza il canto materno, in quanto le madri variano il loro modo
di cantare a seconda dell’età del bambino: ad esempio per i neonati il registro è più alto e
l’articolazione delle parole è più pronunciata, rispetto al registro usato con i bambini di
età prescolare (Schon et al., 2016 pag. 25). Il canto materno riesce, inoltre, ad aumentare
il livello di attivazione del bambino, chiamato arousal. Anche usando una registrazione,
i neonati ascoltano per un tempo significativamente più lungo una registrazione di un
canto femminile nello stile materno, rispetto a uno cantato in uno stile normale e
informale (Schön et al., 2016, pag. 25). I neonati rimangono più attenti e sono
emotivamente più coinvolti nell’ascolto di versioni di canzoni in un registro più alto,
rispetto ad altre in un registro più basso.
Il canto materno possiede, dunque, caratteristiche comunicative ed emozionali nella
relazione madre–bambino, accorciandone la loro distanza psicologica. La ripetizione
frequente di una melodia ai bambini può anche implicare una specie di memoria motoria
e può assomigliare a un rito, sempre messo in atto con lo scopo di facilitare la
comunicazione preverbale. Il canto materno possiede un significato biologico notevole:
la predisposizione universale delle madri a cantare ai loro figli e l’impatto di questo canto
sull’attenzione e l’attivazione cognitiva del neonato suggeriscono che il canto materno
può avere caratteristiche adattive che contribuiscono all’aumento della sopravvivenza
neonatale (Schön et al., 2016, pag. 26). Come afferma la dott.ssa M. Novella, pedagogista
musicale, educatrice di nido e musicista: “una voce ricca di intonazione melodica, di
enfasi e di sfumature ha un grande potere attrattivo per il bambino, e non solo:
tranquillizza, calma, dà sicurezza”. Esso, infatti, influisce positivamente sulla relazione
di attaccamento fra madre e bambino, contribuendo a generare il benessere del piccolo,
ad esempio con la riduzione del pianto o l’addormentamento, con l’aumento dell’attività
motoria e dell’attenzione, a seconda delle situazioni.
Anche le canzoni cantate durante la gestazione, riprodotte post partum, sono
perfettamente riconosciute dai bambini, donando loro un effetto di protezione e serenità.
A questo proposito studi scientifici hanno dimostrato che il bimbo reagisce rilassandosi e
tranquillizzandosi al loro ascolto, come se quei suoni avessero la capacità di riportarlo al
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mondo accogliente e protettivo del ventre materno. Cantando, le vibrazioni del corpo si
espandono sulla pelle e riverberano attraverso le ossa: un bambino preso affettuosamente
tra le braccia può percepire numerose vibrazioni attraverso la pelle se, per esempio,
mentre gli cantiamo qualcosa, poggiamo il nostro mento sulla sua piccola testa.
Il canto, infine, aiuta il bambino a imparare la lingua d’origine, in quanto sembra facilitare
la segmentazione, ossia l’estrapolazione e il riconoscimento delle parole. Tutto nel
bambino passa prima attraverso le sensazioni e le emozioni, e la musica è proprio la lingua
in grado di tradurle e trasmetterle. Dare importanza a questo canale comunicativo sin
dalla più tenera età, specie nei primi diciotto mesi di vita, permette di accrescere lo
sviluppo cognitivo in ambito musicale. Cantare a e per il proprio bambino è un gesto
d’amore, semplice e alla portata di tutti. E dove c’è amore da parte di una madre, c’è una
crescita sana e forte del piccolo. Il canto può divenire la nostra àncora di salvezza in
momenti di emergenza o necessità. Servirsene è davvero arricchente e rassicurante sia
per le figure genitoriali e sia per i loro figli.
4. Musica e Linguaggio
Musica e Linguaggio sono trasversali a tutte le culture e appartengono solo alla specie
umana. Sono entrambi fenomeni complessi che si influenzano reciprocamente. La musica
può essere descritta da un punto di vista acustico, ritmico, melodico e armonico. Il
linguaggio, invece, da un punto di vista morfologico, sintattico, fonetico e lessicale.
Anche il linguaggio poetico è musica, poiché possiede il suo ritmo, lento o veloce, i suoi
accenti, le sue cesure, le sue allitterazioni, le onomatopee ed altre relative figure di suono.
Tutte le parole possiedono la loro specifica musicalità, per questo possono essere cantate
o recitate, a seconda delle circostanze. È stato spesso ipotizzato che la musica non si sia
evoluta da sé, ma sia piuttosto emersa come prodotto collaterale di altre capacità, per
esempio la parola, dotate di un significato adattivo più ovvio. Tre tesi contrapposte al
riguardo: C. Darwin pensava che il canto precedeva la parola. Invece il suo
contemporaneo H. Spencer sosteneva che era la parola a precedere la musica.
E ancora S. Mithen affermava che musica e parola si sviluppano simultaneamente, poiché
possiedono una comune origine. Quest'ultimo studioso sostiene nella sua opera “ Il canto
degli antenati: le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo” che una
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