Capitolo terzo
L’identità di genere
1. La costituzione dell’identità di genere
L’inserimento dell’individuo in una categoria di genere e non equivoca
inizia dal momento della nascita, annunciata spesso da un fiocco di colore
differente (rosa o azzurro) apposto sulla porta o sul portone dell’abitazione del
nuovo nato/a.
I colori, anche se in modo non rigido, seguono il bambino, negli abiti,
nell’arredamento della stanza o ancora a scuola, attraverso grembiuli e fiocchi
differenti.
Ma l’identità di genere viene forgiata anche attraverso i giochi, che mirano
a costruire attitudini differenti; le sanzioni positive e negative (“ti sei comportato
da uomo” o “non piagnucolare: sembri una femminuccia”) sanciscono i
comportamenti considerati corretti a seconda della categoria nella quale si viene
inseriti alla nascita e al tempo stesso le attitudini e il piano emozionale
(Siniscalchi 2001, 92-93).
I genitori mentre non tollerano le espressioni di aggressività diretta nelle
bambine, sono inclini a credere che, sotto questo profilo, i ragazzi “siano ragazzi”,
consentendo così lo sviluppo in essi di comportamenti aggressivi che inibiscono
nelle ragazze (Burr 2000, 88).
Le identità vengono quindi costituite come distinte, attraverso
l’acquisizione di atteggiamenti, di modi di pensare, attitudini differenti che
servono a ribadire l’esistenza di un confine netto tra i due raggruppamenti.
Il modo di vestire, di parlare, di muoversi e gestire il proprio corpo, il
diverso accesso alle risorse o alla politica, le attività lavorative sono pertanto
segnali culturali della differenza che si punta a stabilire tra maschile e femminile.
Le istituzioni contribuiscono a modellare identità distinte, un habitus di
genere che le pratiche degli stessi attori sociali confermano e ripetono nel tempo
(Siniscalchi 2001, 93).
20
2. Identità di genere e sesso “apparente”
Le attività attribuite ai membri di ciascuna categoria di genere, la
conformazione e i confini tra le due categorie cambiano da un contesto all’altro
(ciò che caratterizza gli uomini in un luogo, può essere attività eminentemente
femminile in un altro), rendendo evidente la natura culturale della divisione
operata tra gli individui.
I generi così costruiti, al di là degli elementi che li caratterizzano, non
sempre discendono automaticamente e in modo rigido dal “sesso” anatomico;
anzi, in alcuni casi l’identità di genere può essere opposta al “sesso apparente”.
Héritier mette in evidenza, ad esempio, come tra gli Inuit l’identità e il
genere siano dati dall’anima-nome dell’individuo: l’anima-nome deriva da un
antenato che si reincarna attraverso il bambino e il genere che in questo modo si
impone al nuovo nato dipende dal genere dell’antenato del quale il bambino ha
acquisito l’anima-nome.
I bambini sono quindi allevati in conformità con il loro genere (che può
essere opposto rispetto al “sesso apparente”).
Se in questo caso il genere è indipendente dagli elementi biologici, i quali
possono però costringere ad assumere ruoli differenti rispetto al proprio genere da
un certo momento dell’esperienza dell’individuo, in altri casi il genere è qualcosa
che si acquisisce attraverso determinati comportamenti o dando prova di
specifiche qualità.
Presso alcune popolazioni della Nuova Guinea, ad esempio, mascolinità e
femminilità sono qualità che hanno un carattere differente: mentre l’essere donna
è una condizione ritenuta naturale e frutto di un’evoluzione biologica
dell’individuo, l’essere uomo è considerata una qualità acquisita nel corso di un
complesso processo di crescita sociale e rituale.
La mascolinità, in tali contesti, si costituisce attraverso complessi
meccanismi di scambio rituale tra anziani e giovani, che possono prevedere il
passaggio di sostanze “maschili” attraverso atti che noi consideriamo
21
“omosessuali”; in modo per noi paradossale, quindi, la costruzione della
mascolinità in questo caso passa attraverso l’omosessualità.
Esistono poi contesti che non prevedono come uniche possibilità due sole
categorie: maschile e femminile sembrano piuttosto i poli di un continuum, lungo
il quale gli individui possono transitare.
Secondo alcuni studiosi possono in realtà esistere più categorie di genere,
come sembrerebbero mostrare figure istituzionalizzate “transgenere” presenti in
alcuni contesti. Ne sono esempio i “bardache” tra gli indiani del Nord-America,
definiti in alcuni casi un “genere misto” : cioè persone anatomicamente di un
sesso che però possono assumere occupazioni lavorative, abbigliamento e status
del sesso opposto.
Pur non trattandosi di un vero e proprio terzo sesso, quanto di un terzo
genere, o genere trasversale, questi casi mettono in evidenza la necessità di
considerare in un modo non univoco il rapporto tra conformazione anatomica e
genere di appartenenza.
La possibilità di transitare da un genere all’altro, i casi in cui il genere non
si accorda con il sesso biologico o, ancora, la necessità di acquisire la propria
identità di genere attraverso particolari comportamenti consentono di porre
l’attenzione piuttosto sulle modalità attraverso le quali si costituisce l’identità
dell’individuo e quindi il suo/suoi ruolo/ruoli sociali di genere (Siniscalchi 2001,
93).
22
Capitolo quarto
Genere e stereotipi
1. Verso una definizione
Uno stereotipo è l’immagine di un gruppo umano basata su informazioni
che si ritengono tipiche del gruppo, al di là delle caratteristiche effettive che
distinguono tra loro gli appartenenti al gruppo stesso.
Lo stereotipo è quindi un immagine, un “personaggio” che descrive un
possibile appartenente a una categoria di persone, e che viene nell’uso sociale
utilizzato per descrivere indebitamente e perlopiù con connotazioni
discriminatorie l’intera categoria (Cozzi, Nigris 1996, 370).
Ogni essere umano dovrebbe effettuare “una mediazione tra quello che è
considerato il valore assoluto ed il proprio vissuto personale, filtrando il tutto
attraverso la cultura, il suo processo educativo, la sua esperienza ad un certo
gruppo sociale o professionale. Il conflitto può nascere quando non si è disponibili
ad accettare la mediazione tra proprio vissuto e vissuto altrui e ci si cristallizza nel
proprio come unico, vero e immutabile. Da qui la nascita degli stereotipi che
portano a giudicare l’altro in modo rigido e semplificatorio, senza tenere conto
delle risorse, potenzialità e differenze proprie di ogni singolo individuo” (Cozzi,
Nigris 1996, 370).
2. Stereotipi di genere
Gli stereotipi di genere sono caratterizzati dall’insieme ”di quelle
acquisizioni condivise, di prescrizioni e divieti che sono ritenuti appropriati a
definire i comportamenti sociali di uomini e donne, e che fissano donne e uomini
in posture immobili” (Demetrio 1999, 93).
In base a tali stereotipi “se gli uomini sono forti, decisi, coraggiosi,
valorosi, rapidi, autonomi, indipendenti, naturalmente portati alla carriera, allora
sono veri uomini, premiati, perché questi sono i valori stimati dalla società. Se le
23
donne sono affettive, deboli, dipendenti, passive, dolci, sottomesse, espressive,
mansuete, naturalmente portate alla cura allora sono vere donne” (ibidem).
Inoltre, in base agli stereotipi di genere, a uomini e donne vengono
attribuite capacità differenti.
Lavorare bene in gruppo, l’assunzione di responsabilità e l’orientamento al
risultato sono attribuiti più agli uomini che alle donne, mentre l’atteggiamento
positivo verso il cambiamento, la capacità di comunicare e l’attenzione all’ordine,
alla qualità del lavoro, alla registrazione delle informazioni, benchè
prioritariamente neutre, sono declinate maggiormente al femminile. Le donne
sono potenzialmente più capaci di mettersi in relazione con l’altro, di essere
attente all’ambiente, pazienti, precise, puntuali, persino puntigliose sull’ordine
(ibidem, 107).
In campo sanitario si sono sviluppati nel tempo due stereotipi, difficili a
morire nonostante i cambiamenti intervenuti.
“Il primo riguarda la figura del medico, che generalmente è uomo, è
considerato ricco, è colui che prende le decisioni ed è colto. Il secondo è relativo
alla figura dell’infermiera, che normalmente è donna, economicamente meno
agiata, è colei che esegue gli ordini provenienti dagli altri, è poco preparata
culturalmente e professionalmente” (Cozzi, Nigris 1996, 371).
3. Stereotipi e mezzi di comunicazione
Il linguaggio scritto, parlato e visivo, è saturo di immagini che pervadono
la nostra vita quotidiana (Burr 2000,111).
La trasmissione dei messaggi di genere coinvolge anche canali meno
evidenti e persino in fonti apparentemente innocue, e forse anche nel nostro stesso
linguaggio, sono presenti assunti discutibili sulle donne e sugli uomini e sul loro
rapporto.
I modelli maschili e femminili presenti nell’ambiente del bambino sono
una fonte importante di informazioni suoi ruoli dei due sessi e i mass media
rappresentano un ricca fonte di modelli potenziali al riguardo.
24
Sottoponendo i racconti per l’infanzia ad analisi del contenuto si evidenzia
che i personaggi femminili sono più passivi rispetto a quelli maschili, si
impegnano in una serie più ristretta di attività generalmente collegate alla sfera
domestica.
I ragazzi rappresentati nei racconti sono coinvolti in avventure mentre le
ragazze hanno bisogno di aiuto o devono essere salvate (ibidem, 112).
Nelle antologie e nei libri di testo scolastici i personaggi femminili sono
sottorappresentati e spesso impegnati in ruoli domestici o di cura. Sia che
trasmettano il messaggio secondo cui ciascun sesso ha modalità di comportamento
sue proprie e specifiche o che comunichino l’idea che le attività dei ragazzi e degli
uomini siano più degne di attenzione di quelle delle loro controparti femminili, le
immagini stereotipiche contenute nei libri di testo potrebbero rinforzare scelte
curriculari differenti negli studenti dei due sessi (ibidem, 113).
Nei programmi televisivi per bambini le donne sono rappresentate come
persone intente alla cura della casa e della famiglia, preoccupate del loro aspetto
fisico e impegnate, quando lo sono, in ruoli professionali di scarso prestigio.
Secondo alcuni studiosi, l’eventuale influenza di queste rappresentazioni
sui bambini sarebbe necessariamente di rafforzamento dello status quo.
Le azioni promosse dai personaggi maschili, inoltre, rispetto a quelle
messe in atto dalle controparti femminili sono incisive e tendono a essere
maggiormente premiate.
Una volta dimostrato che i bambini si identificano con i personaggi dello
stesso sesso, le implicazioni di questi messaggi sono evidenti (ibidem, 114).
Matrimonio e genitorialità sono il fondamento dell’esistenza dei caratteri
femminili rappresentati, mentre i personaggi maschili tendono ad essere colti in
interazioni connesse con il lavoro. Inoltre i caratteri maschili tendono ad essere
rappresentati in situazioni di cui hanno il controllo, laddove i personaggi
femminili sembrano essere in attesa del destino (ibidem).
25