7
1.1.1. L’apprendimento in età infantile
Le teorie sviluppate fino agli anni ‘50 del Novecento hanno messo in discussione il
tradizionale modo di considerare l’istruzione come un’attività passiva e basata
principalmente sulla memorizzazione meccanica di contenuti. È in questa fase del
secolo che nascono le “scuole nuove”, luoghi in cui l’educazione si identifica come
un’attività attiva volta a considerare l’infanzia come un’età preintellettuale e
premorale, durante la quale i processi cognitivi si intrecciano all’operare e al
dinamismo, sia motorio che psichico, del fanciullo. Di fatto quindi, con le scuole
nuove, riconducibili alla corrente dell’attivismo pedagogico, il ragazzo diviene il
protagonista principale del proprio processo d’apprendimento alla cui base si
riconosce la valorizzazione del fare e, in generale, dell’esperienza diretta con attività
manuali, di gioco e di lavoro, dando sfogo alla creatività e alla libertà del fanciullo di
organizzare le proprie conoscenze
6
.
Tra i principali autori italiani riconducibili all’attivismo pedagogico ritroviamo Maria
Montessori, la quale con il suo metodo, cercò per la prima volta di studiare in modo
sperimentale la natura del fanciullo ponendo attenzione principalmente alle sue
attività senso motorie. Attività che secondo la pedagogista potrebbero svilupparsi sia
tramite esercizi pratici, come l’imparare a vestirsi, che tramite uno specifico
4
Lave J.- Wenger E., L'apprendimento situato (1961), Erickson, Trento, 2006, pag. 10.
5
Cera R., Pedagogia del gioco e dell'apprendimento: riflessioni teoriche sulla dimensione educativa
del gioco, FrancoAngeli, Milano, 2009, pag. 18
6
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Bari, 2005, pagg. da 28 a 30.
8
materiale didattico organizzato scientificamente. Per la Montessori, la scuola deve
quindi essere progettata a misura di fanciullo con un arredamento che possa essere
adeguatamente maneggiato e spostato in modo autonomo dal bambino senza dover
necessitare dell’aiuto dell’adulto, il quale però deve essere sempre presente in modo
attento e attivo. Fondamentale è il concetto di “mente assorbente”, considerata come
una mente dallo straordinario potere di assimilazione, di partecipazione e
comunicazione da parte del fanciullo, anche in modo inconscio. L’autrice riconosce
alla mente infantile un’estrema creatività che va a manifestarsi soprattutto attraverso
il gioco
7
.
Insieme alla Montessori, un altro contributo importante alla conoscenza del
funzionamento dei processi di apprendimento durante la fanciullezza è rinvenibile in
Rosa Agazzi che propone un metodo pedagogico didattico meno rigido rispetto a
quello della Montessori, ma ipotizza una scuola dell’infanzia basata principalmente
sul principio di continuità tra il clima familiare e la vita all’interno dell’asilo. In tal
modo l’educatrice dell’asilo assume un ruolo molto simile a quello materno
proponendo attività didattiche libere, non preordinate, ma che si svolgano in un
ambiente ordinato al cui mantenimento sono tenuti gli stessi alunni. L’innovazione
del metodo dell’Agazzi è però da rinvenire nel materiale didattico che, al contrario di
quanto definito dalla Montessori, deve basarsi su un insieme di “cianfrusaglie”, ossia
oggetti più o meno significativi che i bambini introducono a scuola dall’esterno,
organizzando e allestendo un “museo” all’interno dell’aula
8
.
Altro autore rilevante nel mondo pedagogico novecentesco è John Dewey che,
ispirandosi al pragmatismo, ritiene fondamentale per l’apprendimento dei ragazzi il
collegamento tra attività didattica teorica e pratica. Secondo lui la vita dei ragazzi va
posta al centro dell’interesse scolastico e dell’attività didattica, ritenendo che sia
compito della scuola porre la giusta attenzione ai quattro interessi fondamentali: per
la conversazione o comunicazione; per l’indagine con la scoperta delle cose; per la
fabbricazione o la costruzione delle cose e l’espressione artistica
9
. Attraverso lo
sviluppo di questi interessi, che concretamente avveniva tramite l’allestimento di
specifici laboratori pratici, Dewey ritiene che la scuola debba primariamente aprirsi
7
Tassi R., Itinerari pedagogici: il Novecento, Zanichelli, Bologna, 2003, pagg.da 102 a 104.
8
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Bari, 2005, pagg. 36-37
9
Tassi R., Itinerari pedagogici: il Novecento, Zanichelli, Bologna, 2003, pagg 212 e ss.
9
alla società, mutando anche il ruolo del maestro nei processi di apprendimento.
Quest’ultimo da colui che dispensava sapere in modo intellettualistico, diviene colui
che osserva e anima le attività scolastiche e didattiche incentivando l’educazione
cognitiva. Alla base del nuovo modello di insegnamento si ipotizza un curriculum di
studi alla cui base si ha la scienza, poiché essa favorisce lo sviluppo dell’intelligenza,
del pensiero critico e delle capacità utili alla soluzione dei problemi
10
.
1.2. Psicologia e processi cognitivi
Oltre agli studi prettamente pedagogici, notevole è stato il contributo offerto dalla
psicologia che, in ambito cognitivo, ha permesso la rivisitazione dei metodi
pedagogici di insegnamento e le conseguenti conclusioni nell’ambito
dell’apprendimento. Fondamentali gli studi di J. Piaget, S. Vygotskij e J. S. Bruner.
Nello specifico, Piaget identifica il fanciullo come un organismo attivo in grado di
adattarsi all’ambiente circostante e in grado di apprendere tramite il processo di
assimilazione e accomodamento, identificando la prima come la capacità della mente
di assorbire elementi dall’ambiente esterno, e il secondo come la trasformazione
delle strutture della mente stessa in conseguenza dell’assorbimento dei nuovi
contenuti di conoscenza, generando un ordinato bagaglio di informazioni. Secondo
questo autore la crescita consiste in una continua ricerca di equilibri fra la
maturazione fisica e le costanti crescenti sollecitazioni provenienti dall’ambiente
11
.
Altro elemento basilare del pensiero di Piaget si identifica nella teoria degli stadi
evolutivi, la quale sostiene che lo sviluppo intellettivo del fanciullo dipenda
principalmente dal sistema nervoso, al di là di influenze sociali culturali.
Gli stadi ipotizzati sono essenzialmente quattro
12
:
1. periodo senso motorio (0-2 anni circa), in cui il bimbo passa dalla reazione
agli stimoli tramite semplici riflessi, alla realizzazione di azioni più
complesse;
2. periodo pre operatorio (2-7 anni circa), in cui il fanciullo imita modelli e si
serve di simboli per rappresentare situazioni ed oggetti;
10
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Bari, 2005, pagg. 82 e seguenti.
11
Oliverio A.- Oliverio Ferraris A., Psicologia: i motivi del comportamento umano, Zanichelli, Bologna,
2002, pagg. 22-23.
12
Ibidem.
10
3. periodo concreto (7-11 anni circa), in cui il fanciullo sviluppa strutture
logiche che gli consentono di effettuare confronti e operazioni mentali;
4. periodo delle operazioni formali (11-15 anni circa), in cui l’adolescente
svolge operazioni mentali sulla base di operazioni logiche formali.
Gli studi di Piaget hanno indotto il mondo pedagogico a riconoscere l’esigenza di
adattare le azioni educative ai differenti stadi di sviluppo cognitivo del bambino,
dando spazio principalmente ad azioni di tipo pratico.
Pensiero differente è quello di Vygotskij che riconosce maggiore importanza
all’ambiente, inteso principalmente come variabili storico culturali essenziali nei
processi di apprendimento. Per questo autore, lo sviluppo stesso del fanciullo è
influenzato dalla cultura di appartenenza e dalla trama di rapporti sociali che,
secondo un meccanismo di tipo circolare, favoriscono lo sviluppo del pensiero e del
linguaggio, determinando che l’apprendimento si sviluppi da una dimensione sociale
ad una individuale. A tal proposito la pedagogia è chiamata a realizzare un’istruzione
in grado di individuare il livello attuale ed il livello potenziale d’apprendimento di un
individuo, quella che Vygotskij definisce zona prossimale di sviluppo, così da
svolgere in questa zona, la funzione di scaffolding, ossia di sostegno, volta a favorire
il rafforzamento dell’apprendimento
13
.
I due autori appena citati quindi, si caratterizzano per un pensiero fondamentalmente
opposto, se per Piaget lo sviluppo del bambino avviene autonomamente rispetto
all’istruzione, che interviene solo quando questo è pronto a recepire e comprendere il
mondo degli adulti, per Vygotskij lo stesso sviluppo è costantemente accompagnato
e orientato dalla cultura di appartenenza e dall’ambiente sociale a cui il bimbo
appartiene.
Nella seconda metà degli anni ‘90 del Novecento, si assiste ad una significativa
revisione delle teorie dell’attivismo considerate eccessivamente permissive e
inadeguate a garantire una formazione soddisfacente, e alla conseguente
affermazione di un nuovo modo di considerare la formazione, più orientato a finalità
culturali e cognitive.
13
Ivi, pag. 24.
11
In questa circostanza, gran parte della psicopedagogia, con J. Bruner in particolare,
finisce per rivolgersi a studi e indagini basate sull’analisi delle strutture cognitive e
dei processi di apprendimento.
Proprio per Bruner, l’apprendimento si identifica nella trasmissione al fanciullo di
contenuti di conoscenza in specifici contesti sociali (es. la scuola). I “saperi” a cui
egli fa riferimento, sono socialmente e culturalmente definiti come conoscenze che il
bambino acquisisce tramite le proprie esperienze vissute all’interno del contesto
culturale e sociale d’appartenenza. Secondo lui, i contenuti di ogni disciplina
possono essere trasmessi agevolmente ai ragazzi, che possono imparare solo se
adeguatamente istruiti dagli adulti.
Essi quindi, necessitano di essere adeguatamente motivati all’apprendere e spetta
all’adulto creare condizioni e situazioni adatte a stimolare l’attenzione e la voglia di
imparare del ragazzo. Svolgono un ruolo centrale anche la conoscenza e il rispetto da
parte dell’insegnante dei ritmi di apprendimento e degli stili cognitivi di ciascun
bambino, i quali variano a seconda dell’età. A tal proposito ad una prima fase di
rappresentazione operativa, in cui il fanciullo impara a conoscere un oggetto in
funzione del suo utilizzo, si fa seguire la fase di rappresentazioni iconica, basata
invece sulla rappresentazione concreta degli oggetti, e infine la rappresentazione
simbolica, con ruolo centrale riconosciuto a scrittura e linguaggio orale. Quando lo
sviluppo del bambino si è realizzato secondo le tre fasi, Bruner ritiene che sia
possibile trasmettergli qualsiasi sapere disciplinare facendo riferimento ai tre diversi
tipi di rappresentazione
14
.
Per quanto riguarda l’apprendimento, esso è definito collaborativo in quanto si
realizza in uno spazio interpsichico, ossia uno spazio ricco di rapporti interpersonali
all’interno del quale si elaborano prime competenze che successivamente saranno
trasformate sotto forma di pensiero secondo un percorso logico. Ognuno possiede
due diverse forme di pensiero, il primo di tipo paradigmatico che consente di
spiegare tramite le regole della scienza, gli eventi e le situazioni, e il secondo di tipo
narrativo che consente di interpretare gli eventi sulla base delle proprie esperienze e
punti di vista. In merito all’intelligenza, infine, questa sembra essere distribuita sia
nei rapporti interpersonali sia negli oggetti che circondano il soggetto, come libri
14
Tassi R., Itinerari pedagogici: il Novecento, Zanichelli, Bologna, 2003, pag. 274 e seguenti.
12
computer ecc. l’intelligenza perciò, è situata in un contesto storico-culturale ed è
distribuita negli strumenti culturali e nelle risorse umane presenti all’interno dello
stesso contesto storico. Attraverso gli studi di Bruner, la pedagogia ha potuto
prendere atto del legame stretto tra cultura ed educazione con quest’ultima che
subisce in modo determinante, l’influenza delle credenze, del modo di pensare e
delle risorse di uno specifico contesto culturale
15
.
Bruner, così come Piaget, considera l’apprendimento come un processo costruttivo e
attivo e, come Vygotskij, ritiene che l’apprendimento sia interattivo e culturalmente
influenzato.
Altro autore rilevante è A H. Gardner, che ipotizza la teoria delle intelligenze
multiple secondo la quale esistono diverse tipologie di intelligenza (linguistica,
musicale, spaziale, logico-matematica, corporeo-cinestetica, intrapersonale,
interpersonale), ognuna delle quali si può, più o meno, sviluppare rispetto alle altre a
seconda del contesto sociale e culturale in cui il bambino è inserito, e della sua
cultura d’appartenenza. Gli elevati livelli di competenza in un determinato tipo di
intelligenza non escludono lo sviluppo anche in altri campi e settori in quanto,
seppure ogni intelligenza sia autonoma rispetto alle altre, queste cooperano tutte
assieme. Attraverso il gioco diventa possibile per insegnanti ed educatori individuare
abilità deboli ed abilità forti dei diversi fanciulli, cogliendo potenzialità nascoste ed
incentivandole ulteriormente. A tal proposito, Gardner ritiene che l’utilizzo di
laboratori specifici volti a stimolare le diverse intelligenze, siano il contesto più
adatto in cui far emergere le differenti propensioni
16
.
Sulla base di questi studi, la pedagogia ha preso atto della necessità di rafforzare
l’istruzione individualizzata, in quanto ogni ragazzo possiede propri ritmi e stili di
apprendimento e proprie specifiche potenzialità e abilità.
1.3. Infanzia e creatività
A partire dalla seconda metà del Novecento, da quando la psicologia ha avviato le
prime ricerche sulla creatività, sono state formulate innumerevoli definizioni spesso
anche tra loro contrastanti. Nonostante ciò, è indubbio che tutte le ricerche sviluppate
15
Ibidem.
16
Oliverio A.- Oliverio Ferraris A, Psicologia: i motivi del comportamento umano, Zanichelli, Bologna,
2002, pagg.165-166.
13
in materia abbiano, comunque, contribuito a far maturare maggiore fiducia nelle
risorse umane e nelle funzioni svolte da motivazione, curiosità ed emozioni nei
processi creativi.
Un argomento di grande discussione è stato sempre il rapporto tra creatività e
intelligenza, tuttavia si è dimostrato come tra questi due aspetti non vi sia nessuna
correlazione, ma che lo sviluppo della creatività non dipende da un’unica variabile,
bensì dalla combinazione di una serie di elementi che costituiscono la personalità del
soggetto. Lo sviluppo della creatività dipenda fortemente dall’ambiente sociale e
culturale in cui si è inseriti, della motivazione, dei livelli di interesse e dalla capacità
di un individuo di conciliare il pensiero comune con quell’originale, in modo da non
apparire pensiero creativo come qualcosa di strano e bizzarro
17
.
A tale riguardo, G. Calvi sostiene che la creatività si sviluppi solo attraverso tre fasi:
la prima di propulsione, in cui sorgono i bisogni e le spinte motivazionali; la
seconda, definita con eccezionale, consistente nell’attività di pensiero svolta al
livello di conscio ed inconscio; la terza fase, quella della realizzazione consiste
infine, nel trasformare il pensiero creativo in un prodotto reale e concreto,
osservabile.
La creatività quindi, può svilupparsi solo se il soggetto è spinto da forti leve
motivazionali ed è in grado di conciliare la razionalità con emotività e dimensione
dell’inconscio.
Gli studi condotti nelle scienze neurologiche, hanno dimostrato che il cervello umano
è costituito da due emisferi: quello sinistro in cui si hanno memoria, logica, analisi e,
in generale tutte le funzioni razionali; quello destro in cui risiedono al contrario, le
funzioni legate all’estetica, alle immagini e all’istantaneità. Il prevalere della
razionalità consiste perciò in un eccessivo funzionamento dell’emisfero sinistro, per
fare in modo che funzioni anche l’emisfero destro è necessario stimolare
l’immaginazione, far prevalere l’inconscio. Ciò che impedisce alla creatività di
emergere può dipendere sia dal soggetto stesso, sia dall’esterno, e tutti questi
elementi concorrono alla restrizione della creatività.
17
Cera R., Pedagogia del gioco e dell'apprendimento: riflessioni teoriche sulla dimensione educativa
del gioco, FrancoAngeli, Milano, 2009, pagg. 35-36.
14
1.3.1. La creatività in età infantile
Per quanto concerne lo sviluppo della creatività in età infantile, notevole influenza
può essere esercitata sia dalla famiglia che dalla scuola. La famiglia potrebbe
favorire lo sviluppo delle potenzialità creative dando libertà di espressione al
fanciullo, in modo che questo possa liberamente far maturare la propria personalità e
i propri processi cognitivi. La scuola potrebbe, dal canto suo, organizzare attività
didattiche basate sulla libera esplorazione, sull’osservazione e sulla manipolazione
degli oggetti, così da soddisfare la curiosità cognitiva del bambino
18
.
Oltre alla selezione di materiali didattici, la creatività potrebbe essere stimolata
tramite la creazione di un ambiente adeguato, in cui il bambino possa parlare e
formulare domande, esprimere idee, anche bizzarre, e vedere comunque rispettato il
suo ruolo di pensatore
19
. A tal proposito, importante è il contributo di Bruner che,
sulla necessità di conciliare razionalità ed emotività, conscio ed inconscio, ritiene che
sarebbe utile valorizzare tanto il pensiero analitico quanto quello intuitivo, tanto il
pensiero narrativo, quanto quello paradigmatico che crea, quest’ultimo, analisi
rigorose e scoperte empiriche che poggiano su ipotesi molto ragionate.
Infine, le varie ricerche condotte in ambito psicologico e neurologico hanno
dimostrato che lo sviluppo della creatività dipenda molto dall’ambiente sociale,
culturale e dalle opportunità formative che vengono offerte all’individuo e alla luce
di ciò, la pedagogia si è sentita in dovere di riflettere sullo stretto rapporto tra
apprendimento e creatività.
Alcuni studiosi come Irving Taylor, hanno definito diversi livelli di creatività, in cui i
livelli più bassi possono essere facilmente raggiunti da tutti i soggetti, mentre quelli
più elevati soltanto da alcuni. Il primo livello è quello della creatività espressiva,
consistente in quella capacità che viene espressa spontaneamente e non necessita di
alcuna dote particolare; il secondo livello è della creatività produttiva, consistente, in
particolare nelle nell’età dell’infanzia, nell’esercitare controllo sul gioco affinandone
le tecniche; il terzo della creatività inventiva, comprendente abilità inventive del
modo di porsi di fronte a problemi e situazioni inconsuete; il quarto livello è quello
della creatività innovativa, presente in pochi soggetti, si manifesta in campo artistico
18
Ivi, pag. 37
19
Paparella N. ( a cura di), Infanzia, apprendimento, creatività, Bergamo, 2001, pagina 77.
15
o scientifico; infine il quinto e ultimo livello è quello della creatività di emersione,
intesa nella trasformazione del pensiero creativo in un prodotto specifico, reale e
originale. Tale ultima capacità di fatto è posseduta da pochissimi soggetti.
La creatività ha rappresentato negli ultimi decenni, lo stimolo per indurre le scuole a
migliorare i propri metodi di insegnamento ed apprendimento, stimolando alla
scoperta, all’immaginazione e alla fantasia e, in questo caso, il gioco diventa uno
strumento attraverso il quale il fanciullo sfoga le proprie tendenze represse impara a
collegare la fantasia con la realtà realizzando ciò che gli psicologi definiscono “prova
della realtà”. In merito, J. Piaget sostiene che il gioco preceda la costruzione logica,
per cui lo sviluppo del pensiero maturo necessita in ogni caso di un periodo di gioco
e di fantasia da ricondurre agli schemi di pensiero infantili. Altro autore rilevante è
J.J. Rousseau, che con la sua opera L’Emilio, tocca il tema della creatività
stimolando ed incoraggiando il protagonista ad apprendere il lavoro di falegname. La
libertà di pensiero, di fantasia ed immaginazione diventano condizione
imprescindibile per garantire lo sviluppo dei livelli più elevati di creatività e, nel caso
del falegname di Rousseau, si ha la coniugazione nella propria attività di abilità,
conoscenze, flessibilità di giudizio, capacità di previsione e capacità di invenzione.
In concreto, le conoscenze possono essere acquisite principalmente attraverso
l’esperienza, poiché essa è fonte di verità, e tramite l’esercizio critico della ragione
20
.
Anche le sorelle Agazzi si pongono la questione della creatività in ambito educativo,
ritenendo che alla base della sua stimolazione vi sia il concetto di ordine. Inteso
come situazione finalizzata a guardare la realtà con occhio attento e ad organizzare in
modo funzionale l’ambiente educativo, l’ordine è inteso anche come processo, ossia
come modalità con cui il bambino scandisce le esperienze da compiere durante la
giornata scolastica. L’ordine quindi, non è da intendersi come una costrizione, bensì
un’opportunità per cogliere relazioni e rapporti tra gli elementi della realtà che
circondano i bambini. Osservazione, esplorazione e gioco consentono ai bambini di
sviluppare il pensiero, la percezione, e di stimolare la motivazione, l’emozione e
conseguentemente la creatività
21
.
20
Cera R., Pedagogia del gioco e dell'apprendimento: riflessioni teoriche sulla dimensione educativa
del gioco, FrancoAngeli, Milano, 2009, pagg. 39-40.
21
Ibidem.