7
è complementare e che è opera esso stesso: riproducendone le costanti,
cogliendone il quid sostanziale, tanto da svelarci nel Boine epistolografo ben più
che una componente accessoria del suo status di scrittore.
In effetti, nel magma di una produzione refrattaria a porsi limiti («di genere, di
dominio – tra prosa e poesia – di destinatario, di collocazione, di pubblicazione»)
2
la lettera, di per sé oggetto enigmatico dissimulante la propria natura tra vita e
letteratura, può assurgere inaspettatamente a emblema del nodo boiniano di vita-
poesia dal quale scaturisce l’intera parabola dello scrittore ligure, tutta tesa a
esorcizzare i riduzionismi delle opposte specie: un vitalismo estetizzante «amorfo
ed acefalo»
3
, e l’astrattismo aprioristico della teoresi sistematica; abissi speculari
ai quali Boine sfugge soltanto attraverso la sua personale ricerca di sintesi – il suo
nodo, appunto, insolvibile e irrisolto. Tutta la riflessione contemporanea sulla
scrittura epistolare ci assicura del resto sulla propensione della lettera a costituirsi
«maglia mancante tra la biografia e l’opera», «luogo nel quale la vita si fa
verbalizzazione»; inducendo a indagarne «la tonalità costitutiva dello stile»
4
oltre
il dato biografico, l’intima connessione tra il letterario e l’esistenziale che
irripetibilmente vi si produce, e quasi si direbbe l’etimo spirituale in accezione
spitzeriana. Troppo allettante, quindi, si presentava l’invito a rileggere con
sguardo consimile uno degli epistolari più intensi del nostro Novecento, cui è stata
riservata solo un’attenzione sporadica e occasionale, segnatamente al momento
2
Giorgio Bertone, Il lavoro e la scrittura: saggio in due tempi su Giovanni Boine, Genova, il
melangolo, 1987, p. 2.
3
Giovanni Boine, Di certe pagine mistiche, in « La Voce», III, 33, 17 agosto 1911, pp. 632-634;
ora in L’esperienza religiosa e altri scritti di filosofia e letteratura, a cura di Giuliana Benvenuti e
Fausto Curi, Bologna, Pendragon, 1997, pp. 79-98, particolarmente p. 84.
4
Anna Dolfi, Premessa a Frammenti di discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, atti
del seminario, (Trento, maggio 1991) a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 9-27,
particolarmente pp. 15-17.
8
della pubblicazione. Si tratta invece di verificarne l’inscrivibilità nel genere
epistolare moderno, quello stesso in cui i recenti studi kaufmaniani hanno
ravvisato un fondamentale equivoco; di metterne in luce la specificità oltre le
comunanze – ed è quanto qui si tenta di fare. I risultati che crediamo di riscontrare
appaiono di una certa rilevanza, tali da confermare, se ce ne fosse bisogno, la
natura contraddittoria della scrittura e del gesto epistolare; ma anche della vicenda
umana e letteraria di un intellettuale capace di fare d’un genere per eccellenza
ibrido la cifra della sua singolare esperienza.
«En général», ammoniva Kaufman fin dalle prime pagine del suo saggio «on
correspond pour se rapprocher de l’autre, pour communiquer avec lui, du moins le
croit-on. Mais peut-être est-ce surtout de son éloignement dont on fait alors
l’expérience»
5
. La lettera, dunque, che si riprometteva d’essere veicolo d’unione,
finisce per rivelarsi ipostasi d’assenza e tanto più nei carteggi voluminosi nei quali
maggiormente si dispiega la tautologia epistolare, l’autoproliferazione del
linguaggio che insegue il vissuto senza mai afferrarlo. La lettera invoca la lettera,
si sforza a informare un frammento di vita, a farne parte a un destinatario; attende
risposta (con la sua stessa presenza l’invoca); poi si scopre inadeguata allo scopo,
manchevole, e si protende a colmare lacune e fraintendimenti con nuove lettere,
con un dilagare di lacune e fraintendimenti che scavano la distanza. E’ un
equivoco in cui lo stesso Boine non può evitare di cadere, vittima com’è di quel
suo approccio neoromantico al linguaggio che non sospetta o non tollera filtri di
‘strutture’. Ma l’éloignement kaufmaniano è lontananza ed è allontanamento, ed
in questa seconda accezione in cui si assisterebbe al tentativo epistolare
5
Vincent Kaufman, L’équivoque épistolaire, Paris, Les Editions de Minuit, 1990, p. 8.
9
di «inlassablement convoquer autrui pour mieux le révoquer» Boine non mostra
trovarsi per intero a suo agio; anzi sembra erompere dalle maglie di uno schema
valido in generale per rivendicare un’eccezionalità, per inscrivere la propria
personale constatazione di inattingibilità dell’altro non tanto o non solo nelle
costrizioni di un genere, quanto nella propria crisi, che prima d’essere (ed è di
fatto) crisi storica, sociale, psicologica, è crisi religiosa. Prepotentemente la
costante religiosa boiniana si riafferma anche nell’epistolario, ribadendo
l’intuizione ch’era stata in primis di Giancarlo Vigorelli nell’introduzione alle
opere per le edizioni Guanda del 1971, secondo cui «Boine, anche in letteratura,
restò in religione». Il giovane lettore di Ramon Llull e di Santa Teresa d’Avila, di
Jacopone e di San Giovanni della Croce non si rinnega in ipotetiche conversioni
letterarie, si trasla; tutta la sua opera appare un viatico di faticosa traslazione che
lascia ovunque il segno: «ci sono fedi che si lasciano senza dimenticarle»,
scriverà in una lettera del 7 marzo 1916 a Leopolda Casati; anticipando così sul
proprio conto un’ulteriore intuizione vigorelliana per cui «religiosi si è o no, e un
religioso non è riducibile a stato laicale»
6
. Prima ancora che nella pratica
epistolare, la sua esperienza di inafferrabilità dell’Altro, di scacco della
mediazione verbale nella anelata comunione con l’Altro, Boine l’aveva fatta coi
suoi mistici, in quanto «i mistici pongono ben lontano da noi Iddio, sentono ben
lontana da noi la perfetta vita, sentono tutta la terribilità disumana della vita di
Iddio, della vita in Dio, della nuda vita dello spirito»
7
; nel suo S. Giovanni della
Croce, poi, aveva parlato di «terribile impazienza del divino» e «dell’eterna fame
6
Giancarlo Vigorelli, Ritratto di Boine, in Giovanni Boine, Il peccato e le altre Opere, a cura di
Giancarlo Vigorelli, Parma, Guanda, 1971, pp. IX-LVI, particolarmente p. XXVI.
7
Giovanni Boine, Di certe pagine mistiche, cit., p. 82
10
di Dio»
8
degli uomini ai quali per primi era stato consentaneo, raffigurando
proprio il santo spagnolo come «il principe di questi eterni affamati»:
Tendere con ogni sforzo a Dio e sul punto d’immedesimarsi in lui sentirsene ancora
discosto, è il dramma della sua esperienza religiosa
9
.
In una produzione tanto «complessa ed unicentrica» l’epistolario diventa allora
epifenomeno di questa stessa esperienza per se stesso, in una traslazione che
dall’Altro assoluto si protende attraverso un viatico espressivo ad un più relativo,
più umano altro-da-sé. L’epistolario di Boine, come ogni epistolario monumento
egotico di una personalità, non revoca l’altro; ne ha troppo bisogno perché da
questi egli stesso possa riconoscersi. Bisogno, si direbbe, della consistenza
psicologica, sociale, intellettuale, ontologica dell’interlocutore per trarne la
propria. Boine postula la consistenza ontologica dell’Altro (interlocutore quasi
analogia entis, insieme icona e surrogato di Dio) per trarne consistenza
ontologica; l’altro – sia che lo si sfidi, allontani, contesti o abbracci – è il
fondamento della propria consistenza, colui dal quale ricevere identità, fosse pure
per opposizione. E di carteggi oppositivi, nei quali si dispiega tutta la vis polemica
di uno scrittore mai circospetto nell’espressione di sé, Boine offre numerosi
esempi; su tutti quello con l’amico-nemico Prezzolini. Ma è opposizione in
8
Espressioni che Boine trae dalle Nozze spirituali del mistico fiammingo Ruysbroeck (1293-
1381), ma che cita a proposito di S. Giovanni della Croce nell’ omonimo saggio apparso su «Il
Rinnovamento», I, 11-12, novembre-dicembre 1907, pp. 458-474 e II, 3, 1908, pp. 455-467 (poi in
Il peccato e le altre Opere, cit., pp. 521-548, particolarmente p. 540).
9
Giovanni Boine, S. Giovanni della Croce, cit., p. 540.
11
qualche modo necessaria e feconda, «poiché l’inimicizia è strada all’amicizia, ma
l’essere l’uno all’altro sconosciuti e chiusi questo fa gemere e morire»
10
.
Vi sono epistolari (Kaufman ne dà un’esemplificazione acutissima) sinonimi
di soliloquio, in cui l’emittente potrebbe quasi pacificamente prescindere dal
destinatario e continuare a scrivere (a scriversi) tramutando in sostanza la propria
scrittura da dialogico-epistolare a diaristica (i margini di distanza sono in effetti
molto sottili, ma una lettera non esiste senza lo sguardo dell’altro, e il solipsismo
completo dovrebbe comunque esservi scongiurato); Boine no, Boine si costruisce
attraverso l’altro, e in una lettera, come ovunque nell’opera sua, fa della parola il
luogo di edificazione, di lenta accidentata ascesa a un Carmelo per un incontro
sempre a un passo dal verificarsi. Che poi questo cammino risulti più spesso salita
di Sisifo con massi e ricadute, è un fatto; ma fatto che non muta la sostanza delle
cose, e che da solo basta al pieno riconoscimento per questo epistolario dello
status di ‘discorso amoroso’ nella larga accezione proposta da Anna Dolfi, per la
quale conviene «staccare l’antico amor/amoris dalla unidirezionalità di significato
che gli dà ormai la società consumistica, allargando l’accezione a comprendere
l’amicizia (l’amor amicitiae di cui parla la scolastica), sulla scorta dell’aristotelica
Etica nicomachea, del ciceroniano Laelius, de amicitia, della riflessione
agostiniana e medievale fino a Montaigne e ai moderni»
11
.
E’ da un tale riconoscimento che la pratica epistolare boiniana manifesta la
propria vocazione ad intridere di sé l’opera letteraria vera e propria; estendendole
10
Giovanni Boine, Pensieri e Frammenti, in «La Riviera ligure», XXIII, 10-11, ottobre-novembre
1917, pp. 81-85 (poi in Il peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti, a cura di Davide Puccini,
Milano, Garzanti, 1983, pp. 309-325, particolarmente p. 320).
11
Anna Dolfi, Premessa a Frammenti di discorso amoroso nella scrittura epistolare moderna, cit.,
p. 12.
12
l’eccessività, l’espressivismo che sottende ogni discorso amoroso, quella
dimensione perturbante che tutto gioca sul desiderio insoddisfatto dell’indicibile
codificato in una forma fissa: insieme qualità del tentativo epistolare di dire la
passione, e succo delle più genuine estetica e poetica boiniane. In esse, in effetti,
l’arte e la scrittura autentiche erano attingimento all’origine; «laico, rude,
profano» attingimento all’origine (religiosa) della parola («In principio era il
Verbo») per fare espresso l’inespresso, per dire «la misteriosità, lo stupore, la
complicatezza segreta, il misterioso miracolo di ogni cosa», «questo prodigioso
senza posa fluttuare di vita […] dal nulla»; «il prodigio della creazione», «la
violenza della creazione contro e fuori d’ogni categoria nota e nostra»
12
; erano
lotta per strappare all’inesprimibile, all’inarticolato, la vita germinale caotica ed
amorfa ed in-formarla; per incarnare l’ineffabile, obiettivando ciò che è lirico e
liricizzando l’obiettivo. E si ispiravano, in quest’ambizione di pensiero che vuol
farsi esistenza senza rinunciare al proprio essere pensiero, a Dante, a
Michelangelo, a Mistral; respingendo le compassate distinzioni crociane come
ogni residuo mallarmeano di parola pura
13
: ora possiamo riconoscere che
l’identica tensione tra vita e forma (tra ragione e fede, tra uomo e Dio: «io sono
un tremulo, un trepido ponte, un gemente, un poco robusto a sopportare peso
ponte, sospeso tra la Ragione e Iddio»)
14
, tra fissità di un genere e
12
Giovanni Boine, L’esperienza religiosa, in «L’Anima», I, 10, ottobre 1911, pp. 291-319, ora in
Giovanni Boine L’esperienza religiosa e altri scritti di filosofia e letteratura, cit., pp. 99-138,
particolarmente p. 130 e p. 135.
13
E’ in effetti di una evidenza irrefutabile il fatto che la parola per Boine si inscriva all’interno di
un preciso ordine etico-logico: «Una parola infetta, corrotta è una corruzione nell’ordine delle
idee; è un’eresia. Perciò la parola è sacra e divina, perché è divino, immutabile l’ordine dei nostri
pensieri ed il pratico ordine della nostra vita sentimentale» (Giovanni Boine, Il Purismo, in «La
Voce», IV, 32, 8 agosto 1912, p. 867; poi in Il Peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti, cit.,
pp. 460-467, particolarmente p. 462).
14
Giovanni Boine, L’esperienza religiosa, cit., p.131.
13
sovrabbondanza indicibile di materia autobiografica da chiarire a se stessi,
comunicare, tramutare in dialogo è la stessa che costituisce l’epistolarità in genere
e l’epistolarità in Boine particolarmente. Il Boine vittima dell’equivoco epistolare,
che vuol stabilire legami umani tramite il linguaggio e tramite il linguaggio (la
pratica epistolare) vuole approfondirli – ben sapendo che non fa bisogno di parola
dove la totale reciproca comprensione sia avvenuta – è l’identico Boine che vuol
fruire l’Altro per eccellenza nel silenzio contemplativo ma anche ripossederlo nel
concetto e nell’espressione; quello poi che spreme la parola allo stremo delle
possibilità fino al punto di revocarla e rifiutarne la mediazione.
Esito non paradossale, tra titanismo del linguaggio e afasia, è il volume di
scambio epistolare esiguo, quando non proprio minimale, per quei confronti
intellettuali che hanno impegnato Boine nei carteggi e oltre (si pensi al rapporto
con gli Unamuno, i Rebora, i Campana, ma anche diversamente con i Cecchi e gli
Amendola) - fino al silenzio, e proprio dove le possibilità di comunione, di
sodalizio, di affinità erano maggiori: retaggio del colloquio mistico che avviene in
nudità di spirito senza gravarsi di orpelli verbali. Esito non paradossale,
sosteniamo, ma conseguente; parallelo a quanto si realizza sul fronte della
riflessione filosofica (quella sua ferita non chiusa, quel permanere dilaniato tra
«concetto e imagine») ed estetica – quell’arte soggettiva, non soggettivistica,
«non gratuita, ben solida anzi di umani valori»
15
; fondata sulla personalità che
crea, che parla immediatamente ad altre personalità senza l’intervento mediano e
veicolare di una critica intesa come estetizzante rifacimento, come contraffazione.
(Dove la critica persiste, essa è comunque insieme autoritratto e ricerca
15
Umberto Carpi, Giovanni Boine: idee sulla poesia, in «Belfagor», XXI, 1, 31 gennaio 1966, pp.
72-81, particolarmente p. 73.
14
dell’anima altrui: «Son qui che sondo l’Italia letteraria contemporanea in cerca di
sostanza umana, in cerca d’uomini e di vita»
16
, dirà nei Plausi e botte: quasi,
questa sonda letteraria che prende se stesso per metro, epistola-confessione che
attende risposta, che si fa pressante richiesta di consonanza e risposta
scandagliando febbrilmente intorno).
Ma se l’epistolario mostra d’essere genere così congeniale all’autore, tanto da
offrirci nel loro «fetale umidore» le costanti boiniane, esso è ancor più rilevante
perché complessamente estende la propria natura allocutoria a tutta l’opera.
L’intrico vita – carteggio – letteratura, tra le lettere private con piglio di
confessione pubblica e le polemiche dagli accenti personali delle lettere-saggio
comparse su «La Voce» (Che fare?, Parole d’un uomo moderno, Epistola al
«Tribunale», Ringraziamento, Pensiero e azione, Congedo)
17
; le continue
sollecitazioni della funzione conativa, l’orientamento verso il destinatario di tante
sue prose filosofiche o creative sono tali da poter essere studiati adeguatamente
solo in fieri. Tuttavia un’ultima considerazione di natura generale è necessaria
prima di calarsi nell’empirico svolgimento dei carteggi: quella relativa al carattere
di provvisorietà di gran parte dei lavori boiniani. Essa sta tutta in una parabola
esistenziale spezzata dalla tisi a ventinove anni; in una ricerca tesa a preservare
antinomica coerenza in ogni frammento; e volta al progressivo autosvelamento, al
perfettibile ascetico sforzo di pienezza espressiva. Ma ciò è anche, di nuovo,
16
Giovanni Boine, rec. a Adolfo de Bosis, Amori ac Silentio, in Plausi e botte, «La Riviera
ligure», XX, 28, aprile 1914, p. 321 bis (poi in Il peccato. Plausi e botte. Frantumi. Altri scritti,
cit., pp. 107-111, particolarmente p. 108).
17
Come ignorare del resto la stessa forma epistolare delle sue trattazioni estetiche, L’estetica
dell’ignoto, («La Voce», IV, 9, 29 febbraio 1912, p. 766) lettera-saggio in risposta alle «parecchie
lettere-critiche» ricevute alla comparsa di Un ignoto («La Voce», IV, 6, 8 febbraio 1912, pp. 750-
752), e gli Amori con l’onestà («La Voce», IV, 15, 11 aprile 1912, pp. 793-794) replica ai beffardi
Amori con le nuvole crociani («La Voce», IV, 14, 4 aprile 1912, p. 789 ); (ora tutte in L’esperienza
religiosa e altri scritti di filosofia e letteratura, cit., pp. 139-173).
15
carattere peculiare dell’epistolarità. La lettera è di per sé contingente; nasce da
necessità contingenti che si propone di dipanare ma che, nella sua congenita
manchevolezza, dilata, finendo con l’innescare semplicemente la sequela di altre
lettere: nessuna delle quali risolutoria, definitiva. Raramente una corrispondenza
si interrompe dando l’impressione che sia stato detto quanto era da dirsi. La fine
di un epistolario è dettata da stringenti necessità, dalla stessa contingenza e
provvisorietà che l’aveva fatto sorgere. Vi si possono vergare parole perentorie,
ma esse sono allora, e tanto più all’interno di corrispondenze di chiara matrice
letteraria, laboratorio di parole da ripetersi altrove – sperimentazione, stadio
germinale dell’opera a venire. Approssimazione della pregnanza insieme di forma
e contenuto che la parola dovrà avere. E questo lettera dopo lettera, in un
progressus in infinitum che l’opera compiuta dovrà (dovrebbe) arrestare.
Compiutezza che Boine non conosce, a meno di non voler identificare in essa la
disarmonica organicità cui si è ripetutamente accennato. Di qui, un’opera che resta
epistolarmente aperta; protesa all’altro in un’interrogazione provocatoria e
radicale che non si lascia chiudere, perennemente attendendo (come una lettera)
soluzione e accoglienza.