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Introduzione
L’idea originaria da cui nasce la costruzione di un progetto dedicato all’inserimento dei
giovani ballerini nel mondo del lavoro, attraverso la metodologia della ricerca-azione,
risiede nella necessità di porre in evidenza una problematica poco considerata all’interno
delle professioni dell’arte. Il bisogno di supporto e lo stato di disorientamento sperimentato
dai giovani danzatori che cercano di transitare dall’ambito amatoriale della danza a quello
professionale, rappresenta il focus di questa tesi. Nelle pagine seguenti ci si occuperà di
tale questione affrontandola con l’elaborazione di un progetto formativo, per dimostrare
come le metodologie e gli strumenti propri dell’educazione degli adulti possano risultare
validi ed efficaci anche nel mondo della danza. Alla base di questa proposta formativa vi
sono diverse motivazioni: in primo luogo un’esperienza personale a New York, vissuta
grazie ad un corso intensivo di danza del Broadway Dance Center, mi ha permesso di
toccare con mano il lavoro d’orientamento svolto da un’équipe di educatori per i danzatori
del corso. Quest’esperienza mi ha consentito di capire come all’estero, la condizione di
ballerini che cercano di inserirsi nel mondo lavorativo, sia presa seriamente in
considerazione supportando loro con percorsi formativi strutturati, l’organizzazione di
audizioni e il costante aggiornamento sulle possibili opportunità lavorative. In secondo
luogo, il corso di formazione professionale in danza contemporanea che attualmente
frequento a Montecatini Terme ha contribuito notevolmente ad approfondire l’argomento
di questa tesi. Infatti il riscontro degli insegnanti sulla situazione lavorativa in Italia ed il
feedback delle allieve, attraverso la condivisione di preoccupazioni ed incertezze sul
futuro, sembrano confermare la condizione di disorientamento dei danzatori che tentano di
trasformare la loro passione in un lavoro. Le fonti utilizzate per la stesura dell’elaborato
confermano la situazione lavorativa della danza in Italia, la quale favorisce la fuga dei
talenti verso l’estero a causa dell’inesistenza di sufficienti e reali opportunità lavorative.
Per analizzare in modo dettagliato l’argomento di questa tesi, si è scelto di suddividere
l’elaborato in tre capitoli. Il primo di questi si occupa della danza contemporanea, in cui
inizialmente si approfondiscono diversi aspetti del movimento quali l’unità psico-corporea,
l’interiorità del movimento, la riflessività del danzatore attraverso l’acquisizione della
coscienza del proprio corpo e la creatività del movimento. Successivamente si delineerà un
excursus della danza contemporanea dalle origini ad oggi: si analizzeranno i periodi storici
più rilevanti, le tecniche e i metodi principali; si parlerà di celebri artisti che hanno fatto la
storia della danza contemporanea; ed infine si approfondiranno le nuove forme di danza
contemporanea. Nel secondo capitolo, invece, si discuterà della metodologia di ricerca
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scelta per questo progetto, ovvero la ricerca-azione. Di quest’ultima non saranno portate
alla luce soltanto le sue caratteristiche, tra cui la stretta relazione tra teoria e pratica, ma
soprattutto verrà esaltato il potere trasformativo di situazioni concrete e reali. Inoltre verrà
posta particolare attenzione all’assunzione della postura riflessiva come condizione
imprescindibile per l’insegnamento, e verrà approfondita la figura dell’insegnante,
specialmente nella relazione tra insegnante di danza e allievo. Prima di passare al terzo
capitolo, verrà delineata un’analisi del territorio italiano,passando da un livello generale ad
un livello più specifico. Tale analisi verrà svolta al fine di individuare le risorse e le
criticità del territorio in cui i ballerini si muovono, poiché il contesto ha un alto potere d’
influenza sulle decisioni delle persone. Infine, il terzo capitolo si occupa del ruolo del
formatore all’interno dei centri di formazione professionale di danza contemporanea. In
esso vengono descritte le competenze, le strategie e gli strumenti utili a coloro i quali
intendono educare i giovani danzatori alla scelta e alla progettualità, attraverso un lavoro di
accompagnamento e di costante supporto. Il capitolo si chiude proponendo un’ipotesi
progettuale ai formatori che intendono mettere in pratica la loro professionalità nel mondo
della danza, contribuendo così al miglioramento di situazioni problematiche che, se non
risolte, potrebbero continuare a provocare conseguenze non indifferenti sulle scelte di vita
di tanti ballerini talentuosi.
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I CAPITOLO
La danza contemporanea come linguaggio universale per un profondo ascolto del
corpo
Questo primo capitolo affronterà il tema della danza contemporanea e si soffermerà
innanzitutto sul significato del valore di quest’arte, come forma d’espressione della propria
interiorità e singolarità. Ci si soffermerà su aspetti riguardanti il movimento,
approfondendo la sua origine, la forma, le qualità e la dimensione creativa. Si analizzerà
l’aspetto relativo alla riflessività del danzatore attraverso l’acquisizione della coscienza del
proprio corpo, che si manifesta durante l’azione, e l’unità psico-corporea inerente alla non
scissione tra corpo e mente. Successivamente si traccerà un excursus che ripercorrà le
tappe fondamentali della danza contemporanea, dalle origini fino ad oggi: si analizzeranno
i periodi storici più rilevanti, le tecniche e i metodi principali; si parlerà di celebri artisti
che hanno fatto la storia della danza contemporanea; ed infine si approfondiranno le nuove
forme di danza contemporanea e le nuove modalità di diffusione di questa.
1.1 Danzare con gli occhi della mente
«La sorprendente struttura del corpo umano, con le sue incredibili possibilità d’azione,
rappresenta uno dei maggiori miracoli dell’esistenza. Ogni fase del movimento, ogni
minimo trasferimento di peso, ogni singolo gesto di qualsiasi parte del corpo rivela un
aspetto della nostra vita interiore. Il movimento ha una sua qualità che non è il suo aspetto
utilitaristico o visibile, ma la sensazione… Si devono fare i movimenti, così come si devono
ascoltare i suoni, per apprezzare pienamente il loro potere e il loro significato»
(Laban; cit. in Tomasetti, 2016)
Una celebre citazione di uno dei più famosi danzatori e coreografi, nonché massimo
esponente della “danza libera”, è posta intenzionalmente in risalto perché esalta il valore più
grande della danza, ovvero la possibilità di sprigionare la forza della propria interiorità
senza bisogno di terzi strumenti, ma usando semplicemente il corpo al fine di esprimere ciò
che si custodisce nel proprio intimo. Il riferimento al movimento di Laban è cruciale, perché
permette di dar voce ai propri istinti, alle proprie pulsioni attraverso la costruzione di una
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forma estetica che non riguarda tanto la bellezza del movimento in sé, quanto la bellezza del
gesto che deriva direttamente dalla propria espressività, come manifestazione della propria
autenticità, singolarità e unicità. Il movimento si traduce in qualcosa di bello quando parte
da uno stato interiore e profondo, che consente alla persona la creazione della propria opera
d’arte cominciando direttamente da se stessi(Mignosi, 2008).Tale connessione con ciò che
si vuole esprimere attraverso il corpo riguarda un processo specifico che connette due
aspetti della persona profondamente correlati e inscindibili. Questo duplice processo esalta
particolarmente la specificità insita nella danza che riguarda l’unità psico-corporea: «La
danza è un’attività tanto fisica che psichica. I suoi movimenti sono legati a delle emozioni:
le risvegliano o le esprimono (…) in entrambi i casi, il movimento della danza costituisce
un trait d’union tra il fuori e il dentro ed utilizza il corpo per significarlo. La danza è un
linguaggio che partecipa “del corpo e dello spirito”, rappresenta dunque un’attività
privilegiata di riunificazione di questi due versanti dell’essere umano»(Mignosi, 2008, p.
68). Questo aspetto fa riferimento all’interazione tra interno ed esterno, tra ciò che è fuori e
ciò che è dentro, dimostrando essenzialmente come corpo e mente siano profondamente
interconnesse. Le informazioni e dimostrazioni scientifiche su questo particolare ambito ci
vengono fornite dalle neuroscienze, che esplorano un territorio rimasto per lunghi anni poco
conosciuto, essendo oscurato dalla storica prevalenza delle attività della mente sulle attività
corporee, considerate secondarie. Dalle neuroscienze infatti apprendiamo che «la mente va
pertanto correlata ad un organismo intero, in possesso di un cervello e di un corpo integrati
e in interazione con un ambiente fisico e sociale e non è concepibile se non in quanto
incorportata»(Mignosi, 2008, p.63). Tale concetto è principale nelle teorie embodied
secondo cui «comprendere i processi corporei e le basi neurali dei processi cognitivi è
indispensabile per capire il funzionamento della mente. Inoltre i nostri processi cognitivi,
secondo le teorie embodied, non sono indipendenti ma strettamente interrelati con i sistemi
percettivi, motori ed emozionali»(Borghi, 2015, p.32).Tale riflessione riveste particolare
importanza in primo luogo perché supera il tradizionale concetto cartesiano, che si fondava
sulla separazione tra una sostanza tangibile, ovvero il corpo, e una non-tangibile, la mente,
denotando l’importanza maggiore della seconda sulla prima; e in secondo luogo è utile
apprendere che il corpo abbia funzioni importanti e non di minore rilevanza rispetto alle
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attività cognitive in quanto partecipa al processo cognitivo nel quale il corpo gioca un ruolo
fondamentale, attraverso funzioni specifiche (Borghi, 2015). La consapevolezza di tale
processo entra in gioco nell’ambito della danza in maniera diretta attraverso il movimento
che permette di entrare in contatto con le sensazioni fisiche supportando «il riconoscimento
di stati psichici e offrire una strada per entrare in relazione con essi in modo da renderli più
trasparenti e flessibili»(Bloom, 2006; cit. in Mignosi 2008). Questo processo che implica la
connessione tra idee e movimento, tra pensiero e azione, consente di sviluppare la capacità
di percezione del proprio corpo, o meglio la consapevolezza che si ha di esso. Nel momento
in cui si mette in atto un movimento, il ballerino è perfettamente consapevole del gesto che
sta esprimendo, perché impara a conoscere tutte le diverse parti del suo corpo e a gestirle,
dando luogo ad un prodotto finale. Tale capacità si sviluppa in modo unico in ogni ballerino
e viene sperimentata gradualmente ed acquisita nel tempo. Pertanto la danza è di
straordinaria importanza soprattutto per il fatto che essa è principalmente un’arte, che viene
osservata dagli spettatori principalmente attraverso la vista. Il ballerino, però, nel momento
in cui danza, non ha la possibilità di vedere i propri movimenti e quindi potrebbe percepire
tale incapacità come un limite. In realtà è proprio ciò che rende peculiare la danza e la rende
diversa dalle altre arti come la pittura, la scultura, la scrittura, che producono prodotti
immediatamente visibili attraverso il ricorso a strumenti esterni. A tal proposito,questa
differenza viene sottolineata da Pontremoli (2008, p.97, 98) sostenendo che la danza «nel
suo prodursi non produce nulla di differito rispetto al corpo artefice: nella musica il corpo
produce un suono, fruibili anche senza la percezione diretta di quel corpo; nell’arte
figurativa e scultorea viene costruito un oggetto concreto distante rispetto al suo creatore;
nelle arti audiovisive e multimediali vengono generati simulacri affidati a supporti percettivi
attraverso un processo di transcodificazione […] la danza non è mai prodotto, ma sempre
producente». Al fine di far chiarezza sulle potenzialità della danza come arte che sfrutta le
risorse del proprio corpo, si riporta l’esperienza di un gruppo di ballerini non vedenti inseriti
nella “Compagnia Damasco Corner” del coreografo fiorentino Virgilio Sieni:«Tra i suoi
principali propositi si riconosce la volontà di portare avanti una ricerca “fondata sulla
percezione reciproca del corpo”, ricerca che contribuisca alla riflessione “sulla natura stessa
del gesto” e sul senso che la pratica coreutica assume nel contemporaneo»(Germanà, 2012,
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p.7). Si cerca dunque di stimolare la dimensione percettiva che implica non solo lo studio
del corpo e del movimento, ma che il ballerino impari ad ascoltare ciò che il corpo stesso
racconta attraverso un’esperienza dialogica e intima. Tale processo viene portato alla luce
tramite specifiche tecniche e soprattutto quelle dell’improvvisazione che permettono ai
singoli danzatori di rielaborare, sulla base di training che preparano tecnicamente il corpo,
uno stile personale di movimento. Inoltre questo modo di concepire il movimento pone
l’accento «sulla dimensione esperienziale e relazionale della danza, evidenziando un
processo vissuto più che un prodotto confezionato» (Germanà, 2012, p.8) facendo sì che le
diversità possano essere viste come opportunità d’espressione e di creazione. La danza si
trasforma così in esperienza relazionale perché non interessa solo i diversi danzatori vedenti
e non vedenti e coreografi, ma anche gli spettatori che si fanno partecipi di un processo che
li coinvolge emotivamente, ponendosi in un profondo ascolto con il suo interlocutore.
1.2 La riflessività del danzatore
Per diventare un ballerino non serve soltanto “saper danzare”: applicare le tecniche studiate
ed eseguire le coreografie. O meglio, chi invece vuole intraprendere un cammino verso la
professionalità, non deve danzare solo fisicamente ma anche e soprattutto con la testa e il
cuore. Per tale ragione è necessario soffermarsi su alcuni concetti che favoriscono una
qualche sintonizzazione e riflessione su se stessi, facendo riferimento a processi come la
“propriocezione” e alla “proprio-visualizzazione”. Il neurofisiologo inglese Charles Scott
Sherrington (1907) intende la “propriocezione” come la capacità del danzatore di percepirsi
attraverso se stesso e attiene generalmente all’autoconsapevolezza e autocoscienza del
corpo, in quanto «deve sapere, anche senza vedere, dove le varie parti del proprio corpo
sono posizionate nello spazio» (Bassetti, 2009, p.332). Inizialmente si sperimenta attraverso
l’esperienza della scoperta e dell’autoesplorazione, cercando di sentire le singole parti che
compongono il corpo (scheletro, muscoli, articolazioni). Sostanzialmente è un lavoro di
isolamento che aiuta a comprendere il peso reale dei singoli elementi. Come spiega meglio
Bassetti (2009, p.333): «questa progressiva suddivisione del corpo porta con sé un
progressivo modificarsi della concezione del corpo proprio, del modo di guardare ad esso e
delle (auto)rappresentazioni che di esso vengono fatte. Quello del danzatore, infatti, smette