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TRA FEDE E VUOTO:
L’ACCOGLIENZA PASTORALE
DEI SACRAMENTI DI GUARIGIONE
E DELLA CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE
INTRODUZIONE
La nostra vita si gioca su due dinamiche fondamentali: la gioia e il dolore. Si prova
gioia quando una vita viene al mondo, quando vediamo un nostro progetto realizzarsi:
questo sentimento pervade il nostro animo, ci sembra che la vita sia più leggera, più
autenticamente vivibile. La dinamica contraria, cioè il dolore, ci fa sperimentare invece
che non siamo perfetti, che anzi abbiamo bisogno dell’altra persona anche solo per
alleviare questo senso di angoscia che pian piano consuma la nostra esistenza. Il dolore
più forte viene sperimentato proprio dinanzi alle situazioni per cui ci sentiamo impotenti:
la sofferenza per una malattia e la morte. Se da un punto di vista prettamente filosofico
non troviamo nessuna soluzione, per molti problemi posti, da un punto di vista di fede la
risposta è la Croce. Gesù, nonostante tutto, ha sperimentato la sofferenza e la morte,
perché tutti noi potessimo avere la vita. Su questa scia, San Paolo, nella lettera ai
Colossesi (Cfr. Col 1, 24) ricorda che la sofferenza completa i patimenti di Cristo,
comprendendo che è una dinamica salvifica, che mostra in maniera spesso
incomprensibile il piano di Dio. Lo ricorda l’Evangelista Giovanni, quando narra del
cieco nato: «Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo
interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.
Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate
le opere di Dio”» (Gv 9, 1-3)
1
.
1
Il ribaltamento della mentalità ebraica, che vedeva nella malattia un castigo per il peccato commesso dal
malato stesso, o nel caso di un malato dalla nascita, da qualcuno dei suoi avi, avviene perché Gesù stesso
spiega che nel malato si manifestano le opere di Dio. È un sublime esempio, oltre che di pedagogia
messianica, di misericordia incarnata e di malattia ordinata alla salvezza, poiché non viene da Dio come
punizione, tantomeno come creazione originaria.
5
Una dinamica che appartiene prettamente al credente è altresì la sofferenza per l’errore
contro Dio e il fratello. Il peccato è una realtà intrinseca della natura umana, che si scontra
con il desiderio di fare il bene. L’uomo che sente il dolore del peccato, cerca di porvi
rimedio per poter più serenamente ricostruire e vivere il rapporto distrutto sia con Dio che
con il prossimo. Di certo, però, il senso del peccato è andato disgregandosi, diventando
da una parte scrupolosità che non aiuta a vedere la misericordia di Dio, e dall’altra parte
a creare una sorta di misericordia fai da te: l’uomo è tutto peccato, tanto da non poter fare
nulla per evitare di cadere sempre negli stessi peccati, e quindi Dio sarebbe “inutile”.
In questo contesto, la presente dissertazione vuole mostrare come ci sia palese divario
tra ciò che il credente dovrebbe vivere e ciò che invece professa: talvolta vuoto, molto
spesso superstizione di fronte alla morte, alla malattia, al peccato.
Si nota, sempre di più, una difficoltà nell’accogliere la visita del Sacerdote per la
celebrazione del Sacramento dell’Unzione, sia per i retaggi dei più anziani, che ancora la
vedono come l’Unzione Estrema prima del transito (motivazione quindi quasi
superstiziosa), sia perché il momento della malattia è diventato un momento intimo,
privato, e per quanto possibile da nascondere e da esorcizzare, sia per il malato stesso sia,
soprattutto, per la famiglia. Il discorso si fa sempre più complesso per la celebrazione del
Viatico: un tempo richiesto, atteso, necessario; oggi un atto che non si celebra più «per
paura che il malato capisca che sta morendo». Verrebbe da dire che non si sa più morire.
Forse sarebbe una esagerazione fare come i nostri avi, che si preparavano ogni giorno,
anche ripetendosi in continuazione il loro “destino”, forse per il fatto che non si vuole
vivere la vita con l’ansia della sua fine terrena. D’altra parte, però, prepararsi ad una
“buona morte” è compito di ogni uomo: anche solo il pensiero di cosa sopravviva dopo
di noi, sul nostro nome e ricordo, dovrebbe spingere ognuno di noi a fare il bene e crescere
nella dinamica spirituale giusta.
6
Per quanto riguarda il Sacramento della Riconciliazione, la difficoltà nasce sul senso
che diamo al peccato: manca la formazione della coscienza che ormai non riconosce più
oggettivamente un peccato come una situazione disordinata della propria vita spirituale
(e a maggior ragione non si riconosce la realtà sociale del peccato), ma si tende a creare
una morale personale, alla quale appellarsi per trovare giustificazione ai propri atti e a
condannare quelli altrui. In quest’ottica, l’amore per il prossimo ad esempio, non è prima
un dovere personale (richiamando quasi il “primerear”
2
del Santo Padre Francesco), ma
prima di tutto un dovere degli altri, e quando si è accusati di non fare il bene, si risponde
molto facilmente «chi me lo fa fare? Se non lo fanno gli altri, perché dovrei farlo io?».
La celebrazione delle Esequie cristiane potrebbe essere quasi considerata un sunto di
questo vuoto e uno spaccato perfetto della concezione della morte in senso umano, prima
che teologico. Si assiste, ormai, a celebrazioni che diventano l’esaltazione post mortem
della persona
3
, cercando di esaudire richieste dello stesso defunto che, seppure lecite, non
possono trovare spazio nella celebrazione.
Come ci ricorda la Colletta del primo formulario proposto per le esequie, Dio ci dona
«la certezza che nei fedeli defunti si compie
4
l’opera Pasquale di Cristo»
5
. Prima che,
quindi, un ricordo grato al Signore per il dono del defunto, la celebrazione esequiale è la
Pasqua personale di un uomo o donna in cui Cristo rivela la potenza della salvezza
Pasquale.
La ricerca sarà naturalmente svolta partendo dal dato positivo, cioè il fondamento
biblico di queste tre celebrazioni, analizzando per ognuna di esse la parte
veterotestamentaria e quella del Nuovo Testamento, con speciale menzione dei vangeli,
poiché riconosciamo che è Cristo l’autore dei Sacramenti ed è lui che dona nuovo
significato alla morte con la sua Pasqua.
2
Cf FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (24 Novembre 2013), n. 24.
3
Cf CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (CEI), Rito delle Esequie (2012), dalle premesse. Da ora
abbreviato in RE.
4
Sul verbo “compiere”, che riporta la versione Italiana, ci sono due considerazioni da fare. Certamente la
morte personale non compie (nel senso di portare a compimento) la Pasqua del Signore, già compiuta nel
tempo e nell’ontologia; oltre al significato di portare a compimento per il cristiano la conseguenza della
Pasqua, ha anche per il mondo significato di mostrare la potenza salvifica di quell’evento che, attraverso la
Liturgia, si fa presente ogni volta che celebriamo i Divini Misteri.
5
CEI, Messale Romano (1983), Colletta della Messa delle Esequie, 861.
7
Nel tratto teologico presentato nel secondo capitolo, saranno analizzati testi e
celebrazioni, per comprendere sempre di più come la Liturgia è sintesi della vita cristiana,
e come queste realtà dovrebbero essere vissute alla luce della fede.
Nella consapevolezza che la lex credendi coincida con la lex orandi, la presentazione
della ratio sottesa ad ogni gesto o parola rituale può aiutare a comprendere in che modo
ci si può preparare a ricevere tale sacramento o sacramentale. Non mancherà un accenno
a Maria, che la pietà popolare canta teneramente come “salute degli infermi” e “porta del
cielo”. La Madonna è compendio di vita teologale vissuta, modello eminente per tutte le
membra della Chiesa. Lei ha accolto il Verbo di Dio nel Suo grembo e, come la Chiesa,
lo genera sull’altare; Lei accompagna i figli dispersi nel peccato e nella sofferenza, fino
alla consolazione di Dio; Lei ci accompagna nell’ultimo tratto della nostra vita, “ora e
nell’ora della nostra morte”, e con forza le chiediamo “mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del Tuo seno”.
Nel terzo capitolo, sarà trattata la ricaduta pastorale, ponendo l’accento non tanto sul
dato superstizioso, che comunque sarà presentato, ma su delle proposte di catechesi
liturgica per rimodulare l’approccio a queste realtà.
La consapevolezza sottesa a questa dissertazione è proprio il fatto che la Chiesa, nel
suo credere, pur camminando su questa terra, non è di questa terra. Essa dovrebbe aiutare
il credente a guardare in alto, alle «cose di lassù, dove è Cristo» (Col 3, 1). Nel fare questo,
però, si deve amaramente constatare come ci si scontri con la mentalità «di questo
mondo» (Rm 12, 2), alla quale è chiamata per natura a non conformarsi, perdendo
miseramente e scendendo a compromessi. La Chiesa però è di Cristo, e Cristo, per amore,
non è sceso a compromessi con il Padre. Ha preso sul serio l’umanità peccatrice, e ha
preso sul serio la sua missione redentiva, morendo realmente sulla Croce, e risorgendo.
Da questa convinzione dobbiamo partire: non un insieme di regole liturgiche da rispettare,
ma un incontro liberante da sperimentare. Soprattutto nella dinamica del dolore e della
morte, che è la Pasqua vissuta in ogni vita donata.
8
I
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE E LE ESEQUIE
NELLA SACRA SCRITTURA
I Sacramenti sono «segni efficaci del mistero di salvezza di Cristo»
6
. Sacramento,
però, è anche tutto ciò che richiama la realtà di Dio in maniera simbolica ma reale.
Pensiamo alla Chiesa
7
, popolo di Dio convocato in assemblea, ma anche a quelle realtà
dell’Antico Testamento
8
che, senza intaccare la natura teologico-dogmatica del
Settenario Sacramentale
9
, possiamo a ragione definire, in certo qual modo, sacramenti;
ad esempio la colonna di fuoco dell’Esodo, accostata in canto, dalla Liturgia della notte
di Pasqua, al Cero Pasquale: «Riconosciamo nella colonna dell’esodo gli antichi presagi
di questo lume pasquale»
10
.
In questa ottica, non pare azzardato rinvenire, non solo nel NT, ma anche nell’AT,
elementi richiamanti i Sacramenti della Nuova Alleanza. Il settenario sacramentale è
diviso in tre grandi gruppi: i sacramenti di Iniziazione Cristiana (Battesimo,
Confermazione ed Eucaristia), quelli del servizio (Matrimonio e Ordine) e quelli di
guarigione (Penitenza e Unzione dei malati).
6
D. SARTORE, «Sacramenti», in Nuovo Dizionario di Liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 1750.
7
Cf CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (21 Novembre 1964).
In varie parti di questo documento, la Chiesa è definita Sacramento. A mo’ di esempi, n. 1: «la Chiesa è, in
Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità
di tutto il genere umano»; n. 9: «la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo
strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano», citando San Cipriano che la
presenta come «Sacramento inseparabile di unità»; n. 48: «il Cristo, quando fu levato in alto da terra, attirò
tutti a sé (Cf Gv 12,32); risorgendo dai morti (Cf Rm 6,9) immise negli apostoli il suo Spirito vivificatore,
e per mezzo di lui costituì il suo corpo, che è la Chiesa, quale sacramento universale della salvezza». Da
ora in poi, Lumen Gentium sarà abbreviato in LG.
8
Da questo momento in poi, Antico Testamento e Nuovo Testamento saranno abbreviati rispettivamente
AT e NT.
9
Cf CONCILIO DI FIRENZE (1439): «sette sono i sacramenti della nuova legge: Battesimo, Confermazione,
Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio. Essi sono molto differenti dai sacramenti
della legge antica, quelli infatti non producevano la grazia ma indicavano solo che questa sarebbe stata data
per la passione di Cristo. I nostri invece contengono la grazia e la danno a chi li riceve degnamente».
10
CEI, Messale Romano (1983), Preconio Pasquale, 168. Sacramentum è, quindi, ogni realtà misteriosa,
nel senso Paolino del termine: realtà che ci parla di Dio. Nello sviluppo successivo, con il termine ci si
riferirà, però, al Settenario Sacramentale, così come Cristo lo ha istituito e nella Tradizione Ecclesiale ci è
stato trasmesso.
9
A questi si accostano i sacramentali
11
, come il Rito delle Esequie, che «è una
celebrazione liturgica della Chiesa. Il ministero della Chiesa in questo caso mira ad
esprimere la comunione efficace con il defunto come pure a rendere partecipe la sua
comunità riunita per le esequie e ad annunciarle la vita eterna»
12
. Si può notare come i
Sacramenti e i Sacramentali si accostino alla vita di ciascun fedele, tanto da diventare
parte integrante dei momenti di vita di ognuno: dalla nascita (Battesimo, Cresima), al
nutrimento quotidiano (Eucaristia), al servizio di ogni persona, che abilita ad un ruolo nel
mondo (Matrimonio e Ordine), al prendere coscienza dei propri errori e cercare di porvi
rimedio (Penitenza) e trovare consolazione e forza nella malattia fino alla fine della vita
(Unzione dei malati).
Riguardo i Sacramenti di guarigione, essi possono essere ripetuti e sono segno della
sollecitudine della Chiesa verso coloro che soffrono nel corpo e nello spirito: la Chiesa,
come il buon samaritano, «versa sulle ferite l’olio della consolazione e il vino della
speranza»
13
.
Tutti i Sacramenti trovano la loro origine rivelata nella Sacra Scrittura, perché ogni
Sacramento è stato istituito direttamente o indirettamente da Gesù in persona
14
, che ne fa
dono Pasquale ai credenti. Poiché i Sacramenti sono segni efficaci della grazia
15
,
possiamo trovare una loro esistenza in nuce nell’AT, per poi trovare il loro pieno
compimento e comprensione nel NT.
11
Sono definiti sacramentali quegli atti di culto che sono connessi ai Sacramenti, come la benedizione
dell’acqua, del fuoco o delle persone, come anche il Rito delle Esequie.
12
CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (da ora abbreviato in CCC), n. 1684.
13
CEI, Messale Romano (1983), Prefazio Comune VIII, Gesù buon samaritano, 375.
14
CODICE DI DIRITTO CANONICO (da ora abbreviato in CJC), Can. 840: «I sacramenti del Nuovo
Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono
segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e rafforzata, si rende culto a Dio e si compie la
santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la
comunione ecclesiastica».
15
Cf CCC, n. 1131.